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Marcatori Cardiaci all’“European Meeting on Biomarkersof Organ Damage and Dysfunction” (EMBODY2000)

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72 Riv Med Lab - JLM, Vol. 1, N. 4, 2000

Si è svolto a Cambridge, dal 3 al 7 aprile scorso, il primo convegno europeo sui marcatori biochimici di danno e disfunzione tissutale (EMBODY 2000).

Tra le varie sessioni, dedicate ai marcatori di diffe- renti organi e/o apparati funzionali (rene, osso, fe- gato, apparato gastrointestinale, sistema nervoso centrale) ed a quelli utilizzabili per il monitoraggio dei trapianti d’organo e delle terapie farmacologi- che, una era interamente dedicata ai marcatori di danno miocardico e, piu’ in generale, dell’apparato cardiovascolare. Negli ultimi anni, questi marcatori hanno assunto, oltre ad un chiaro ruolo diagnosti- co, validità nella valutazione della progressione della malattia coronarica, nella stratificazione del rischio del paziente con sindrome coronarica acuta (SCA) e nella guida alle scelte terapeutiche. H.

Katus (Germania), autore della relazione introdutti- va, ha presentato un’esaustiva rassegna a supporto dell’utilizzo delle troponine cardiache per la strati- ficazione del rischio di eventi cardiaci maggiori in pazienti con SCA, sottolineando tuttavia che in tali situazioni un significato prognostico indipendente possano assumerlo anche i marcatori biochimici di infiammazione e delle alterazioni coagulative. Le troponine possono già guidare il trattamento tera- peutico nei pazienti con SCA senza chiaro sovrasli- vellamente del segmento ST all’elettrocardiogram- ma, mentre, sebbene valori positivi di troponina al- l’ammissione in ospedale nei pazienti con ST so- praslivellato abbiano indubbiamente valore pro- gnostico negativo, rimane ancora da stabilire se in tali casi esista un trattamento terapeutico efficace, aggiuntivo od alternativo alla trombolisi, per ridur- re in questi pazienti il rischio di eventi cardiaci a lungo termine. Ma anche nei pazienti con dolore toracico e clinicamente basso rischio, la positività delle troponine può individuare soggetti a più ele- vato rischio cardiaco. Il relatore ha concluso sotto- lineando che, alla luce delle numerose evidenze che rendono obsolete le tradizionali determinazioni enzimatiche, diventa oltremodo urgente la revisio- ne della definizione di infarto acuto del miocardio (IMA) da parte dell’Organizzazione Mondiale del- la Sanità.

P. Collinson (UK) ha ribadito come ormai la diagno- si biochimica debba essere considerata il “gold stan- dard” nelle SCA, data l’elevata cardiospecificità raggiunta dalla determinazione delle troponine e l’e- levata sensibilità dei marcatori nelle fasi precoci del- la malattia. In particolare, le raccomandazioni della Federazione Internazionale di Chimica Clinica (IFCC) e della “National Academy of Clinical Biochemistry” americana prevedono l’utilizzo asso- ciato di due marcatori biochimici, uno a rilascio pre- coce ed uno più tardivo ma cardiospecifico. Un pro- tocollo simile, utilizzato dall’ospedale Mayday di Londra, ha permesso di ridurre i costi totali di ge- stione dei pazienti con SCA, per una riduzione sia dei tempi di degenza sia del numero di ricoveri, nonostante un lieve aumento dei costi sostenuti dal laboratorio.

J. Mair (Austria) ha sottolineato l’interessante aspet- to dell’attivazione, durante l’IMA, del sistema neu- roormonale dei fattori natriuretici, che persiste nel tempo nel caso insorga una condizione di insuffi- cienza cardiaca. I peptidi natriuretici cardiaci posso- no mostrare in questo modo un valore prognostico di una certa rilevanza, indipendente da altri parame- tri emodinamici, con una superiorità del “brain na- triuretic peptide” (BNP) rispetto all’“atrial natriure- tic peptide” (ANP). Nei pazienti con IMA, può quindi essere utile associare ai classici marcatori di danno miocardico la determinazione del BNP nei primi giorni dell’evoluzione della malattia.

J. Kaski (UK) ha sottolineato il ruolo molto impor- tante dell’infiammazione nella patogenesi della ma- lattia aterosclerotica. Nel siero di pazienti con SCA ad alto rischio di eventi coronarici sono state dimo- strate elevate concentrazioni di proteine della fase acuta, quali proteina C reattiva (PCR), proteina ami- loide A e fibrinogeno e numerosi studi hanno dimo- strato un’importante componente infiammatoria alla base dell’instabilità della placca. Tra questi marcato- ri di infiammazione, soprattutto la PCR è stata cor- relata ad un aumentato rischio di eventi non solo in pazienti con angina, ma anche in soggetti apparente- mente sani. Tuttavia, i risultati di questi studi di tipo epidemiologico devono essere utilizzati con molta

Marcatori Cardiaci all’ “European Meeting on Biomarkers of Organ Damage and Dysfunction” (EMBODY 2000)

F. Pagani

Laboratorio Analisi Chimico Cliniche 1 Azienda Ospedaliera ‘Spedali Civili’ di Brescia

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cautela nella valutazione clinica del singolo pazien- te. Gli svantaggi dell’utilizzo della PCR derivano dalla assoluta non specificità di questo marcatore, dalla sua notevole variazione individuale, da proble- matiche prettamente analitiche e infine dalla man- canza di studi prospettici condotti in pazienti non se- lezionati.

Oltre all’infiammazione, anche l’attivazione della cascata coagulativa e delle piastrine sono fenomeni comuni nei pazienti con SCA. L. Badimon (Spagna) ha presentato i risultati di uno studio personale il cui scopo era quello di valutare l’eventuale valore di au- mentate concentrazioni plasmatiche di marcatori dell’emostasi (fibrinogeno, fattore VIIa, frammento protrombinico 1.2 e D-dimero). Pazienti con IMA e con angina instabile presentavano valori elevati di fibrinogeno e di D-dimero, senza però che a questi marcatori potesse essere associato un significativo valore prognostico.

La produzione e il rilascio di endotelina-1, un poten- te vasocostrittore, sono aumentati in numerose pato- logie cardiovascolari, come l’aterosclerosi, l’ische- mia, l’insufficienza cardiaca congestizia e l’iperten- sione polmonare (J. Pernow, Svezia). Elevate con- centrazioni plasmatiche di questo marcatore sembra- no correlare significativamente con la prognosi in pazienti con IMA ed anche in pazienti con insuffi- cienza cardiaca. Studi sperimentali condotti su mo- delli animali hanno dimostrato che l’utilizzo di anta- gonisti dei recettori dell’endotelina provoca effetti emodinamici positivi: rallentamento del processo

aterosclerotico e aumento della vasodilatazione en- dotelio-dipendente in animali ipercolesterolemici;

riduzione dell’area necrotica e miglioramento della funzione endoteliale in animali con ischemia mio- cardica. Questi studi suggeriscono l’utilizzo dell’en- dotelina-1 come marcatore prognostico, aprendo an- che nuove prospettive terapeutiche nel trattamento delle patologie cardiovascolari.

L’omocisteina, come fattore indipendente di rischio coronarico, è stata l’argomento dell’ultima relazione (J. Chambers, UK). Una significativa correlazione lineare è stata dimostrata tra la concentrazione di questo marcatore e la mortalità per malattia corona- rica. L’iperomocisteinemia ha un effetto negativo sulla funzione endoteliale, anche se tuttavia non è ancora stato chiarito il meccanismo patogenetico.

Studi in vitro suggeriscono una mediazione da parte di fenomeni di perossidazione. Ulteriori studi sono però necessari per dimostrare la possibile efficacia della terapia farmacologica volta ad abbassare i li- velli plasmatici di omocisteina al fine di ridurre il ri- schio cardiovascolare.

La giornata si è conclusa con la presentazione di set- te comunicazioni orali e 18 poster aventi come argo- mento il cuore e le malattie cardiovascolari.

Interessante notare la variegata distribuzione geo- grafica dei contributi che, a parte la scontata preva- lenza inglese (45%), provenivano dai principali pae- si europei (uno dall’Italia) ma anche dall’Est euro- peo (Yugoslavia, Repubblica Ceca) e dall’area medi- terranea (Malta, Egitto).

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