I
•
Tulli6 Pericoli:
Nelson Mandela (Lungo cammino verso la libertà)
~~ __ GlI' 't . . ~""'"iilililX~
SEZIONE
LETTERATURA
NARRATORI ITALIANI
PREMIO ITALO CALVINO
ARTI, ARCHITETTURA
LIBRI DI TESTO
SEZIONE
ommarz
•
RECENSORE
•
AUTORE
4
Bruno Bongiovanni
5
Fabrizio Battistelli
Charles Wright Milis
Bruno Manghi
Gian Primo Cella
6
Cristina Ercolessi
Nelson Mandela
7
Alessandro Triulzi
Giampaolo Calchi Novati
Letture colorate, di Elisabetta Bartuli e Giuliana Turroni
8
Jane Wilkinson
John M. Coetzee
Paola
Splendore
Armando Pajalich,
Marco Fazzini (a cura di)
9
Claudio Milanesi
Alberto Denti di Pirajno
lO Carmen Concilio
Francesco Rognoni
11
Maria F ancelli
12
Guido Massino
Gianni D'Elia
13 Nicola Merola
14
Bruno Falcetto
Pietro Spirito
15
Carlo Madrignani
Wystan Hugh Auden
Tim Parks
Adalbert Stifter
yitzhak Katzenelson
Biancamaria Frabotta
Giorgio Chiesura
Sandro Veronesi
Sergio Atzeni
Antonio Moresco
Corpz: di Udia De Federzàs
16
Marina
J
arre
Mariateresa Di Lascia
Comunicato della giuria
17 È stato tutto perfetto, di Alessandra Montrucchio
La pietra scartata, di Giulia Fiorn
18
Miehele Bacci
Pavel Florenskij
Guido Zucconi
Carlo Olmo, Bernard Lepetit
(a cura di)
19
Eugenio Di Rienzo
Marco Scavino
21
37
Lorella Fontana
Luigi Bosi
•
RECENSORE
Isser Woloch
Giovanna Angelini
INSERTO SCHEDE
•
Michele Del Gaudio
Antonio Santoni Rugiu
AUTORE
EditorialE
•
TITOLO
•
L'immaginazione sociologica
N on
di
solo mercato
Lungo cammino verso la libertà
Dalla parte dei le0!li
Età di ferro
Poeti sudafricani
del Novecento
Un medico in Mrica
La mia seconda educazione
inglese
Gli irati flutti
L'età dell' ansia
La
verità,
vi prego, sull' amore
Lingue
di
fuoco
Pietre colorate
li
canto del popolo ebraico massacrato
La
viandanza
La
zona
immobile
Venite
venite
B-52
li
quinto passo
è
l'addio
La cipolla
Passaggio in ombra
Lo spazio
e
il tempo nell'
arte
La città
e
le sue storie
The New Regime
La cometa rossa
Vi racconto
la
Costituzione
Scenari dell'
educazione
nell'Europa
moderna
TITOLO
ommarz
SEZIONE
•
RECENSORE
•
AUTORE
•
TITOLO
Giorgio Bini
Marcello Vigli
Anna Maria Marenco
Gruppo di Resistenza Morale
Laicità una sfida per
il
terzo millennio
Argomenti
per
il
dissenso:
Costituzione,
Democrazia,
Antifascismo
SOCIETA
38 Marco Bouchard
AA.VV.
Irene Bernardini
AA.VV.
Rivalutazione
della vittima e giustizia
riparativa
Genitori
ancora
Finché vita non ci separi
La mediazione famigliare per una
rego1azione della conflittualità
Carlo
A.
Corsini
Giov~nna
Da Molin
(a cura di)
nella separazione e nel divorzio
Trovatelli e balie
,
in Italia, secCo XVI-XIX
DENTRO LO SPECCHIO
39
Anna
Carabelli
ECONOMIA
40
Stefano de Laurentiis
John
Maynard Keynes
Settimio Paolo Cavalli,
Giuseppe Fioretti
Trattato sulla probabilità
Come si fa l'editore
41
Maurizio F ranzini
Massimo Egidi, Margherita
Turvani
(a
cura di)
Le ragioni delle organizzazioni
economiche
SCIENZE PSICOANALISI, SALUTE INTERVENTILuciano Genta
42
Antonio Sparzani
Pere Puigdomènech
43
Augusto Vitale
45
Ettore Zerbino
Marco Bobbio
Carlo e Norberto Valentini
(a cura di)
Romano Prodi
Paul
K.
Feyerabend
Friedrich
Cramer
J
ared Diamond
J
acques Lacan
Sandra Verda
Giovanna Tilche Nociti
46
Le mani sull'Università, di Claudio Vicentini
I:agonia dell'italianistica, di Pier Vincenzo Mengaldo
Prodi, la mia Italia
TI
tempo delle scelte
TI
capitalismo ben temperato
Governare l'Italia
Ammazzando il
tempo
Caos e ordine
li
terzo scimpanzé
Seminario VII
li
male addosso
Salto di corsia
LIBER
48
Svendita dell
'
economia nella Germania Est, di Susanna Bohm
e
-Kuby
Sollers ({ tel quel", di Pierre Bourdieu
49
Bai" Ganio o l'inconscio turco del bulgaro, di Ivaylo Ditchev
51
I magiari slovacchi, di Jdnos Széky
52
Ungheria e Italia, di Livia Cases
53
Sulla nascita di alcuni stati, di Marco Buttino
Biblioteca europea
54
AGENDA
SEZIONE
RECENSORE
AUTORE
istruttivo)
in Nigeria.
La
dittatura
di
Abacha) che
Soyinka
considera il
più
spietato di tutti i capi
africanz~
ha
proce-duto a una repressione sanguinosa)
nelt est del
paese)
ai danni di una
mino-ranza etnica) gli
agoni.
Il
loro
coraggioso
portavoce)
lo scrittore Ken
Saro
Wiwa (a
cui rinnovo qui la mia personale
simpa-tia) arrestato) portato davanti a un
tribu-nale militare) mentre scrivo è in
ospeda-le)
sotto stretta
sorveglianza)
malato di
polmonite.
Al momento in cui leggerete
EditorialE
questo editoriale) chissà.
Ora)
non si
trat-ta
di una semplice pur spietata
pulizia
et-nica. Nella zona degli
agoni
esistono i
più ricchi campi
petrolzferi
del paese.
Ta-ce
la
Shen che li controlla) ma tace
tAgip) che pure ha un dito nella torta e
generosamente ospita giornalisti
italianz~
magari di sinistra.
A sua volta) la cultura africana) pur
nel-la sua immensa vitalità) esprime giovani
generazioni disorientate) le quah come
mi diceva uno scrittore assai noto
pregan-TITOLO
domi di non citarlo) sembrano aver
e
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interlocutori soltanto se stesse. In quanto
agli scrittori bianchi
sudafricanz
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repertorio della Gordim
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n-dezza (Coetzee) come bene osserva Jane
Wilkinson) trova peraltro sfogo
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Smettiamola di concettualizzar
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capire.
GIUGNO 1995 N. 6, PAG. 4
Bilancio di un secolo. Hobsbawm contro Furet
ERIeJ.
HOBSBAWM,n
secolo
breve. 1914-1991: l'era dei
grandi cataclismi, Rizzoli, Mila
-no 1995, ed.orig. 1994, trad. dall'inglese di Brunello Lottt; pp. 710,Lit
60.000.TI secolo - e con lui anche il millennio - stanno per fmire e per gli storici sembra sia giunto il momento di fare un bilancio di quella che Eric Hobsbawm chiama "l'era degli estremi". Lo storico britannico, con questo suo libro, completa il grandioso progetto di raccontare due secoli di storia mondiale, partendo dalla duplice rivoluzione costituita da quella francese e dalla rivoluzione indu-striale. TI primo volume, intitolato Le rivoluzioni borghesi (TI Saggia-tore, 1963), ripercorreva l'evolu-zione dell'Europa, e delle altre re-gioni del pianeta, tra il 1789 e il 1848. Erano seguiti Il trionfo della borghesia (Laterza, 1976), che si ri-faceva agli anni 1848-75, e L'età degli imperi (Laterza, 1987) che copriva gli anni dal 1875 al 1914. L'ultimo volume, appena pubbli-cato, è dedicato a quello che Hob-sbawm chiama "il secolo breve", che inizia con lo scoppio della pri-ma guerra mondiale e la rivoluzio-ne bolscevica in Russia, e termina con il crollo dei regimi comunisti nei paesi dell'est, simboleggiato dalla caduta del muro di Berlino.
Si tratta in parte dello stesso pe-riodo considerato nel libro di François Fure't, Il passato di un'il-lusione, pubblicato in Francia all'inizio dell'anno, che intende se-guire il destino dell"'idea comuni-sta nel
XX
secolo". Ma questa pe-riodizzazione storica analoga è l'unico punto in comune tra le due opere. Anche se Furet e Hob-sbawm sono stati entrambi mem-bri di un partito comunista, le loro evoluzioni politiche e intellettuali sono senza dubbio divergenti.Come numerosi vecchi comuni-sti francesi, Furet si è convertito da lungo tempo ai valori del liberismo economico e del conservatorismo politico e insegna oggi all'Univer-sità di Chicago, dove ha una catte-dra finanziata dalla Olin Founda-tion, fondazione di estrema destra che, grazie a generose borse di stu-dio, ha permesso a Francis Fukuyama di scrivere La fine della storia, un'apologia del liberismo economico, oppure a Dinesh D'Souza, consigliere della Casa Bianca sotto l'amministrazione Reagan, di pubblicare Educazione illiberale, un pamphlet di rara vio-lenza contro i movimenti radicali che oggi si oppongono alla crescita della destra e dell' estrema destra
TI libro di François Furet citato da Didier Eribon è stato recente-mente tradotto da Mon -dadori con il titolo Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo (pp. 600, Lit 35.000).
nella società americana. Come si vede, Furet si trova in buona com-pagnia. Per cui non dobbiamo stu-pirci se, dall 'inizio alla fine del suo libro voluminoso, mediocre, scrit-to male e che spesso non è altro, per quanto riguarda i fatti e i dati, che una compilazione di lavori pubblicati nel mondo anglosasso-ne, passa il tempo a ripetere che ogni critica degli assetti politici
vi-di Divi-dier Eribon
sme", e, dal momento che il suo obiettivo sembra quello di diventa-re un nuovo Raymond Aron, biso-gna riconoscere che non è lontano dal raggiungerlo, salvo il dettaglio che gli resta molta strada da per-correre prima di acquisire l'in-fluenza ideologica del suo mattre à penser. Hobsbawm non condivide in nulla questo stile reazionario di scrivere la storia. Non ha
rinuncia-denza una differenza fondamenta-le tra questo volume e i tre prece-denti: il periodo di cui parla in questo caso è anche il periodo in cui ha vissuto (è nato nel 1917). Si tratta, d'altronde, del motivo per cui aveva evitato, finora, di scriver-ne. Voltandosi verso il passato per farne un bilancio, lo storico può ispirarsi all'esperienza personale, ma deve diffidare dei pregiudizi e
Un marxista rig
o
ro
s
o che ama
il
j
azz
di
Bruno Bongiovanni
Nato ad Alessandria d'Egitto nel 1917,va-le a dire nel terzo anno di vita del secolo "rea-le" e non anagrafico, Eric
f.
Hobsbawm, diascendenza famigliare ebraico-polacca,
tra-scorre l'infanzia e la prima adolescenza a
Vienna e a Berlino. Il clima di Weimar non può non lasciare tracce felicemente
incancel-labili sulla cultura naturaliter cosmopolita di
un ragazzo precocemente attento alle pieghe
prese dal corso del mondo. Nel 1932 approda
in Inghilterra, un osservatorio ancora
privile-giato per chi voglia afferrare e capire il
pre-sente e il passato. Nella Cambridge di Key~ nes Hobsbawm completa e perfeziona la for -mazione. Diventa cioè profondamente
ingle-se, anche nell'inconfondibile aspetto fisico,
senza mai tagliare
il
cordone ombelicale che lo lega alle origini paneuropee. È poi la voltadel servizio militare e della guerra. A partire dal 1947 può dedicarsi alla ricerca storiogra-fica e si traJferisce al Birkbeck College di Londra. Marxista rigoroso, incontra qualche difficoltà negli anni cinquanta, ma non è mai prigioniero degli oscurantismi manichei del-la guerra fredda e trova anzt; nello studio cri-tico e arioso dei grandi temi della storia
mo-derna e contemporanea, materiale in
abbon-danza per smentire le certezze dogmatiche e
per fuggire i percorsi preconfezionati.
È
statoricordato che non è sorta nessuna
"Hobs-bawm school". La ricerca, infattt; pur
incar-nandosi spesso in grandi e ambiziose sintesi, sguscia perentoriamente fuori dalle conven-zioni e ripercorre il passato traendo stimoli dai cangianti scenari del presente, il che è ca-ratteristico di tutti gli storici di gran razza che
non si accontentano della polvere degli
archi-vi e che non si affidano ai clamori ideocratici di un qualsivoglia Grande Metodo.
Gli studi sulla Fabian Society, all'inizio della carriera, portano Hobsbawm a medita-re sull'impatto tra rivoluzione industriale e classe operaia britannica, fornendo un profi-lo realistico e non ideologico del presunto
"tradeunionismo" di quest'ultima. Questi la-vori si trovano negli Studi di storia del mo-vimento operaio (Einaud~ 1972). A fianco della norma - le istituzioni
dellH'aristocra-zia operaia" - può poi trovare spazio la de-vtanza. E con essa le forme primitive della ri-volta sociale. Ed ecco allora le affasCinanti raccolte su I ribelli (Einaud~ 1966), su I
banditi (Einaud~ 1971) e anche su I rivolu-, zionari (Einaudt; 1975). Ed ecco gli studi sulla sua grande passione, il jazz, su cui
scri-ve con lo pseudonimo Francis Newton. Nel frattempo prende corpo la grandiosa e forse insuperata trilogia sul "lunghissimo Ottocen-to" (1789-1914), di cui sifa cenno in questa stessa pagina. Allo smisurato XIX secolo fa seguito TI secolo breve. Tutto viene messo in discussione, con serietà e con acribia, senza facili nichilismi sovvertitori. I miti di fonda-zione delle nazioni moderne vengono demi-stificati ne L'invenzione della tradizione (Ei-naudi, 1987), i volti del nazionalismo svelati in Nazioni e nazionalismo (Einaudt; 1991), le pretese del revisionismo storiografico
ridi-mensionate e addomesticate negli Echi della Marsigliese (Rizzolt; 1991).
È
ora la volta del "corto Ventesimo Secolo", suddivisonell' età della catastrofe (1914-45), nell' età dell'oro (1945-75) e nell'età della frana (l'ul-timo quindicennio).
genti, foss' anche in nome di uno sviluppo dei medesimi, porta ine-vitabilmente al totalitarismo.
Conclusione: siamo "condanna-ti a vivere nel mondo in cui vivia-mo". Questa presa di posizione ideologica che Furet ha l'ambizio-ne di far passare per "filosofia po-litica", si accompagna a un rifiuto degli sforzi fatti dalle scienze so-ciali per capire il fascismo, il nazi-smo o i regimi comunisti. Furet in-fatti non perde tempo con analisi che si preoccupano di capire i meccanismi reali dei periodi storici che si suppongono essere l'oggetto dei suoi studi: procede per grandi concetti (fascismo, nazismo e co-munismo si spiegano semplice-mente con "l'odio per la borghe-sia"), ovvero presenta come un punto di vista originale e profondo quello che tutti gli storici hahno già detto prima di lui. D1 fatto, il suo libro appartiene a quel genere che in Francia si chiama
l'''essayi-to né al progressismo né alla critica del liberalismo e del capitalismo. Benché il suo impegno nel partito laburista inglese non sia assente dal libro e, anzi, lo ispiri, Hob-sbawm rimane uno storico dalla prima all'ultima pagina, capace di far emergere le grandi linee dell'evoluzione del secolo e di tracciare, nelle conclusioni, le pro -spettive per il futuro.
delle false prospettive derivanti dall'esperienza stessa. Una cosa è certa: come nei volumi precedenti,
Hobsbawm intende proporre una visione sintetica del
XX
secolo, che è il risultato essenzialmente di uno sguardo retrospettivo che si sforzi di analizzare il p.assato come un tutto coerente.Al
centro del libro è la seconda guerra mondiale. Hobsbawm cer-ca di cer-capire come sono nati il fasci-smo e il nazifasci-smo. Certamente sono stati determinanti i traumi della prima guerra mondiale, sia a causa della frammentazione territoriale dell'Europa, che non poteva non condurre all'instabilità, sia a causa della politica francese inflessibile nel voler far pagare fino in fondo alla Germania i debiti di guerra, per mantenerla in ginocchio, men-tre Keynes sosteneva che la st abi-lità presupponeva il reinserimento della Germania nell'economia mondiale. Un' altra spiegazione Bisogna dire che la sintesistori-ca propostaci da Hobsbawm è as-solutamente magistrale. La ric-chezza dell'informazione, l'im-mensa cultura, l'assoluta padro-nanza dei dati, l'interesse per i det-tagli significativi della politica co-me per le grandi tendenze dell' economia, il costante ricorso alle scienze sociali, permettono all' autore di tracciare un affresco allo stesso tempo vivace e rigoroso di questo "secolo breve" del quale egli sembra non ignorare nulla. È vero che Hobsbawm mette in
evi-dell'affermarsi dci fascismo riguar-da la volontà delle classi medie eu -ropee di opporsi alle ricadute della rivoluzione bolscevica e' ai pericoli indotti ai loro occhi dalla crescita di un movimento operaio organiz-zato. Ma il fascismo non avrebbe trionfato in un paese come la Ger-mania se non ci fosse stata la gran-de crisi gran-del 1929.
Le politiche di non ingerenza economica e del libero mercato si rivelarono catastrofiche e forniro-no ai movimenti fascisti l'occasio-ne per arrivare al potere. Come di-ce Hobsbawm, era la "fine dci
li-beralismo". La cosa che colpisce di più è che all'interno del fronte che si costituÌ durante la guerra e che univa conservatori e comunisti nella lotta contro il nazismo e il fa-scismo, tutti sembravano conside-rare la fine della guerra come l'ini-zio di una nuova era, un'era rifor-matrice, che si sarebbe instaurata grazie a una politica sociale, alla pianificazione, all'intervento dello Stato, cosa che si verificherà larga-mente soprattutto in Francia e in Gran Bretagna. Hobsbawm ci ri-corda che alla fine della guerra i sostenitori dci libero mercato, co-me Friedrich von Hayeck, consi-deravano se stessi dei profeti isola-ti che predicavano nel deserto.
Non è possibile riassumere il li-bro di Hobsbawm, né restituirne tutti i contributi, le analisi origina-li, le nuove prospettive (per esem-pio sulla guerra di Spagna, o sulla fine degli Imperi). Ma è d'obbligo consigliare ai cittadini d'Europa di immergersi nella lettura di questo gran libro, per capire quello che è successo nel nostro secolo. L'am-bizione di Hobsbawm è proprio capire quello che succede attorno a noi, ai nostri giorni, nei paesi dell' est distrutti dalla guerra, o nei paesi musulmani in cui trionfa un integralismo religioso che sarebbe stato considerato vent'anni fa, dai padri o dai padri dei padri degli islamici di oggi, un segno di super-stizione e di oscurantismo, tant'è vero che il loro modello di svilup-po era costituito dalle società occi-dentali e le loro armi ideologiche erano le idee occidentali (naziona-lità, socialismo, ecc.), mentre oggi i loro figli, i loro successori, voglio-no, per prima co~a, rifiutare tutto quello che viene dall'Occidente.
Queste pagine sono un bilancio degli insuccessi politici ed econo-mici del nostro secolo drammatico e infernale, di cui forse la stòria ri-corderà che fu un tempo di pro-gressi spettacolosi nei campi delle scienze e delle tecnologie. Se oggi, mentre tutti sentiamo che un'era sta per finire e un' altra è appena incominciata, è evidente che non sappiamo in quale direzione ci stiamo muovendo; se l'umanità vuole costruire un futuro in cui potersi riconoscere, allora, conclu -de Hobsbawm, "non lo farà pro-lungando il passato nel presente". Voler costruire il terzo millennio su tali basi non può non portare all'insuccesso. Coloro che oggi ri-fiutano l'idea che si possa cambia-re la società devono sapere che ci conducono verso un nuovo disa-stro, e che il prezzo del disastro ri-schia di essere "l'oscurità".
GIUGNO 1995
CHARLES WRIGHT MILLS, L'im-maginazione sociologica,
Il
Saggiatore, Milano
1995,ed.
orig.
1959,trad. dall'inglese
di
Quirino
Maff~pp.
256,
Lit
13.000.
Sulle tracce di Parsons che negli anni trenta si chiedeva: "Chi legge più, oggi, Herbert Spencer?" (e
che, dimenticando se stesso, ri-spondeva: "Nessuno"), cosÌ noi, a cinque anni dalla fine del secolo,
potremmo interrogarci: "Chi legge oggi Charles Wright Milis?". È da temere che anche noi, con meno fretta ma con altrettanta brutalità, dovremmo rispondere:
"Nessu-no" (specie in riferimento ai più
giovani). Ed è un peccato, perché ne offrono ancora tanti di spunti,
le pagine dell' antico radica!,
asser-tore di quel "credo americano del-le origini" che ha influenzato un'intera generazione di
intellet-tuali italiani.
Degno erede della tradizione della sociologia classica, che sin
dalla nascita si è distinta per tenta-re la conciliazione tra ragione e
storia, Milis lancia agli studiosi di
scienze umane la sfida
dell"'imma-ginazione sociologica": riconosce-re nel microcosmo individuale l'impronta indelebile del
macroco-smo sociale, riflettere senza sosta sulla struttura di quest'ultimo,
scandagliare le relazioni che
sotto-stanno all'azione dei suoi mem-bri (sforzandosi di leggere, come proponeva un contemporaneo di Milis, Paul Sweezy, "il presente come storia").
Né è presente soltanto la sfida
etica e scientifica, nelle pagine di Milis, ma anche la verve del grande
polemista, capace di condensare in tre righe un intero paragrafo e in quattro paragrafi un intero libro del torrenziale, criptico e metafisi-co Parsons. Crudelmente efficace
nella critica alla "grande teorizza-zione" parsonsiana, la penna di Milis non lo è altrettanto quando incrocia la penna (owero la
mac-china da scrivere, essendo il com-puter non soltanto anacronistico,
t~E~~~çE
7\,c-ve.c-e.l'\.-tc-IJ
occhio strabico dei sociologi
ma da Milis detestato per la sua acritica fertilità nell'elaborazione dei dati) con l' "empirismo astrat-to".
Convincente quando ha per
og-getto i sociologi che, come Par-sons, "pensano senza osservare", la critica di Milis mostra i propri li-miti quando attacca quegli altri membri della comunità sociologi
-ca che, invece, "osservano senza
di
Fabrizio Battistelli
pensare". La polemica è diretta al-la schiera di studiosi che, come
La-zarsfeld, Berelson e altri sono im-pegnati nel tentativo di portare
nelle scienze sociali quei criteri di
validazione nell' osservazione del fenomeno e di fondazione di una conoscenza intersoggettiva che
hanno dato buona prova di sé nel-le scienze naturali.
Cogliendo aspetti
indubbiamen-Roberto
Piumini
La rosa di Brod
te problematici dell'impresa
socio-logica, Milis denuncia la riduzione
della realtà sociale a metodologia,
l'uso industriale di tecnici
semi-qualificati, la carenza di quella
in-dispensabile dote delle' discipline sociali definibile come auto
riflessi-vità. Dove la polemica di Milis ap-pare irrimediabilmente datata, in-vece, è nel sostanziale rifiuto a
ef-fettuare l'operazione che è
pregiu-«Queste cinque lettere chiuse, numerate, affidate alle tue mani, per
te:
lett
ere da aprire in un tempo lungo, lentamente: in un luogo che
non so e che nemmeno tu, finché l'avrai trovato, conosci».
I coralli, pp. 201, L. 24000
N
ayantara Sahgal
TI giorno dell'ombra
La
mite ribellione di una
donna
che afferma
il
suo semplice diritto
ad esistere. Dietro una storia personale, i grandi cambiamenti della
società indiana contemporanea.
Traduzione Anna Nadotti I coralli, pp. 226, L. 26000
Einaudi
Esploratori e trasgressori
recuperi nostalgici, conduce un la·voro di critica delle semplificazioni ideologiche di successo, fa valere le ragioni di un'azione sociale e storica che si ribella al passare da una gabbia teorica all' altra. Molte tendenze date per scontate vengo-no messe in discussione come l'esaurirsi della cittadinanza fon-data sul lavoro, come la liquidazio-ne dei comportamenti oblativi e degli orientamenti etici.
cambiamento in atto: le ipotesi sul comportamento economico, la cri~ si presunta della cittadinanza at-traverso il lavoro, le confusioni lo-giche nel dibattito intorno alla soli-darietà, lo sfaldarsi delle grandi rappresentanze, il mito delle priva-tizzazioni. TI dilemma più profon-do concerne il pluralismo, per un verso valore e meta cui tende una civilizzazione che intenda dare un ordine accettabile alla complessità, per un altro insidia e principio possibile (torre di Babele) di disso-luzione della cittadinanza. Si tratta a ben vedere del retro terra del confronto politico che si svolge in Europa tra i fautori di una rottura liberatoria di tipo liberista e quan-ti invece, pure coscienquan-ti della fine di un'epoca, credono nella possi-bilità di una società più compatta, governata dall'intesa di grandi at-tori collettivi.
di Bruno Manghi
GIAN
PRIMO CELLA, Non diso-lo mercato,
Edizioni Lavoro,
Roma
1994,pp.
188,Lit 20.000.
Un libro rigorosamente e orgo-gliosamente sociologico; la raccol-ta di saggi di Gian Primo Cella rompe con la tendenza di molti la-vori recenti che giocano le loro fortune più sul fascino del fenome-no studiato che sull' ambizione nell'interpretarlo. Tempi di cam-biamento intensamente vissuto possono infatti esporci al bisogno di semplificazioni teoriche acco-modanti, a un piacevole e dissa-crante tagliaré corto con eccessive complicazioni teoriche. In realtà ciò che si va disperatamente cer-cando non è tanto una teoria piùsemplice quanto un'umanità plU semplice e facilmente intellegibile. Perciò è dawero singolare come Cella riesca a toccare temi superat-tuali (privato contro pubblico, la solidarietà, la corruzione politica, le trasformazioni dell'industria e del lavoro) giocandoli tutti nel dia-logo con grandi pensieri e ipotesi teoriche.
La partita è di quelle emotiva-mente quasi perse. Infatti per alcu-ni decenalcu-ni l'esplosione della moda sociologica convergente con il neomarxismo aveva creato un cli-ma a cui inevitabilmente si va rea-gendo con il trionfo dei paradigmi dell'individualismo e dell'econo-mia nella sua accezione "imperiali-sta". TI libro, senza cadere mai in
Grandi trasgressori come Hir-schman e grandi esploratori come Hirsch vengono opportunamente in soccorso. Ma con questo non si nega l'inquietudine che emerge da grandi mutamenti, in particolare nel capitolo che si occupa delle rappresentanze, della loro inattesa instabilità, della ricerca di sempre più angusti confini segnalata da Pizzorno.
Sono almeno cinque i temi del
libro che centrano le incognite del Pur rifiutando le premesse di
N. 6, PAG. 5
diziale a ogni forma di conoscenza . scientifica (perfettamente intuita
dallo stesso Weber vent'anni
pri-ma del Circolo di Vienna): la circo-scrizione analitica dell'oggetto
del-la ricerca.
Tra i numerosi strali. scagliati contro gli empiristi, ne scegliamo
uno di notevole attualità, la
stron-catura millsiana delle prime inda-gini effettuate negli Stati Uniti
sull'opinione pubblica e sul com-. portamento elettorale (in questo
caso, il bersaglio è The peoples' choice del 1940). In buona sostan-za, la critica di Milis si incentra sull'argomento che è "curioso" studiare l'opinione pubblica
quan-do c'è da sospettare che "la politi-ca elettorale ameripoliti-cana sia.... una politica senza opinione, cioè una votazione senza contenuto politico di qualche importanza psicologi-ca". Che il regime elettorale ameri-cano (e ahimè non ameriameri-cano sol-tanto) possa essere povero di con-tenuti politici e psicologici rappre-senta non solo un leitmotiv del .pensiero di Milis ma, anche, una ragionevole ipotesi. Ma da qui a destituire la rilevanza scientifica e quindi il diritto del ricercatore so-ciale a sottoporre a verifica empiri-ca gli aspetti concreti del fenome-no (chi, come, perché vota) - eb-bene questa è conclusione che sfiora l'intolleranza cognitiva.
Pur nella formulazione di queste riserve, sarebbe ingiusto non con-testualizzare l'epistemologia di Milis; il suo ingenuo sostanziali-smo è, ovviamente, ignaro della ri-voluzionaria concezione di para-digma che sarebbe stata introdot-ta, di lì a pochi anni da Kuhn.
Scandalizzarsi della "inibizione metodologica", in base alla quale "il Metodo Scientifico condiziona rigidamente le specie di problemi che vengono affrontati e i modi in
cui sono formulate" sarà sempre
più difficile, dopo la stringente ri-costruzione kuhniana della "scien-za normale" come puzzle dal
qua-le i probqua-lemi non operazionalizza-bili vengono, semplicemente, la-sciati cadere.
Nello stesso tempo, non si può non guardare con simpatia al gene-roso dispendio di sé operato dal sociologo americano in questa e nelle altre sue opere polemiche (Listen, Yankee!, Le cause della terza guerra mondiale). Specie in un'epoca' come l'attuale, quando
tra
gli intellettuali
la parola d'ordi-ne sembra essere quella,
esatta-mente opposta, del risparmio.
un'ideologia individualista Cella non nasconde affatto la deriva del-.
le identità tradizionali. Ma questa lettura del libro non dà conto della sua caratteristica fondamentale: l'intensa conversazione tra pensa-tori e studiosi che ne fa la trama. Questo lo rende impegnativo e tut-tavia lo propone al lettore paziente che ama la ricerca sociologica e la frequenta con curiosità senza cer-carvi la formula utilizzabile, il pret à porter da esibire il giorno dopo.
GIUGNO 1995
NELSON MANDELA, Lungo
cammino verso la libertà. Au-tobiografia, Feltrinellz; Milano 1995, ed. orig. 1994, trad. dall'inglese di Ester Dornettz; Adriana Bottini e Marco Papi, pp. 601, Lit 45.000.
La traduzione italiana dell'auto-biografia di Nelson Mandela, l'uo-mo-simbolo per eccellenza della resistenza all'apartheid, esce a un anno esatto dalle elezioni che, nell'aprile 1994, hanno portato al primo governo democratico e non razziale della storia sudafricana e
all'insediamento dello ste so Man-dela alla presidenza. I quattro
bre-vi anni intercorsi tra la scarcerazio-ne di un uomo e di un leader poli-tico di cui il regime bianco aveva
cercato di cancellare anche il ricor-do e la memoria e la sua elezione a presidente testimoniano già da soli
l'accelerazione dei tempi della
po-litica sudafricana. Ancor più, il
te-sto autobiogra6co appare mentre
si dipana una delicata e difficile
transizione politica sotto la
dire-zione di un governo di unità nazio-nale guidato dall' African N ational Congress (Anc), da quel movimen-to cioè consideramovimen-to "terrorista"
dal potere bianco e costretto all'il-legalità fino a cinque anni fa. TI Mandela che scrive della propria
vita e si racconta è quindi, prima-riamente e necessaprima-riamente, illea-der politico che in prima persona, come massima autorità istituziona-le del Sudafrica, sta pilotando il passaggio dal vecchio al nuovo; l'incarnazione stessa o, ancora, il simbolo della possibilità di concre-tizzare finalmente l'aspirazione a una libetazione nella convivenza sistematicamente negata da tre se-coli di oppressione razziale.
Certamente, l'autobiografia di Mandela può prestarsi ad altre chiavi di lettura. Essa è anche il racconto dell"'uomo Mandela", della sua crescita, delle sue emo-zioni e dei suoi sentimenti. È, an-cora, il racconto di una formazione politica, dalla prima presa di co-scienza dell'ingiustizia delle rela-zioni tra bianchi e neri nel Tran-skei rurale al contatto con la realtà del lavoro minerario e industriale con la fuga del giovane
"provincia-le" a
J
ohannesburg, dall' attività di avvocato alla scelta della militanza attiva. È anche, in parte, una storia dell' Anc: dalle grandi campagne non violente degli anni cinquantacontro l'instaurazione
dell'apar-[~E~~~çE
Af~ic-~
«Scrivo per la generazione perduta dei ghetti»
di Cristina Ercolessi
theid alla svolta verso strategie di mobilitazione di massa e la
creazio-ne delle prime strutture armate clandestine, a cui Mandela contri-buisce in modo determinante, quando l'irrigidimento della re-pressione nei primi anni sessanta chiude qualsiasi spazio all' attività politica legale.
prigione, con le nuove leve di
mili-tanti uscite da quelle lotte; e, infi-ne, l'esplosione del grande
movi-mento di massa degli anni ottanta) sono forse tra le più interessanti e rivelatrici del pensiero politico di Mandela e del suo modo di conce-pire la politica e di farla.
Buthelezi e i movimenti che fanno
riferimento all'Ane). Da questo
punto di vista, l'autobiografia di Mandela è innanzitutto un testo
politico per il presente, se non
ad-dirittura una "pedagogia politica",
che è facile intuire rivolta soprat-tutto a quella "generazione perdu-ta" dei giovani militanti delle
rivol-te dei ghetti degli anni ottanta ai quali, non casualmente, Mandela È, inoltre, la storia di una lunga
prigionia, della resistenza umana e
Malgrado l'isolamento della con-dizione carceraria,
il
leader dell' Anc percepisce, con straordinarialuci-N
elson l'attaccabrighe
Un libro-metafora. Un insegnamento fin dal titolo l'autobiografia di Mandela: la sto-ria di un ragazzo africano di campagna dal nome xhosa di Rolzhlahla ("attaccabrighe") e quello inglese, impostoglz; di Nelson (l'Am-miraglio) che, in età adulta, piloterà con raro equilibrio e senso politico la navicella dello stato sudafricano. E giusto diffidare delle au-tobiografie dei politia; e quella di Mandela non fa eccezione: anche gli sbagli, le debolez-ze, le contraddizion~ le molte ironie e gli un-derstatement del testo sono dtati per dare forma, e senso compiuto, all'apprendistato politico del ragazzo di campagna chiamato a diventare primo presidente nero di un Suda-frica multirazziale. Eppure il libro ha un suo tono di verità, non agiografico, quello dell' anziano statista che pur parlando di sé non può permettersi il lusso di scordare che
il
nuovo Sudafrica ha ancora molta strada da percorrere.I.:infanzia dell'autore è pertanto descritta come un luogo di formazione, ed è narrata nel tono e nello stile tipico della tradizione orale: i primi anni felid nel Transkez; la no-biltà dei natal~ il padre consigliere di re che si rifiuta di sottostare al magistrato coloniale e viene pertanto rimosso dall' incarico, l'affi-damento al reggente del popolo thembu che lo farà studiare dai missionart; le prime
ribel-politica a un universo carcerario spesso gratuitamente feroce, della lotta per mantenere intatta la pro-pria dignità negata di uomo e citta-dino e insieme la coerenza del mi-litante, isolato da un mondo ester-no che intanto cambia e ribolle. Le pagine in cui Mandela racconta l'infiltrazione del mondo nel car-cere (l'indipendenza delle vicine colonie portoghesi di Mozambico e Angola nel 1975; la rivolta dei giovani di Soweto e delle altre città nere nel 1976; il suo incontro, in
!ioni "profetiche", il lento maturarsi di una coscienza prima tribale, poi di razza, infine di cittadino di uno stato libero e multirazziale. Il percorso politico di Nelson Mandela
è
già prefigurato nei suoi primi anni di vita, a con-tatto con una tradizione locale che l'autobio-grafia non nega o minimizza (il suo servire a corte del reggente thembu, la cerimonia ri-tuale della circondsione collettiva, la fuga a ]ohannesburg per non subire un matrimonio combinato), ma dal superamento della quale deriva il suo "farsi uomo", la sua capacità di rispondere all'ansia di libertà di un'intera ge-nerazione, in qualche modo impersonarla, farla propria, e iniziare così a nome di tutti il"lungo cammino verso la libertà".
Per questo le prime parti dell'autobiogra-fia di Mandela sono particolarmente signzfi-cative nel loro aspetto antidpatorio e profeti-co di un'infanzia ((esemplare". E gli exempla
sono tanti: dal "portamento dritto e solenne" che gli "piace" pensare di aver ereditato dal padre, insieme alla sua ostinazione, il suo di-chiararsi membro della "nazione xhosa", il suo distaccato rapporto deg,!i inizi con quelle "figure strane e distanti" che erano i biancht; su cui l'iniziale risentimento misto ad ammi-razione delle prime pagine si trasforma,
at-si rivolgerà per primi appena usci-to dal carcere invitandoli a "torna-re a scuola".
Le radici dell' apartheid
dità politica, sia le trasformazioni profonde che stanno avvenendo nella società sudafricana sia la cre-scita di nuove forze e strategie di lotta, di modalità innovative dell' azione politica, di nuove leve
di dirigenti, in parte al di fuori
dell'orbita di un Anc costretto all'esilio e alla clandestinità. E, nel-lo stesso tempo, coglie, assieme al-la rinnovata vitalità del movimento
sociale di resistenza, i sintomi della
crisi incombente, con le sue
poten-zialità ma anche con tutti i suoi
ri-schi di deflagrazione. Ed è
esatta-mente qui, sul bordo di un punto di rottura verticale, che Mandela
riprende a intrecciare il filo rosso
del suo ragionamento politico e della sua strategia di azione,
inter-rotto dalla repressione dei primi anni sessanta, e che oggi possiamo
vedere rianno dato nella politica
del presidente Mandela.
La ricostruzione dell'apertura
del dialogo con il governo alla
metà degli anni ottanta, del
"pri-mo passo" che Mandela deciderà di compiere, non fornisce
rivela-zioni o retroscena. TI suo interesse
sta semmai nel legame che Mande-la stabilisce tra la sua decisione di tentare di aprire un canale di dia-logo con il potere bianco e l'esplo-sione del movimento di massa nel-le township nere, l'imposizione dello stato d'emergenza, la pesante
repressione che ne segue: "Ero giunto alla conclusione che fosse
arrivato il momento in cui i
nego-ziati potevano far progredire la
lot-ta, e se non fossero iniziati imme-diatamente entrambe le parti sa-rebbero precipitate nelle tenebre dell' oppressione, della violenza e
della guerra civile ... Noi avevamo
la ragione q.na nostra parte, ma non ancora la forza, e mi rendevo
conto che una nostra vittoria
mili-tare era un sogno lontano, se non impossibile. Semplicemente non
aveva senso che entrambe le parti sacrificassero migliaia, se non mi-lioni di vite umane in un inutile conflitto, e anche il governo do ve-va averlo capito. Era giunto il mo-mento di parlare". È una decisione
Neville Alexander è presidente del Workers' Organ-ization for Socialist Action; dal 1993 il Wosa, insieme all'International Socialist Movement, sta promuovendo la costruzione di un partito di lavoratori. Studioso marxista, dottore in filosofia e in lingua e letteratura te-desca, Alexander è tra i fondatori del National Liber-ation Front. Arrestato e condannato per alto tradimen-to, ciononostante tenta con Steven Biko la formazione di un fronte unico di lotta. Nel suo libro Sud Africa pri-ma e dopo l'Apartheid (Prospettiva, Roma 1995, trad. e note di Simona Cavalca e Paolo Damiani, pp. 114, Lit 15.000) che raccoglie articoli e discorsi, l'autore spiega come le fondamenta dell' apartheid - sfruttamento e op-pressione capitalistica - siano tutt'altro che intaccate.
TI racconto del passato diventa un'indicazione politica per il pre-sente; le necessità del governo
dell' o'ggi informano la lettura delle
scelte politiche di ieri, quelle degli anni ottanta, della crisi sudafricana
delle rivolte, dello stato
d'emer-genza, della repressione più bruta-le, dello scivolamento verso la
guerra civile (tra bianchi e neri, ma
anche tra neri e neri, con lo
scon-tro violento tra il partito zulu di
N. 6, PAG. 6
personale, condotta in isolamento, nell'impossibilità di comunicare con la dirigenza dell' Anc in esilio a Lusaka. È un tentativo di cui Man-dela si assume anche tutti i rischi politici, che proprio perché perso-nale può essere sconfessato dai
vertici del suo movimento, ma che
è mosso da un'urgenza fondata su un'analisi politica che, sia pure in filigrana, appare difforme da quel-la espressa ufficialmente negli
stes-si anni dall' Anc e da ampi settori
del movimento interno di
resisten-za. Mandela coglie
immediatamen-te, nell'ingovernabilità crescente della società sudafricana e nella ri-sposta puramente repressiva del
regime bianco, i rischi di una
deri-va verso uno scontro frontale che
avrebbe tolto qualsiasi spazio alla
politica e, di conseguenza, alla
possibilità stessa di una
trasforma-zione in senso democratico del Su-dafrica. TI suo "primo passo" verso
il "nemico" è quindi, nel suo
signi-ficato profondo, un tentativo di ri-dare voce e respiro alla politica.
Senza cedere nulla nel merito delle rivendicazioni del movimen-to anti-apartheid, sottolineando
sempre la sua appartenenza e la
sua fedeltà all' Anc da semplice mi-litante incarcerato, Mandela pro-pone un percorso politico di co-struzione - assieme alla contro-parte - di un nuovo Sudafrica. È
sintomatico, in proposito, che fin
dalle sue prime mosse Mandela in-sista sul punto cruciale della "nor-malizzazione" della politica
suda-fricana, della necessità che si esca dalla fase dell'emergenza, che il governo riconosca la legittimità dei suoi oppositori in quanto inter-locutori politici a pieno titolo, che si producano, insomma, i presup-posti per la creazione di una nor-male dialettica politica come pre-condizione dell'apertura di un ne-goziato e di un'eventuale rinuncia da parte dell'Anc all'utilizzo di metodi violenti di lotta. Come è si-gnificativo, d'altra parte, che sarà proprio questo il percorso che l'al -lora presidente sudafricano de KIerk finirà per accettare con il fa-moso discorso del 2 febbraio 1990, che porterà non solo alla liberazio-ne di Mandela e di altri prigionieri politici, ma anche alla rilegalizza-zione dei movimenti di opposizio-ne e all' apertura di un vero e pro-prio negoziato. .
Se oggi il Sudafrica del
post-apartheid sta conducendo con re-lativo successo una transizione pa-cifica e regolata a un sistema de-mocratico, in controtendenza con il proliferare di sanguinose guerre civili in altre parti dell' Af~ica e
smentendo le più pessimistiche
previsioni di pochi anni fa, è anche
grazie a quel "primo passo" di Nelson Mandela nel 1985, a quella sua ostinata volontà di privilegiare la "politica" come metodo di
solu-zione dei problemi e dei conflitti, come l'unica"traiettoria percorribi-le per spezzare le rigidità di un'op-pressione razziale secolare, come il
solo terreno della costruzione,
infi-ne, di una nazione sudafricana.In-somma, il Mandela del 1985, che
retrospettivamente possiamo oggi
ricostruire attraversò la sua stessa
testimonianza diretta, è già lo
l:~E~~~çE
GIUGNO 1995
A/~"c;,a-TI nuovo volto del razzismo
rienze politiche e sociali di un con-tinente spesso rappresentato neimedia come sostanzialmente omo-logato. Non si può appiattire tutta l'Africa - scrive Calchi Novati-nelle sue aree, pure ttagiche, di sofferenza e di morte; non dobbia-mo abbandonare gli strumenti del-la ragione e dell' analisi politica se vogliamo capire le complesse realtà della "post-colonia", in Mri-ca o altrove; occorre tornare ai Mri- ca-noni della partecipazione e della corresponsabilità, e non solo della tolleranza e della solidarietà, se si vogliono plasmare e sostenere i co-muni destini dell'umanità.
n
volume di Calchi Novati è un assessment sobrio sui mali e le "ca -dute" dell'Mrica odierna, ma an-che sui pregiudizi, le indifferenze e gli accecamenti della ragione occi-dentale quando si confronta con i modelli culturali e le strategie di sopravvivenza dell'Mrica degli an-ni novanta. Giustamente l'autore ci ricorda che è proprio in questi anni che l'Africa "riacquista tutta la sua 'contemporaneità"', e che valgono per essa, come per chiun-que altro, "concetti e leggi univer-sali quali lo stato, il mercato e l'ac-cumulazione". La "modernità" vi-ziata dell' assetto coloniale non puòdi Alessandro Triulzi
GIAMPAOLO CALCHI NOVATI, Dalla parte dei
leoni,
Il
Saggia-tore, Milano
1995,pp.
175,Lit
18.000.Da anni Giampaolo Calchi No-vati è schierato, per dirla con le sue stesse parole, "dalla parte dei leo-ni", cioè dell' Mrica e degli africa-ni, un continente che stenta a tro-vare ai nostri giorni nel pubblico occidentale, motivi di interesse o coagulo, per non dire entusiasmo, se non nelle impennate umanitarie e mediatiche a soccorso di popola-zioni improvvisamente minacciate da flagello o sterminio ("perché l' Mrica guadagni le prime pagine.a New York o a Zurigo c'è bisogno che muoia un popolo intero"). Contro questa tendenza Calchi Novati, il giornalista, ha unito il suo sapere specialistico di africani-sta, e di docente universitario, per scrivere un libro di meno di due-cento pagine su alcune delle tema-tiche più pressanti dell' africanisti-ca contemporanea: l'etnocentri-smo culturale con cui l'Occidente continua a guardare e a giudicare questo continente, il fallimento dello stato-nazione erede del pe-riodo coloniale, la nuova ricerca di spazi democratici e di assetti poli-tici meno fragili, la riappropriazio-ne da parte degli africani della loro storia, sospesa tra un passato non più condiviso e un futuro ancora da identificare. Su questi temi l'au-tore esprime "un'esigenza di chia-rezza che non è esclusivamente o prioritariamente mia, ma che mi coinvolge come commentatore e testimone giorno per giorno e an-no. per anno delle speranze e delle cadute dell' Mrica".
In un paese dove gli scritti sull' Mrica scarseggiano, e dove una schi~ra limitata di cultori si ri-fugia spesso negli specialismi di settore, il volume di Calchi Novati presenta il vantaggio di una
divul-Letture colorate
"L'Italia degli anni '90 è già una società multietnica, se si conside-rano le oltre 170 comunità stranie-re che risiedono' nel paese. Ma si avvia non senza difficoltà a diven-tare una vera e propria società multi culturale - capace cioè di far convivere, con reciproco arric-chimento, culture e valori diversi". Da questa considerazione è nato il trimestrale "Caffè" diretto da Massimo Ghirelli, che è l'unica ri-vista tra quante si occupano di questioni multiculturali a dedicarsigazione di temi normalmente limi-tati agli studiosi di area, e di aprir-li a un'analisi, sia pure contenuta nelle linee essenziali, per un pub-blico di non specialisti a cui indi-rizza segnalazionibibliografiche e ulteriori spunti nelle note. Dalla parte dei leoni è un volume di sin-tesi che cerca di dare una rappre-sentazione articolata della com-plessità e della diversità delle
espe-traverso l'iniziazione politica,
nell'individua-zione del nemico da combattere, ma non da
odiare, anzi da ricondurre al rispetto di quei
valori morali e civili a
lui
derivati
dall'inse-gnamento missionario.
Gli anni a contatto con la società
tradizio-nale, le sue leggz; i suoi valorI; i continui
con-trasti con
il
mondo dei bianchz; contengono
così i primi "insegnamenti" che Mandela, a
mo' di apologo, trae al termine di ogni
even-to narraeven-to. Cosz: dalle lunghe riunioni tribali
del suo gruppo d'origine, dove ognuno era
li-bero di parlare, Mandela capisce che
"demo-crazia significava che tutti i presenti
dovesse-ro essere uditi, e che una decisione dovesse
essere presa complessivamente come popolo
.
La regola della maggioranza era un concetto
sconosciuto: la minoranza non doveva in
ogni caso essere schiacciata)); o ancora, dopo
la sua prima protesta in qualità di matricola
contro gli studenti anziani dell' elitario
colle-gio di Fort Hare, Mandela avverte "il senso
di potere che deriva dall'avere la ragione e la
giustizia dalla propria parte)).
È
in questi anni di apprendistato che
Man-dela "si fa uomo))
:
le prime cento pagine
dell'autobiografia sono
il
racconto di un
'
inz'-ziazione, non solo quella rituale del taglio del
prepuzio, ma quella assai più cruenta e carica
di conseguenze che
èstata l'iniziazione
poli-tica e
la
trasformazione dell'originario
"at-taccabrighe)) in soggetto politico maturo.
È
in
questi anni che il giovane Mandela impara (e
metaforicamente insegna attraverso l'auto-
·
biografia) a combattere: "Imparai a lottare
col bastone -
conoscenza basilare per
qual-siasi bambino di campagna africano -
e
di'-venni esperto nelle mosse: para1!0 i colpi
dell' avversario, accennavo una finta in una
direzione per poi colpir
e
n
e
ll'altra
,
mi
disim-pegnavo dall'avversario con un abile lavoro
di piedi)). Quando più tardi
,
da studente
la-voratore, fa i suoi primi incontri politici
nel-la Johannesburg dei primi anni quaranta,
sarà tornando col pensiero ai primi
insegna-menti e agli anni di formazione che Mandela
inizierà la sua lunga carriera politica
.
Come scrive del suo nome africano,
Rolzh-lahla
,
datogli dal padre alla nascita
:
"Non
credo che il nome rappresenti il destino di
una persona
,
né che mio padre abbia in qual
-ch
e
modo divinato il mio futuro
,
ma n
e
gli
anni a venire amici e parenti ebbero spesso
ad ascrivere al mio nome i non pochi
scompi-gli che ho causato o ai quali sono riuscito a
scampare)) .
.
Per sua e nostra fortuna,
Rolzh-lahla l'attaccabrighe ha saputo lottare col
ba-stone giusto, quello della politica e della
dis-suasione dalla violenza. Lo "scompiglio
))
che
ha creato, la liberazione non viol
e
nta del
po-polo sudafricano,
èla più benefica
rivoluzio-ne dell'Africa di firivoluzio-ne secolo e il messaggio di
speranza più significativo per
il
suo futuro.
(a. t.)
esclusivamente all' ambito lettera-rio, pubblicando scritti di stranieri giunti nel nostro paese dall'Est e dal Sud del mondo. La sua scom-messa è quella di contribuire all' ar-ricchimento della letteratura italia-na, perché "la letteratura italiana contemporanea è anche opera di poeti camerunesi, di viados brasi-liani, di intellettuali tunisini, di ambulanti pakistani che si impa-droniscono della nostra lingua, la cambiano, la sprovincializzano".
Un importante contributo alla multicultura o intercultura, come oggi si preferisce dire, è dato dall' analisi della cultura in senso
lato, e dalla riflessione sociale e po-litica. In quest'ambito, l'associa-zione Pangea pubblica di un anno
"n cielo, giornale interculturale
bi-lingue", per metà in italiano e per metà in arabo, che dedica ampio spazio alle culture di provenienza degli immigrati. Sul versante dell' analisi politica, relativamente al Terzo Mondo, all'Est europeo e ai problemi delle minoranze, si possono leggere la rivista trimestra-le "Ares" (pubblicata"dalla fine del 1993 dal Centro di ricerche etnico-politiche internazionali) e il quadri-mestrale "Pogrom" (più incentrato' sui diritti umani); entrambe le rivi-ste sono corredate di un apparato di recensioni.il
BOCH
DIZIONARIO FRANCESE ITALIANO ITALIANO FRANCESE diRaoul
Bach 2176 pagine oltre 148000 voci oltre 218 000 accezioni 3 452 nomi propri di persona 2792 nomi propri di luogol 610 nomi propri di popolazione 688 proverbi
1 060 sigle e abbreviazioni francesi
Indirizzi e telefoni
In una prospettiva interculturale lavorano da tempo le associazioni di donne: fra le diverse testate, ci-tiamo il trimestrale "Lapis, percor-si della riflessione femminile", la nuova serie di "Tuttestorie: rac-conti, letture, trame di donne", e in modo particolare "Mediterra-nean Review, un mare di donne" (semestrale bilingue italiano-ingle-se), che, in una veste grafica accat-tivante, propone un "femminismo nomade sulla rotta di altri femmi-nismi, sull'onda dell'esigenza di coniugare l'io e il noI".
32 tavole di nomenclatura illustrata a colori "Caffè", Sensibili alle Foglie, via Dal Pozzo 5/ A, 00146
Roma, teI. 06/5577052; "Linea d'ombra", via Giaffurio 4,20124 Milano; "li cielo", c/o Cospe, via della Colonna 25,50121 Firenze; "Ares", Ce.r.e.p.i, via S. Angelo in Pe-scheria 35/ A, 00186 Roma, tel. 06/68806800; "Pogrom", Ass. popoli minacciati, C.p. 6282, 50127 Firenze, teI. 055/488600; "Lapis", La Tartaruga, via Turati 38, 20121 Milano; "Tuttestorie", La Luna, via Di Giovanni 14, 90144 Palermo; "Mediterranean Review", viale Marconi 32,87030 Rende (CS), tel. 0984/462054.
Elisabetta Bartuli e Giuliana T urroni
lire 99500
N. 6, PAG. 7
coprire eccezioni o derive istitu -zionali fin qui troppo tollerate, né la tradizione può essere usata per ostacolare processi di crescita di società politiche che devono trova-re una loro composizione nell'am -bito dei principi universali della partecipazione e della democrazia. Abdicare a questi principi, scrive l'autore echeggiando Chaba1, equivarrebbe ad aggiungere alla crisi odierna del continente la crisi della sua comprensione.
Espulsa dall'economia mondia-le, e dalla razionalità occidentale, il rischio maggiore che corre l' Mrica oggi è quello di chiudersi in se stessa ripetendo un'involuzione che, a metà Ottocento, favorì e in qualche modo preparò la conquista coloniale. Oggi questa stessa involuzione sembra prepa-rare nuovi scenari di ingerenza "umanitaria" e la cronicizzazione di un collegamento aiuti-guerra che alimenta nuove tensioni e riva-lità. La conflittualità politica ed economica all'interno dell' Africa cresce sotto forma di animosità re-gionali, guerre di religione, e scop-pi di etnicità che danno luogo a sanguinose sommosse e repressio-ni, e a conseguenti strategie di so -pravvivenza per reperire o accu -mulare sempre più scarse risorse e potere.
L'Italia si è mostrata fin qui di-stratta o estranea rispetto a questi processi - oscillando tra un pro-tagonismo velleitario e un sostan -ziale disinteresse mascherato di neutralità, quasi a far scordare all' opinione pubblica i recenti scandali sulla cooperazione o le delusioni dell' operazione Soma-lia. Questo atteggiamento di estraneità e di indifferenza è, agli occhi dell'autore, "il vero volto del razzismo oggi" in Italia, più grave dei singoli episodi di intol -leranza che pur si moltiplicano nelle nostre città, e assai più col -pevole perché tocca la società ci -vile "nei suoi livelli più colti e isti-tuzionalizzati" e ne riflette l'inca -pacità, o la non volontà, a colma-re i gravi vuoti e ritardi del suo colma- re-cente passato.