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Capitolo III Allegoria della Castità

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Academic year: 2021

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3.1 - L’Allegoria della Castità

Lo storico dell’arte britannico Martin Conway1 nel 1914 affermava: «c’era Venezia nel cuore dell’opera, e più precisamente Giorgione». Con questa frase egli si riferiva ad una tavola trovata per caso nel laboratorio di un mercante d’arte milanese dove, come ci informa Binotto2, si era recato per far restaurare un dipinto di Foppa. L’opera (fig.1), che all’epoca era attribuita a Rottenhammer e risultava provenire dalla collezione Castelbarco, suscitò immediatamente l’ammirazione di Morelli e Frizzoni che ebbero l’opportunità di osservarla da vicino nel laboratorio di restauro del Cavenaghi, dove Conway l’aveva portata subito dopo l’acquisto.

I due ebbero sin dall’inizio la certezza che si trattasse di un dipinto di Lorenzo Lotto, anche se nel catalogo di vendita della suddetta collezione non risultava alcuna tavola delle stesse dimensioni (42,9 x 33,7 cm). L’ipotesi a cui faceva riferimento Anderson3 per cui l’Allegoria andrebbe identificata nel “quadro in tavola di Giorgione, con una dona seduta che guarda il cielo tiene un drapo nelle mani qual sono Danae in Piogia d’oro” - citato in una vendita dei Medici avvenuta a Firenze nel 1681 - non pare credibile e infatti sarebbe stata negata da Ferino-Pagden4. Nel 1891 Morelli5 pubblicava per la prima volta il dipinto in esame riconoscendone ufficialmente la paternità lottesca, con il sostegno di tutta la critica. Se, da una parte, l’attribuzione all’artista fu accolta all’unanimità, al contrario la datazione presentò maggiori difficoltà portando a diverse proposte cronologiche: ad esempio Berenson6 (e sulla sua scia Ffoulkes, Fiocco, Biagi, Longhi e Clark) fece risalire l’esecuzione della tavola al biennio 1498-1500, mentre Crowe e Cavalcaselle7 (seguiti da Gronau, Frizzoni, Mather, Suida, Pochat e Spiazzi) al 1500 circa. Datazioni così precoci erano giustificate dall’affinità che la critica coglieva fra l’Allegoria di Washington e

1

M. Conway, The Sport of Collecting, New York, 1914.

2

M. Binotto, in Lorenzo Lotto, a cura di G. C. F. Villa (catalogo della mostra), 2011. La studiosa piuttosto che di mercante d’arte parla di “rigattiere”.

3

J. Anderson, Giorgione. Peintre de la brevité poétique, Parigi, 1996.

4

S. Ferino-Pagden, in Bellini, Giorgione, Titian and the Renaissance of Venetian painting, a cura di D. A. Brown, S. Ferino-Pagden, J. Anderson (catalogo della mostra), 2006, p. 207.

5

G. Morelli, Kunstkritische Studien űber italienische Malerei, Lipsia, 1891.

6

B. Berenson, Lorenzo Lotto. An Essay in Constructive Art Criticism, New York-Londra, 1895, II ed. riv. Londra, 1901, trad. it. di L. Vertova, Milano, 1955.

7

J. A. Crowe, G. B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy, 3 voll., Londra, 1871, ed. a cura di Borenius, Londra, 1912.

(2)

Fig.1 Allegoria della Castità, o Sogno di fanciulla, circa 1505, olio su tavola, 42,9 x 33,7, Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1939

(3)

il San Girolamo (fig.2) del Louvre, che all’epoca appunto si credeva fosse datato al 1500. Nel 1950 Wilde8 avanzò, però, l’ipotesi che nella data apposta da Lotto sul dipinto l’ultimo “0” dovesse essere piuttosto letto come un “6”: la posticipazione dell’esecuzione di questa tavola a qualche anno più tardi faceva automaticamente slittare anche quella relativa all’Allegoria. Cominciarono ad essere così proposte datazioni al 1502-1505, come nel caso di Cortesi Bosco9 e Ferino Pagden10 e al 1505-1506 - in contiguità all’Allegoria De’ Rossi – per quanto riguarda la maggiorparte dei critici (Coletti, Pallucchini, Mariani Canova, Galis Wronski, Gandolfo, Pignatti Ballarin, Wood, Matthew, Humfrey, Brown).

Fra questi Brown11 era convinto che il soggetto rappresentato da Lotto mostrasse evidenti legami stilistici con opere dello stesso periodo: «All'inizio gli studiosi datarono il dipinto ai primissimi anni della carriera dell'artista, intorno al 1500, ma poi, quando ricomparve l'altra "Allegoria", ci si orientò verso una datazione al 1505-1506. L’ “Allegoria” in esame sembrerebbe infatti esattamente contemporanea alle “Nozze mistiche di Santa Caterina” di Monaco e alla “Pala di Asolo” del 1506».

8

J. Wilde, The date of Lotto’s “Saint Jerome” in the Louvre, in “The Burlington Magazine”, XCII, 573, dicembre, 1950, pp. 350-351.

9

Cortesi Bosco, in “Notizie da Palazzo Albani”, XXI, 1, 1992, p. 27. La studiosa affermava: […]

Veniamo dunque all’esame dell’Allegoria dipinta da Lotto intorno al 1503-1504, all’età di ventitré anni o poco più, durante il soggiorno trevigiano, quando già godeva della protezione del vescovo di Treviso Bernardo de’ Rossi […].

10

Ferino-Pagden, op. cit., p. 206. La critica credeva che Lotto si fosse formato nella bottega di Giovanni Bellini e che, data l’affinità di questa Allegoria allo stile del maestro, l’opera dovesse essere ritenuta precedente all’altro coperto allegorico di Washington e di conseguenza anteriore anche alla Tempesta di Giorgione. In quest’ottica il primo paesaggio “autonomo” della pittura sarebbe l’opera lottesca e non quella del collega.

11

D. A. Brown, in Lorenzo Lotto. Il genio inquieto del Rinascimento, a cura di D. A. Brown, P. Humfrey, M. Lucco (catalogo della mostra), New Haven, 1997, ed. it. Milano, 1998, pp. 85-87.

(4)

Fig.2 San Girolamo nella selva, 1506, olio su tavola, 48 x 40 cm, Parigi, Musée du Louvre, Dépertement des peintures

Voce fuori dal coro, infine, era quella di Béguin12 che non condivideva affatto l’ipotesi formulata da Wilde. Anticipando l’esecuzione del San Girolamo al 1500, la studiosa ricostruiva il catalogo del Lotto e faceva seguire all’opera suddetta la Sacra Conversazione (1503), l’Allegoria in esame e quella realizzata per il Ritratto De’ Rossi (1505); come lei anche Volpe13, Cortesi Bosco14 e Ballarin15 consideravano Lotto un “primus inter pares” nella rivoluzione della pittura di paesaggio. Stabilire con esattezza il periodo in cui l’Allegoria fu realizzata è tuttora una questione della massima importanza in quanto permetterebbe di far luce sui rapporti intessuti da Lorenzo con la cultura figurativa veneziana di inizio secolo - in particolare quelli intrattenuti con Giorgione - e sul ruolo giocato dell’artista nell’ambito dei cambiamenti in atto in quegli anni nella pittura di paesaggio. Binotto, che ricorda

12

S. Béguin, Lotto et Venise, in Le Siècle de Titien l’ȃge d’or de la peinture à Venise, a cura di Laclotte, Nepi Sciré (catalogo della mostra), Parigi, 1993, pp. 275, 454.

13

C. Volpe, in Lorenzo Lotto, a cura di Zampetti, Sgarbi (atti del convegno internazionale di studi per il V centenario della nascita, Asolo, 1980), Treviso, 1981, pp. 127-145.

14

F. Cortesi Bosco, op. cit, pp. 42-43.

15

A. Ballarin, Giorgione peintures, in Le Siècle de Titien l’ȃge d’or de la peinture à Venise, op. cit., pp. 295-345.

(5)

come la critica16 fosse unanime nel rintracciare nell’allegoria la dipendenza del giovane Lotto dalla “costellazione” belliniana17, considerando “la contiguità stilistica e tematica” delle due allegorie lottesche è dell’opinione che la data iscritta sul retro del Ritratto De’ Rossi 18 (1505) debba essere considerata valida per entrambe.

3.2 - Letture iconografiche: un’allegoria “morale”

Innanzitutto, deve essere rilevato che la composizione non è più strutturata secondo le modalità del “paysage moralisé”: manca – lo ribadiva anche Brown19 - la suddivisione simbolica verticale che nell’Allegoria della Virtù e del Vizio concretizzava la contrapposizione tra i due concetti. Di certo, ciò non significa che l’opera in esame non avesse un carattere moralistico e infatti lo stesso studioso la definiva “Allegoria moralizzatrice della Castità o dell’Amore Casto” che, “combinando l’ubriachezza con la lascivia”, era in grado di riproporre il tema già affrontato dall’artista nell’altro coperto allegorico. Inizialmente, il soggetto della tavola di Washington fu interpretato come Danae20, la ninfa che secondo il mito sarebbe stata ingravidata da Zeus, trasformatosi in pioggia d’oro.

L’ipotesi venne in seguito confutata sulla base di alcune discordanze della raffigurazione rispetto al mito: Shapley21, ad esempio, fu la prima a far notare l’incongruenza relativa alla presenza dei due satiri, assenti dalla storia della ninfa che tra l’altro non era ambientata all’aperto: «Né i satiri né il paesaggio hanno un posto nella storia di Danae, che fu imprigionata in una camera sotterranea quando Giove venne da lei in una pioggia d’oro».

16

B. Berenson, 1895, ed. 1901; G. Fiocco, 1914; A. Ballarin, 1962; P. Zampetti, 1983, B. Berenson 1955.

17

In particolare, la critica aveva messo in evidenza il lirismo con cui il soggetto era stato presentato al fruitore, un lirismo molto vicino a quello tipico dei dipinti a soggetto mitologico di Cima da Conegliano.

18

Vedi paragrafo 3.1

19

D. A. Brown, op. cit.

20

Fra i primi a proporre l’identificazione troviamo Morelli (Italian Painters. Critical Studies of their

Works, II, The galleries of Munchen and Dresda, trad. ingl. di Ffoulkes, Londra, 1893) e Berenson

(op. cit.).

21

(6)

Un’altra incongruenza consisteva, poi, nel fatto che Lotto aveva sostituito la pioggia d’oro con una pioggia di fiorellini bianchi. Il motivo del putto che sparge fiori, presente anche nella Madonna del Rosario di Cingoli (fig.3), è stato considerato dalla critica una sua invenzione. Nel catalogo della mostra (Exhibition of Venetian Art, Londra, The New gallery, Regent St., 1894-1895) tenutasi a Londra sul finire dell’Ottocento la tavola veniva definita Amor sacro e Amor profano: tale lettura sarebbe stata condivisa un secolo dopo da Brown22, contrario invece all’ipotesi che si trattasse di un soggetto mitologico: «Respinte, e con ragione, sono state anche le interpretazioni mitologiche secondo cui il dipinto raffigurerebbe “Danae e la pioggia d’oro” o “Plutone e la ninfa Rhodos”» […] «dato che in grembo alla fanciulla cadono fiori e non oro».

Lo stesso studioso avrebbe confutato, invece, l’identificazione della tavola con un Sogno di fanciulla23, proposta da Cook24 e destinata comunque a perdurare nel tempo, fino agli anni ’90 del XX secolo. A rappresentare un’ eccezione fu, quindi, la proposta avanzata da Shapley25 sulla scorta di Berenson26; entrambi vedevano nel dipinto la trasposizione di un altro soggetto mitologico: quello della Ninfa Rodi e Plutone27: La studiosa offriva una curiosa spiegazione del dettaglio della pioggia di fiori, ipotizzando che questi alludessero alla parola “fiorino”, la moneta d’oro usata a Firenze all’epoca di Lotto: «La rappresentazione di Lotto dell’oro come piccoli fiori

22

D. A. Brown, op., cit. Lo studioso scriveva: «Il titolo con cui il dipinto fu esposto per la prima volta

un secolo fa, “Amor sacro e Amor profano”, sembrerebbe piuttosto azzeccato».

23

A tale proposito R. Shapley (op. cit.) non era affatto d’accordo poichè notava che la giovane ritratta da Lotto aveva gli occhi aperti e non chiusi: «non solo la vaghezza del soggetto non si adatta allo

spirito del Rinascimento italiano» […] «ma la giovane donna è sveglia».

24

H. Cook, Notizie di Londra. L’esposizione del Burlington Fine Arts Club, in “L’Arte”, IX, 2, 1906, pp. 143-146.

25

R. Shapley, op. cit.: «Che il soggetto sia “Plutone e la ninfa Rodi” sembra essere la conclusione

più soddisfacente. La piacevole ambientazione è, quindi, l’isola di Rodi, che spuntò dal mare» […] «l’isola amata da Atena» […] «dove il dio sole era sposato con la ninfa locale, Rodi, figlia di Afrodite» […] «alla quale Plutone è associato, alato e discendente dalle nuvole» […] «a cui Zeus inviò una pioggia d’oro»; Id., Catalogue of the Italian Paintings, 2 voll., Washington, 1979.

26

B. Berenson, Pitture italiane nel Rinascimento, Milano, 1936; Id., in “Art News”, 1953; Id., Italian

Pictures of the Renaissance, Londra, 1957.

27

G. Mariani Canova (in L’opera completa del Lotto, Milano, 1975, p. 88) sembrava condividere l’idea di B. Berenson e R. Shapley e, rimandando a quest’ultima, spiegava: «L’isola era collegata al

culto di Plutone (alato e discendente dalle nubi) e ad essa Zeus aveva inviato una pioggia aurea, nel quadro trasformata in una pioggia di fiori con possibile allusione al “fiorino” aureo di Firenze. La presenza dei satiri» […] «si spiegherebbe con uno dei ruoli di Rodi che, come nutrice di Dioniso, era avvicinata a Semele».

(7)

bianche rifletterebbe le descrizioni classiche dell’evento non come una pioggia bensì come una nevicata d’oro. Inoltre, ci potrebbe essere un sottile richiamo all’antica moneta d’oro fiorentina “fiorino”(piccolo fiore)». E giustificava la presenza della satiressa – che nel quadro è nascosta dietro ad un gruppo di alberi – ricordando che nel mito Dioniso era affidato alle cure della ninfa Rodi che, in virtù di questo ruolo, veniva così associata a Semele. Un’altra interessante proposta relativa alla natura del soggetto venne avanzata nel 1941(National Gallery of Art. Preliminary Catalogue of Paintings and Sculpture).

L’Allegoria, esempio di “prestito interartistico” fra pittura e poesia avrebbe consistito nella trasposizione visiva di alcuni versi della canzone più famosa di Petrarca, Chiare, fresche e dolci acque28. Nella tavola Lotto avrebbe dipinto Laura mentre, addossata al tronco di un albero di alloro e sullo sfondo di un cielo aurorale, viene “colpita” da una cascata di petali bianchi. Questa lettura - secondo la quale il putto, mostrando la sua nudità, avrebbe determinato il carattere erotico della scena - sarebbe andata contro a quelle interpretazioni che volevano vedere nell’allegoria un esaltazione della castità. Ad ogni modo, se i due satiri non figurano affatto nel sonetto petrarchesco essi sarebbero stati introdotti da Lotto nella scena sulla base di una xilografia dell’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna29, raffigurante una “ninfa alla fonte” (fig.4).

Nella fanciulla della tavola, dunque, si fonderebbero ben due figure: la Laura di Petrarca e la ninfa del Sogno di Polifilo, protagoniste die due opere - il Canzoniere e l’Hypnerotomachia - che avevano entrambe riscosso grande fortuna negli ambienti culturali veneti agli inizi del Cinquecento. Nel 1985 Gentili30 avanzava l’ipotesi che Lotto avesse dato vita ad un’ Allegoria della Quies in cui alla giovane appoggiata all’alloro, simbolo di castità, facevano da contraltare i due satiri, appartenenti al mondo della voluptas; il putto alato che la cosparge di fiorellini bianchi andava interpretato come “amor virtutis”.

28

F. Petrarca, Canzoniere, CXXVI

29

F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Padova, 1980.

30

(8)

Fig.3 particolare della Madonna del Rosario, Cingoli

(9)

La proposta del critico, che considerava la quiete quell’atteggiamento di “riposo in cui ci si conserva desti mantenendo vigili le facoltà intellettuali e le disposizioni morali acquisite”, trovava d’accordo anche Arasse31 che l’avrebbe ripresa soffermandosi in particolare sul tema della sublimazione dell’amore fisico: «Le analisi di F. Gandolfo e di A. Gentili dimostrano in maniera convincente che si tratta di un’Allegoria del Riposo, della “Quies” concepita come un superamento della Voluptas, concepita essa medesima come bestialità e vanità. L’identificazione, nella struttura della tavola, di una “sublimazione spirituale” dell’amore fisico e del mondo naturale non può più essere messa in dubbio,anche se, come nota A. Gentili, la giovane di Lotto è un “raro esempio di moderazione e di saggezza” nel contesto tematico del momento».

Prima di Gentili era stato Gandolfo32 a parlare di “allegoria della quiete”: egli aveva visto nell’allegoria di Washington la riproposizione in termini moralistici del contrasto virtus / voluptas a cui Lotto aveva già dato espressione nell’altro coperto allegorico, anche se qui realizzato con la suddivisione orizzontale anziché verticale della composizione: «La tematica del dipinto si enuclea dunque intorno ad un contrasto tra virtus intesa come veritas, come scienza ed armonia, e voluptas interpretata quale vanitas, emblematiche entrambe di una condizione esistenziale assoluta che rifiuta l’una e accetta l’altra, negando ogni possibilità di sublimazione della voluptas, in termini identici alla contrapposizione dei due temi riscontrabile nell’umanesimo tedesco. Gli stessi termini culturali sono presenti nella allegoria del Lotto dipinta nel 1505 come coperta per il ritratto del vescovo De Rossi e conservata anch’essa alla National Gallery di Washington».

31

D. Arasse, in Lorenzo Lotto, a cura di Zampetti, Sgarbi, atti del convegno internazionale di studi, (Asolo, 1980), Treviso, 1981, pp. 365-377.

32

(10)

3.3 - Il Sonno Vigilante dell’Anima Razionale

Una lettura dell’opera alquanto singolare è quella che ci è stata offerta da Cortesi Bosco33. La studiosa – che intitolava il soggetto Sonno vigilante dell’anima razionale - immaginava che la giovane raffigurata al centro della composizione impersonasse l’anima che, attraverso l’amore, riesce a ricongiungersi al suo creatore. In quest’ottica i due satiri rappresentavano il “desiderio sensuale” mentre la fanciulla l’amore spirituale; quanto all’ambientazione la studiosa era convinta che Lotto - ispirato dal De Mystica Theologia di Jean Charlier de Gerson - avesse inteso rappresentare un’alba. Era proprio il teologo francese, infatti, a sostenere che l’anima - caduta in uno stato d’estasi - si elevasse verso Dio al sorgere del sole:

«è un passo di Gerson a offrire la chiave del simbolismo di Lotto» [...] «L'immagine coincide perfettamente con quella di Lotto nell'assimilare l'anima estatica a una persona seduta, solitaria, silenziosa; ma ciò che più conta è che Gerson nel paragonare all' "aurora consurgens" del Cantico dei Cantici la sua elevazione mentale, apre il senso dell'aurora così mirabilmente dipinta dall'artista, vertice della misteriosa bellezza della natura: essa è una metafora che visualizza, e avvalora, l'infigurabile (quanto l'ineffabile) della presenza divina nello stato di estasi, ovvero il levarsi dell' Anima “super se” rapita da Dio “ad supermentales excessus”»34. Secondo Cortesi Bosco, nella simbologia dell’opera andava infine individuata “l’essenza stessa del battesimo”, inteso come restaurazione dell’immagine di Dio nell’anima. L’acqua veniva associata al rito dell’abluzione, i piedi nudi della donna al rito della “discalceatio” ed infine la veste bianca alla tunica che viene data al neofita come simbolo del recupero dell’incorruttibilità originale. Recentemente Binotto, ha accolto la tesi proposta dalla studiosa e riassunto i concetti più significativi: «Il vecchio alloro tagliato accanto alla sorgente d'acqua allude alla rinascita dell'anima a nuova vita, gli abiti bianco dorati della donna significano lo splendore della carità, mentre i piedi nudi si riferiscono alla rinuncia alle cose terrene. La donna è assorta in sé stessa, perché vede nella propria interiorità il riflesso di Dio. Il putto alato, cospargendola di fiori, fa scendere in lei la grazia divina. Riguardo alla committenza, la studiosa, pur riconoscendo nel quadro la

33

Cortesi Bosco, “Divina Vigilia”… cit., pp.

34

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presenza di "una costellazione di simboli" che risponde al gusto raffinato della cerchia trevigiana di De' Rossi, è più propensa a credere che Lotto abbia dipinto per sé la tavola e ritiene di poterla identificare in quella che egli tentò inutilmente di vendere ad Ancona nel 1550. Figurava infatti nell'elenco delle opere messe all'asta un “quadro de l'anima rationale”. Il pittore riferirebbe a sé stesso la metafora della rigenerazione spirituale, giocando sulla comunanza di radice di “laurus” e “laurentius”. Il “Sonno vigilante dell'Anima razionale” andrebbe inteso come “ritratto” della vita interiore e delle aspirazioni spirituali dell'artista».

3.4 - Il paesaggio dell’Allegoria: Una “favola boschereccia”

A fare da “cornice all’esperienza amorosa in atto” Lotto aveva posto la natura che, nel suo accentuare la tensione emotiva del soggetto, assumeva un ruolo da vera protagonista Se nel ’53 Pallucchini35 definiva l’ambientazione della tavola di Washington una “favola boschereccia”, qualche anno dopo Seymour36 ne interpretava l’ “ambientazione idilliaca” come “traduzione del paesaggio arcadico del Sannazaro”. Nell’approfondire il discorso sul paesaggio dell’Allegoria Binotto ha rimarcato l’importanza della questione relativa ai rapporti intrattenuti dell’artista con la pittura di Giorgione nei primissimi anni del ‘500. A suo dire, Lotto avrebbe tenuto in gran considerazione la scoperta, da parte del collega, dei valori atmosferici, tonali del colore.

In questo contesto, dunque, assume notevole rilievo la questione concernente la datazione del capolavoro dell’artista di Castelfranco: la Tempesta. Infatti l’opera, conservata alle Gallerie dell’Accademia a Venezia e datata al 1502-05, è stata spesso accostata dalla critica ad entrambi i coperti allegorici lotteschi, soprattutto in virtù della forte somiglianza fra il dettaglio del cielo nuvoloso squarciato da un fulmine della tela veneziana e i cieli “vibranti” dipinti nelle due allegorie. Secondo Pignatti37, però, l’ascendente giorgionesco sulla pittura di Lotto, piuttosto che essere sintomo di una vicinanza stilistica fra i due artisti, sarebbe da considerare conseguenza della loro partecipazione ad un medesimo clima culturale, nel quale va inserito l’esempio di

35

R. Pallucchini, Lorenzo Lotto, Milano, 1953.

36

C. Seymour, Art Treasures for America, 1961, pp. 100-101

37

(12)

Dűrer e più in generale della pittura nordica. Entrambi i veneti sarebbero stati influenzati dalle incisioni del maestro di Norimberga e – faceva notare Morassi38 - in Lotto gli effetti di tale influsso si sarebbero riflessi innazitutto nella rappresentazione degli alberi con i rami “orizzontali” e nell’ “andamento curvilineo delle rocce”. Aikema (op. cit.) del resto notava la derivazione d’Oltralpe dei “tramonti sensazionali” e dei “cieli drammaticamente espressivi”.

Recentemente Lucco39 , ribadendo l’ascendente dureriano nelle fronde degli alberi dipinte da Lotto nella tavola, ha messo in evidenza il fatto che l’idea di inserire in un ampio e lussureggiante paesaggio figure umane di piccole dimensioni non potesse che derivare all’artista dalla pittura nordica; questi sarebbe stato introdotto a tale gusto dal collega Pennacchi:

«A Treviso Lotto incontrò» [...] «Pier Maria Pennacchi. Questi dovette introdurlo al gusto nordico, che fu una delle principali fonti figurative di Lotto nel corso di tutta la sua carriera» [...] «egli sembra infatti aver guardato con grande interesse alla pittura d'Oltralpe» [...] «Anche il modo di rappresentare le fronde» [...] «nelle due coperte allegoriche di Washington» [...] «è nettamente ispirato dalle xilografie del maestro tedesco; e ancora allude a quella fonte il cielo di tramonto dietro a una delle due tavole di Washington» [...] «Nessun'altra influenza se non quella nordica avrebbe legittimato a quelle date l'idea di dipingere delle figure umane assai piccole entro un paesaggio esteso e di lussureggiante vegetazione».

38

A. Morassi, in “The Burlington Magazine”, XCV, 1953.

39

(13)

3.5 - L’Allegoria come “coperto” di ritratto

Il primo a suggerire che l’opera in esame potesse avere la funzione di coperto allegorico di un ritratto – ricorda Binotto - era Berenson40, in seguito appoggiato anche da Shapley41, Mariani Canova42 e Galis Wronski43. Quest’ultima notava la somiglianza fra i lineamenti della protagonista della tavola di Washington e quelli della donna effigiata in un ritratto (fig.5) conservato al Museo di Digione; sulla scorta di Liberali44 la Galis vi riconosceva il volto di Giovanna De’ Rossi, vedova Malaspina e sorella del vescovo Bernardo, scomparsa nel 1502. Sulla base di questa somiglianza la studiosa ipotizzava che le due tavole fossero in origine le ante di un doppio ritratto concepito in maniera identica a quello del fratello.

A suo dire, commissionando al Lotto questa serie di quattro dipinti (i ritratti dei fratelli De’Rossi e le rispettive sovraccoperte) intenzione del prelato sarebbe stata quella di celebrare le virtù della propria famiglia attraverso un apparato di simboli di matrice neoplatonica e petrarchesca. Dűlberg45 - che avrebbe accolto l’ipotesi avanzata da Galis Wronski, sulla base sia del nesso che egli credeva legasse la tavola all’ambiente culturale trevigiano sia delle affinità fisionomiche tra le due donne – non condivideva del tutto le sue conclusioni; al contrario di Gentili46 che nel ritratto coglieva addirittura una sorta di “elogio post-mortem” della nobildonna.

Come faceva notare Brown47, che accoglieva l’ipotesi di Wronski per cui il Busto di donna fosse il “candidato più probabile” da associare all’Allegoria – esisteva però una maggiore differenza tra le dimensioni della tavola di Washington e quella di Digione “rispetto a quelle dell’altro ritratto e del suo coperto allegorico”. La studiosa, non potendo negare questo dato di fatto, avrebbe però tentato di dare una spiegazione di tale differenza di misure ipotizzando che l’effigie di Giovanna fosse stata realizzata in origine come opera indipendente. Ad essa sarebbero seguite l’Allegoria della Virtù e del Vizio e il Ritratto del vescovo Bernardo De’ Rossi. A

40

B. Berenson, 1955.

41

R. Shapley 1968; 1979: «It is thought » […] «that k291 may have been, like k303, designed as cover

for a portrait».

42

G. Mariani Canova 1975: «La tavoletta» […] «è probabile fosse la custodia di un ritratto».

43 D. Galis Wronski, 1977. 44 G. Liberali, 1963. 45 A. Dűlberg, 1990. 46 A. Gentili 1980, pp. 65-66; 1981, pp. 416 47 D. A. Brown 1997 ed. 1998, p. 85

(14)

quel punto il religioso avrebbe deciso di commissionare a Lotto l’Allegoria qui in esame allo scopo di rendere omaggio alla castità della sorella; l’artista avrebbe dunque riadattato il ritratto della nobildonna affinché costituisse un dittico con il suo coperto. Qualche anno fa Ferino-Pagden48 - che oltre a rilevare la difformità tra le dimensioni del ritratto e della presunta sovraccoperta, metteva in evidenza la mancata menzione delle due opere negli inventari del vescovo – ne proponeva l’accostamento per mezzo di un interessante montaggio fotografico che mostra il meccanismo dello scorrimento laterale dell’uno sull’altro.

Di tutt’altro avviso era Mascherpa49, che individuava come “pendant” dell’Allegoria k 291 il ritratto di Giovane con lucerna del Kunsthistorisches Museum di Vienna (fig. 6), in cui credeva andasse riconosciuto uno dei membri del “clan achemico” trevigiano; successivamente l’identità dell’uomo effigiato sarebbe stata riconosciuta, ora nel segretario del vescovo Broccardo Malchiostro, ora nel chierico parmense Giovanni de’ Novellis. All’interno della medesima cerchia cercava l’ispiratore e/o committente della tavola di Washington anche Dal Pozzolo (Laura tra Polia e Berenice di Lorenzo Lotto, in “Artibus et Historiae”, XIII, 25, 1992, pp. 103-127). A suo dire, il personaggio più idoneo sarebbe stato Giovanni Aurelio Augurelli50, poliedrica figura di umanista, filosofo platonico, poeta e - cosa non meno importante - maestro di Pietro Bembo, noto per aver scritto il poema alchemico Chrysopoeia51. Dal Libro di Spese Diverse – ricordava il critico

48

Ferino-Pagden, op. cit.

49

G. Mascherpa, in Lorenzo Lotto, 1981 pp. 15, 22 n. 7 , 23 n. 8.

50

Secondo M. Binotto (op. cit.) l’Augurelli potrebbe aver avuto un ruolo determinante “nella particolare attitudine di Lotto a costruire complesse allegorie”.

51

Dal Pozzolo diceva di lui: «a Treviso» […] «dimorava il riminese Giovanni Aurelio Augurello»

[…] «uno dei personaggi più influenti della vita culturale cittadina, ricco di contatti e assiduo frequentatore della casa di Ludovico Marcello, nel 1503 locatore del Lotto» […] «componeva rime volgari la cui ascendenza è ben riconoscibile. In esse cantava di una “donna” degna di essere “mirata”, che appariva in boschi leggiadri e sotto “verdi lauri”. Il tutto in una sequenza di immagini leggere e fugaci che dichiarano una sensibilità di certo non lontana da quella palesata dal Lotto nella tavola americana» […] «Più avanti negli anni la sintonia con gli orizzonti filosofici espressi dal Bembo negli “Asolani” fu palese» […] «Spiccato è il suo interesse nei confronti della pittura […] Si capisce dunque perché, fissando l’origine del dipinto nella Treviso del 1506» […] «sono proprio i termini della singolare sintesi che il quadro esprime a chiamare in causa personalmente Augurello quale suo possibile ispiratore. E non solo per la ferrata meditazione petrarchesca, peraltro decisiva, ma anche per il suo abbinamento a motivi classici utilizzati in chiave ermetica, e per quel manipolare il tutto all’interno di uno schema platonico che ha corrispondenze precise con quello degli “Asolani” […].

(15)

Fig.5 Busto di donna, (Giovanna de’ Rossi Malaspina?), 1501-02, olio su tavola, 36 x 28 cm, Digione, Musée des Beaux-Arts

Fig.6 Busto di giovane con lucerna, circa 1506-08, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie

(16)

- risulta che nel 1545 l’artista eseguiva la copia di un ritratto e del relativo coperto dell’umanista (eseguiti fra 1503 e 1506): «In Venetia / Dì novembre del 45, die dar el maginifico misser Zuan Lipomano per un retrato de misser Joan Aurelio Augurello / con il roverso et coperto como stava el proprio originale […]52. […] Del 45 / dì…dicembre, die dar el magnifico misser Zuan Lipomano, per un retrato de misser Joan Aurelio / Augurello. Et fu compìto e dato di 12 marzo de 46 et dato / a suo discretione e voglia, valse al manco ducati 10».53 Anni dopo Dal Pozzolo, che non condivideva l’ipotesi di Galis Wronski54 e cercava ancora l’effigie a cui l’Allegoria di Lotto si sarebbe riferita, la riconosceva nel Ritratto virile del Kunsthistorisches Museum di Vienna (fig. 7) - 40 x 32 cm - a suo dire l’effigie dell’Augurelli.

Quindi, riferendosi a Mascherpa, affermava: «lo studioso» […] «aveva intuito in parte quella che potrebbe essere l’origine dell’opera a Washington» […] «ritenendo che il giovane di Vienna fosse “un personaggio del clan alchemico trevigiano, o il Marcello, o l’Avolante, o uno degli Onigo, o addirittura lo stesso Augurello”, proponeva che la tavola americana “in tal caso sarebbe il dipinto ‘reconzato’ nel 1545 per l’Avolante stesso e poi copiato per il Lippomano”» […] «Sappiamo dunque che esisteva un “Ritratto di Augurello” corredato da un “coperto”. Chi ne fosse l’autore Lotto non dice, ma proprio per questo si può pensare che fosse suo» […] «A quando il dipinto risalisse non è difficile stabilirlo. Augurello fu a Treviso in tre periodi» […] «dal 1492 al 1499» […] «dal 1503 al 1509» […] «dal 1515 ala morte avvenuta nel 1524» […] «l’esecuzione del “retrato” e del “coperto” si pone tra il 1503 e il 1506, data che calza perfettamente alla tavola americana, le cui misure non contraddicono tale funzione, rientrando in quelle medie dei ritratti lotteschi del periodo […] perché non credere che il quadro di Washington sia davvero il

52

P. Zampetti, Il “Libro di Spese Diverse”, 1969, p. 102, carta 62 v.

53

Ibidem, p. 192, carta 135 v.

54

E. M. Dal Pozzolo 2008, pp. 54-74. Lo studioso, partendo dal presupposto che l’Allegoria K291 non fosse un’opera da cavalletto, bensì che avesse funzione protettiva di un ritratto, argomentava:

«Questa seconda ipotesi è stata sostenuta da Galis Wronski e da Gentili, che indicavano nel “Ritratto muliebre” di Digione il pezzo che andrebbe a essa legato» […] «è però notevole la differenza di misure a far sorgere dei dubbi (cm 36 x 28 il ritratto, rispetto a cm 43 x 33,6)» […] «Gentili (1985) precisava che essa sarebbe “un’allusione alla castità e alla promessa di vita eterna” di Giovanna De’ Rossi, sorella del vescovo Bernardo, morta nel 1502» [...]« l’ipotesi» […] «pare indimostrabile per due motivi: il primo è la difformità delle misure» […] «il secondo» […] «è che nessun ritratto di Giovanna (né tantomeno una “coverta”) viene annoverato nei dettagliatissimi inventari delle proprietà del vescovo, che viceversa registrano i beni appartenuti alla defunta sorella».

(17)

“coperto” del “Ritratto dell’Augurello”, “conzato” – ossia lievemente risistemato – da Lorenzo per l’Avolante?» […] «si spiegherebbero i motivi per cui in esso scalpitano tanto prepotentemente i cavalli di battaglia dell’umanista riminese. Il ritratto non sembra a noi giunto» […] «Si tratterebbe di una tavola di circa cm 40 x 33, raffigurante un uomo di piccola statura che nel 1506 aveva 50 o 65 anni, essendo la data di nascita discussa tra il 1456 e il 1441» […] «Tra le opere di Lotto giunte fino a noi» […] «si potrebbe eventualmente pensare» […] «un “Ritratto virile” al Kunsthistorisches Museum di Vienna: una tavola molto sciupata, generalmente datata sul 1505-06, che effigia un uomo a mezzo busto, con alle spalle una tenda verde, rivolto alla propria destra e di età non facilmente precisabile, ma forse sui 45-50 anni».

3.6 - Alle origini della raffigurazione: un soggetto maschile?

Anni fa l’opera in esame fu sottoposta ad una indagine radiografica che, nella parte superiore della tavola, ruotata di 180° rispetto alla protagonista della composizione definitiva, mise in luce la presenza di un’analoga figura giacente che, appoggiata ad una roccia, si volge nella direzione opposta ed ha le gambe divaricate (fig.8). Dei risultati dell’analisi metteva al corrente Shapley55, che interpretava la sagoma come ninfa addossata al tronco di un albero, anche se in una posizione più reclinata; secondo la radiografia, la fanciulla (?) abbozzata da Lotto nell’altra estremità della tavola doveva reggere con il braccio sinistro, allora più disteso, un lembo della veste per raccogliere i fiori sparsi dal putto. Successivamente sarebbe stato condotto sull’opera uno studio più approfondito che, avvalendosi della riflettografia ai raggi infrarossi, avrebbe reso la lettura dell’immagine più comprensibile. A riferirci degli sviluppi dell’indagine questa volta era Brown56: «Dall’esame tecnico dell’opera risulta evidente che la scena attualmente visibile è stata dipinta sopra un’altra composizione non completata, capovolta rispetto a quella finale e in scala leggermente maggiore.

55

R. Shapley, op. cit.: «I raggi x rivelano alcuni dei primi pensieri di Lotto per la composizione.

Quella che ora è la parte superiore della tavola era in origine concepita per quella inferiore. Là la ninfa è mostrata appoggiata come ora su di un tronco d’albero ma in una posizione più reclinata guardando in alto. Pure la figura più eretta nel disegno finale fu inizialmente disegnata con il suo braccio sinistro un po’ disteso, mentre regge il suo drappo per raccogliere i “fiorini”».

56

(18)

Fig.7 Ritratto virile, Vienna, Kunshistorisches Museum

Fig.8 riflettografia ai raggi infrarossi, particolare della parte superiore della tavola ruotato di 180°

(19)

Nell’immagine risultante dalla lettura ai raggi x Shapley ha individuato una figura seduta con il capo piegato all’indietro, di profilo. Riesaminando la radiografia, però, si scopre che la testa retta dalla mano è in realtà frontale e chinata. Inoltre, una nuova immagine ai raggi infrarossi rivela che la figura inizialmente concepita da Lotto è nuda, seduta con le gambe divaricate e rivolta a sinistra, e che è addossata a una grande roccia. Secondo Shapley e altri studiosi sulla sua scia, l'immagine sottostante quella attuale rappresenta un primo tentativo di Lotto di rendere il soggetto poi dipinto sulla tavola capovolta, ma che la figura dormiente sia di sesso femminile non è affatto certo».

Il critico nutriva dunque forti dubbi circa il sesso della figura dormiente. Il dettaglio della testa sostenuta dalla mano, inoltre, gli ricordava il motivo somigliantissimo del disegno di Nuda di Dűrer (fig.9), per il quale rimandava ad Humfrey57 e quello ancora più vicino della “ninfa addormentata con il capo che riposa sul gomito” (fig.4). Quest’ultimo, che come ho spiegato in precedenza era tratto dall’Hypnerotomachia Poliphili, sarebbe stato ripreso anche da Pietro degli Ingannati nella sua Allegoria58 dove si sarebbe combinato con quello del “putto con il compasso” dell’altro coperto lottesco59.

Brown riteneva, dunque, che la figura capovolta fosse un primo abbozzo dell’Allegoria in seguito abbandonato inspiegabilmente dall’artista per fare spazio all’attuale soggetto. Binotto, sulla scorta di Ferino-Pagden60, si è spiegata la presenza di questa figura in modo del tutto diverso, domandandosi se piuttosto Lotto avesse riutilizzato per la composizione il supporto ligneo di un’opera rimasta incompiuta, probabilmente una versione analoga all’Apollo dormiente con le Muse (fig.10) del

57

P. Humfrey, New Haven, 1997 ed. it. 1998.

58

Vedi capitolo II, fig.22.

59

Ripropongo questi due esempi più avanti relativamente alle fonti figurative del dipinto.

60

Ferino-Pagden, op. cit.: «I raggi x e l’esame all’infrarosso della tavola hanno rivelato una

composizione del paesaggio precedente, ruotata di 180°, con una giovane seduta addormentata con la sua testa appoggiata sulla sua mano in una posa simile» […] «questa posa è un riflesso piuttosto esatto della figura centrale in un soggetto analogo molto amato nel Rinascimento» […] «“Il Sogno di Ercole” o “Ercole al bivio” spesso trovato sui pannelli dei “cassoni”, come quello attribuito a Giacomo Pacchiarotto nel Museo di Belle Arti di Budapest. Se accettiamo la più piccola tavola di Washington come coperto di un ritratto femminile come quello a Digione, sarebbe ragionevole vedere una relazione tra il sogno di Ercole e il sogno della giovane donna dipinta su di esso. Inoltre, persuade supporre che sia il committente che l’artista stesso trovassero questo soggetto classicamente maschile inappropriato per accompagnare un ritratto femminile. Del resto la scena fu concepita nuovamente come un sogno di fanciulla».

(20)

Fig.9 Albrecht Dűrer, Nuda, 1501, disegno, Vienna, Albertina

(21)

Museo di Belle Arti di Budapest; se così fosse, non si tratterebbe dunque di una figura femminile bensì maschile.

Secondo Brown, l’impianto bipartito della scena rimanderebbe a due soggetti ben precisi: l’Orfeo nella foresta che incanta gli animali, per il quale Ferino-Pagden rimandava ad un disegno di Timoteo Viti (fig.11) raffigurante un giovane sdraiato in un paesaggio circondato da vari strumenti, identificato come Orfeo, e l’Ercole al bivio, individuato dallo studioso in un pannello di cassone nuziale dipinto da Giacomo Pacchiarotto (fig.12)61.

Qui Ercole è un giovane seminudo che, addormentato ai piedi di una roccia, appoggia la testa al braccio destro. La concezione originale di Lotto, seppur escludendo le personificazioni della Virtù e del Vizio, presenta effettivamente caratteristiche molto affini. Il tema dell’Ercole al bivio, dalle lontane origini, avrebbe in seguito acquisito grande rilievo presso i letterati – Petrarca è tra questi –, gli umanisti e gli artisti del Rinascimento, come del resto dimostra il Sogno di Cavaliere

di Raffaello (fig.13), la variante forse più famosa ai tempi del Lotto.

61

Lo studioso affermava: «Nonostante la connessione con il diffuso motivo della ninfa dormiente, è

difficile credere che la figura di Lotto, seduta a gambe divaricate, sia di sesso femminile. Non a caso l'artista ha ripetuto esattamente la stessa posa nella figura dell' Apollo addormentato sul Parnaso in un'opera più tarda» [...] «E una posizione identica ritorna in un'opera di maestro senese, il pannello di un cassone raffigurante Ercole al bivio, del 1505 circa, anch'esso conservato a Budapest».

(22)

Fig.11 Timoteo Viti, Orfeo

(23)

3.7 - Il motivo della “ninfa distesa”: richiami figurativi

Come già accennato nel paragrafo precedente, la fanciulla protagonista della tavola di Washington ricorda due fortunate raffigurazioni : il disegno di Nuda di Dűrer (fig.9) conservato all’Albertina di Vienna e la xilografia della “Ninfa alla fonte” (fig.4), che accompagna il testo dell’Hypnerotomachia Poliphili, fatto stampare da Francesco Colonna nel 1499 a Venezia presso la stamperia di Aldo Manuzio. Bisogna rammentare che l’eco del disegno di Vienna nell’opera lottesca veniva ravvisata per la prima volta da Berenson62, lo stesso critico che nel 1895 aveva notato l’affinità tra la fisionomia della fanciulla e quella di analoghe figure di Jacopo de' Barbari. La critica accolse immediatamente la proposta dello studioso: «Il Berenson mette in luce come il tipo della fanciulla riecheggi moduli cari a Jacopo de’ Barbari, mentre la posa del corpo ricorda quella del nudo femminile firmato da Dűrer e datato 1501 oggi all’Albertina di Vienna: segno evidente dell’interesse all’arte nordica di cui sono siglate anche altre opere del periodo trevigiano del Lotto».63 Per quanto concerne il motivo del putto “spargifiori”, Binotto rimanda a Cortesi Bosco64. La studiosa notava la sua somiglianza con il dio dell’Amore/Cupido protagonista di un’altra xilografia (fig.14) dell’Hypnerotomachia in cui egli, appunto, mostra a Venere il busto di Polia alla presenza dell’anima di Polifilo: «La penultima vignetta del libro raffigura Cupido che mostra a Venere l'effigie di Polia, in presenza dell'anima di Polifilo» [...] «Cupido sembra giungere in volo: secondo una formula consueta tiene la gamba sinistra piegata e la destra più distesa, attitudine che gli conferisce slancio, accentuato dalle ali» [...] «la lettura della posa

62

B. Berenson, 1955.

63

G. Mariani Canova, 1975, p. 88. Analogamente P. Humfrey avrebbe affermato: «L'ispirazione di

Durer risulta evidente anche nel cosiddetto Sogno di fanciulla» [...] «la figura centrale della donna che riposa presenta una stretta rassomiglianza con» [...] «il disegno di un nudo femminile datato 1501, sempre di Durer, oggi a Vienna» [...] «lo spunto preso dal disegno» [...] «implica che Lotto si recò effettivamente nella capitale per incontrare Durer, forse poco dopo il suo arrivo». Brown

avrebbe ribadito il medesimo concetto: «Il motivo della testa retta dalla mano richiama un disegno di

Dűrer raffigurante un nudo femminile disteso» [...] «datato 1501 e conservato all'Albertina di Vienna, che Berenson ha riferito al dipinto di Lotto». Lo studioso - che metteva in evidenza l’abitudine di

Lotto a manipolare le iconografie - continuava: «Ancora più somigliante è la ninfa addormentata, con

il capo che riposa sul gomito, di un'incisione dell' Hypnerotomachia Poliphili».

64

(24)

Fig.13 Raffaello, Sogno di cavaliere, 1503-04, olio su tavola, Londra, National Gallery

Fig.14 Cupido mostra a Venere l’anima di Polia in presenza di Polifilo, incisione,

(25)

è ambigua: Cupido sta volando ma al tempo stesso pare in ginocchio. E' questa impressione che sembra aver fissato Lotto nel rielaborarne l'immagine».

Tra Quattro e Cinquecento, a dire della studiosa, il tema del ricongiungersi dell’anima al suo creatore divino avrebbe trovato la propria affermazione in pittura come in scultura, di pari passo al diffondersi del neoplatonismo; la sua fama sarebbe stata tale da dare vita ad un ampia gamma di iconografie. Nell’Allegoria in esame Lotto non si sarebbe, però, rifatto al mito pagano, quanto piuttosto al simbolismo tipico della tradizione cristiana; è comunque evidente che l’invenzione della tavola di Washington sia stata elaborata tenendo in seria considerazione la cultura neoplatonica, che intendeva la ricerca interiore come “impegno diretto del soggetto”. Nel tentativo di trasporre figurativamente il tema dell’ “anima rapita ed elevata alla contemplazione delle cose celesti dall’amore di Dio” sarebbero state create anche raffigurazioni incentrate sui miti di Ganimede, Endimione, Eros e Psiche. Riguardo al primo, Cortesi Bosco portava l’esempio di un’incisione di Giulio Campagnola, raffigurante appunto il Ratto di Ganimede (fig.15) realizzata fra 1500 e 1503 a partire da un disegno di analogo soggetto65; relativamente al mito di Endimione, invece, ricordava il Sogno di Endimione (fig.16) dipinto da Cima da Conegliano intorno al 150666.

Per la figura della fanciulla “sognante” Lorenzo si sarebbe, infine, servito di un ulteriore modello figurativo: il Saturno raffigurato dal già citato Campagnola in un’incisione del 1500 circa (fig.17). Cortesi Bosco spiegava: «L'allegorizzazione dell'Anima come figura femminile risale alla tradizione iconografica pagana e del primo cristianesimo giunta fino al Medioevo» […] «Lotto» […] «si rifà a questo tipo iconografico» […] «lo elabora utilizzando un modello “moderno”» […] «offertogli da un'incisione del Campagnola, il “Saturno” del 1500 c.,

65

Se la studiosa lo riconduceva alla mano del Bellini, in realtà si tratterebbe dell’opera dello stesso Campagnola.

66

L’opera è stata recentemente presa in esame da Ferino-Pagden (2006, pp. 152-153). La studiosa ha messo in risalto il fatto che il protagonista del tondo è un giovane vestito da guerriero anziché da pastore e che l’intento del Cima potrebbe essere stato quello di mettere a confronto i differenti atteggiamenti assunti dall’uomo e da alcuni animali durante il sonno. Per quanto il significato di questa raffigurazione sia diverso rispetto a quello insito nell’Allegoria di Washington Endimione ha una posa molto simile alla fanciulla dipinta da Lotto. I suoi occhi, però, sono evidentemente chiusi.

(26)

Fig.15 Giulio Campagnola, Ratto di Ganimede, xilografia

(27)

in cui Giulio non evidenzia» […] «l'aspetto malvagio e cupo, bensì quello sublime e profondamente contemplativo» […] «La positura del dio, che risale a modelli dell'antico, nonchè l'ambiente circostante che dipende da Dűrer, suggeriscono a Lotto alcuni spunti figurali per l'ambiente e la positura della donna/Anima, la quale sul principio» […] «era più distesa» […] «il dualismo nel trattamento formale di figura e ambiente» […] «ha un precedente nell'incisione» […] «dove la distesa d'acqua con una nave al di là del profilo del terreno boscoso è dettaglio paesistico simile nella struttura a quello sulla destra dell'incisione».

Prendendo in considerazione i significativi richiami iconografici di cui si è detto sopra, si può giustamente dedurre che la tavola di Lotto fosse il riflesso dell’interesse nutrito dalla compagine artistica e culturale veneta per le tematiche principali dell’umanesimo.

Fig.17 Giulio Campagnola, Saturno, inizi XVI secolo, incisione a bulino

(28)

3.8 - Rapporti con l’incunabolo queriniano del Canzoniere di Petrarca

Qualche anno fa Dal Pozzolo67 tornava a parlare dell’Allegoria per mettere in luce “l’interferenza”, nel dipinto, di una componente connessa al recupero di un tema antico in chiave umanistica: il motivo di Laura, cantato da Petrarca nella canzone CXXVI del Canzoniere. Era opinione dello studioso che il celebre componimento fosse noto al pittore, dal momento che Galeazzo Facino, segretario di Bernardo de’ Rossi, ne aveva in possesso una copia. Il critico, riferendosi alla giovane ritratta da Lotto, spiegava: […] «All’inizio l’abbiamo accostata alla fanciulla del disegno viennese di Dűrer» […] «riconoscendovi una sintonia essenzialmente stilistica, che superava la somiglianza della posa dei corpi per inserirsi all’interno dell’accertato contatto fra i due artisti nel 1506. Dal punto di vista iconografico, più puntuale si rivela invece l’affinità col Petrarca “pseudo-itifallico” della miniatura queriniana» […] «prototipi comuni» […] «sono perduti» […] «ma tutto lascia supporre che rientrassero in un grande filone rappresentativo della bellezza femminile» […] «Ci riferiamo a quello studiatissimo eppure ancora enigmatico della cosiddetta “Ninfa custode delle acque”» […] «che prese piede con la riscoperta di un’epigrafe classica perduta, ma nota attraverso varie fonti. Tale iscrizione accompagnava la statua di una fanciulla distesa, che con un braccio si sosteneva il capo e con l’altro si accarezzava lievemente la coscia».

Nella suddetta miniatura (fig.18) Laura, che è nuda e immerge i piedi nelle acque di un fiume mentre si appoggia ad un albero da cui cadono petali, sarebbe interpretata come “ninfa custode delle acque”, archetipo letterario ma anche figurativo che avrebbe avuto grande seguito nei contesti più disparati; a testimoniarlo sarebbe ancora una volta la xilografia della “Fontana di Venere” del Sogno di Polifilo. Per lo studioso la posa della giovane raffigurata da Lotto avrebbe dei punti di contatto con quella della “bellissima nympha” che ha: «un braccio ritratto “sotto la guancia” e l’altro disteso “al medio dilla polposa coxa”».

Il motivo della “ninfa dormiente scoperta dal satiro” sarebbe stato inoltre ripreso, per il tramite del Lotto, dal pittore “belliniano” Pietro degli Ingannati68:

67

E. M. Dal Pozzolo, 2008, pp. 55-74.

68

Nella tavola dell’Ingannati si realizzerebbe, a suo dire, la sintesi di due fonti figurative distinte: quella lottesca del “putto con il compasso” – presente nell’Allegoria della Virtù e del Vizio - e quella

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Fig.18 Laura in Valchiusa, miniatura tratta dall’incunabolo queriniano G. v. 15 del Canzoniere, Brescia, Biblioteca Queriniana

della “ninfa dormiente” di Colonna. Dal Pozzolo stentava, però, a credere che tale sintesi fosse stata l’idea un pittore da lui ritenuto “mediocre”.

(30)

«In una tavola ottagonale sempre alla National Gallery di Washington eseguì una composizione in cui al motivo della “Venere svelata dal satiro” del “Polifilo” venne accostato quello del putto di fronte al tronco che campeggia nell’ “Allegoria” del De Rossi». Nell’opera di Lotto, dunque, avrebbe avuto luogo una vera e propria contaminazione tra Chiare, fresche e dolci acque e l’Hypnerotomachia Poliphili e di conseguenza tra Laura e Polia: «sono molti i punti di contatto con il mondo petrarchesco» […] «affinità con il “Canzoniere”» […] «legano a doppio filo le rispettive protagoniste, Polia e Laura. C’è chi ipotizza, addirittura, una vera e propria “identificazione” della prima con la seconda» […] «L’idea di una Laura in “Chiare, fresche e dolci acque” atteggiata quale “Ninfa custode delle acque” diveniva dunque del tutto logica e fortemente significante».

Se si prende in esame la lirica petrarchesca ci si accorge che, in effetti, molti sono i punti di contatto con la raffigurazione di Lotto; in particolare Dal Pozzolo individuava forti corrispondenze con la parte centrale, il “cuore” del componimento. Secondo il critico sarebbe possibile spiegare non solo l’iconografia della fanciulla, ma anche chiarire altri motivi quali ad esempio quello del bosco in cui la scena è ambientata. Il luogo che il poeta aveva scelto per fare da sfondo alla lirica era Valchiusa, celebre località nei pressi di Avignone dove nasceva il fiume Sorga e che aveva dato i natali alla donna da lui amata. Nel dipinto le tracce di azzurro riscontrate dallo studioso “sulla parte sinistra della rocca centrale” alluderebbero proprio a tale sorgente. Infine, anche il cielo – “fondale tremulo e vibrante” – rimanderebbe ai versi del canzoniere in cui, con un gioco di parole, Laura è associata all’aurora.

(31)

3.9 - Echi letterari: Petrarca, Bembo e Leone Ebreo

Già Pochat69, anni addietro, era convinto che nel coperto allegorico di Lotto esposto a Washington il soggetto fosse stato concepito facendo riferimento al Rerum Vulgarium Fragmenta di Petrarca, una delle opere più amate e studiate nei primi anni del ‘500 a Venezia. In particolare, lo studioso coglieva nella rappresentazione l’eco della più famosa canzone del poeta aretino, la n. CXXVI, intitolata Chiare, fresche e dolci acque 70: «Chiare, fresche et dolci acque, / ove le belle membra / pose colei che sola a me par donna; / gentil ramo ove piacque / (con sospir’ mi rimembra) / a lei di fare al bel fiancho colonna; / herba et fior’ che la gonna / leggiadra ricoverse / co l’angelico seno; / aere sacro, sereno, / ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: / date udïenza insieme / a le dolenti mie parole extreme».

La visione evocata da Petrarca in questi primi tredici versi ha per protagonista l’amata Laura mentre siede sulla riva di un ruscello. La giovane, avvolta in una veste che lambisce il prato e i fiori, si appoggia ad un ramo proprio come la fanciulla ritratta da Lotto71; non solo, ma il ramo appartiene anche in questo caso ad un alloro, pianta che, come abbiamo già visto relativamente all’Allegoria k 303, torna più volte nei sonetti del Petrarca. Un’immagine simile compare anche nella prima stanza della canzone XXX (vv. 1-6): «Giovene donna sotto un verde lauro / vidi piú biancha et piú fredda che neve / non percossa dal sol molti et molt’anni; / e ’l suo parlare, e ’l bel viso, et le chiome / mi piacquen sí ch’i’ l’ò dinanzi agli occhi, / ed avrò sempre, ov’io sia, in poggio o ’n riva».

Qui il poeta mette in evidenza il lucente biancore della donna e dell’abito da questa indossato; egli tornerà sul concetto anche nella canzone CXXVII ai versi 49-51: «ove fra ’l biancho et l’aurëo colore, / sempre si mostra quel che mai non vide / occhio mortal, ch’io creda, altro che ’l mio». Per Pochat, se il bianco avrebbe alluso alla natura angelica di Laura, l’oro ne avrebbe dovuto denotare la superiorità rispetto agli esseri mortali; brillantezza e luce caratterizzavano del resto la tipica visione neoplatonica della bellezza unita alla castità. Su queste basi, dunque, sarebbe possibile spiegare il legame che unisce il soggetto dipinto da Lotto al Canzoniere: la

69

G. Pochat, op. cit., pp. 3-15.

70

L’ipotesi di Pochat sarebbe stata successivamente accolta anche da Dal Pozzolo (2008, pp. 55-74).

71

Pochat sciveva: «la donna qui dipinta, vestita di bianco, addossata ad un ramo accanto ad una

(32)

protagonista della composizione è una fanciulla dai capelli biondi che indossa un abito bianco coperto da un manto dorato. Come Dal Pozzolo72 il critico informava che nell’ambientare la scena l’artista avrebbe avuto in mente la terza stanza della canzone CCLXXXI dove è descritto il luogo in cui il poeta avrebbe visto per la prima volta Laura, identificato nella località francese di Vaucluse sulle sponde del fiume Sorga: «Or in forma di ninpha o d’altra diva / che del piú chiaro fondo di Sorga esca, / et pongasi a sedere in su la riva». Questo paesaggio torna nella canzone CXXVI ai versi 40-52 dove per Petrarca è Amore a governare.

I due studiosi credevano di poter riferire a questo passo il motivo del Cupido73 che cosparge di fiori la giovane distesa: «Da’ be’ rami scendea / (dolce ne la memoria) / una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo; / et ella si sedea / humile in tanta gloria, / coverta già de l’amoroso nembo. / Qual fior cadea sul lembo, / qual su le treccie bionde, / ch’oro forbito et perle / eran quel dí a vederle; / qual si posava in terra, et qual su l’onde; / qual con un vago errore / girando parea dir: Qui regna Amore». Bisogna, tuttavia, ammettere - la miniatura a cui abbiamo accennato in precedenza lo dimostra - che il componimento petrarchesco non possa risolvere, purtroppo, la questione relativa all’origine del motivo del Cupido che sparge fiori su una fanciulla sdraiata: nel testo, infatti, i fiori scendono direttamente dai rami di un albero. Dal Pozzolo avrebbe in seguito fatto notare che nella tavola lottesca la protagonista femminile è distesa sulla riva di un ruscello, secondo l’interpretazione esegetica più diffusa del verso 2 della canzone CXXVI di Petrarca, in base alla quale “ove” significa “presso”. Diversamente dall’artista, l’autore della miniatura dell’incunabolo queriniano aveva rappresentato Laura nuda e in piedi, immersa quasi fino al bacino

72

E. M. Dal Pozzolo, op. cit., p. 60: «Molti altri aspetti, però, potrebbero spiegarsi in rapporto a

motivi tratti dalla poetica petrarchesca. Anzitutto il bosco. Antichi e nuovi commenti specificano che la canzone era ambientata a Valchiusa» […] «zona presso Avignone dove nasceva la Sorga e dove nacque lo stesso amore del poeta».

73

Pochat (op. cit., p. 10) considerava Cupido “the most conspicuous feature”, ovvero il personaggio più significativo della rappresentazione poiché a lui Lotto aveva affidato l’azione più importante della scena, quella che lo studioso chiama “rain of flowers”. Sempre riguardo al Cupido che sparge fiori Dal Pozzolo (ibid., p. 61) affermava: «Il putto pure non manca di offrire qualche spunto» […]

«rappresenta la soluzione visiva al fenomeno della caduta dei petali […] offre una prima interpretazione della lirica» […] «è Amor» […] «la causa originaria della visione della donna […] il protagonista della pioggia floreale» […] «è in lui che va riconosciuta la principale chiave di lettura dell’immagine. La sua presentazione rientra coerentemente negli schemi teorici petrarcheschi se è vero che ha gli occhi liberi dalla tradizionale benda in conformità al topos platonico dell’amore che nasce nell’animo grazie alla vista».

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nel corso d’acqua. Lotto, che come sembrerebbero confermare le radiografie della tavola, avrebbe incontrato comunque delle difficoltà nella raffigurazione dell’episodio, avrebbe optato per la soluzione che più si avvicinava all’interpretazione letterale del testo petrarchesco, preferendo attenersi anche al verso successivo “gentil ramo ove piacque / (con sospir’ mi rimembra) / a lei di fare al bel fiancho colonna”. Esaminando l’incunabolo queriniano del Canzoniere74 mi sono ritrovata davanti ad un’altra curiosa miniatura (fig.20) raffigurante il Petrarca nascosto dietro a degli alberi mentre è assorto nella contemplazione di Laura.

Per quanto il motivo non abbia dei veri e propri punti di contatto con la scena della tavola di Washington, non posso fare a meno di notare una vaga somiglianza tra la prima immagine e il delizioso motivo lottesco della satiressa (fig.19) che, proprio da dietro un albero, spia con malizia la meditabonda fanciulla. Accogliendo il parere di quella parte di critica che aveva respinto l’identificazione del soggetto della tavola lottesca quale “sogno” di fanciulla, Binotto specifica che l’atteggiamento della protagonista femminile sarebbe, piuttosto, quello tipico di chi è assorto in una visione estatica.

Questa visione, isolandola dall’ “ottusa fisicità del mondo satiresco” e rendendola insensibile alle lusinghe della voluptas, le permetterebbe di intraprendere un percorso di elevazione spirituale, indicato dalla cascata di fiori bianchi. La studiosa, sulla scorta di Cortesi Bosco75, crede che la fonte letteraria del soggetto rappresentato dall’artista debba essere individuata negli Asolani di Pietro Bembo e nei Dialoghi d’Amore di Leone Ebreo, dove vengono prese in considerazione le varie gradazioni d’amore.

74

Edizione anastatica a cura di E. Sandal, 1990.

75

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Fig.19 Allegoria della Castità, particolare della satiressa

Fig.20 Petrarca e Laura, miniatura dell’incunabolo queriniano del Canzoniere

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