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Capitolo 2: ―Essere‖ e ―divenire‖ nel Timeo

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Capitolo 2: ―Essere‖ e ―divenire‖ nel Timeo

2.1 Nota filologica

In assenza di edizioni critiche più recenti, l‘analisi sarà condotta sul testo del Timeo come è proposto da Burnet (1902) e Rivaud (1963); poiché le opere in questione non sono esenti da imprecisioni, tuttavia, si utilizzerà, come strumento ausiliario, la tesi di dottorato di Jonkers (1989). Tale progetto, che consiste primariamente in un‘analisi sistematica della tradizione manoscritta del Timeo e del Crizia, ma tiene anche conto, secondariamente, dei dati della tradizione indiretta, è nato all‘interno di un gruppo di lavoro di base ad Amsterdam, che, secondo quanto segnala lo stesso Jonkers (9), ha come obiettivo finale la realizzazione di una nuova edizione dell‘ottava tetralogia. Tra i meriti del lavoro di Jonkers vi è l‘aver effettuato una rassegna critica della bibliografia precedente, segnalando tra l‘altro, di volta in volta, gli errori presenti negli apparati critici di Burnet e Rivaud. Riportando le varianti della tradizione in modo più completo, inoltre, la tesi costituisce una fonte preziosa di informazioni anche in vista del confronto con il testo armeno.

Laddove Burnet, Rivaud e Jonkers non concordino tra loro in merito alla lezione da considerare genuina, e comunque in tutti i casi in cui varianti testuali interessano direttamente occorrenze di o eventualmente occorrenze di all‘interno di opposizioni, si analizzeranno tutte le possibilità e il loro impatto sul testo. Questa precauzione è resa necessaria in quanto il Timeo, dialogo che ha goduto di notevole fortuna, oltre ad essere attestato in numerosi manoscritti, che costituiscono nel complesso una recensione aperta1 caratterizzata per di più da contaminazione2, conosce anche una nutrita tradizione indiretta: «perhaps relatively speaking the Timaeus is the most frequently cited dialogue of Plato» (Jonkers, 1989: 29)3. Tali fonti non sono, inoltre, sempre neutrali nella loro adozione di un particolare dettato: non solo, come è ovvio, la scelta di una determinata lezione incide sulla decifrazione del contenuto, ma, in direzione opposta, il desiderio di favorire una certa interpretazione di passi filosoficamente cruciali ha determinato, nell‘antichità, interventi sul testo. Dillon (1989) ha studiato queste ‗emendazioni ideologiche‘4

, il che comporta tanto, nella migliore delle ipotesi, l‘identificazione del testo di partenza, quanto lo sforzo di isolare alterazioni deliberate rispetto a quelle di natura meccanica che interessano qualsiasi testo sopravvissuto attraverso la tradizione manoscritta. Tal prassi ‗interventista‘ è effettivamente denunciata anche in autori antichi: Dillon segnala in proposito un passo del neoplatonico Ierocle di Alessandria (V secolo d.C.), preservato da Fozio (Biblioteca, cod. 251: 461 a, 24 ss.), che attesta ‒ e biasima ‒ per esponenti del medio platonismo e seguaci di Aristotele la pratica di intervenire sul testo dei maestri al fine di accentuare le loro differenze dottrinali;

1

Non è quindi possibile risalire, dai manoscritti più antichi, a un unico archetipo. 2

Ovvero, alcuni dei codici principali non risalgono ad un solo antigrafo, ma presentano lezioni provenienti da più di un esemplare, il che, ovviamente, complica la ricostruzione dei reciproci rapporti di dipendenza tra testimoni.

3

Non solo le citazioni in opere greche, ma anche le traduzioni alloglotte, come quelle latine di Calcidio e Cicerone, possono fornire indizi in merito alla ricostruzione del testo. I dati della traduzione armena non sono stati considerati da Burnet, Rivaud o Jonkers, fondamentalmente a causa della barriera linguistica. Jonkers afferma esplicitamente che «insufficient knowledge of the Old Armenian language has prevented me from studying this translation» (10).

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Tale prassi non riguarda solo testi di interesse filosofico: nel contributo citato si tratta anche di un esempio di interpolazione, sfruttata a fini politici, nel Catalogo delle Navi dell‘Iliade.

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altre allusioni (di Alessandro di Afrodisia e di Enea di Gaza) a deliberate falsificazioni del testo platonico sono citate da Whittaker (1973: 388-389)5. Laddove tali manipolazioni interessano passi che comprendono un uso filosoficamente connotato di e sarà ovviamente necessario valutare le possibili implicazioni.

2.2 Impieghi non tecnici 

2.2.1 e il suo uso in rapporto ad 

Per meglio individuare caratteristiche ed eventuali peculiarità che distinguano l‘uso di ein contesto tecnico rispetto alle occorrenze in un discorso non specializzato, è utile, evidentemente, procedere a un‘analisi contrastiva. Nel caso del Timeo, l‘elemento di confronto è fornito dalla sezione iniziale del dialogo, a carattere più narrativo, che comprende i passi dal 17 a 1 al 27 c 1 escluso (quando inizia il discorso di Timeo) e include la famosa narrazione del mito di Atlantide. Come osserva Dillon (1989: 56), infatti, «it is really only after 27b (…) that serious questions of doctrine begin to arise».

La divisione contenutistica non implica, naturalmente, che anche nella parte del dialogo di maggior interesse teoretico non sia possibile individuare occorrenze di in accezione non filosoficamente connotata; questo è, evidentemente, ancora più plausibile per L‘interesse di Platone, si ricordi, era in prima istanza filosofico, e anche le sue riflessioni a carattere metalinguistico e le proposte di riforma dell‘uso sono limitate al discorso filosofico6, appunto, non certo al codice linguistico all‘interno del quale la sottolingua si sviluppa, che continua a costituire il tessuto connettivo della narrazione.

D‘altra parte, non si può escludere che esempi di uso contrastivo di e si possano individuare anche all‘interno della sezione non prettamente tecnica. Come è noto, il discorso filosofico di Platone mantiene, in certa misura, il carattere ricorsivo di un insegnamento orale, e procede per anticipazioni, riprese, contraddizioni e ridefinizioni: Kahn (1981: 111) parla, in proposito, di «Plato‘s technique of signalling to the reader in advance a doctrine which he will then proceed to develop methodically». A proposito dell‘impiego filosoficamente connotato di nello specifico, di  nel Fedone, lo stesso Kahn osserva inoltre che «Plato (…) moves deliberately back and forth between idiomatic and quasi-technical uses», prima di definire un particolare sintagma ‒ ma, si potrebbe aggiungere, anche un particolare elemento lessicale ‒ come «the official designation» (110) di un determinato contenuto filosofico. I brani iniziali del Timeo saranno dunque analizzati non solo come elemento di controllo, ma anche in cerca di eventuali allusioni contenutistiche e terminologiche all‘argomentazione sviluppata nella sezione successiva.

Come si era ipotizzato nel capitolo precedente, effettivamente la sezione più narrativa del

Timeo fornisce un buon inventario di esempi che illustrano l‘ampiezza del campo semantico

ricoperto da ben maggiore di quello dei verbi italiani divenire o diventare, e non esauribile nemmeno se ad essi si somma lo spettro di significazioni ascrivibili a nascere. Si registrano infatti occorrenze riconducibili a molte delle accezioni che il verbo assume nella letteratura greca e che sono registrate dai dizionari: tutte sono più o meno direttamente

5

Ad altre testimonianze, in particolare di Proclo, si farà riferimento nel corso della trattazione. 6

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giustificabili a partire dalle nozioni base di ―passare da uno stato all‘altro‖ o ―venire ad essere‖, ma, in taluni casi, la componente dinamica del verbo è ridotta al minimo. È inoltre possibile individuare occorrenze in cui l‘argomento del verbo dimostra inequivocabilmente un certo grado di controllo sull‘evento, in contrasto con l‘inagentività tipica dei verbi trasformativi (v. supra e infra). Come previsto, peraltro, nel caso degli impieghi non tecnici di indizi contestuali consentono quasi sempre di definire con un ragionevole grado di sicurezza quale sia l‘accezione di volta in volta rilevante. In questo capitolo e nel resto della trattazione si utilizzeranno, come confronto, le versioni italiane del Timeo di Lozza (1994) e Fronterotta (2006)7, ma si proporrà sempre una traduzione personale dei passi in esame. Alle occorrenze al perfetto, che risultano più problematiche per l‘interazione tra semantica e azionalità, si riserverà un sottoparagrafo a parte.

Nella sezione introduttiva si danno, naturalmente, casi in cui il valore trasformativo della radice è ben presente e la sfumatura semantica rilevante nella forma verbale è una di quelle prototipiche, ovvero ―nascere‖ o ―diventare‖. Per ―diventare‖ si vedano 18 d 7:                     , ―affinché diventassero subito i migliori possibili nelle loro nature‖; 21 e 8 ‒ 22 a 1: , ―Solone disse che, una volta giunto lì, venne ad essere molto onorato da loro‖; 23 b 1-2:  ―cosicché diventate per così dire giovani di nuovo da principio‖; 24 e 7-8:  ―diventava possibile per coloro che allora navigavano passare alle altre isole‖; 25 b 5-6: ―la potenza della città divenne manifesta‖.

Un‘azionalità di tipo trasformativo si può ascrivere, senza difficoltà, anche all‘occorrenza in 21 d 2:   ―né Esiodo né Omero né nessun altro poeta sarebbe mai diventato più illustre di lui‖8

. 

Per ―nascere‖ / ―sorgere‖ / ―venire ad essere‖ si veda 18 e 3:  ―che nessuna inimicizia nascesse tra loro per questo‖; 23 c 6-7: ―da essa si dice che sorsero («provennero»: Lozza) le più belle imprese e le più belle istituzioni‖.

A questi casi si può verosimilmente ascrivere anche 18 d 3: in questo passo si parla del regime afamiliare (o panfamiliare), per cui nello stato ideale ciascuno considererà come propri fratelli , ovvero ―quanti nascano nel giusto periodo di tempo‖. La traduzione di Fronterotta ―quanti fossero di un‘età conveniente‖, che neutralizza l‘azionalità trasformativa del verbo, corrisponderebbe meglio invece a un dettato come quello di Lisia, Epitafio per i Corinti, 50: ―quelli che erano nella stessa generazione‖

Un‘altra manifestazione dell‘azionalità trasformativa del verbo, strettamente connessa all‘accezione di ―nascere‖ / ―venire ad essere‖, è quella di ―verificarsi‖, che comprende in sé tutto un avvenimento invece di focalizzarsi solo sul momento del suo inizio. Si veda, ad

7

Il primo è un esperto di letteratura e lingua greca, il secondo di storia della filosofia antica: questo potrebbe determinare, naturalmente, un differente approccio traduttivo.

8

Dato che Omero e Esiodo sono precedenti a Solone ‒ elemento di comparazione in questo caso ‒ il riferimento può anche essere a una acquisizione di status nel giudizio di altri (―nessun altro sarebbe mai venuto ad essere / risultato più illustre‖). Una traduzione con ―diventare‖ o ―divenire‖ (adottata peraltro sia da Lozza sia da Fronterotta) è comunque senz‘altro accettabile, anche in ragione dell‘allusione a una successione di altri poeti che non avrebbero mai raggiunto il livello di Solone.

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esempio, 22 d 2: ―una distruzione che si verifica a grandi intervalli di tempo‖; 25 c 7:  ―essendosi verificati immensi sismi e cataclismi‖.

In alcune circostanze, esprime la nozione di ―venire ad essere‖ nel senso di ―risultare‖ e anche di ―comporsi di‖; a questo proposito, repertori lessicali quali il LSJ e il DGE (s.v.) ne segnalano l‘uso in riferimento a somme e quantità. A questa accezione può essere ricondotta l‘occorrenza in 17 c 2-3, riferita alla forma di governo:  / ―quale e a partire da quali uomini mi sembrasse risultare migliore‖. Nel caso specifico, comunque, svolge una doppia funzione (cosa non sorprendente, dato che il problema di distinguere le accezioni rilevanti è più del traduttore e dell‘interprete che non dello scrittore madrelingua9

, poiché, in riferimento al solo esprimerebbe essenzialmente un ―venire ad essere‖ di natura concettuale, poco distinto semanticamente da una semplice copula con Non a caso, tanto Lozza quanto Fronterotta sentono il bisogno di sciogliere la costruzione: il primo rende infatti con «quale mi sembrasse il migliore e da quali individui dovesse essere composto», il secondo con «quale apparisse a mio avviso la migliore e di quali uomini dovesse essere composta». Entrambi, si noti, inseriscono la perifrasi con ―dovere‖ poiché, traducendo semplicemente con ―di quali uomini fosse composta‖ avrebbero indebitamente attribuito all‘infinito aoristo un valore stativo.

Casi in cui esprime la nozione di ―venire ad essere‖, ―rivelarsi‖, ―risultare‖ al giudizio, con trasformatività ridotta se non neutralizzata e funzione di copula, sono comunque attestati anche altrove nel Timeo. Si veda ad esempio 19 d 1-2:

  

―so che non potrei mai risultare capace di lodare a sufficienza gli uomini e la città.‖

Esempi analoghi si registrano anche con usi assoluti del verbo; si veda ad esempio 19 e 110:

  

―ciò che risulta (viene ad essere) per ciascuno estraneo all‘educazione (ricevuta)‖.

Alcune occorrenze suggeriscono invece, come si diceva, un controllo sull‘evento da parte del partecipante. In questi casi,  manifesta caratteristiche analoghe a un verbo causativo (o, in prospettiva vendleriana, a un verbo risultativo11) riflessivo (―mi rendo x‖), in cui il soggetto sintattico, argomento agentivo del predicato di attività, ha controllo

9

Cfr. supra per le osservazioni di Kahn in merito a  10

, che nel testo greco segue immediatamente non costituisce con esso una predicazione, ma è riferito alla seconda parte della frase.

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sull‘evento, ma coincide anche con l‘argomento inagentivo della componente trasformativa. La struttura logica di un sintagma verbale quale ―mi rendo x‖ potrebbe essere rappresentata come [agire' (io)] CAUSARE [DIVENTARE (io, x)]12.

Un caso simile si trova in 18 a 2, in riferimento ai compiti dei guardiani della città ideale (si cita qui anche la frase precedente, che risulta funzionale alla contestualizzazione):

  

―giudicando benevolmente nei confronti dei loro sottoposti e di coloro che erano loro amici per natura, ma diventando implacabili (assumendo un atteggiamento implacabile) con i nemici che capitasse loro di incontrare in battaglia‖.

Evidentemente, i guardiani adotteranno consapevolmente una condotta dura nei confronti dei nemici; non a caso, tanto Lozza quanto Fronterotta traducono  con ―mostrandosi‖, che ne sottolinea l‘intenzionalità. D‘altro canto, è chiaro che i guardiani stanno ―assumendo un comportamento‖ e un‘attitudine circoscritta a un determinato tipo di situazioni, entrando quindi in uno stato momentaneo. Anche da questo punto di vista, dunque, si oppone alla copula della riga precedente, che descrive lo stato connaturato di coloro che sono ‗amici‘ dei guardiani, o a di 17 d 3, che descrive la loro condizione (stabile) di custodi.

Ancora più significativa, in proposito, è la sequenza presente in 18 a 4-7:



  

―dicevamo infatti, credo, di una natura dello spirito dei guardiani, che doveva essere allo stesso tempo notevolmente coraggiosa e incline alla filosofia, perché potessero diventare in modo corretto benevoli verso gli uni e implacabili verso gli altri‖.

Anche in questo caso, Lozza sottolinea l‘intenzionalità della trasformazione, traducendo con ―rivelarsi‖. Fronterotta, d‘altro canto, rende sia sia  con forme del verbo essere; è però evidente che l‘opposizione tra le due copule non è casuale:  si riferisce alla natura, alle qualità stabili dei guardiani, mentre focalizza l‘assunzione momentanea di un‘attitudine, di una qualità non intrinseca. Questo, si noti, è perfettamente in linea con la selezione dei due verbi come parole chiave, rispettivamente, del mondo eterno delle forme e di quello transeunte dei fenomeni, che sarà esplicitata nel prosieguo del dialogo.

Nella sezione introduttiva si danno solo due occorrenze di composti di . In 22 a 7 ‒ b 1 si trova un esempio in cui la natura del prefisso, che implica continuità o durata, annulla la valenza telica del predicato: / ―poi riguardo a Deucalione e Pirra, come sopravvissero /

12

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continuarono a vivere dopo il diluvio‖ (non, si noti, ―come sopravvissero al diluvio‖). In 23 c 2, invece, il participio aoristo si riferisce proprio a ―gli scampati‖, ―coloro che sopravvissero‖ a un evento preciso, ovvero a uno dei periodici cataclismi che si abbatterono sulla terra. In questo caso, il composto mantiene azionalità telica.

2.2.2 Occorrenze al perfetto

Per quanto concerne il perfetto, le occorrenze della forma mediale sono in linea con quanto delineato nel capitolo precedente: esse conservano effettivamente il valore trasformativo della radice, e presentano nello stesso tempo il perdurare della condizione raggiunta con il cambiamento di stato. In 18 c 9, ad esempio, compare il participio perfetto medio sostantivato , per indicare ―il loro nato‖, ovvero ―il loro figlio‖: evidentemente il collegamento con la nozione trasformativa di ―nascere‖ è rilevante in questa definizione. Lo stesso vale per 24 c 6: ―il luogo in cui siete nati‖.

Riguardo alle occorrenze di perfetto intransitivo, si danno dei casi in cui esso mantiene il proprio originario valore stativo. Un esempio è la formula cristallizzata per indicare l‘età, costituita dal participio seguito dall‘indicazione degli anni in accusativo13

, che è attestata in 23 e 4-5: ―riguardo ai cittadini di novemila anni‖ (in questo caso si tratta di cittadini ―che risalgono a novemila anni fa‖). Inequivocabile è poi 25 d 3-4:

 /  ―per questo anche ora quel mare laggiù è impercorribile e inesplorabile‖.

Si confronti anche 26 c 2-3:

/  

―cosicché sono durevoli in me come tracce ad encausto di un inchiostro indelebile‖.

La maggior parte delle attestazioni nella sezione introduttiva del Timeo manifestano, però, una sicura temporalizzazione in senso passato. Un esempio significativo si trova in 19 d 4 (si noti la presenza dell‘avverbio :

  

―sia riguardo ai poeti che c‘erano in passato sia riguardo a quelli che ci sono adesso‖

13

L‘accusativo del tempo continuato, si noti, non indica originalmente un conteggio a partire dal momento della nascita, ma una durata (―sono al mondo da x anni‖).

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Passi analoghi si trovano del resto anche in altri dialoghi platonici: si confrontino in proposito

Repubblica 392 d 2-3:

 ―dei mitografi e dei poeti (…) che ci sono stati o ci sono o ci saranno‖

e anche, in contesto tecnico, Leggi 896 a 6-8:

 ―la prima genesi e mozione delle cose che sono e sono state e saranno‖

Come risulta evidente, la funzione del perfetto intransitivo è in ogni caso ben distinta da quella del perfetto di forma media. Esso non mantiene assolutamente il valore trasformativo della radice né presenta il compimento di un passaggio di stato e il perdurare della situazione conseguita (l‘esistenza dei poeti del passato è chiaramente giunta al termine), ma funge da forma di preterito suppletiva per il verbo ―essere‖: non a caso è contrapposta al participio presente ‒ e, nei brani di Repubblica e Leggi, anche al participio futuro ‒ di . Questo indica che il perfetto intransitivo mantiene un valore stativo: il fatto che non sia stato impiegato il participio aoristo non è infatti casuale; l‘aoristo, che conserva azionalità trasformativa e focalizza il passaggio di condizione, non sarebbe stato adatto a fornire forme di passato per , mentre fornisce, regolarmente, forme temporalizzate di Gli esempi appena analizzati non autorizzano dunque in nessuno modo a interpretare forme di perfetto intransitivo, siano esse usate in contrapposizione con altre voci verbali derivate da o in isolamento, alla stregua di preteriti dello stesso , e nemmeno di participi perfetti di forma media nell‘accezione di ―essere venuto al mondo‖, ―essere nato‖ o ―essere diventato‖ (v. infra).

Osservazioni analoghe si applicano ad altre occorrenze; si veda, ad esempio, 21 b 8 ‒ c 2:

 /  

―(…) che gli sembrava che Solone fosse stato non solo il più saggio nelle altre cose, ma anche nella poesia il più libero di tutti i poeti‖.

In realtà, sarebbe forse lecito anche assegnare a semplicemente la funzione di copula con valore stativo (―che Solone fosse non solo il più saggio…‖) senza connotazione temporale, poiché la valutazione comparativa dei diversi poeti potrebbe essere posta su un piano acronico. Più probabilmente, tuttavia, anche in questo caso il perfetto intransitivo di svolge la funzione di passato di (nello specifico esprimendo, nella subordinata infinitiva, anteriorità rispetto al momento dell‘enunciazione): in tal senso rendono anche Lozza e Fronterotta. Non ci sono indizi contestuali, invece, che inducano ad attribuire all‘infinito un valore perfettivo in relazione alla semantica di ―che Solone fosse

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diventato / venuto ad essere non solo il più saggio…‖), poiché non vi è alcun riferimento a un cambiamento di status di Solone nella valutazione di chi parla14.

L‘occorrenza in 22 c 1-2 potrebbe, invece, dare adito a dibattito:

 

―molte e varie catastrofi per gli esseri umani ci furono e ci saranno‖.

L‘interpretazione più immediata, in ragione dell‘opposizione di ae alla luce di quanto emerso dagli altri esempi, è che, anche in questo caso, il perfetto funga da passato del verbo per ―essere‖; in tal senso traduce Fronterotta. Da un punto di vista puramente contestuale e contenutistico, tuttavia, anche una traduzione con ―vennero ad essere‖ / ―si verificarono‖ darebbe senso (cfr. Lozza: ―avvennero‖). Si noti, tuttavia, che una simile resa non testimonierebbe, in ogni caso, un valore ―perfettivo‖ della forma intransitiva: non vi è, infatti, alcuna allusione a una persistenza dello stato raggiunto con la catastrofe, ma si sottolinea piuttosto il verificarsi di singoli eventi nel corso della storia passata e futura15. In base a questa occorrenza si potrebbe dunque, tutt‘al più, considerare come un vero e proprio preterito di e ascrivergli valore aoristico; in ogni caso, il momento focalizzato non sarebbe solo il venire ad essere dell‘evento, ma, complessivamente, il suo darsi nel passato.

Un discorso in parte analogo vale per l‘occorrenza in 23 a 3 (si riporta il brano che va da a 1 ad a 5 per facilitare la contestualizzazione):

  

 /  

―e di quanto (accade) presso di voi o qui o in un altro luogo di cui siamo a conoscenza per averne sentito parlare, se mai qualcosa è bello o grande o dotato di qualche altra distinzione, tutto è scritto fin dall‘antichità qui nei templi e preservato‖

Come risulta evidente dalla traduzione proposta, in questo caso sarebbe lecito ascrivere a il suo originario valore stativo (―se mai qualcosa è bello‖, o anche ―se mai c‘è qualcosa di bello‖), senza bisogno di postulare una temporalizzazione. Anche Lozza (ad loc.), si noti, rende l‘intero brano al presente: si parla, del resto, della registrazione perpetua dei fatti che si verificano nel mondo, pratica descritta come ancora in uso al momento dell‘enunciazione. Qualora si volesse, invece, enfatizzare la documentazione di eventi antichi, si potrebbe svolgere al passato la perifrasi nominale (―e di quanto accadde presso di voi‖, e considerare , ancora una volta, alla stregua di una forma di passato del verbo ―essere‖ (―se mai qualcosa fu bello…‖, o anche ―se mai ci fu qualcosa di bello‖). Qualora si preferisse invece, come fa Fronterotta (ad loc.), rendere il perfetto con ―è avvenuto‖ («se è avvenuto qualcosa di bello») si assegnerebbe ancora una volta a un

14

Per 21 d 2, in cui si allude invece, effettivamente, al raggiungimento del livello di Solone da parte di altri, ed è non a caso impiegato l‘aoristo, v. supra, nell‘elenco delle occorrenze in cui  mantiene azionalità trasformativa.

15

Cfr. 22 d 2 (riportato supra tra gli esempi con valore trasformativo), in cui si parla di una distruzione periodica che si verifica dopo lunghi intervalli di tempo.

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valore aoristico riferito, globalmente, al verificarsi di un evento, e non un valore perfettivo: il brano tratta, infatti, di singoli eventi puntuali.

Ancora, come equivalente di una forma di participio del verbo per ―essere‖ al passato è verosimilmente da considerare l‘occorrenza in 23 b 6:  ―essendocene stati molti in precedenza‖; anche in questo esempio il valore perfettivo è in ogni caso escluso.

Sembrano esserci indizi contestuali sufficienti ad eliminare tale opzione anche per 23 b 7-8:    , ―non sapete che la più bella e migliore stirpe tra gli uomini ci fu nella vostra terra («visse proprio fra voi»; Lozza: ad loc.)‖; nemmeno in questo caso, infatti, è focalizzato il compimento di un processo e il perdurare di una situazione. La traduzione di Fronterotta (ad

loc.), che mantiene la nozione del passaggio di stato, sarebbe compatibile, in realtà, proprio

con una interpretazione in senso perfettivo: «è sorta nella vostra terra»16. È vero che, subito dopo, si afferma che gli Ateniesi dei tempi di Solone sono discendenti di sangue di questa popolazione antica; non c‘è dubbio, però, che tra le due civiltà ci sia una cesura, poiché questa cultura è stata dimenticata, e il sacerdote egizio ne sta rivelando la remota esistenza: tale antica stirpe, descritta come la più bella e la migliore, esaurì in quanto tale il proprio ciclo nel passato.

L‘unica occorrenza della sezione introduttiva che sembrerebbe autorizzare, effettivamente, anche un‘interpretazione in senso perfettivo simile a quella della forma mediale, si trova in 27 a 7-8. Si è ormai a ridosso del discorso di Timeo; Crizia sta infatti esponendo la ripartizione degli argomenti in vista del prosieguo della conversazione (si riporta qui il contesto più ampio, da 27 a 3):      

―ci è sembrato infatti opportuno che Timeo (…) parlasse per primo cominciando dall‘origine del cosmo, e finisse alla natura degli esseri umani; che io poi, dopo costui, come avendo ricevuto da lui gli esseri umani che esistono grazie al (suo) discorso, e da te alcuni di essi di particolare educazione (…)‖.

Un elemento a favore della traduzione proposta per è il confronto con un passo del discorso di Timeo, in 55 d 7: ―le specie che ora esistono grazie al nostro discorso‖, laddove l‘avverbio temporale ―ora‖, suggerisce che il perfetto esprima uno stato, contemporaneo al momento dell‘enunciazione.Le traduzioni di Lozza («gli uomini già nati dalla sua parola») e Fronterotta («gli uomini cui ha dato vita con il suo discorso»), e anche quella inglese di Lamb (1925: ad loc; «mankind, already as it were created by his speech») sottolineano invece, nell‘occorrenza di 27 a 8, tanto l‘azionalità trasformativa della radice, nell‘accezione di ―nascere‖ / ―venire al mondo‖, quanto l‘aspetto perfettivo. Ora, evidentemente il contesto non permette di escludere tale ipotesi, e impieghi di questo genere, in cui il perfetto, per il suo legame paradigmatico con il presente è

16

Non si intende necessariamente suggerire, con ciò, che Fronterotta abbia interpretato la forma verbale in senso perfettivo; è più che possibile che si tratti, semplicemente, di una traduzione libera, più o meno equivalente ad ―ebbe luogo‖.

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usato in associazione con sintagmi che esprimono una causa o un‘origine, svolgeranno indubbiamente un ruolo rilevante nella successiva reinterpretazione di come forma temporalizzata (v. infra). È però quantomeno lecito chiedersi perché Platone, se voleva esprimere effettivamente questo contenuto, non abbia impiegato, come altrove, un perfetto medio, ma abbia scelto una forma cui assegna invece consistentemente significazioni differenti. In base al confronto con le altre occorrenze finora esaminate, sarebbe maggiormente plausibile (ma la prima ipotesi sembra comunque decisamente da favorire) riconoscere, anche in questo esempio, una forma usata in sostituzione di un participio di ―essere‖ al passato, e rendere con ―gli uomini che c‘erano nel discorso‖ o ―gli uomini di cui il discorso si era occupato‖, con una sorta di dativo di possesso.

Alla dimensione della nascita / generazione, più che a quella del divenire (v. infra), è ascrivibile l‘occorrenza di (―origine‖)l‘unicanella sezione introduttiva (27 a 5-6).

2.3 Occorrenze in contesto tecnico

2.3.1 Tim 27 c 4-5

La sezione di maggior rilevanza filosofica si apre con il discorso di Timeo in 27 c 1, e, già in 27 c 4-5, compare un passo cruciale, che comprende un‘occorrenza del verbo queste righe hanno attirato l‘attenzione non solo di esperti di filosofia antica, ma anche di filologi, poiché ai problemi di interpretazione sono strettamente connesse difficoltà di natura testuale. Il dettato accolto in sede di edizione critica in Burnet (1902) e Rivaud (1963) è il seguente:

 

―noi che ci accingiamo in qualche modo a fare i discorsi riguardo all‘universo, in che modo17 esiste in rapporto con il divenire e la generazione o anche è esente dal divenire e dalla generazione‖.

La traduzione proposta, perfettamente legittima in base ai valori attestati altrove per il perfetto, assegna a valore stativo, in questo caso al presente. viene considerato, in tal senso, come l‘espressione di una condizione, al pari di  non si individua dunque nella forma verbale l‘indicazione del momento della nascita dell‘universo, cosa che sarebbe stata adeguatamente espressa con un aoristo, né si accentua il compimento dell‘azione di nascere (―in che modo sia venuto ad esistere‖), come un perfetto medio autorizzerebbe a fare. Si considera, invece, la qualità dell‘universo, ovvero il suo ―essere‖ che è un essere diverso da quello del mondo delle Forme, poiché ha una relazione con il divenire e con la generazione, il che è linguisticamente espresso dal legame

17La traduzione segue, per il momento, il dettato accolto a testo dalle edizioni critiche di riferimento; sulla possibilità che altre lezioni, e quindi una diversa traduzione, siano preferibili, si tornerà in seguito.

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paradigmatico del perfetto con il presente trasformativo Si noti, del resto, che l‘aggettivo non ricorre altrove nella produzione platonica (cfr. Brandwood, 1976:

s.v.): in realtà, da una ricerca lessicale nel TLG questa risulta esserne la prima attestazione in

assoluto nella letteratura greca. Il significato di ―ingenerato‖ viene di solito assegnato in base al contesto e in ragione di una interpretazione di con valore aoristico o perfettivo; di per sé, tuttavia, l‘aggettivo può significare semplicemente ―esente da rapporti con il ‖Altrove nel Timeo (41 b 7, 52 a 1), per esprimere inequivocabilmente la nozione di ―non (ancora) creato‖, Platone usa invece l‘aggettivo , etimologicamente connesso con il causativo lo scambio è comunque molto facile nella tradizione manoscritta, il che determina, talora, una certa sovrapposizione di significazioni nei lessici: cfr. Ast, s.vChantraine, 2009: s.v. ascrive del resto la contaminazione «entre les formes à geminées et les formes sans géminées» al greco tardo18. Nella scelta del perfetto e del neologismo risiede, a parere di chi scrive, la peculiare ambiguità contenutistica del passo; questo è, anzi, un ottimo esempio del metodo filosofico di Platone, che, in punti cruciali, adotta una formulazione sufficientemente vaga da aprire al dibattito e alla riflessione tra i discepoli e i fruitori.

Ora, è opportuno ricordare che sul significato di questo‒che ritorna, significativamente, anche in 28 b 7 ‒ in particolare, e del passo in generale, gli interpreti sono stati divisi per secoli19. Aristotele nel De Caelo, forse in buona fede, forse provocatoriamente, afferma che Platone descrive nel Timeo la creazione dell‘universo nel tempo, pur sostenendo che l‘universo stesso non avrà una fine. Si veda 280 a 28 ss.20

:     

―ci sono infatti alcuni ai quali sembra opportuno ammettere che sia qualcosa di ingenerato perisca sia qualcosa che ha avuto origine perduri incorrotto, come nel Timeo: lì infatti (Platone) dice che il cielo (i.e. l‘universo) è venuto ad esistere, e ciononostante esisterà per la restante eternità‖.

Si noti che nella propria esposizione Aristotele adotta forme aoristiche di il cui valore trasformativo è indubbio, e il più frequente aggettivo La verità, però, è che nel passo di Platone in esame (come in 28 b 7) non si dichiara esplicitamente che l‘universo è venuto ad essere in un determinato momento: Platone avrebbe potuto rendere l‘affermazione inequivocabile adottando, appunto, un aoristo, o persino un perfetto medio, ma ha deliberatamente preferito non farlo. Questa osservazione è del resto presente già in Baltes, (1999: 320) che, senza adottare una terminologia linguistica e sottolineando piuttosto la dimensione del compimento, mostra comunque di percepire molto chiaramente che

18

Per una discussione a carattere etimologico sull‘origine della geminata presente in e in forme ad essi connesse, cfr. ad es. Chantraine (2009: s.v. e Beekes (2010: s.v. ).

19

Per alcune indicazioni bibliografiche in proposito, v. Fronterotta (2006: 176, n. 70). 20

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non ha azionalità trasformativa, ma rappresenta piuttosto uno stato21

. A forme di aoristo o di presente, non a caso, avevano fatto ricorso filosofi precedenti, nell‘affrontare il tema della generazione e il rapporto tra generazione e corruttibilità; si vedano, a titolo di esempio, i seguenti passi, che provengono rispettivamente dai frammenti 1 e 2 di Melisso:



 

―ciò che era, era sempre e sempre sarà. Se infatti venne ad essere, è necessario che, prima che venisse ad essere, non ci fosse nulla‖;

  

―se infatti venne ad essere, avrebbe un‘origine (avrebbe avuto infatti un inizio, essendo venuto ad essere a un certo punto) e una fine (sarebbe giunto infatti a una fine, essendo venuto ad essere a un certo punto)‖;

 

e questi estratti dal frammento 8 di Parmenide:

  

―come poi potrebbe morire ciò che è? Come potrebbe nascere? Se infatti venne ad essere, non è, né (è) se è destinato ad essere a un certo punto‖

 

 

―nascere e perire, essere e non essere‖ 

In ogni caso, da un punto di vista puramente contestuale, alla luce della rilevanza che il tema rivestiva, continuativamente, nel dibattito filosofico, una simile interpretazione è senz‘altro plausibile, e che i passi del Timeo siano stati intesi in tal senso è dimostrato dai tentativi di generazioni di platonici di aggirare il potenziale problema dottrinale ed eludere l‘apparente discrepanza tra la dottrina platonica e quella aristotelica. Come osserva Sedley

21

«Wenn das richtig ist, dann ist auch (28 B 7) nicht im Sinne eines einmaligen Schöpfungsaktes zu verstehen – für diesen hätte man ja auch eher die Form erwartet. besagt vielmehr, daß das Werden und Entstehen im Zustand der Vollendung ist: Die Welt ist als seine entstandene, wie Platon vom Kosmos selbst sagt (31 B 3)». Su  v. infra. Baltes cita come confronto per illustrare il significato di anche la formula  riferita da Proclo (In Timaeum 1.290.23 ss.) al cosmo; in realtà, dal punto di vista linguistico, mentre il participio presente rappresenta il divenire in atto e il perfetto medio il valore, appunto, perfettivo di ―essere venuto ad esistere‖, il perfetto intransitivo esprime, come ormai noto, innanzitutto uno stato, connesso al mondo del divenire e della generazione per il suo legame paradigmatico con il presente.

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50

(1997: 110), infatti, «since the founder of your school is ex officio above criticism, you must seek a compromise between adjusting your views to fit what he says (…) and adjusting, that is, reinterpreting, what he says to fit your views». Non rientra evidentemente negli obiettivi del presente studio ripercorrere la storia delle esegesi platoniche (cfr. in proposito Baltes, 1999; Baltes, 1976-1978; Dörrie – Baltes, 1987-, vol. III: 296 ss., Ferrari, 2001 e indicazioni bibliografiche relative): può essere però opportuno ricordare alcune delle soluzioni adottate, perché ciò consentirà di ritornare, circolarmente, alle difficoltà di natura testuale cui si faceva cenno in precedenza.

Uno dei metodi seguiti dagli antichi interpreti consiste nel considerare ogni allusione alla genesi dell‘universo nel Timeo come una mera finzione metodologica ―a fini didattici‖ (:cfr. i frammenti 153-154 di Senocrate e 61 a – 61 b di Speusippo: TLG)22.

In alternativa, si è cercato di trovare una scappatoia facendo leva proprio sulla semantica complessa di e degli aggettivi corradicali: si consideri, come esempio, il passo del filosofo medioplatonico Calveno Tauro23, preservato in Giovanni Filopono, De aeternitate

mundi, 145 ss., in cui si fa tra l‘altro esplicito riferimento alla sequenza contenente il perfetto

in 28 b 7. Qui si sostiene che il mondo per Platone, secondo alcuni dei suoi interpreti, sarebbe  secondo quattro accezioni differenti del termine: non perché venuto ad essere (, ma perché dello stesso genere delle cose generate; perché composto concettualmente, e quindi costituito di parti non temporalmente successive24; perché sempre in divenire25, evidentemente senza che questo divenire abbia un inizio; perché il suo essere gli deriva da altrove, cioè dalla divinità (v. infra).

Si noti che gli elementi addotti rientrano piuttosto bene, in effetti, nell‘uso tecnico che Platone fa di Essi non si adattano però, evidentemente, a tutte le forme del verbo; una spiegazione come:

    22

Plutarco, De animae procreatione in Timaeo, 1013 a 8, a proposito appunto della generazione dell‘anima, parla di una esposizione ―a scopo di rappresentazione‖.

23

V. Gioè (2003: 260-261). 24

Cfr. supra per l‘uso di nell‘accezione di ―risulta‖, ―si compone di‖. 25

Cfr. Albino (?), Didascalico, 14.3.1-4 (TLG):   ―qualora dica che l‘universo è generato, non bisogna interpretare questa affermazione nel senso che ci fu mai un tempo in cui l‘universo non esisteva; ma (nel senso) che è sempre in processo di nascita / trasformazione, e manifesta (che esiste) una causa primaria della sua esistenza‖. L‘interpretazione del Didascalico sottolinea evidentemente l‘accezione di ―nascere‖ più che quella di ―divenire‖, ed inserisce un riferimento alla quarta accezione di , ovvero una causa esterna da cui il mondo si genera perpetuamente: cfr. Dillon (1989: 61). La formulazione di Tauro, con il riferimento a Proteo, è invece decisamente più orientata sul ―divenire‖. Cfr. anche Alessandro di Afrodisia citato in Filopono, De

aeternitate mundi, 213.23-25: 

―non, come dicono alcuni dei Platonici, l‘universo che è ingenerato è detto generato (ma anche ―connesso con il divenire‖) nella sua opera (lett. ―presso di lui‖) per il fatto che ha la (sua) essenza nel divenire‖.V. Dillon (1989: 59). 

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51

―l‘universo è detto generato, in quanto è sempre in divenire, assumendo come Proteo svariate forme‖

esprime adeguatamente, come si vedrà a breve, la natura cangiante del mondo fenomenico, la sua condizione ontologica, per così dire, in quanto espressa, per esempio, dal participio presente; non è però assolutamente applicabile al perfetto, che in nessun caso, a prescindere dall‘interpretazione che gli si vuole assegnare, può rappresentare un divenire in atto. In ogni caso, forse significativamente, le interpretazioni ricordate in precedenza riguardano l‘aggettivo (che non compare in 27 c 5 e 28 b 7 in riferimento al mondo, anche se  è riferito al modello della generazione in 28 b 1 e alle cose sensibili in 28 c 2) e non, appunto, la forma di perfetto. D‘altra parte, un‘affermazione come quella riferita da Alessandro di Afrodisia (―il cosmo è detto genetós perché ha la sua essenza nel divenire‖riportata supra in nota, testimonia, comunque, un‘intuizione corretta: evidentemente il  di Platone, pur non potendo essere tradotto con ―è in divenire‖, testimonia, in ragione del suo legame paradigmatico con  un ―essere‖ irrimediabilmente compromesso con la generazione e con il cambiamento.

Oltre all‘intrinseca ambiguità del dettato di Platone e al desiderio degli interpreti di piegarlo ai propri fini, anche la distanza temporale e linguistica che separava l‘uno dagli altri contribuiva verosimilmente ad accrescere le difficoltà esegetiche, fino a determinare proposte palesemente in contraddizione con la lettera del dialogo. Sedley (1997: 113 ss.) considera non casuale il fatto che il primo commentatore di Platone, Crantore (a sua volta un sostenitore della tesi secondo la quale il mondo sarebbe per Platone  in quanto procedente da una Causa esterna: v. fr. 9 Mette, TLG), fu attivo nel periodo 310-275 a.C., in coincidenza con la prima generazione di parlanti nativi di koiné. Dato che «this simplified version of Greek lacked some of the forms and much of the vocabulary of classical Attic» (113), il greco di Platone sarebbe risultato antiquato ed oscuro, per cui «it is a plausible guess that Crantor had developed the philosophical commentary partly in order to help his pupils cope with Platonic Greek» (115); per quanto il movimento atticista determinasse, in seguito, un parziale riavvicinamento linguistico, la lingua classica non fu mai ricreata completamente, tanto che si pubblicarono manuali dedicati, appunto, al greco di Platone.

Nel caso specifico, si noti, una strutturazione a base prevalentemente temporale dei paradigmi verbali avrebbe reso i relitti di una articolazione azional-aspettuale particolarmente vulnerabili. Il processo di temporalizzazione, che si vede iniziato per nel Timeo relativamente alla sua azionalità stativa, culminerà, ad esempio nel greco del Nuovo

Testamento26, con la presenza di testimonianze inequivocabili di un suo uso come vero e proprio preterito di , con o senza valore perfettivo (Lc 14.22: ―è (stato) fatto quello che hai ordinato‖; Mt 1.22:  ―tutto questo è accaduto perché si adempiesse ciò che è stato detto dal Signore tramite il profeta‖Mt 25.6: , ―nel mezzo della notte si levò un grido‖). Tali forme coesistono comunque con altre che mantengono il valore stativo, non temporalizzato(Gv 1.3: ―tutte le cose vennero ad esistere per mezzo di esso, e senza di esso non venne ad esistere niente [di ciò] che esiste‖) o temporalizzato (Lc 10.36:    ―chi di questi tre ti sembra sia stato il

26

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52

prossimo di colui che si era imbattuto nei briganti?‖)27

. Ciò avrebbe avuto naturalmente ricadute anche sulla interpretazione di forme analoghe in testi più antichi.

Il terzo metodo adottato dai seguaci di Platone per risolvere percepite incongruenze consisteva, come anticipato, in interventi sul testo, definiti da Dillon (1989) ideological

emendations, intesi a disambiguare il dettato del dialogo in oggetto. Nel brano in esame, tali

interventi si sono concentrati sugli elementi che connettono e con il risultato che, ad oggi, non vi è consenso tra gli studiosi su quale sia la lezione autentica. La sequenza accolta da Burnet (1902) e Rivaud (1963) e riportata

supra è, secondo l‘apparato critico dei due editori, quella attestata dal manoscritto A (cfr.

Jonkers, 1989: 91, 163, 251: egli ne segnala la presenza tra l‘altro in C e la definisce «correct reading»). Accogliendola, si introdurrebbe qui una dicotomia sbilanciata: non ci si limiterebbe infatti a presentare e  come alternative, ma, per si insisterebbe subito sulle modalità in cui il particolare statuto del mondo fenomenico si esplicherebbe, o, nell‘interpretazione trasformativa, sulle modalità in cui il mondo sia venuto ad essere. Come sottolinea Dillon (1989: 57), in ogni caso, tale lezione, di fatto, non indirizza l‘interpretazione in favore di uno dei due elementi: come tale, sarebbe meno sospetta di altre. Whittaker (1973: 389 ss.) precisa, tuttavia, che, a differenza di quanto riportano Burnet e Rivaud (che erano stati seguiti in questo anche da Whittaker, 1969: 184), in A si legge secondo Jonkers, 1989: 91, con il segno di espunzione sullo iota, il che indicherebbe la volontà di adottare, forse sulla scorta di un diverso esemplare, la lezione attestata peraltro nei manoscritti F e Y (cfr. anche Jonkers, 1989: 196, 199). Anch‘essa è ideologicamente neutra e, rispetto a quella accolta da Burnet e Rivaud, ha il vantaggio di presentare all‘inizio dell‘argomentazione un‘alternativa secca28

, senza introdurre una riflessione sulla modalità che ci si attenderebbe, piuttosto, nel prosieguo del discorso, una volta che si fosse optato per una delle due soluzioni. La testimonianza di Proclo, In Timaeum 1.219.21 ss.:

                    

―Porfirio e Giamblico mettono lo spirito dolce ad entrambe le forme, affinché ciò che si dice sia ‗se l‘universo o se è ‘‖

autorizza a ipotizzare che anche i due filosofi neoplatonici menzionati, che pure intendevano il racconto della genesi dell‘universo come finzione metodologica, accogliessero tale lezione e quindi ammettessero che Platone, in questo punto, avesse lasciato aperta l‘alternativa (poi comunque risolta, come si vedrà, in 28 b 7 in favore di L‘unico dubbio risiede nel fatto che Proclo, parlando di forme con lo spirito dolce, potrebbe intendere tanto quanto …Whittaker (1973: 390) sottolinea infatti che la lettera <> potrebbe rappresentare semplicemente il suono, identico in entrambi i casi nella pronuncia itacistica, e quindi indicare l‘una o l‘altra forma a seconda dei casi. Ad ogni modo, la variante …sarebbe, a sua volta, essenzialmente neutra (secondo la proposta traduttiva sostenuta in questa sede: ―ci accingiamo a fare discorsi riguardo all‘universo, se sia connesso al divenire e alla generazione

27

Significativamente, nella Vulgata, è reso in questo passo con l‘infinito preterito di essere, fuisse.

28

Cfr. Mayser (1934: 53 ss.), segnalato da Whittaker (1973: 390, n. 9), per l‘uso di  nelle interrogative disgiuntive.

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o se ne sia esente‖). Essa, si noti, era accolta anche da Giovanni Filopono (es. De Aeternitate

mundi, 136.8)29, è attestata da tutta la tradizione manoscritta nel commento al Timeo di Proclo in 1.275.8 ss. (Dillon, 1989: 57) ed accolta a testo nell‘edizione di Diehl (seguita nel TLG) anche in 1.236.430; è inoltre considerata la migliore da Whittaker31. Dal punto di vista contenutistico, tutte e tre le opzioni menzionate finora sono perfettamente coerenti con l‘intento platonico, che è, a questo stadio, di presentare due possibilità (comunque si interpretino gli elementi in oggetto).

Tra le lezioni decisamente più sbilanciate in favore di un‘interpretazione, e pertanto più sospette32, è opportuno segnalare almeno , che si può desumere da Proclo, 1.218.28: egli riferisce infatti che alcuni leggono la prima  come aspirata e la seconda come non aspirata, il che, come si è detto supra, può valere tanto perquanto per La spiegazione successiva (―nella misura in cui è generato da una causa, se anche è ingenerato‖induce però Whittaker (1973: 390) a individuare qui, appunto, la lezione interpretabile proprio come ―nella misura in cui è generato, se anche è ingenerato‖. Filosofi come Albino, secondo Proclo, propendono infatti per l‘ipotesi che il mondo sia ―generato‖ perché ha un principio di creazione, in quanto è composto di più elementi e dipende da una causa esterna (cfr. le interpretazioni riportate supra), attraverso la quale è in qualche modo ()33 eternamente esistente. Giovanni Filopono (De aeternitate mundi, 186.17 ss.), dopo aver citato il passo nella forma …testimonia che Calveno Tauro ‒ oltre a sfruttare, come si è visto, la semantica ampia di e dei corradicali per negare la realtà di una creazione nel tempo ‒ invocava a sua volta una lettura della seconda parte del segmento come adducendo come parallelo un passo dell‘Iliade ( 215) in cui parte della tradizione, peraltro, non riporta affatto cfr. il testo accolto da Allen, 1931: ―senz‘altro anche era più giovane‖

Tali interventi tendenziosi erano comunque già riconosciuti come tali e biasimati da Alessandro di Afrodisia (citato in Filopono, De aeternitate mundi, 214.10 ss.):

  ῾     29

Cfr. Whittaker (1973: 391) per le altre occorrenze. Filopono propendeva per la realtà della genesi nel tempo: cfr. De aeternitate mundi, 186.4-5.

30

Si veda Dillon (1989: 57) per le alternanze nella tradizione manoscritta di Proclo, nei diversi punti in cui egli menziona il segmento in esame.

31

Jonkers (1989: 91) ne attesta la presenza anche in Simplicio. 32

Proclo, In Timaeum, 1.219.14 ss. attesta anche, da parte di alcuni interpreti, una lettura Cfr. Jonkers (1989: 226-227) a proposito di una correzione in tal senso nella tradizione manoscritta del Timeo.

33

Cfr. il presente a testo nel Timeo, ma indicato con il segno di espunzione in A e assente in Alessandro di Afrodisia nella sua citazione del Timeo preservata da Filopono (De aeternitate mundi 214.8). Dillon (1989: 59, n. 20) propone che anche questa possa essere un‘aggiunta dei platonici di II secolo.

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―sono ridicoli infatti coloro che tentano di cambiare in e leggere Infatti, a parte il fatto che è assurdo inserire ciò che non corrisponde al dettato originale (lett.: ―ciò che non è così‖), in aggiunta, ciò che loro dicono è anche insensato e non ha consonanza in nessun modo con quanto segue‖.

―Quanto segue‖, si noti, è appunto la risoluzione dell‘alternativa in favore di in 28 b 7.

Alla luce di tale «frantic activity» dei seguaci di Platone, Dillon (1989: 72) fa un‘affermazione significativa: «what is disturbingly plain (…) is that the Master himself managed to avoid giving any definitive account of what he meant to his immediate followers. How he managed to avoid this I do not know, but I see no other explanation of the phenomena». Lo stesso Dillon osserva in altra sede (1997: 42) che i compagni di Platone, pur desiderando forse chiarimenti, si saranno adeguati al modo di procedere prediletto dal filosofo, che tali soluzioni, deliberatamente, non dava. Una risposta perlomeno parziale al ―come‖ risiede, innanzitutto, nella voluta ricerca di formulazioni ambigue e polisemiche, che lasciano spazio a diverse interpretazioni: Kahn aveva individuato questo metodo nelle sue indagini sul verbo ―essere‖ (v. supra); nel caso in esame si tratta invece dell‘uso di un perfetto intransitivo e di un probabile neologismo, associati alla spiccata polisemia della famiglia lessicale. Quanto al ―perché‖ Platone evitasse formulazioni inequivoche, Baltes (1999: 323-325) ritiene che egli non volesse uccidere il dibattito tra i suoi seguaci fornendo soluzioni già pronte ai problemi, o, nelle parole di Dillon (1997: 42), «he did not want to preempt discussion by laying down the law»: il suo compito sarebbe stato invece quello di porre una questione e stimolare la ricerca di risposte personali. Il filosofo avrebbe cercato, volutamente, di rendere non immediata la comprensione, per lasciare spazio all‘interiorizzazione e allo sforzo del singolo e selezionare, in qualche modo, fruitori non superficiali. In tal prospettiva sarebbero da interpretare, secondo Baltes, anche le allusioni alla difficoltà della materia in oggetto e della sua espressione, disseminate all‘interno del dialogo (cfr. ad es. 27 d 2-4, 28 c 3, 48 c 2 ss., etc.: v. infra), nonostante l‘alto livello degli interlocutori (cfr. 26 d 5 ss., 53 c 1). Per questo motivo, che diversi interpreti desumessero dal suo insegnamento contenuti differenti sarebbe stato non solo accettabile, ma anzi, desiderabile. Come si è anticipato, del resto, ciò sarebbe perfettamente coerente con il metodo maieutico di impronta socratica, e con la continua rinegoziazione tipica del dibattito orale.

2.3.2 Tim 27 d 5 – 28 b 2

L‘opposizione tra la dimensione dell‘―essere‖ e quella del ―divenire‖ è esplicitata per la prima volta in 27 d 5 ‒ 28 a 1:

  

―bisogna dunque a mio parere distinguere in primo luogo queste cose: che cos‘è ciò che sempre è, e non ha divenire, e che cos‘è ciò che diviene sempre, e non è mai?‖.

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