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Capitolo 3 Senza oneri per lo Stato?

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Capitolo 3

Senza oneri per lo Stato?

1. Pluralismo scolastico e libertà di scelta

Coessenziale allo sviluppo e all’evoluzione della persona umana, assieme alla garanzia del diritto all’istruzione, a beneficio di tutti, secondo quanto ci deriva dal principio di uguaglianza sostanziale – ex art. 3, Cost. – il principio del pluralismo scolastico1 viene espresso all’articolo 33 della nostra Costituzione.

La Repubblica, affinché ciascuno possa godere pienamente del diritto all’istruzione e realizzare la propria personalità, si impegna ad istituire scuole statali per ogni ordine e grado “aperte a tutti” (art. 33, c. 2, Cost.) così come, allo stesso tempo, permette che enti e privati

1 Non è possibile affrontare compiutamente in questa sede il versante del pluralismo interno, nel

senso di “libertà di insegnamento”, per il quale si intende rimandare, tra gli altri, a V. CRISAFULLI,

La scuola nella Costituzione, cit., p. 67 ss.; S. DE SIMONE, Sistema del diritto scolastico italiano,

cit., p. 237 ss.; S. MASTROPASQUA, Cultura e scuola nel sistema costituzionale italiano, cit., p. 33 ss; U. POTOTSCHNIG, Insegnamento istruzione scuola, cit., p. 677 ss.; L. ZANNOTTI, La libertà di

insegnare nella scuola che cambia, in C. MARZUOLI (a cura di), Istruzione e servizio pubblico,

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possano dar vita a proprie scuole ed istituti di educazione, senza che da ciò derivino oneri per lo Stato (art. 33, c. 3, Cost.)2.

Una volta assicurato che la domanda d’istruzione possa venire soddisfatta per il tramite di un’offerta di istruzione pubblica, pare in tale modo garantirsi la possibilità di creare scuole diverse, idonee, alle quali abbiano accesso le persone che ritengano il servizio da queste impartito più consono ai propri interessi, alle proprie aspirazioni, ai propri valori e ideali. Ne deriva una situazione per cui ciascun cittadino avrebbe non solo l’opportunità di istruirsi, ma anche di scegliersi il tipo di istruzione ritenuta maggiormente confacente alla propria personalità e al proprio pensiero.

Il sistema scolastico misto espresso dalla nostra Carta fondamentale, fondato sulla contemporanea presenza di scuole pubbliche e private, ha spinto una parte della dottrina3 ad esprimere che libertà e pluralismo scolastico costituiscono il logico corollario della libertà di scelta costituzionalmente riconosciuta ai genitori e sono espressione del diritto di questi di impartire come meglio ritengono l’educazione e l’istruzione ai propri figli, sul presupposto

2

Con l’affermazione della c.d. “libertà della scuola” viene a depotenziarsi l’idea del monopolio pubblico dell’istruzione e con essa quella che la scuola privata possa ritenersi una ipotesi di esercizio privato di pubblica funzione, accostandosi all’istruzione pubblica un diverso tipo di istruzione retto da regole diverse ed espressione di autonomia privata. Così M. GIGANTE, Art. 33

della Costituzione: tecnica e politica nell’ordinamento dell’istruzione, cit., p. 424.

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che la norma ex art. 33, c. 3, Cost., costituisca svolgimento e puntualizzazione del più generale principio dell’art. 30, c. 1 Cost.; è stato replicato che la disposizione in esame sarebbe, invece, da ricollegarsi al principio di rilevanza costituzionale dell’istruzione: visto che gli artt. 33 e 34 Cost. contengono un complesso organico di norme su istruzione e scuola (c.d. costituzione scolastica4) non si vede per quale motivo si dovrebbe ricollegare talune di queste norme a principi estranei a tale complesso normativo5.

Potremmo ben dire, allora, che sul territorio italiano svolgono le loro attività la scuola pubblica – e non potrebbe essere diversamente visto che lo Stato non può, nella maniera più assoluta, abdicare al suo dovere educativo6 – e la scuola privata, purché non riceva contributi statali: questo il modo in cui si è cercato di risolvere, per così dire, il

4 Per usare l’espressione presente in S. MASTROPASQUA, Cultura e scuola nel sistema

costituzionale italiano, cit., p. 3.

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La libertà e il pluralismo scolastico sarebbero perciò il prodotto di una precisa scelta effettuata dal costituente, il quale voleva evitare, tramite il monopolio scolastico dello Stato, l’instaurarsi di un sistema che, a lungo andare, sarebbe potuto divenire pregiudizievole per la libertà di tutti (oltre che delle singole famiglie) come stava a ricordare l’allora recente esperienza del regime fascista. Un sistema di tipo concorrenziale, dualistico, appariva allora il solo in grado di contrastare un indirizzo ideologico esclusivistico dell’istruzione. Cfr. S. MASTROPASQUA, Cultura

e scuola nel sistema costituzionale italiano, cit., p. 77.

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Il dovere di istituire scuole statali per ogni ordine e grado sarebbe, anzi, da intendersi pacificamente come l’obbligo per l’amministrazione pubblica di adoperarsi per “mettere in piedi una organizzazione capace di accogliere tutta la popolazione in età scolare, senza che una parte di essa sia costretta a frequentare scuole private non per libera scelta, ma per carenza di strutture statali”, secondo S. CASSESE, A. MURA, Art. 33, cit., p. 235. Diversamente, M. RENNA, Le

scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione, cit., p. 167, per il quale, si dovrebbe arrivare,

tanto più dopo la realizzazione del sistema della parità scolastica (ex legge n. 62/2000), ad una tendenziale riduzione del numero delle scuole statali esistenti sulla base della concezione ‘sgravante’ delle scuole paritarie private che permetterebbe poi di finanziarle, alla luce della diminuzione delle voci del bilancio assegnate all’istruzione in ragione del minor intervento pubblico.

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rapporto tra scuola pubblica, nella lettera dei commi 2 e 3 dell’articolo 33 della nostra Carta fondamentale.

Quanto alla libera iniziativa privata nel settore dell’istruzione, finalizzata alla creazione di scuole ed istituti di educazione7, a voler dar conto di alcune opinioni dottrinali, è stato sottolineato come sia forse più appropriato parlare di un rapporto di concomitanza8, piuttosto che di concorrenza, con l’iniziativa statale in tale ambito; inoltre, i termini “monopolio” scolastico (s’intende, chiaramente, statale) e “concorrenza” tra gli istituti scolastici, mutuati dalle scienze economiche, non potrebbero venir trapiantati in un contesto giuridico, se non cum grano salis, onde evitare di ricondurre la questione relativa alla scuola ad una problematica di costi e ricavi economici, quando non proprio di lucro. Di più, circa il termine “monopolio”, in materia scolastica l’uso ne sarebbe inesatto poiché, in riferimento alla pubblica istruzione, tale espressione sarebbe da leggersi nell’ottica di un monopolio politico della pubblica istruzione che, in quanto tale, sfugge ai canoni della scienza economica e del profitto: lo Stato

7

Per quel che riguarda l‘imputazione soggettiva, si ricorda la sentenza n. 36 del 1958 della Corte costituzionale, dove – nel Considerato in diritto – si scrive che la libertà di istituire e gestire istituti d’istruzione è riconosciuta alle persone fisiche e giuridiche senza, tuttavia, escludere l’ammissibilità di una disciplina dell’esercizio della stessa da parte del legislatore, essendo comunque necessario che i poteri attribuiti per limitarlo siano vincolati a interessi generali e che questi attengano alla medesima sfera (istruzione) o a sfere (come la sicurezza, la sanità, la fede pubblica, la moralità) che occorra tenere presenti onde evitare un esercizio socialmente dannoso o pericoloso di questo diritto costituzionalmente previsto.

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infatti, in questo caso, pare più caricarsi “di oneri e pesi che col fine economico del profitto non hanno nulla a che vedere”9

.

Nondimeno, parlare di concorrenza economica in tale settore potrebbe rivelarsi non sempre corretto. E non solo perché qui né lo Stato vende l’istruzione, né la scuola non statale può sempre ritenersi istituita a fini lucrativi, ma perché nella concorrenza scolastica mancherebbero i presupposti di natura economica per parlare fondatamente di concorrenza: un privato può creare un istituto per trarne profitto, ma non è escluso che possa far ciò anche per motivi diversi10.

In definitiva, un sistema scolastico pluralistico e connotato da un dualismo “concorrenziale” tra scuole, statali e non statali, non potrebbe che essere accolto nel significato di una compresenza che, per non essere concorrenza in termini di lotta economica, non può esser altro che un concorrere insieme, da parte delle due scuole, al servizio della pubblica istruzione, e non un concorrere al fine di

9 S. DE SIMONE, Sistema del diritto scolastico italiano, cit., p. 289. 10

Secondo questa lettura, per un verso mancherebbero le condizioni per parlare di una effettiva situazione economica di concorrenza e la possibilità di valutarne economicamente le risultanze sotto l’aspetto, per l’appunto, della concorrenza intesa con qualificazione economica.

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eliminare un ipotetico avversario in termini economici, secondo le esigenze di uno Stato che è stato definito come “Stato di cultura”11

.

Non è difficile osservare come al principio del pluralismo dell’organizzazione scolastica, con la previsione della libertà di istituire – e gestire – scuole non statali da parte di soggetti privati, vadano ad intrecciarsi altre importanti questioni, in primis quella dell’esistenza, o meno, di una effettiva libertà di scelta del luogo della propria istruzione e, successivamente, se – e come e quanto – questa (riconosciuta o meno) libertà di scelta del singolo possa essere sostenuta.

Naturale conseguenza del principio del pluralismo scolastico è la definizione di un sistema pubblico misto, nel quale la Costituzione, prevedendo la libertà dei privati di istituire scuole12 e la possibilità di vedersi riconosciuta la parità scolastica, rifiuta la visione monopolistica della scuola di Stato, per il modello pluralistico di un

11

V. E. SPAGNA MUSSO, Lo Stato di cultura nella Costituzione italiana, Napoli, Morano ed., 1961, p. 73 ss.

12 A proposito della riconosciuta libertà per i privati di istituire scuole, di “vero e proprio diritto

soggettivo garantito alle persone fisiche e giuridiche” che fa venir meno il monopolio dello Stato dell’istruzione e comporta la non esclusività dell’insegnamento statale, parla G. FONTANA, Art.

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sistema d’istruzione integrato, “fondato sull’equilibrata alchimia tra pubblico e privato, sulla coesistenza di diverse realtà”13

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Non ci si è dimenticati nemmeno di fare riferimento alla presenza del diritto(- dovere) all’educazione e all’istruzione dei figli conferito, dalla nostra Carta, ai genitori (ex art. 30)14, diritto che, ovviamente, dovrà anche tenere conto “delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli” (art. 147 c.c.) e che, quando sia giuridicamente capace di farlo, spetterà direttamente allo studente, quale garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (ex art. 2 Cost.).

Ecco, allora, che la libertà (e il relativo diritto) di scelta, presupponendo l’esistenza di un sistema scolastico pluralista che presenti più opzioni sulle quali, per l’appunto, potrà cadere la preferenza e rispetto alle quali il diritto si possa esercitare concretamente15, si intreccia col principio del pluralismo scolastico:

13 A. SANDULLI, Contro il mercato dell’istruzione scolastica, cit., p. 3. 14

In questo senso, G. FONTANA, Art. 33, cit., p. 688.

15

Cfr. A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., p. 24, per il quale “ (…) la libertà di insegnamento e quella di istituire e gestire scuole non avrebbero significato se non si accompagnassero alla libertà dei cittadini di scegliere i luoghi di istruzione, vale a dire i tipi di scuola che si preferisce frequentare. È, pertanto, sulla contemporanea garanzia di queste tre libertà che si basa il sistema pluralistico dell’istruzione delineato dalla Costituzione.”. Ancora, “il diritto di scelta della scuola (…) visto come diritto di accesso a una scuola,di propria scelta (…) può essere effettivamente soddisfatto soltanto in conseguenza di un’azione positiva dello Stato e dei privati diretta a stabilire un numero sufficiente di istituti di istruzione.”.

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l’uno necessita dell’esistenza dell’altro e l’altro avrebbe difficilmente senso senza il primo16.

Nel tentare di tener distinti i due fenomeni, possiamo anche anticipare che, su ciascuno di questi, si innesta la ulteriore questione dell’ammissibilità, o meno, dei finanziamenti alle scuole private. Da una parte, questo tema viene toccato dal diritto di scelta della scuola poiché si dovrà vedere se la libertà di scegliersi la scuola è garantita fino al punto di rimuovere gli eventuali ostacoli di ordine economico che possono di fatto impedirne o limitarne l’esercizio ( qualcuno potrebbe, ad esempio, farvi rientrare le rette di pagamento per le scuole private), dall’altra si dovrà verificare se il pluralismo è riconosciuto fino ad equiparare anche dal punto di vista economico il versante pubblico e privato del sistema d’istruzione (vedi, infra, § 2 ).

Circa la libertà nella scelta della scuola, da parte della famiglia e dello studente, pare difficile poterne smentire il riconoscimento e la garanzia, dal momento che sembrerebbe essere riconosciuta non solo nella normativa nazionale, ma anche in quella dell’ordinamento

16 “Il sistema pluralistico dell’istruzione (…) si basa sulla contemporanea garanzia di tre libertà: la

libertà di insegnamento, la libertà di istituire e gestire scuole e quella di scegliere (…) i tipi di scuola che si preferisce frequentare. Le prime due libertà non avrebbero significato se non si accompagnassero alla libertà dei cittadini di scegliere la scuola da frequentare, che quindi è considerata un elemento indefettibile del pluralismo scolastico”, secondo G. PITRUZZELLA,

Provvidenze alla scuola e provvidenze agli alunni:una distinzione per nuovi sviluppi del pluralismo scolastico, in Giur. cost., 1995, p. 580.

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internazionale17. Tale libertà ha trovato, poi, un importante riconoscimento, come diritto costituzionale, nella sentenza n. 36 del 1982 della Corte costituzionale: in essa viene chiarito come, senza voler discutere della libertà di insegnamento e della libertà di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato, “neppure è intaccata la corrispondente libertà di scelta del tipo di scuola preferito”18

.

Una differente prospettiva sulla tematica ci viene illustrata da chi pare individuare, nella lettera della Costituzione, non tanto un diritto alla libertà di scelta dell’istituto scolastico, quanto piuttosto un diritto degli studenti delle scuole private a ricevere, in virtù del controllo da

17

Si veda, per esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, al cui interno (art. 26) troviamo scritto che “i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere d’istruzione da impartire ai loro figli”; la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e, precisamente, il Protocollo addizionale, n. 1 del 1952 “lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assumerà nella competenza dell’insegnamento e dell’educazione, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare quella educazione e quell’insegnamento conformi alle proprie convinzioni religiose e filosofiche” (art. 2); la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, il cui art. 7 statuisce che è sui genitori che incombe in primo luogo la responsabilità educativa rispetto ai figli; l’art. 5 della Convenzione sulla lotta contro la discriminazione nell’istruzione (1960), che prevede “(…) occorre rispettare la libertà dei genitori e, ove occorra, dei tutori legali (…) di scegliere per i loro ragazzi istituti diversi da quelli pubblici, purché conformi alle norme minime che possono essere prescritte o approvate dalle autorità competenti”; la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1898, secondo cui gli Stati firmatari rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione ed anche il diritto e il dovere dei genitori – oppure, se del caso, dei tutori legali – di guidare il fanciullo nell’esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità. (art. 14, commi 1 e 2), così come faranno del loro meglio per garantire il riconoscimento del principio secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo e il provvedere al suo sviluppo (art. 18, c. 1); la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, ex art. 14: “la libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così come il dovere dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.

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parte dei poteri pubblici, una preparazione appropriata da parte delle scuole scelte in base alle eventuali determinazioni familiari e personali. Il diritto all’istruzione non si configura, secondo tale visione, come libertà di scegliere la scuola meglio confacente alle proprie esigenze, o a quelle della famiglia di provenienza, e non presuppone più scuole comunque alternative tra loro, diverse da quella pubblica, così come “è chiaro che la libertà di istituire scuole e consentirne l’attività non comporta di per sé la possibilità di ottenerne la parificazione”19

.

Ancora, secondo alcuni, il diritto di scelta della scuola non sarebbe lasciato in balia delle condizioni economiche della famiglia, poiché l’ordinamento avrebbe pensato ad assicurarne una effettiva esercitabilità, soprattutto nel caso di situazioni di disagio economico, siano le provvidenze dirette ad agevolare l’adempimento dei compiti della famiglia ex art. 31 Cost. o garantendo, senza alcuna distinzione tra alunni di scuole pubbliche e private, il diritto all’istruzione attraverso misure del diritto allo studio ex art. 34 Cost.20 ..

19 Cfr. A. D’ANDREA, Diritto all’istruzione e ruolo della Repubblica: qualche puntualizzazione di

ordine costituzionale, cit., pp. 4-5.

20

U. POTOTSCHNIG, Nulla di nuovo per il diritto allo studio, in Le Regioni, 1982, p. 405, secondo il quale “l’art. 33 va letto congiuntamente all’art. 34(…)”.

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Di contro, si pone l’opinione dottrinale secondo la quale, ad ammettere la liceità di aiuti statali a garanzia di un effettivo esercizio della libertà di scelta, si arriverebbe alla conclusione che si dovrebbe “considerare tanto maggiore l’esigenza di un intervento finanziario statale quanto minore è la diffusione quantitativa delle varie possibili scelte ideologiche in materia di insegnamento (mentre, per quelle che

siano, invece, espressione della maggioranza sussistono

evidentemente, proprio perché si tratta della maggioranza, ben maggiori possibilità economiche private senza bisogno o con molto minor bisogno, di aiuti dello Stato)”21

.

Riguardo, infine, al principio del pluralismo scolastico si può affermare che l’espressa libertà di istituire scuole private non sembra poter gravare sulle risorse che, per chiara prescrizione costituzionale, dovrebbero indirizzarsi verso la creazione di scuole statali per tutti gli ordini e i gradi (ex art. 33, c. 2, Cost.), per assicurare un servizio scolastico pubblico completo22.

21

V. CRISAFULLI, La scuola nella Costituzione, cit., pp. 86-87. A questo ragionamento è stato obiettato che “sarebbe tutto da dimostrare che maggiore è la diffusione di una scelta ideologica e minore è il bisogno che sia sostenuta dallo Stato:la maggior diffusione di un certo indirizzo vuol dire semplicemente che sono più numerose le persone che vi si riconoscono”. Così E. MINNEI,

Scuola pubblica e scuola privata. Gli oneri per lo Stato, Torino, Giappichelli, 2004, vol. 1, p. 71.

22 La c.d. “libertà della scuola”, ossia la possibilità per i privati di istituire scuole ed istituti di

educazione, rinvenibile in Costituzione, permette sì di escludere un monopolio pubblico dell’istruzione e di sviluppare un sistema libero nelle forme organizzative e nei contenuti, ma a tale sistema lo Stato non deve esser tenuto a contribuire finanziariamente, specie ove tale

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Perciò non pare incauto, per opporsi all’ammissibilità di indiscriminati esborsi pubblici a sostegno della libertà di scelta della scuola, obiettare che l’attuazione stessa del sistema della scuola pubblica è condizionata da scelte, da un lato, di politica scolastica (ed anche, se non proprio, economica) e, dall’altro, lasciate alla discrezionalità amministrativa, e che alle regole del riconoscimento del diritto di esistere delle scuole private e della ‘concorrenza’ di queste con le scuole di istituzione obbligatoria statale, il costituente, valutati tutti gli interessi in campo, ha affiancato la regola per cui scuole private possono – e devono – essere istituite e crescere “senza onere per lo Stato”, non volendo disconoscere il valore e la legittimità della presenza di scuole non statali nel sistema dell’istruzione23.

Non si intende negare, in questa maniera, l’importanza del principio del pluralismo scolastico, così come previsto nella nostra Costituzione, bensì si è voluto operare nella direzione di un bilanciamento delle ragioni della scuola privata e della scuola pubblica, con il risultato che il valore delle scuole private nell’istruzione non sarebbe stato riconosciuto fino al punto di attestare una totale equiparazione economica con gli istituti statali

contributo vada a detrimento dello sviluppo della scuola pubblica. In tal senso, P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 464.

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concorrenti24: d’altro canto, se alle scuole non statali è riconosciuta la possibilità di affiancare le scuole statali sono queste ultime che assicurano “indefettibilmente, necessariamente (e non in via eventuale) e prima di tutto (e non quindi in via sussidiaria o puramente concorrente) il bene istruzione”25

.

2. Il problema del finanziamento pubblico alle scuole non

statali

A proposito di principio del pluralismo scolastico e di libertà nella scelta della scuola, è facilmente intuibile come questi due aspetti di espressa rilevanza costituzionale vadano ad intrecciarsi con la questione – per certi versi, ad essi complementare – del finanziamento pubblico alle scuole diverse da quelle statali.

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A sostegno della tesi per cui nel pluralismo scolastico non debbano necessariamente essere ricomprese anche le istanze di stampo economico delle scuole private, possono riportarsi le parole di un autore, certamente non sospettabile di aderire a visioni monopolistiche in senso statalista dell’istruzione, contrario al finanziamento statale diretto alle scuole: sostiene come sia necessaria la concorrenza tra istituti pubblici e privati affinché si possa arrivare ad un insegnamento che sia ottimo e che “Il monopolio, anche dello Stato, è sinonimo di stasi, di pigrizia mentale, di prepotere”, arrivando, tuttavia, a dire che “non è pensabile coprire il grosso delle spese delle scuole private con un contributo pubblico; ciò equivarrebbe a trasformare le scuole private in pubbliche”, L. EINAUDI, Scuola e libertà, in Prediche inutili, Torino, Einaudi, 1956-1959, p. 26.

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Per usare le parole di S.. SICARDI, La scuola nel contesto costituzionale, in Il Ponte, n. 3/1996, p. 38.

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Se ci sono ormai ben poche incertezze legate al fatto che sia generalmente accettato il diritto alla libera scelta della scuola da parte dei genitori – e dei discenti – entro un’articolazione pluralistica della scuola come pare proprio essere quella tratteggiata dalla Costituzione repubblicana – e perciò in quanto tale non compatibile con quella che sarebbe una funzione esclusiva dell’amministrazione pubblica nel settore dell’istruzione – le divergenze iniziano, invece, a manifestarsi quando, da tale diritto, si passa a sostenere la necessità che lo Stato debba sovvenzionare l’istruzione privata al fine di rendere effettiva, e per tutti, la libertà di scelta dell’istituto scolastico da frequentare, diversamente giungendosi a vanificare in concreto il diritto stesso e a compromettere il principio del pluralismo delle istituzioni scolastiche26.

Al contrario, altra dottrina non ha mancato di replicare che dalla garanzia costituzionale della libertà di scelta del tipo di scuola preferito non può ricavarsi l’obbligo per la Repubblica di assumersi gli oneri eventualmente necessari per esercitarla27 e che “nessuna

26

Secondo S. DE SIMONE, Sistema del diritto scolastico italiano, cit., p. 65, se fosse davvero vietato allo Stato di contribuire alle scuole non statali, il diritto di scelta della scuola verrebbe ad essere “sostanzialmente soffocato ed annullato; si concreterebbe nel diritto di scegliere la scuola solo dello Stato; il che non costituisce manifestamente una scelta (…). Peggio ancora: il diritto di scelta si tradurrebbe nel diritto per la famiglia povera di far frequentare ai figli solo la scuola di Stato, anche quando essa, per ragioni educative (…) non fosse affatto desiderata dalla famiglia”.

27

V. Cons. Stato, decisione n. 731/1984, in Foro amm., 1984, p. 1740, che riprende sostanzialmente quanto scritto in Corte cost., sent. 16 febbraio 1982, n. 36.

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affermazione di libertà comporta la tutela della pretesa ai mezzi economici per attuare tutti i possibili e indeterminati comportamenti che la libertà consente”; anche prendendo spunto dal diritto alla salute previsto nell’art. 32 Cost., è stato argomentato che, in tale caso, il principio della libertà di scelta del medico non prevede anche il ristoro dei costi sostenuti per aver fatto ricorso alla medicina privata28.

Se dalla nostra Carta fondamentale risulta – come è – il riconoscimento del principio del pluralismo scolastico, collegato a questo sembra essere il diritto all’istruzione, anche nella sua sfaccettatura di diritto allo studio (ex art. 34 Cost.) inteso come diritto a godere dell’istruzione necessaria, pur in presenza di ostacoli di ordine economico e sociale che la Repubblica è tenuta a rimuovere, e da qui l’impegno dei poteri pubblici ad attuare una politica che realizzi pienamente il diritto all’istruzione, eliminando le disparità di ostacolo all’accesso ai gradi più alti dell’istruzione.

Così – é stato detto – affinché questo impegno possa considerarsi effettivamente assolto non dovrà esser limitato alle sole istituzioni pubbliche, ma dovrà investire anche le scuole non statali, se

28 Cfr. A. MURA, Istruzione privata, cit., pp. 9-10; ancora, C. MORTATI, Istituzioni di diritto

pubblico, cit., pp. 1184-1185, sostiene che se venisse accettato un tale orientamento

occorrerebbe allora farlo valere per qualsiasi specie di libertà costituzionalmente garantita (come, ad esempio, per la libertà di culto religioso).

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realmente “si vuole favorire lo sviluppo della cultura e la libertà del cittadino di indirizzare i propri figli verso i processi formativi considerati più idonei a determinare il progresso della società”29.

Da questo punto di vista, si vuole far subito presente quella che è stata una certa evoluzione che ha interessato la giurisprudenza costituzionale, quando non un vero e proprio ribaltamento dell’impostazione in origine seguita, passando dalle affermazioni secondo cui dalla garanzia della libertà di scelta della tipologia di scuola preferita “non può certo dedursi l’obbligo della Repubblica di assumersi gli oneri eventualmente necessari ad esercitarla”30 e da quelle per cui l’equipollenza di trattamento scolastico non potrebbe che riferirsi al valore giuridico degli studi compiuti nelle scuole diverse da quelle statali che hanno chiesto e ottenuto la parità e di conseguenza non potrebbero in alcun modo esser utilizzati al fine di garantire la fornitura gratuita dei libri di testo o di materiali di

29

Il disposto dell’art. 34 Cost., nel garantire il godimento dell’istruzione, nonostante eventuali difficoltà economiche e sociali, non farebbe alcuna differenza tra settore scolastico pubblico e privato: da qui, la tesi a favore di una considerazione unitaria dell’istruzione che legittimerebbe pertanto gli studenti e le rispettive famiglie, che scelgono per la propria istruzione scuole non statali, a godere di tutti gli interventi diretti a rendere effettivo il diritto all’istruzione nella scuola dell’obbligo e il diritto di accesso ai livelli più alti degli studi, per i capaci e meritevoli che lo volessero. Cfr. A. CARACCIOLO LA GROTTERIA, Il diritto allo studio nelle scuole non statali, in Foro

amm., 1997, pp. 1868-1869.

30

V. Corte cost., sent. n. 36/1982. Con questa decisione, la Consulta escludeva che il principio della libertà di scelta della scuola potesse essere invocato per estendere l’assistenza scolastica (in questo caso si trattava del trasporto gratuito) agli alunni delle scuole meramente private o riconosciute, perché la garanzia costituzionale di questa come di altre libertà non comporta anche l’assunzione pubblica degli oneri necessari ad esercitarla. Sulla falsariga di questa sentenza la Consulta pronunciò successivamente l’ordinanza n. 668 del 1988.

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cancelleria31 a posizioni assai più sfumate; infatti, la Corte costituzionale, con l’importante sentenza n. 454 del 30 dicembre 1994, ha ritenuto legittima la fornitura gratuita di libri di testo anche a beneficio degli alunni delle scuole elementari private, che pertanto adempiono l’obbligo scolastico in modo diverso dalla frequenza presso scuole statali o abilitate al rilascio di titoli di studio con valore

legale, assumendo il diverso punto di vista costituito

dall’adempimento di tale obbligo – meglio, del diritto all’istruzione obbligatoria – che riguarda tutti gli alunni, sia quelli delle scuole statali che quelli di tutti gli altri tipi di scuola.

In questo modo, ciò che si è ritenuto di dover prendere in considerazione è la posizione dell’alunno nel senso della necessità di sottoporsi all’obbligo scolastico, a prescindere, quindi, dalle modalità che i singoli studenti (e le proprie famiglie) scelgono per adempiere il suddetto obbligo, non rilevando la differenza tra la natura dei diversi tipi di scuola32. Se così non fosse, secondo taluni, si perpetuerebbe un’ingiustificata discriminazione che andrebbe ad incidere direttamente sul diritto degli alunni e, in via indiretta, sulla libertà di questi e delle rispettive famiglie di scegliere, all’interno di un sistema

31

V. Corte cost, sent. n. 7/1967 e sent. n. 106/1968.

32

Cfr. M. CROCE, Le libertà garantite dall’art. 33 Cost. nella dialettica irrisolta (e irrisolvibile?)

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plurale di offerte formative, il luogo d’istruzione ritenuto migliore o più coerente alla propria impostazione culturale, nonché addirittura – di riflesso – sulla libertà di istituire scuole come presupposto occorrente affinché tale pluralità di offerte formative si sostanzi in concreto di diverse, differenti e numerose possibilità33. In quest’ottica, si è aggiunto, l’importanza della citata sentenza sarebbe anche nell’aver definito l’attribuzione dei mezzi che rendono non solo più agevole, ma altresì effettivo, libero e uguale l’esercizio della libertà della scelta dell’istituto scolastico riconosciuta ai cittadini, come un elemento necessario del sistema del pluralismo34.

A ben vedere, da quando è entrata in vigore la Costituzione, il tema delle risorse pubbliche da destinare alle scuole diverse da quelle di istituzione statale torna di attualità a scadenze più o meno regolari – per esempio, a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico, ovvero nei periodi delle discussioni e dell’approvazione delle manovre di bilancio – senza che si riesca, realmente, a convergere su soluzioni che permettano di superare una volta per tutte i contrasti che si hanno tra le opposte visioni.

33

In tal senso, si veda G. PITRUZZELLA, Provvidenze alla scuola e provvidenze agli alunni: una

distinzione per nuovi sviluppi del pluralismo scolastico, cit., p. 580 ss.

34

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Si guardi ai tanti lavori, di differente orientamento e derivazione politico-culturale, che hanno interessato, nel corso degli ultimi decenni, la tematica del rapporto tra scuola pubblica e scuola privata e della legittimità a quest’ultima di sovvenzioni pubbliche: basti pensare, solo per farne presenti alcuni, all’inchiesta promossa sullo stato della scuola italiana nell’immediato secondo dopoguerra35

, così come – per passare a tempi più recenti – al manifesto intitolato “Una nuova idea per la scuola. Un sistema formativo pluralista e flessibile, caratterizzato da efficienza ed equità”36

, o ancora, al documento promosso nell’ottobre del 1995 “Dalla scuola del Ministero alla scuola della Repubblica”37

, senza considerare le tante manifestazioni

35

Dall’inchiesta promossa dall’on. Gonella nel 1947, ministro democristiano della pubblica istruzione tra il 1946 e il 1951, mirante a verificare le condizioni dell’istruzione pubblica e privata e di proporre suggerimenti per la sua riforma, scaturì il progetto di legge n. 2100 recante “Norme generali sull’istruzione” che, presentato in parlamento nel 1951, non approdò neppure alla discussione. Tra i punti salienti della proposta figurava il finanziamento pubblico alla scuola privata, che il ministro riusciva ad assicurare per via amministrativa, scavalcando il parlamento e contravvenendo alla lettera della Costituzione dell’inciso “senza oneri per lo Stato”: ciò che gli valse il titolo, da parte degli oppositori, di “ministro della scuola privata”. Cfr. S. SANTAMAITA,

Storia della scuola: dalla scuola al sistema formativo, Milano, Mondadori, 2010, p. 127; D.

BERTONI JOVINE, La scuola italiana dal 1870 ai nostri giorni, p. 431.

36

In questo documento, presentato nel luglio del 1994 alla stampa, e che ha visto l’iniziale sottoscrizione di personalità del mondo accademico, culturale e politico – tra gli altri Luigi Berlinguer, Beniamino Brocca, Vittorio Campione, Federico Codignola, Romano Prodi – viene sostenuta l’idea che compito dello Stato sia sostanzialmente quello di dettare le norme generali che presiedono alla formazione e all’istruzione, lasciando campo libero all’iniziativa dei privati nel settore, funzionale ad una avere una certa flessibilizzazione dell’offerta delle scuole, in rapporto alle richieste provenienti dal mercato. Cfr. G. BRUNELLI, Statale e privata cioè pubblica, in Il

Regno - attualità, n. 16/1994, p. 467; G. CIMBALO, La scuola tra servizio pubblico e sussidiarietà. Legge sulla parità scolastica e libertà delle scuole private confessionali, cit., p. 14.

37

Secondo il pensiero dei redattori del documento – molte personalità attive nel campo della cultura e della scuola, tra cui Tullio de Mauro, Ferdinando Imposimato, Giuseppe Ugo Rescigno, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda – il primo pericolo da scongiurare è quello di un’autonomia scolastica senza progetto, svincolata cioè da un sistema formativo che deve essere pubblico, democratico e nazionale. Scuole pubbliche e private rispondono a logiche diverse: se le prime

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181

studentesche e le campagne di azioni e di mobilitazione lanciate da parte di comitati o associazioni a difesa dell’una o dell’altra tipologia di scuola (vedi, infra, § 3 ).

Non ci sono dubbi sul fatto che, ponendosi dinnanzi al problema della legittimità o meno del finanziamento pubblico alle scuole diverse da quelle statali, il nodo cruciale da sciogliere sia rappresentato dal significato da attribuire al terzo comma dell’art. 33 Cost. – o meglio, dalla ricerca di esso e, precisamente, del suo ultimo inciso – secondo il quale viene sì riconosciuto ad enti e privati il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione ma, viene precisato, “ senza oneri per lo Stato”, in sostanza, quello che potremmo anche ben definire come il limite di natura economica posto alla c.d. libertà della scuola.

Si tratta, allora, di rivolgere l’attenzione a quello che sembra essere il punto centrale di tutta una serie di questioni nelle quali, come anelli concentrici di diametro sempre maggiore, il problema stesso, per un verso, dilatandosi, si riflette e dalle quali, per l’altro

svolgono una funzione pubblica non riconducibile alla stregua di altri servizi, in quanto risponde ad un diritto sociale costituzionalmente garantito, le seconde sono espressione della libertà di coscienza e/o di impresa che in quanto espressioni particolari di tendenze (culturali, religiose, di impresa) non svolgono una funzione per tutti. Parità sì, nel senso di assicurare alle scuole non statali piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali – ex art. 33 Cost. – ma senza che ciò comporti oneri per lo Stato. V. G. CIMBALO, La scuola tra servizio pubblico e sussidiarietà. Legge sulla parità scolastica e libertà

(21)

182

finisce, all’opposto, con l’esserne condizionato; senza dimenticare che la questione dell’ammissibilità del finanziamento deve essere valutata, come abbiamo potuto apprezzare, anche alla luce di altri principi e istituti propri dell’ordinamento scolastico (come la gratuità della scuola, l’obbligo scolastico, la parità scolastica) e dell’ordinamento generale (nella direzione, per esempio, della garanzia del principio di uguaglianza, della sussidiarietà, o del pluralismo)38. E si tratta di farlo cominciando dal render conto – sia chiaro, senza alcuna pretesa di esaustività – dei termini della questione, così come si pose al tempo dei lavori preparatori della nuova Carta repubblicana nel contesto dell’Assemblea Costituente.

2.1. Le posizioni programmatiche in Assemblea Costituente

Non riesce difficile immaginare come non ci dovessero essere divergenze sul fatto che la scuola non potesse essere usata quale strumento di regime, che non si potesse soffocare il pluralismo, che non si potesse ripetere l’esperienza di un giuramento agli insegnanti39

,

38 E. MINNEI, Scuola pubblica e scuola privata. Gli oneri per lo Stato, cit., Introduzione. 39

Il riferimento è al giuramento di fedeltà al regime fascista imposto ai professori universitari. V. G. MONTI, La libertà scolastica: fondamenti, violazioni, norme costituzionali comparate, Roma, Signorelli, 1949, p. 145.

(22)

183

visto il recente trascorso storico, tra le diverse forze politiche presenti all’interno dell’Assemblea Costituente.

Le note dolenti arrivarono, invece, nel momento in cui le varie componenti si affrontarono sulle modalità secondo cui calibrare pubblico e privato nella scuola e su come avrebbero dovuto relazionarsi lo Stato, la scuola e la famiglia per assicurare a ciascuno la sua funzione. A fondare il dissenso, la differente concezione del ruolo dello Stato nell’ambito dell’istruzione con una marcata divergenza di impostazione, soprattutto di matrice ideologica, fra la compagine, si direbbe oggi, moderata (democratico-cristiana) e quella della sinistra (comunista e socialista), intorno alle quali finì col catalizzarsi il dibattito, all’interno e all’esterno delle preposte sedi istituzionali40.

La visione cattolica emergeva con chiarezza dal programma della democrazia cristiana per la nuova Costituzione41, nel quale veniva

40

L’Assemblea costituente nominò una “Commissione per la Costituzione” al fine di stilare un progetto di carta costituzionale. Tale Commissione – c.d. Commissione dei 75, in quanto composta da settantacinque membri – fu suddivisa in tre sottocommissioni, rispettivamente competenti in materia di diritti civili, organizzazione dello Stato, rapporti economico-sociali. Venne inoltre affidato ad un Comitato di redazione il compito di coordinare le proposte scaturenti dalle sottocommissioni e di redigere il progetto definitivo. Tuttavia, il dibattito e gli accordi di compromesso tra la democrazia cristiana e i partiti della sinistra avvennero non soltanto nelle sedi istituzionali preposte, ma anche al di fuori, per delega dell’organo di appartenenza come indipendentemente da ogni delega. Cfr. S. CASSESE, A. MURA, Art. 33-34, cit., p. 216.

41

Il riferimento è al programma della DC del 24 aprile 1946, all’interno del quale si poteva leggere “La libertà della scuola implica il rispetto del diritti della Famiglia, della Chiesa e dello

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184

assegnato allo Stato un compito di integrazione e di ausilio rispetto alla funzione primaria appannaggio della famiglia: non bastava apprestare un servizio statale per l’istruzione, seppur completo in ogni ordine e grado, ma occorreva che l’amministrazione pubblica permettesse e tutelasse anche l’iniziativa dei privati in tale settore. Va da sé che era inammissibile ipotizzare qualsiasi monopolio, in via di diritto come di fatto, che escludesse la concorrenza della scuola non statale42.

Sul versante opposto, se le forze della sinistra non disconoscevano per intero l’utilità dell’insegnamento privato, erano tuttavia decise ad affermare il ruolo primario dei poteri pubblici nel settore scolastico e l’istruzione veniva vista come una peculiare funzione statale non decentrabile né delegabile, guardando all’iniziativa di soggetti privati nel campo dell’istruzione come ad una attività che fosse semplicemente consentita dallo Stato, reclamando un

Stato.”, “I genitori hanno il diritto di scegliere liberamente la scuola che corrisponda al loro ideale educativo. Imporre una scuola significa violare il diritto di scelta da parte dei genitori.”, “Lo Stato (…) promuove le pubbliche scuole. La sua funzione è però ausiliaria o sussidiaria” e ancora “II monopolio scolastico dello Stato totalitario ha abbassato il livello della cultura, portando nella Scuola l'intolleranza di Partito e riducendola a fabbrica di diplomi.”. Per la relazione di G. Gonella al primo congresso nazionale del partito, illustrativa dell’intero programma, si rimanda a

www.storiadc.it/doc/1946_01congr_gonella.html.

42 Emergeva l’abilità del gruppo democratico cristiano di giocarsi sia la carta antistatale che quella

filostatale nel senso di appellarsi allo Stato per il sostegno economico e, insieme, di difendere la possibilità di istituire scuole private autonome dallo Stato. Cfr. S. CASSESE, La scuola: ideali

(24)

185

controllo del potere pubblico sui titoli di studio riconosciuti pubblicamente43.

Ma è sul punto specifico delle sovvenzioni alla scuola privata che si svolse il dibattito più acceso, quando venne affrontato direttamente o quando si parlò dell’assistenza scolastica o si volevano definire le condizioni per riconoscere la parità e i limiti entro cui questa avrebbe dovuto operare44. Le soluzioni proposte alla questione dei finanziamenti pubblici alle scuole non statali riflettevano naturalmente le diverse visioni in campo sul rapporto fra scuola pubblica e privata e, sommariamente, possono essere così tratteggiate45: la prima, sostenuta dalle forze della sinistra, vedeva l’iniziativa dei privati come semplicemente consentita ed escludeva che potesse esser previsto un diritto di questi a ricevere sovvenzioni dallo Stato, quando non la

43 Nella seduta del 22 ottobre 1946 in prima Sottocommissione, l’on. Marchesi ebbe a dire: “Lo

Stato può riconoscere l'utilità della scuola privata, ma non può riconoscerne la necessità, perché ciò facendo verrebbe a riconoscere la propria insufficienza a provvedere ai bisogni dell'educazione nazionale. (…) Lo Stato non può considerare la scuola privata come un organo necessario che serva a colmare, agli effetti dell'istruzione della massa sociale, le proprie lacune.”. V. G. LIMITI, La scuola nella Costituzione, cit., p. 79. L’intera discussione è rinvenibile, invece, in

www.nascitacostituzione.it/02p1/02t2/033/index.htm?art033-006.htm&2.

44

Il primo accenno alla problematica del finanziamento pubblico alle scuole private si rinviene nella seduta del 20 settembre del 1946 nella terza Sottocommissione, quando l’on. Togni (democristiano) durante la discussione di un articolo del relatore Giua (socialista) sulla supplenza dello Stato nel caso di impossibilità dei genitori di dare una educazione “civile” ai figli, affermò: “È noto che esistono convitti tenuti da sacerdoti o da civili, che provvedono alla educazione dei giovani e che lo Stato dovrebbe sovvenzionare, senza tuttavia intervenire direttamente nell'educazione”. La grande parte delle discussioni e dei dibattiti sul tema ebbe comunque luogo nella prima Sottocommissione. Cfr. F. CALZARETTI, Senza oneri per lo Stato: la posizione dei

Costituenti sulle sovvenzioni alle scuole non statali, 22 maggio 2009, “Forum di Quaderni

Costituzionali”, in www.forumcostituzionale.it, pp. 1-2.

45

E. MINNEI, Scuola pubblica e scuola privata. Gli oneri per lo Stato, cit., p. 15; S. CASSESE, A. MURA, Art. 33-34, cit., p. 218.

(25)

186

stessa facoltà per l’amministrazione pubblica di disporlo; una seconda posizione delineante una scuola privata libera, attribuita del diritto di organizzarsi liberamente e, a certe condizioni, riconosciuta come paritaria dallo Stato, la quale in virtù del servizio prestato avrebbe potuto fruire di contributi pubblici, senza che potesse però avere il diritto di ottenerli, venne portata avanti dai democratici cristiani meno intransigenti; un’ulteriore posizione, dei democristiani più radicali, sosteneva la libertà e la necessità dell’esistenza delle scuole private, insieme al diritto dei privati di istituirle e l’obbligo per lo Stato di finanziarle. Il testo di quelli che poi diventeranno gli attuali artt. 33 e 34 Cost., approvato dalla prima Sottocommissione, conteneva solo il riferimento alle “provvidenze statali a favore degli alunni capaci e meritevoli” da conferire “a qualsiasi scuola appartengano mediante pubblici concorsi”, mentre non precludeva né prescriveva esplicitamente contributi pubblici a favore degli istituti privati. Inizialmente, invece, sia la proposta Moro46 che la proposta

46

Nella discussione del 18 ottobre 1946, in prima Sottocommissione, l’on. Moro afferma:”I genitori dell'educando hanno diritto di scelta tra le scuole statali e quelle non statali (…) È in facoltà dello Stato concedere sussidi alle scuole non statali, che per il numero dei frequentanti e per il rendimento didattico accertato negli esami di Stato siano benemerite dello sviluppo della cultura”. Cfr. G. LIMITI, La scuola nella Costituzione, cit., p. 102, nota 30.

(26)

187

Marchesi47 prevedevano in maniera chiara l’ammissibilità delle sovvenzioni statali alle scuole private.

È solo nella discussione in assemblea plenaria che venne presentato un emendamento – il c.d. emendamento Corbino48 – che mirava ad aggiungere alla frase “Enti e privati hanno diritto ad istituire scuole ed istituti di educazione”, le parole “senza oneri per lo Stato”: tale clausola, messa ai voti e, infine, approvata, trovò l’opposizione del gruppo parlamentare democratico-cristiano.

La presentazione dell’emendamento in questione provocò, naturalmente, le reazioni contrarie dei democratici cristiani secondo i quali sarebbe stato assai “inopportuno precludere per via costituzionale allo Stato ogni possibilità di venire in aiuto a istituzioni le quali possono concorrere a finalità di così alta importanza sociale”49; l’on. Corbino, allora, come a voler precisare il senso della propria proposta, replicò sostenendo che non si voleva impedire tout

47

“Lo Stato, favorendo con premi e sovvenzioni le migliori iniziative private, stabilirà e svolgerà, con l'assistenza di enti locali e per mezzo delle autorità centrali e periferiche, un piano di struttura scolastica diretto ad integrare e ad estendere l'istruzione popolare”. Dalla seduta del 29 ottobre 1946 in prima Sottocommissione, per la quale si rimanda a G. LIMITI, La scuola nella

Costituzione, cit., p. 115, nota 33.

48 Emendamento proposto dagli onorevoli Corbino, Marchesi, Preti, Binni, Lozza, Fabbri, Zagari,

Pacciardi, Rodinò Mario, Silipo, Codignola, Bernini, Badini Confalonieri, Cortese, Perrone Capano e altri.

49 Sono parole espresse dall’on. Gronchi il 29 aprile 1947, subito dopo la presentazione

dell’emendamento Corbino, in Assemblea costituente. Le dichiarazioni della seduta, nel dettaglio, sono rinvenibili all’indirizzo

(27)

188

court allo Stato di intervenire a favore dei privati, bensì che nessuna

scuola privata poteva “sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare”50

. In base a queste dichiarazioni sembrerebbe, pertanto, che la clausola in esame servisse soltanto a negare che gli istituti privati potessero nascere con un diritto a ricevere sovvenzioni pubbliche e non ad escludere in via generale la facoltà per lo Stato di concederle.

A ben vedere, però, una visione più approfondita dei lavori preparatori sembrerebbe condurre a risultati interpretativi assai meno pacifici, mettendo in dubbio l’utilizzo di tale locuzione nel senso suddetto. L’on. Corbino, seppur primo firmatario, non fu solo a presentare l’emendamento e fra i co-firmatari vi erano rappresentanti di gruppi – anche più numerosi del suo – che diedero all'emendamento un significato decisamente orientato verso il divieto per lo Stato di sovvenzionare le scuole diverse da quelle statali. A voler riprendere alcune delle posizioni, a dire il vero piuttosto nette e risolute, rese in Sottocommissione e poco prima in Assemblea, pare difficile pensare che in un lasso di tempo così breve queste si siano stemperate fino al

50

Del medesimo taglio anche altri interventi, come quello dell’on. Codignola, per il quale “non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato alle scuole professionali; si stabilisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto”.

(28)

189

punto di acconsentire ad una formula che aprisse all’attribuzione di contributi pubblici nei confronti delle scuole private51.

Può allora nascere il sospetto che gli onorevoli Corbino e Codignola, più che interpretare “autenticamente” l’emendamento, volessero farlo apparire meno radicale di quanto in effetti voleva essere, magari al fine di ottenerne una approvazione non troppo contrastata, dal momento che, oltretutto, i chiarimenti degli stessi onorevoli arrivarono in sede di dichiarazione di voto, ossia in una fase del procedimento nella quale non si può riaprire la discussione (come ricordò il presidente Terracini a coloro che chiedevano la parola).

E nemmeno quando fu fatto notare che esistevano enti comunali e provinciali non collegati al mondo confessionale ma che avevano comunque il compito di istituire opere di educazione, a detrimento dei quali sarebbe andato il suddetto divieto ci furono marce indietro: anzi,

51 Era opinione dell’on. Binni che “non accetteremo (…) la richiesta di alcuna sovvenzione a scuole

private” (seduta pomeridiana del 17 aprile 1947); per l’on. Preti sarebbe stato “un paradosso che lo Stato, che non ha nemmeno abbastanza denaro per le proprie scuole, dovesse in qualunque maniera finanziare delle scuole che non gli appartengono” (seduta antimeridiana del 17 aprile 1947); ancora, secondo l’opinione dell’on. Bianchi Bianca “lo Stato può riconoscere l'utilità della scuola privata, ma non ne può riconoscere la necessità. Altrimenti distrugge la propria funzione educativa, l'efficienza della propria missione, di promotore dell'organizzazione della educazione nazionale. Lo Stato non può delegare ad altri questa sua attività preminente, non la può spezzettare suddividendola così fra tutte le scuole private. Che la scuola privata fiorisca, ma che non chieda sussidi ed aiuti allo Stato, perché lo Stato non può accettare questo principio” (seduta del 24 aprile 1947). Addirittura prima che l’emendamento Corbino venisse presentato, il 29 aprile 1947, l’ on. Bernini, in merito al tema della parità e del significato da attribuire all’espressione “parità di trattamento scolastico”, ebbe a dire che a questa si sarebbe dovuto dare il valore di “trattamento relativo all’organizzazione della scuola e ai diplomi, escluso nel modo più assoluto il trattamento economico”. Per i dettagli delle discussioni avvenute nelle indicate sedute – e così per tutte le altre – si rimanda a www.nascitacostituzione.it/02p1/02t2/033/index.htm.

(29)

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da parte dell’on. Malagugini si dichiarò che pur ammettendo l’esistenza di comuni che istituiscono scuole, le quali non sarebbero statali, pur non essendo private, in quei casi la legge avrebbe potuto rimediare alla esclusione di finanziamenti pubblici, considerandole come istituti parastatali o ricorrendo ad altri accorgimenti e “comunque, anche a prezzo di sacrificare qualcuna di queste istituzioni, noi teniamo all’affermazione del principio”: in pratica, pur di affermare il principio del divieto di sovvenzioni pubbliche agli istituti privati, si sarebbe corso il rischio, e anche accettato, di lasciare alcune di quelle scuole comunali senza aiuti statali.

Inoltre, a voler indugiare anche su coloro che a questo emendamento si opposero, si potrebbe osservare come il gruppo democratico-cristiano, non sembrò poi fare del diritto alle sovvenzioni una questione così tanto irrinunciabile. Piuttosto, maggiori (o, almeno, più evidenti) emersero le preoccupazioni circa il fatto che la nascente Costituzione assicurasse la libertà di iniziativa economica privata nel settore dell’istruzione e che gli istituti non statali venissero riconosciuti o potessero diventare equiparati alle scuole di origine statale52. O meglio, per la democrazia cristiana escludere oneri a

52

L’ on. Moro, per esempio, il 23 ottobre 1946 in prima Sottocommissione, disse “lo Stato deve assicurare le condizioni per la libertà e ‘l'efficienza’ delle iniziative d'istruzione e di educazione di enti e singoli. (…) parlando di ‘efficienza’, non si postulava alcun intervento dello Stato, non si

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carico dello Stato nel caso dell’istituzione di scuole private sarebbe stato sostanzialmente il corrispettivo da pagare per assicurarsi l’approvazione della prima parte del terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione53.

Ulteriore segnale che il reale contenuto dell’emendamento Corbino non era quello dichiarato ma aveva nelle effettive intenzioni di chi lo aveva concepito il significato di un netto divieto, è l’interpretazione fornita – a distanza di molti anni dall’entrata in vigore della nostra Carta fondamentale – da alcuni dei firmatari della proposta, in due documenti elaborati nella veste di commissari della c.d. Commissione Ermini54, la “Commissione d’indagine sullo stato e lo sviluppo della pubblica istruzione in Italia”, che si interessò anche delle scuole non statali55. Nel documento B – sottoscritto anche da Codignola – viene scritto come sia fuori dubbio che la legittimità di

richiedevano sussidi dallo Stato per rendere efficienti le scuole, ma si richiedeva semplicemente la garanzia di una effettiva libertà»; l’on. Merlin “Non abbiamo chiesto un soldo!” (seduta antimeridiana del 17 aprile 1947 in Assemblea costituente); ancora, l’on. Bianchini ”io, personalmente, non chiedo che la scuola non governativa sia sovvenzionata dallo Stato. (…) è alla persona, in quanto soggetto del diritto di essere istruita ed educata e, subordinatamente, alla famiglia, che si deve far risalire il diritto di essere aiutate nel raggiungimento dei fini propri e della persona” (seduta antimeridiana in Assemblea del 21 aprile 1947); in Assemblea costituente, il 29 aprile del 1947, fu l’on. Dossetti a dichiarare che sin dall’inizio dei lavori in sede di Sottocommissione sul problema della scuola, il suo partito con l’istituto della parità non aveva “mai inteso (…) risolvere i problemi di eventuali aiuti economici da parte dello Stato alla scuola non statale, ma garantire in modo concreto ed effettivo la libertà di questa scuola e la parità dei suoi alunni rispetto a quelli della scuola statale”.

53

Cfr. M. BERTOLISSI, Scuola privata e finanziamento pubblico: un problema da riconsiderare, in

Dir. e soc., 1985, p. 537.

54

Istituita con la legge n. 1073 del 24 luglio 1962 e presieduta, appunto, dall’on. Ermini.

55

M. GIGANTE, Il concetto di “parità” tra scuole statali e non statali e le modalità di attuazione

(31)

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sovvenzioni pubbliche alla scuola privata sia esclusa in Costituzione, “il terzo comma dello stesso art. 33 afferma infatti perentoriamente che enti e privati hanno sì il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione ma ‘senza oneri per lo Stato’ “; allo stesso modo, nel documento E – firmato, tra gli altri, da Badini Confalonieri – si legge che “il terzo comma dell’art. 33 della Costituzione (…) non dà luogo a dubbi interpretativi che abbiano fondamento. La norma costituzionale ha voluto precludere allo Stato il potere di assumere sul proprio bilancio oneri in favore della scuola non statale. Perciò non si può affrontare la questione dei contributi alla scuola non statale per risolverla favorevolmente, senza porre il problema della relativa norma costituzionale”.

Infine, anche i risultati della votazione per appello nominale porterebbero a condividere l’interpretazione che sostiene il divieto di sovvenzioni statali56, in quanto emerge che la democrazia cristiana votò in maniera compatta contro l’emendamento Corbino, come ad indicare che i democristiani stessi decifrarono l’emendamento in senso restrittivo, o perlomeno ritennero che l’interpretazione illustrata dall’on. Corbino sarebbe stata minoritaria, come in effetti risultò dalle

56

F. CALZARETTI, Senza oneri per lo Stato: la posizione dei Costituenti sulle sovvenzioni alle scuole

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193

dichiarazioni di voto dei gruppi che si espressero a favore dell’emendamento57

.

Pertanto, se i lavori preparatori in genere vengono portati a sostegno dell’interpretazione della locuzione “senza oneri per lo Stato”, nella direzione di lasciare una possibilità a disporre in via discrezionale dei finanziamenti a beneficio delle scuole non statali – senza che vi si possa ricavare un vero e proprio diritto di queste a riceverli – si potrebbe dire, viceversa, che, ad una lettura più approfondita, essi forniscono indicazioni non certo univoche e semmai tali da poter sostenere l’opinione del divieto assoluto.

2.2. Argomenti per l’inammissibilità delle sovvenzioni

La tesi in base alla quale la formula “senza oneri per lo Stato” dovrebbe intendersi non nel senso che lo Stato non sarebbe mai potuto intervenire a favore degli istituti privati, ma che questi ultimi, al momento della loro costituzione, non avrebbero avuto per ciò solo, il diritto di reclamare sovvenzioni da parte dei poteri pubblici ha rinvenuto il proprio fondamento nei lavori preparatori per la

57

Il c.d. emendamento Corbino, approvato in Assemblea Costituente il 29 aprile del 1947, riscosse 244 voti a favore, 204 contrari e 4 astenuti.

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Costituzione58. Tuttavia, non solo tale posizione appare facilmente smentibile attraverso un’indagine un poco più attenta dello svolgimento dei lavori stessi – come già si è apprezzato nelle pagine precedenti – ma non pare nemmeno così azzardato sostenere che, se la locuzione suddetta venisse interpretata nel senso di escludere non tanto il potere quanto il dovere per l’amministrazione pubblica di accordare contributi alle scuole non statali sembrerebbe, in vero, “logicamente e giuridicamente pleonastica”59

dal momento che “non vi è mai stato un obbligo a concedere finanziamenti alle scuole private”60

e “nessuno, anche senza la precisazione introdotta, avrebbe potuto pensare a un obbligo”61

di questo genere. In altre parole, a volerla leggere in questa maniera, la formula sarebbe superflua e non avrebbe granché senso di esistere.

Ma a sostegno dell’ammissibilità delle sovvenzioni statali alle scuole private, non mancano altre opinioni dottrinali – che si aggiungono a quella, appena ricordata, propugnatrice della tesi dei

58 Al riguardo, si vedano le dichiarazioni degli onorevoli Corbino e Codignola, già riportate al § 2.1

di questo capitolo.

59

Per usare un’efficace espressione ripresa in V. CRISAFULLI, La scuola nella Costituzione, cit., p. 85 e in V. ZANGARA, I diritti di libertà della scuola, cit., p. 426.

60

S. MASTROPASQUA, Cultura e scuola nel sistema costituzionale italiano, cit., p. 86.

61

F. STADERINI, La disciplina costituzionale della scuola privata con particolare riferimento

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195

finanziamenti facoltativi62, fondata sui lavori preparatori – che si andranno ora, pur senza alcuna pretesa di completezza, ad esaminare cercando di valutarne la fondatezza.

A partire dalla constatazione che la parola “onere”, utilizzata nella formula di cui ci stiamo interessando, esprime un significato diverso da quello proprio delle parole “sovvenzione”, “aiuti”, “finanziamenti”, si è arrivati alla conclusione che aiuti finanziari pubblici sarebbero pienamente legittimi . E ciò perché, da un punto di vista letterale e logico-grammaticale, la formula “senza oneri per lo Stato” non potrebbe significare altro che lo Stato non deve essere oberato di alcun onere, niente di più di questo. Ne deriva che lo Stato può dare sovvenzioni, perché sovvenzionare significa aiutare finanziariamente e le sovvenzioni sarebbero aiuti finanziari, “mentre

oneri importano pesi da sostenere, significano aggravi,

appesantimenti, carichi. Se l’istituzione da parte di enti e di privati di scuole o di istituti di educazione rappresenta un aiuto allo Stato, un favorire l’adempimento dei suoi obblighi, le sovvenzioni statali alle

62

Recentemente anche V. ONIDA, La priorità va alla scuola pubblica, ma lo Stato può aiutare le

private, in Il sussidiario.net, 15 giugno 2008, ritiene che non esista un diritto dei privati a chiedere

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196

scuole libere che siano riconosciute come ausiliarie dello Stato, diventano automaticamente obbligatorie”63.

Ancora, nel solco di questa strada, si sono sviluppate ulteriori argomentazioni di tipo economico, arrivando a sostenere, da una parte, che lo Stato sarebbe addirittura costituzionalmente obbligato a sostenere economicamente le scuole private tutte le volte in cui queste svolgono una attività di istruzione in maniera da sostituirsi o supplire alle funzioni delle scuole statali, poiché, nel caso di specie, la loro presenza si tradurrebbe in un vantaggio economico per la pubblica amministrazione, che verrebbe alleggerita – grazie alle iniziative dei privati – dal dovere costituzionale di istituire le proprie scuole64; dall’altro, che i contributi pubblici sarebbero dovuti qualora rientrassero nel limite di quello sgravio di spesa di cui lo Stato godrebbe in seguito alla diminuzione del numero di studenti cui è tenuto ad impartire l’istruzione gratuita, o a prezzo politico, per via dell’iscrizione di una certa parte di essi alle scuole non statali e del conseguente minor numero di istituti e classi statali necessarie65.

63 V. ZANGARA, I diritti di libertà della scuola, cit., p. 428. 64

Anche secondo C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 1187, non ci sono dubbi sul fatto che lo Stato abbia l’obbligo di erogare contributi a favore delle c.d. scuole a sgravio, “che esonerano lo Stato dall’aprire, nelle località ove esse funzionano, scuole proprie aventi carattere strettamente obbligatorio”.

65

Cfr. R. LUCIFREDI, I principi costituzionali dell’ordinamento scolastico italiano, in Riv. giur.

(36)

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A queste argomentazioni possono muoversi diverse obiezioni. Per esempio, è possibile rilevare come il discorso sia effettuato sostanzialmente sul piano economico senza fornire un supporto di ordine giuridico, mancando il quale la prospettata differenza fra cosa si debba intendere per ‘onere’ e per ‘sovvenzione’ si riduce ad un “semplice artificio verbale”66

che determinerebbe l’inefficacia della formula stessa, dato che finanziamenti alle scuole private (giustificati dalla utilità sociale dell’attività da queste svolta) si dovrebbero ritenere allora sempre leciti, mai realizzandosi un onere per lo Stato67. In più, l’argomento, utilizzato per il finanziamento delle scuole private, per cui sovvenzioni pubbliche sarebbero lecite perché non usufruendo del servizio pubblico si farebbero risparmiare soldi allo Stato sarebbe da respingere: se lo Stato veicola per l’espletamento di un certo servizio un determinato importo, significa che è il massimo di quel che ritiene o può spendere68.

Anche la distinzione tra oneri e sovvenzioni, così come riportata, va incontro ad alcune opposizioni poiché si potrebbe pur dire che un

66

A. MURA, Istruzione privata, cit., p. 9.

67 E. SPAGNA MUSSO, Sulla legittimità costituzionale di finanziamenti statali alle scuole private, in

Rass. dir. pubbl., 1965, p. 612.

68

“E si passi alle strade o alle ferrovie. Tutti i cittadini, specialmente i meno abbienti, sono costretti ad utilizzare quello che offre lo Stato. Chi non è soddisfatto, ed ha i soldi per farlo, ricorre, in sostituzione, agli aerei, agli elicotteri. Padronissimo di farlo: a sue spese ovviamente”, in D. BONAMORE, Illegittimità e incostituzionalità dei finanziamenti alle scuole private, in Giust.

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