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3. L'analisi di un sistema

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Academic year: 2021

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3. L'analisi di un sistema

Nella nostra società molti fenomeni sono organizzati tramite strutture, processi, gerarchie. La sociologia ci spiega che l'individuo umano si inserisce in un ambiente prima attraverso dei processi di base relativi alla conoscenza, configuranti la c.d. socializzazione primaria, e poi con i meccanismi interattivi della socializzazione secondaria.

Questa semplice spiegazione, però, è assai labile in contesti complessi nei quali, a volte inconsapevolmente, ci troviamo. Pertanto, è necessario ampliare tale teorizzazione.

A tal proposito Niklas Luhmann spiega come la teoria del sistema sia passata da «un concetto ontologico a un concetto funzionale del sistema e dell'ambiente»1 e

chiarisce i momenti di questo passaggio:

la teoria che considerava il sistema come un centro di organizzazione interna, senza considerare l'ambiente;

le teorie dell'equilibrio, che iniziavano a prendere in considerazione l'ambiente come un'inferenza sull'organizzazione interna del sistema;

la teoria dei sistemi aperti all'ambiente, che considerava l'idea che un sistema possa vivere solo se mantiene scambi con l'ambiente;

la teoria cibernetica, che considerava il sistema e l'ambiente due entità complesse dove il sistema per esistere dovrà ridurre la complessità esterna con un atto di selettività.

Secondo Luhmann, con questo processo durato anni, la teoria dei sistemi si è avvicinata a quella della società perché ne ha capito il problema essenziale: l'analisi della complessità e l'importanza della sua riduzione.

Questi passaggi storici della sociologia dei sistemi per Buckley si sono realizzati in tre distinti modelli: meccanico, organico e di processo.

Il modello meccanico sarebbe nato nel XVII secolo sotto la spinta delle rivoluzioni

1 J. Habermas, N. Luhmann, Teoria della società o tecnologia sociale – Che cosa offre la ricerca del

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della fisica e della meccanica. La società veniva così vista come una serie di individui, tra i quali l'interazione era fonte di cause naturali e analizzabile secondo concetti di «spazio, tempo, attrazione, inerzia, forza, energia»2. Solo Pareto, in

quest'ambito, andrà oltre semplici analogie con la fisica per approdare alla teoria che un sistema è fatto di interrelazioni che sono in equilibrio tra di loro e ogni oscillazione o cambiamento viene risolto con un bilanciamento di forze.

Il modello organico, diffuso con le ricerche di Herbert Spencer, invece paragona le parti della società alle parti del corpo che, appunto per questo, non combattono tra di loro ma cooperano per la sopravvivenza.

In questo modo si paragona la società più agli organismi individuali che alla specie, generando più un'analisi organismica che organica, come invece avrebbe fatto Darwin. Rimanendo sulla metafora del corpo umano, Cannon si rende conto che fare riferimento all’equilibrio è troppo preciso perché il corpo è un organismo che «può variare ma che è relativamente costante»3 e, pertanto, preferisce considerarlo

collegato all’omeostasi. Il sistema, dunque, sarebbe un'entità molto volubile, che pur di mantenersi in uno stato stazionario è disposto a cambiare la sua struttura. Ci sono però dei limiti di persistenza, gli aspetti normativi che permettono al sistema di distinguere ciò che è giusto o sbagliato e consentono allo stato di durare nel tempo. Per Buckley, nessuno di questi due approcci è utile ad esaminare la complessità e la ricchezza di interrelazioni che si possono riscontrare in una società, ma ammette che una via d'uscita ci potrebbe essere seguendo il modello della “Scuola di Chicago”: quello legato al processo. Esso «vede la società come un'interazione complessa, sfaccettata, fluida, di associazioni e dissociazioni, di diverso grado e intensità»4. I

teorici di questa scuola danno così ampio risalto agli aggiustamenti, agli adattamenti e ai conflitti che intercorrono in un sistema, vedendo nel mutamento di struttura un beneficio e non un momento di destabilizzazione. Ciò per loro voleva dire che il sistema sapeva adeguarsi all'ambiente, effettuando scelte e valutazioni che allo stesso tempo gli permettevano di definirsi.

Queste sintetiche e sommarie descrizioni dei modelli sociologici per osservare un

2 W. Buckley, Sociologia e teoria dei sistemi, Rosenberg & Sellier, Torino, 1976, p. 14 3 Citato ivi, p. 21

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sistema ci portano ora nell'analisi delle teorie di due importanti studiosi, che verranno poi giustapposte a teorie più economiche e pragmatiche del sistema, con le quali però potrebbero avere punti in comune.

3.1. L'approccio sociologico di Talcott Parsons

Talcott Parsons (1902 – 1979) fu per la sociologia un esponente estremamente importante perché permise alle analisi sociologiche del ‘900 di strutturarsi in una forma più teorica e precisa.

Parsons, proveniente da una famiglia protestante, studiò sociologia tra l'America e l'Inghilterra e si avvicinò ad autori come Marshall, Weber, Durkheim e Pareto. Maturò così un profondo interesse per i sociologi europei e i filosofi inglesi, ponendo particolare attenzione ai processi e alla profondità della scienza economica. Nacque quindi in lui la convinzione che la scienza non poteva ridursi solo ad empirismo, come la “Scuola di Chicago” professava in America. Bisognava, anzi, arrivare ad un livello di astrattezza e generalità elevato, che potesse ridare alla sociologia un ruolo importante all'interno delle scienze. Arrivò addirittura a concepire un suo empirismo teorico, un ossimoro che stava ad indicare che le sue fonti di studio e del suo pragmatismo erano gli autori passati, non la realtà circostante. Ecco perché nessuna sua conclusione può essere immediatamente trasposta nell'universo reale: lui proponeva soltanto concetti utili all'analisi, che a volte certamente rischiavano di rimanere fini a sé stessi.

Entrando nei termini delle sue riflessioni, al centro dell'analisi sociologica per Parsons c'è l'azione sociale, come già accennava Weber. Essa non è altro che un comportamento guidato dai significati che l'attore scopre nel mondo esterno.

Quindi, in questo concetto ci sono due protagonisti principali: l'attore e quindi la soggettività individuale, ma anche la situazione che influisce su di esso. Di quest'ultima possono far parte tre tipi di oggetti: materiali (quelli più legati alla biologia, al clima, alla geografia, ecc), sociali (gli altri), culturali (un simbolismo che delimita l'ambiente e aiuta anche a generarne le norme). Alcuni di questi oggetti sono però “non azione”, ovvero si presentano come le condizioni all'interno delle quali

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l'attore può pianificare i propri obiettivi. Sono questi gli oggetti materiali, che formano l'ambiente fisico, e quelli culturali, che racchiudono regole ma anche scopi-mezzi sociali per il raggiungimento di determinati fini personali. Già qui Parsons si distanza fortemente dalla sua America protestante, non incentrando il suo discorso soltanto sulla soggettività dell'individuo, ma inserendolo in un contesto più ampio, dove diverse forze interagiscono nello strutturarsi delle azioni.

Quindi riassumendo, quattro sono i cardini dell'azione sociale:

un soggetto-attore, che può essere anche un gruppo o una collettività, non solo un individuo;

una situazione, con i suoi oggetti materiali e culturali;

un insieme di simboli, che aiutano il soggetto ad orientarsi e a valutare come agire;

un insieme di regole, norme e valori che servono a organizzare i rapporti che il soggetto deve tenere con il contesto.

Quest'elaborazione porta facilmente a vedere l'azione come un sistema coordinato, dove diversi elementi svolgono funzioni di azione e controllo. Parsons precisa poi gli aspetti del sistema dell'azione, che sono tre:

la struttura, ovvero la base organizzativa con le sue componenti sufficientemente stabili da poter trasmettere un'immagine del sistema;

la funzione, ovvero la capacità di soddisfare dei bisogni elementari che permettano al sistema di esistere e perdurare;

i processi, ovvero i cambiamenti che possono attraversare il sistema, ma che vanno coordinati e canalizzati con modalità precise.

Nella struttura, in particolare, gli elementi che danno stabilità al sistema sono le norme, che servono per dare coerenza e ordine. Per Parsons, infatti, bisogna studiare come un sistema riesca a mantenere una sua forma di fronte alle continue perturbazioni e ai conflitti proposti dall'ambiente: l'ordine è una caratteristica problematica, da costruire con attenzione all'interno di un sistema. Per questo si realizza su due piani: uno simbolico, ovvero all'interno dell'ambiente e uno interiorizzato all'interno dell'individuo. Quando però l'individuo si trova in un campo

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d'azione si trova spesso, con tutto il suo bagaglio valoriale, di fronte a delle alternative che lo portano ad accettare una strada, rifiutando l'opposta. In questo caso si parla di variabili strutturali, che possono riguardare la situazione (universalismo/particolarismo o qualità/prestazione) o l'attore (specificità/diffusione o neutralità affettiva/affettività).

Le funzioni invece servono per soddisfare i bisogni di un sistema, che possono riguardare sia l'esterno che l'organizzazione interna. In questo modo Parsons sottolinea subito l'importanza di una dicotomia classica e fondamentale per ogni riflessione su un sistema: esiste sempre un dentro da gestire, organizzare e pianificare, come anche un fuori che il sistema deve ridurre e controllare. L'autore poi pone una differenza anche tra gli scopi ricercati e i mezzi utilizzati da un sistema per soddisfare dei bisogni e così, unendo le due dicotomie, arriva questa matrice con le quattro funzioni fondamentali di un sistema:

Mezzi Scopi

Esterno A - Adattamento G - Goal

Interno L - Latenza I - Integrazione

Leggendo la tabella in senso orario si nota che le iniziali delle quattro funzioni vanno a creare la sigla AGIL, che è il nome sintetico di questa matrice. Partendo proprio dall'adattamento, esso rappresenta quella funzione che permette al sistema di rapportarsi con l'esterno, in due modi: riconoscendo i confini e le esigenze dell'ambiente per ricavare le risorse necessarie all'organizzazione, offrendo degli scambi, e allo stesso tempo incidendo su di esso con l'utilizzo e il controllo.

Il goal, o meglio goal attainment, racchiude invece tutte le azioni che servono per definire e soddisfare gli scopi del sistema, muovendo tutte le risorse necessarie verso l'ottenimento di essi.

L'integrazione è invece la capacità di coordinare e controllare gli elementi interni del sistema, facendo in modo che esso si conservi e si possa difendere dall'esterno.

La latenza, infine, è la funzione che serve per stimolare i componenti del sistema ad agire, è quindi come un pozzo di motivazione ed energia da dove attingere ogni volta

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che bisogna affrontare un nuovo compito.

Queste quattro funzioni sono strettamente interrelate tra di loro, non sono autonome ma allo stesso tempo hanno confini ben precisi. Per comprenderle meglio si può guardare a come agiscono e a cosa rappresentano per l' attore. In lui l'adattamento non è altro che l'organismo biologico, che partecipa solo parzialmente ad un'azione in quanto è composto da elementi non totalmente volontari. La personalità corrisponde invece al goal perché è con la mente che si gestiscono gli obbiettivi, il sistema sociale rappresenta l'integrazione, a regole, obblighi morali, ecc. Infine, la latenza non è altro che la cultura, ovvero la nostra fonte primaria di ogni simbolismo e di ogni energia utile a dare senso. Anch'essa non agisce a pieno titolo nell'azione, semmai ne costruisce le basi e i valori: è la personalità e parzialmente l'integrazione che giocano più sul campo della realizzazione.

Stabilite le funzioni, bisogna capire come organizzare i processi, ovvero i cambiamenti che nel tempo possono coinvolgere il sistema. Parsons immagina un sistema in uno stadio di perturbazione e ritiene che l'obiettivo finale di qualsiasi lavoro di confronto col mondo sia l'equilibrio, secondo il modello meccanico di Pareto.

Chiaramente l'equilibrio è una condizione idilliaca e ipotetica da raggiungere, in quanto un sistema difficilmente si può trovare in inerzia. Quindi bisogna bilanciare le ondate di disturbo che per Parsons si realizzano attraverso l'attività, ovvero gli effetti delle proprie o altrui azioni, oppure con l'apprendimento che modifica le interiorizzazioni di un individuo. Di interesse per la condizione di equilibrio è anche il rapporto comunicazione-decisione: per comunicare bisogna aver la decisione di farlo, riconoscerne la necessità. Inoltre, il sistema può contenere parti che operano per differenziarsi l'un l'altra ed essere autonome, alle quali si oppone un processo di integrazione che cerca di coordinarli mantenendo attivi dei buoni scambi.

Fin qui si sono esaminati l'attore e il suo sistema d'azione, però per Parsons è importante anche considerare la società in quanto sistema. Nello schema AGIL proposto sopra il sistema sociale era rappresentato dall'integrazione, ovvero quella funzione che contiene regole e soluzioni per fare in modo che all'interno del sistema ci sia un equilibrio e la solidarietà dei suoi elementi. Per Parsons il modello AGIL è

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molto duttile, può essere applicato ad ogni funzione di un sistema, generando così dei sotto-sistemi. Ad esempio, al concetto di personalità esposto sopra è facilmente applicabile una nuova divisione quadripartitica. Con questa prospettiva flessibile e multilivello Parsons quindi considera che anche il sistema sociale può essere scomposto in quattro funzioni, anzi in questo modo si entra più nel concreto delle vicende umane, lasciando la teoria. Quindi la società ha al suo interno l'adattamento in forma di economia dei beni materiali, il goal è realizzato dagli obiettivi e dalla mobilitazione della collettività, l'integrazione è l' insieme delle istituzioni che gestiscono la solidarietà dei membri, mentre la latenza sono i valori di una comunità e il processo di socializzazione.

Questi concetti del sociologo americano hanno ottenuto molte critiche che, in questa sommaria introduzione, non approfondirò perché l'obiettivo principale è solo quello di mostrare come sia possibile un'analisi teorica precisa e puntuale anche dei processi sociali. Parsons, infatti, ha mostrato ai suoi colleghi sociologici come sia possibile cogliere i meccanismi e le strutture che regolano la realtà sociale, rischiando forse di incappare in eccessiva astrattezza, ma di certo fornendo degli efficaci schemi di riflessione. Per questo, egli è stato il capostipite dello struttural-funzionalismo, perché si era appunto proposto di individuare la struttura di fondo della società e di comprenderla mostrando le funzioni assolte dalle sue parti.

Per il mio lavoro è di estremo interesse l'importanza data ai concetti di interno/esterno e scopi/mezzi, come anche l'importante rilievo dato alla cultura, ai valori che animano un sistema e alle norme che cercano di mantenere stabilità all'interno di un sistema. Su quest'ultima concettualizzazione è rimasto formale e in strenua difesa della stabilità, non approfondendo invece l'interessante dinamica del cambiamento e del conflitto che tratterò nell'ultimo capitolo di questa mia tesi.

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3.2. Il funzional-strutturalismo di Niklas Luhmann

Niklas Luhmann (1927-1998) nacque durante la Repubblica di Weimar e in quel periodo si laureò in giurisprudenza. Grazie al titolo riuscì ad entrare nel palazzi giudiziari e a lavorare all'organizzazione degli archivi, per poi diventare un funzionario dell'amministrazione pubblica nel periodo post-bellico di ricostruzione della Germania. Nei primi decenni della sua vita, quindi, nacque in lui una spiccata attitudine a archiviare, organizzare, elaborare che mise in pratica in particolare con le letture di Husserl, ma che mantenne anche nello studio di Cartesio, Kant, Malinowski e Radcliffe-Brown.

Negli anni '60 decise di passare un anno in America e lì incontro Talcott Parsons, di cui studiò le teorie e iniziò subito a perfezionarle. Tornato in Germania, però, proseguì i suoi studi sociologici, fino a diventare professore universitario e a lavorare insieme ad Habermas su concetti di sistema e società.

In particolare si distinse nell'approccio al concetto di sistema: se Parsons può esser considerato il maestro dello strutturarl-funzionalismo, lui cercò di esserlo per il

funzional-strutturalismo. Questa inversione dei termini sta ad indicare che non è

importante capire come le strutture possono esistere all'interno di un sistema quanto piuttosto quali funzioni possono svolgere. Luhmann è ancora interessato a produrre una teoria generale della società, partendo da concetti generali piuttosto che da fatti empirici, ma sottolinea come le funzioni debbano essere il punto cardine dell'analisi. Quindi è ben lontano dal determinismo, ma si distanzia anche da ipotesi causalistiche. Per lui la funzione va oltre il concetto di causa, anche se in parte lo contiene, ovvero ci si concentra su un insieme di fenomeni che possono indipendentemente creare lo stesso effetto. Per questo parla di equivalenza funzionale, perché le cause che orientano una funzione possono essere molteplici nel nostro complicato mondo, si possono scambiare (equivalenza funzionale disgiuntiva) o doversi produrre tutte insieme (equivalenza funzionale congiuntiva).

Ad ogni modo, non c'è più bisogno di pensare a processi monocausali, rigidi e precondizionati, si può anzi osservare in maniera comparativa e indeterminata la

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realtà. Essa però cos'è? È senza dubbio tanto l'ambiente che ci circonda quanto il sistema particolare in cui viviamo. Due concetti questi che vengono rielaborati da Luhmann: il suo primo interesse è superare la visione organicistica, che prevedeva questi due elementi in constante equilibrio. Tra ambiente e sistema c'è ancora una relazione, ma l'ambiente viene visto come una costante minaccia per il sistema, a cui bisogna reagire.

Il sistema invece viene visto come un insieme di azioni delimitate e ordinate nei confronti dell'ambiente, ovvero il sistema con un suo semplice ordine interno cerca di fronteggiare i diversi problemi che l'ambiente gli propone, che lo costringono a mettersi in gioco e cambiare. Nel mondo, quindi, il sistema si trova di fronte a numerose possibilità che non possono essere esaurite o prodotte tutte perché il potenziale dell'azione umana non è così ampio come quello dell'ambiente. Il sistema quindi deve attuare un'operazione di “riduzione” di questa complessità per poter sopravvivere. Ci riesce però meglio se anche al suo interno ci sarà complessità e differenziazione perché ciò significa che già dal dentro il sistema si è abituato a ragionare con più componenti e quindi sarà facilitato a recepire nuove e numerose spinte dall'esterno. Qui però più che di riduzione sembra esserci un fenomeno di trasformazione della complessità esterna in quella interna, secondo gli schemi del sistema, che in questo modo può continuare a mantenersi nel tempo. Ciò avviene attraverso delle strutture, che selezioneranno e interpreteranno gli eventi esterni attraverso delle alternative e che permettono di creare delle aspettative. In questo modo le strutture riducono l'ansia e filtrano quegli eventi che il sistema considera possibili e realizzabili. A volte, tuttavia, accade che questi eventi non si realizzino e ciò è dovuto alla contingenza, ovvero al fluire autonomo della realtà. Per comprendere meglio questo punto basta ricordare che per Luhmann è sistema anche il singolo individuo, un universo chiuso e autopoetico. Nonostante ciò, noi possiamo comunque relazionarci con gli altri grazie al fatto che con essi riusciamo a stabilire un collegamento, al centro del quale spesso sta il senso. Questo importante concetto serve per indicare che l'individuo può accedere a varie possibilità, le controlla e le sceglie ma contemporaneamente mantiene vive anche le alternative escluse. È questa una tecnica di negazione, dove la complessità viene ridotta con un'operazione di

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accantonamento di ciò che “non è” per il nostro concetto. Questa strategia permette a Luhmann di porre la sua teoria a metà strada tra la cibernetica e la sociologia comprendente.

Quindi, il soggetto-sistema sa creare significati dalla società e anche relazionarsi con gli altri, anche se pure qui è ben presente la debolezza generata dalla contingenza: non è difatti sempre possibile interpretare e condividere le aspettative con altri soggetti che hanno la loro libertà. Anzi, si genera un meccanismo di “aspettative di aspettative” che sicuramente amplia lo spettro conoscitivo, ma allo stesso tempo non collabora nella riduzione delle incertezze.

L'ambiente, ovvero la realtà complessa intorno al sistema, per Luhmann si presenta invece in tre modi: temporale, materiale e simbolico. Di conseguenza, il sistema deve lavorare verso queste tre direttrici per ridurre la complessità e spesso opera attraverso delle operazioni binarie, delle dicotomie di giusto/sbagliato, vero/falso, ecc.

I tipi di sistemi sociali, ovvero gli insiemi di azioni dotate di significato, che possono lavorare nei confronti di questi tre aspetti ambientali sono:

l'interazione, che avviene quando due persone si incontrano casualmente e che dura temporalmente poco, anche se può avere diverse influenze simboliche;

l'organizzazione, che è invece una forma sociale più costruita e con comportamenti più standardizzati, dove si decide chiaramente come entrare e uscire (dimensione temporale), i ruoli dei vari protagonisti (dimensione materiale) e le regole che reggono la struttura (dimensione simbolica). Su questo punto, a differenza di Parsons, il sociologo tedesco specifica che non serve un consenso degli individui sui valori per farla funzionare, ma basta che essi utilizzino gli strumenti simbolici comuni (come il denaro o la verità);

la società, intesa come quella globalizzata, dove comunicazione e organizzazione sono i perni fondamentali, anche se questo concetto è problematico perché non si capisce a che livello si può configurare l'analisi. Gli individui infatti sono l'ambiente e vivono in più sistemi con i loro ruoli, ma non è chiaro se anche la società possa esser compresa in qualche sistema.

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Da questa breve ricognizione dei termini del complesso approccio sociologico di Luhmann si evince l'importanza delle funzioni e l'intenso lavoro che individuo e sistemi più grandi devono svolgere di fronte all'ambiente. Il sistema pur avendo qui confini più definiti rispetto a quanto proposto da Parsons, deve comunque lottare per mantenersi integro e saper reagire alle influenze. Interessante qui è come il ragionamento venga portato sul piano individuale, potenziando l'importanza dell'altro e paventando già il concetto di compromesso nell'interazione. Concetti questi che torneranno nella mia trattazione, nell'analisi del mio luogo di lavoro.

3.3. Un approccio economico alla comunicazione

Nel libro “Impresa 4.0 – Marketing e comunicazione digitale a 4 direzioni” di Franco Giacomazzi e Marco Camisani Calzolari viene invece proposta un'interessante analisi dei flussi comunicativi che intercorrono in un sistema, attraverso un approccio più economico che sociologico.

Ho scelto di inserire quest'analisi nella mia trattazione perché credo valga non solo per le imprese, ma per qualsiasi tipo di azienda o ente che vuole mettersi in contatto con l'esterno. Ovviamente, alcuni caratteri strettamente di marketing non saranno considerati nell'ambito della PA, ma ritengo che l'impostazione generale fondata su elementi di economia e marketing aiuti a superare la concezione dell'ente pubblico come una macchina solo burocratica. Anch'esso infatti deve lavorare per attirare il proprio pubblico con dei progetti precisi, senza credere che i cittadini gli si avvicineranno spontaneamente.

Gli autori5 partono dalle semplice considerazione che un'impresa nella nostra era

deve gestire, con opportune strategie, una comunicazione diretta verso tre entità:

il mercato, generando la comunicazione obbligatoria e di marketing;

gli stakeholder, ovvero convincendo ed informando gli azionisti e gruppi di potere che possono far crescere o decrescere l'azienda;

il personale interno, al quale bisogna comunicare norme e obiettivi.

5 F. Giacomazzi, Marco C. Calzolari, Impresa 4.0 – Marketing e comunicazione digitale a 4

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Queste comunicazioni devono però avvenire in maniera bidirezionale: non può cioè l'azienda essere l'unico emittente in una relazione con questi tre soggetti. Deve, anzi, permettere anche a loro di relazionarsi e di dire la propria opinione, aprendosi ad un meccanismo di feedback che potrebbe dare importanti spunti per la produttività. Oltre a questi tre circuiti comunicativi, se ne generano altri tre, che potremmo definire interni. Infatti all'interno di ogni elemento considerato si genera una comunicazione riguardo all'azienda: il cliente parla con altri clienti dei prodotti o dei servizi dell'azienda, lo stakeholder discute delle scelte e dell'immagine dell'azienda con altri gruppi di potere interessati e i dipendenti commentano tra di loro le questioni lavorative.

Quindi i circuiti che vanno a crearsi sarebbero nove, che gli autori così elencano:

dall'impresa al mercato;

dall'impresa agli stakeholder;

dall'impresa ai dipendenti;

dal mercato all'impresa;

dagli stakeholder all'impresa;

dai dipendenti all'impresa;

all'interno del mercato;

tra gli stakeholder;

tra i dipendenti.

Si noti che questi tipi di comunicazioni sono sempre esistiti intorno ad un'impresa, solo che ora gli ultimi tre sono molto agevolati, grazie agli strumenti che le nuove tecnologie mettono loro a disposizione. È chiaro quindi che l'azienda deve attuare uno sforzo comunicativo importante: non solo produrre informazione, ma anche controllare quella entrante e quella che circola nell'etere e nella società.

Quindi, secondo gli autori, l'impresa oggigiorno è formata da tre importanti elementi:

il valore che propone all'esterno;

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la relazione comunicativa d'impresa, intesa come la nuova capacità di comunicare in maniera bidirezionale con chi è interessato all'azienda, che vada oltre un marketing solamente coordinato.

Viene così introdotto un nuovo concetto, la relazione comunicativa che si deve stabilire assolutamente per «creare un legame tra l'azienda e un qualunque suo interlocutore, oggi più che mai componente essenziale dell'attività di marketing e condizionante il buon funzionamento dell'impresa»6.

La relazione comunicativa che si può creare con un'entità può essere quindi di quattro tipi:

presentazione, ovvero una comunicazione essenziale e spesso formale, dove la partecipazione del destinatario è spesso limitata in quanto ci si trova di fronte soprattutto a dati;

coordinazione, una comunicazione rivolta a più entità che per questo devono essere tenute sotto controllo tramite magari una scala gerarchica;

cooperazione, una relazione dove riconoscendosi si cercano di seguire percorsi comuni, con vantaggi per entrambi;

collaborazione, dove si genera un forte senso di appartenenza.

Da queste tipologie derivano altre due caratteristiche che specificano la relazione comunicativa:

l'intensità, ovvero la forza e la frequenza del rapporto che si può instaurare con l'elemento vicino all'azienda;

le finalità, cioè gli scopi per cui si decide di comunicare con quel cliente o stakeholder. Possono andare da obblighi legislativi o tecnici fino a scelte di marketing ben precise.

Da queste classificazioni e riflessioni si è arrivati ad una definizione articolata di sistema, con l'obiettivo di orientare le dirigenze non solo a capire i destinatari, ma anche ad utilizzare i mezzi multimediali dell'era web 2.0, più efficaci.

Gli autori7, infatti, raggruppano i nove circuiti comunicativi descritti in due 6 F. Giacomazzi, M. Camisani Calzolari, op.cit., p. 35

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macroaeree dove i clienti e gli stakeholder sono il fuori, mentre i dipendenti il dentro. In questo modo i flussi comunicativi diventano quattro:

dentro-fuori: dall'impresa all'esterno;

dentro-dentro: tra i dipendenti;

fuori-fuori: tra i clienti;

fuori-dentro: dall'esterno a dentro l'impresa.

Ritengo che questa classificazione, costruita con rigore ed una profonda valutazione, sia estremamente importante per la mia analisi. Innanzitutto perché è una proposta di comprensione di un sistema comunicativo ad ampio raggio, che può andare oltre i confini del marketing e dell'economia. Inoltre perché sintetizza bene due concetti estremamente importanti per la comunicazione: il dentro e il fuori. Fin dagli studi di Jackbsons infatti si è sempre definito il flusso comunicativo come un processo che partiva da un emittente e arrivava ad un destinatario. In quegli studi si sottovalutava però il processo inverso, ovvero il meccanismo che genera risposte e feedback, estremamente importante. Nello schema degli autori invece si approfondisce questo aspetto, sottolineando anche che le due parti del sistema hanno flussi comunicativi interni. Secondo la teoria sistemica le relazioni tra sistema e ambiente si configurerebbero come un tentativo di riduzione del primo sul secondo. Qui invece viene sottinteso il modello di processo avanzato da Buckley, che puntava ad accettare il mutamento e ad organizzarlo, riconoscendo all'ambiente una forte importanza per la creazione di idee o prodotti. Senza tornare nell'ambito sociologico, basti pensare a quanto sembri oggigiorno deleterio ascoltare eccessivamente i clienti, farsi orientare da loro. L'azienda o l'ente che rientra nell'ottica proposta non fa esattamente questo, ascolta e reagisce con le proprie dinamiche e qualità. In questo modo la sua essenza rimane immutata e più che basarsi su norme o consuetudini si basa sull'affidabilità, sul brand, su concetti che il marketing ha portato alla luce, rinnovando notevolmente l'analisi sociologica.

Entriamo ora un po' più nel dettaglio delle quattro direzioni, analizzandone più gli aspetti contenutistici e gli obiettivi ad esse collegati.

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3.3.1. Il Dentro – Fuori

È il tipo più classico di comunicazione. Ancora prima di analisi approfondite di sociologia o di marketing, si è sempre ritenuto che da dentro un gruppo o un sistema potessero fuoriuscire informazioni atte a soddisfare diversi scopi. Questo è quindi un processo conosciuto, che intacca relativamente l'azienda, anche se va considerato che per ottenere una buona comunicazione bisogna che il cerchio del dentro sia davvero unito (come l'immagine simboleggia). Deve esser chiaro a tutti quelli che stanno dentro cosa far passare fuori, per ottenere un risultato ottimale e condiviso.

La freccia poi si dirige tanto verso i clienti quanto verso gli stakeholder. Nei confronti dei primi si attiva una comunicazione più di marketing, di convincimento e sollecitazione. Verso i gruppi di potere, invece, si attua una relazione comunicativa più improntata alla presentazione, accentuando aspetti sociali e collettivi delle attività dell'impresa. In quest'ambito rientrano anche le analisi finanziarie, i report economici e gli obblighi comunicativi inerenti al bilancio, imposti dalla legge.

Gli autori rilevano8 quindi che in questo ambito le funzioni da soddisfare si possono

sintetizzare in queste cinque:

pubbliche relazioni;

brand managment;

comunicare il valore;

trasmettere informazioni operative o tecniche;

attivare una “conversazione” con i clienti e gli stakeholder, in un'ottica bidirenzionale e grazie alle nuove tecnologie.

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3.3.2. Il Dentro – Dentro

Come anticipato sopra, questa relazione comunicativa è fondamentale per veicolare la comunicazione all'esterno. Ciò peraltro dimostra come le quattro dimensioni siano tra loro correlate e si influenzino vicendevolmente. Non serve però solo a questo scopo: una buona comunicazione interna, infatti, è utile anche per creare un clima di condivisione e soddisfazione. Gli autori sottolineano che senza questa relazione non è vero che non esiste una comunicazione interna, ma essa rimane puramente formale e tecnica, mantenendo lontana una «condizione più fluida dei processi gestionali, sia ad attrarre, sviluppare, rafforzare la motivazione, coinvolgere, trattenere e far efficacemente interagire il personale»9 attraverso una proposta di valore interno.

Questa situazione può esser realizzata in due modi: garantendo un buon collegamento tra la direzione e tutte le parti sottostanti della gerarchia, in modo che gli obiettivi vengano recepiti e capiti; ritenendo il dipendente un potenziale cliente, sul quale si possono fare esperimenti di fidelizzazione e soddisfazione.

Inoltre, per gli autori il marketing interno servirebbe a creare quel clima propositivo e ottimale, che favorirebbe l'arrivo di capitale umano da fuori. Se, infatti, il dipendente si trova a suo agio in una realtà, è probabile che la pubblicizzi bene all'interno della sua rete sociale e questo, oltre ad aver un buon risvolto sui prodotti, può avere una conseguenza sulla reputazione e l'attrattiva dell'azienda.

La comunicazione interna è quindi rilevante in tutte le imprese, ma è importantissima in quella dove gli impiegati stanno in front-office, di fronte al pubblico, a rappresentarla continuamente. Loro non possono non sapere come alcuni funzionano i fenomeni interni: devono conoscerli per sapere come e se comunicarli, per non

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mostrarsi inesperti e lontani dal cuore dell'impresa. Per questo, gerarchie troppo rigide e che puntano poco ad divenire orizzontali sono deleterie e fuorviano la condivisione di obiettivi.

Riassumendo quindi, per gli autori10, gli scopi di questa relazione comunicativa sono:

condivisione mission e valori aziendali;

formazione;

trasferimento e condivisione della conoscenza, supporto alla ricerca;

supporto ai processi organizzativi;

gestione del clima aziendale e delle motivazioni;

team building.

3.3.3. Fuori – Fuori

Questo tipo di comunicazione è tra le più interessanti e imprevedibili. Essa infatti non è sotto lo stretto controllo dell'azienda, anche se influisce in maniera decisiva su di essa attraverso l'immagine che diffonde di sé stessa e tramite le sue prestazioni. L'azienda però non può veicolarla o correggerla, ma solo osservarla. Essa si sviluppa tra i clienti e gli stakeholder che comunicano tra di loro. Un tempo, la forma principe di questa comunicazione era il passaparola, ora ritenerlo l'unico è riduttivo. In quest'ambito infatti la tecnologia ha aiutato molto e permette flussi comunicativi autonomi, con una notevole libertà di giudizi e opinioni su un'azienda. Questa qualità però non risiede nello strumento, ma nel contesto dove esso si sviluppa. Gli autori fanno a questo proposito l'esempio calzante del forum: è completamente libero solo

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se la community è gestita autonomamente dall'esterno11. Un forum infatti può essere

creato da un'impresa per ottenere dei feedback e creare una comunicazione bidirezionale, che avrà libertà però diverse12, oppure un'impresa può cercare dove si

parla di lei, mentre i dipendenti possono creare un proprio forum (come in parte si è tentato sull'Intranet del Comune di Bergamo).

Questa relazione comunicativa si attua con i cosiddetti UCG (User Generated

Content) e se questi prodotti, spesso audio o video, sono diffusi su un canale

popolare (come Youtube o Facebook) possono avere un risalto enorme e anche preoccupante per l'azienda.

3.3.4. Fuori - Dentro

Si è accennato sopra al fatto che l'impresa possa avere la curiosità e l'interesse a scoprire come all'esterno si parla di lei, in modo da poter attuare azioni correttive e magari canalizzare la comunicazione.

Avere informazioni dall'ambiente esterno è sempre stato importante, ma se prima si osservava solo come esso si comportava attraverso calcoli statistici e fiere, ora lo si può fare anche sul web, con strumenti semplici. È chiaro che per entrambi i mezzi, analogici e digitali, serve però una buona capacità interpretativa, che permetta di fare collegamenti e ragionamenti efficaci. Non bisogna, quindi, considerare importante per l'azienda solo il blog che ha tanti contatti perché una valutazione negativa può viaggiare nella rete per anni grazie ai link e ottenere una rilevanza sul lungo termine. Quindi è bene lavorare in questa relazione comunicativa con un'attitudine a tutto tondo, attraverso sistemi innovativi e convenienti come possono essere gli aggregatori di notizie, i rilevatori di link o i motori di ricerca ad hoc. Occorre di

11 Ad esempio, prendendo in considerazione l'impresa Vodafone, è questo il caso del forum Vodaworld, costruito e gestito da fan dell'azienda

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conseguenza prestare attenzione ai propri link, non solo alla propria home-page e creare una comunicazione coordinata su internet, per evitare che qualcuno riesca a recuperare una sotto-pagina da criticare o dalla quale creare una valutazione negativa dell'impresa.

Nell'ufficio dove ho svolto io il tirocinio, l'Agenzia Comunicazione, quest'attività veniva svolta ogni mattina con l'ausilio di un programma che recuperava gli articoli di giornale (cartacei e virtuali) più importanti sulla città. In questo modo si esaminava cosa dicevano sull'amministrazione i quotidiani, quelli erano le problematiche e le inchieste più ricorrenti e si cercava di dare una risposta. Si noti infatti che, come sottolineano tutti gli studi sulla comunicazione d'emergenza, il replicare immediatamente ad una critica, il saper reagire senza celare sono attitudini imprescindibili per mantenere la fiducia degli utenti anche di fronte ad errori o mancanze.

3.4. Un approccio finanziario alla comunicazione

Un'altra analisi economica e schematica della comunicazione che gira intorno ad un'impresa è quella proposta nel dettaglio da Quagli nell'inizio del suo libro “Comunicare il futuro”. L'autore, infatti, descrive i canali e i tipi di comunicazione che possono interessare un'azienda, dando particolare risalto alle direzioni e ai soggetti interessati. Per me che in quest'ambito sto trattando un'azienda pubblica alcuni elementi sono superflui ed esagerati, visto che non c'è scopo di lucro nell'attività della PA. Questo non toglie però che si possa strutturare una riflessione anche di tipo economico, perché non bisogna dimenticare che anche nella PA ci sono flussi di capitale e che molti vengono dalla società e dai cittadini che, prima per una questione etica e poi per un principio economico, hanno diritto ad una buona comunicazione.

Esaminiamo, quindi, i passaggi proposti da Quagli nella sua descrizione, incentrandoci ovviamente solo sull'analisi di aziende non quotate.

Innanzitutto, bisogna ricordarsi che un'impresa non comunica esternamente solo con chi ha capitali da investire, ma anche con altri soggetti attraverso il marchio o le sue

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azioni. Tutti questi soggetti fanno parte del concetto di stakeholder, che è cioè «un insieme di soggetti caratterizzati da obiettivi il cui soddisfacimento dipende in qualche modo dal comportamento aziendale»13.

La comunicazione verso l'esterno può essere quindi di due tipi:

implicita, ovvero comunicazioni non verbali. Quagli cita14 il termine

signalling, elaborato da Leland-Pyle, con risvolti prettamente economici. Il

suo significato basilare però è utile a descrivere questo tipo di comunicazione: essa può riguardare dei comportamenti predittivi, che lasciano intravedere andamenti futuri. Spesso però la comunicazione implicita è più semplicemente quella che sfugge dai controlli o che è sottovalutata come, ad esempio, può essere la comunicazione negativa trasmessa ad un utente che non riesce mai a trovare libero il telefono dell'ente;

esplicita, ovvero comunicazioni di tipo verbale, in forma scritta o orale.

Quest'ultima può essere realizzata attraverso due canali di comunicazione:

diretti, dove ci può essere un rapporto di compresenza, faccia a faccia, con

l'utente e attraverso i quali ci può essere una ricca comunicazione, alquanto pragmatica e gestuale. Oppure si può avere una comunicazione a distanza, legata solo alla voce o anche al video. Il primo caso è quello classico del telefono, mentre il secondo è tipico degli audiovideo o delle conference call. Chiaramente questi due sottocanali vengono scelti in base all'importanza dell'interlocutore: ad un finanziatore, ad un politico importante, si riserverà sempre un canale diretto e un flusso comunicativo “uno a uno”. Spesso però, al di là dell'importanza, è necessario ottimizzare i tempi e quindi si creano conferenze stampa “uno a molti” o conference call “molti a molti”. In questo modo l'attenzione è solitamente più alta, ma la ricchezza informativa è più labile, soprattutto se si usano strumenti informatici (come il protocollo UDP) che non possono ancora garantire una comunicazione fluida come quella del faccia a faccia;

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indiretti, che hanno come caratteristica intrinseca la non simultaneità della

comunicazione, che quindi impedisce una bidirezionalità e un feedback immediati. Ciò è tipico della forma scritta che, appunto per questo, va preparata con attenzione e per la quale bisogna attendere a volte molto per ottenere un riscontro e una condivisione. Questo tipo di comunicazione può essere “uno a uno” quando è strettamente rilevante, “uno a molti” quando è indirizzata a molti o anche “uno a tutti” se è aperta a tutta la comunità degli stakeholder, come potrebbe essere una brochure. Si ricordi che non simultanei sono anche alcuni audio e video registrati e quindi anche loro rientrano in questa categoria.

Quindi la principale differenza tra questi due canali sta nella simultaneità o meno del processo comunicativo e nella «distanza temporale del feedback informativo»15.

Nei canali indiretti la comunicazione può essere di due tipi: primaria, se è l'azienda che entra direttamente in contatto con i suoi interlocutori; secondaria, ovvero una comunicazione rielaborata da un intermediario al fine di rendere al destinatario informazioni utili.

15 A. Quagli, op. cit., p. 12

Giacomazzi e Camisani Calzolari citano a pag. 119 del loro libro Ken Tompson che analizzò gli schemi comunicativi rintracciabili in natura per aiutarci a comprendere i flussi della comunicazione digitale.

Un primo approccio sarebbe quello “one to many” o “The Shout”, utilizzato da api o formiche, che si basa sul concetto di broadcast o della televisione. In questo modo si comunicano aspetti importanti dell'impresa (tramite brochure, scadenze, ecc) senza interessarsi del feedback.

Il secondo tipo è quello “one to one” o “The Whispering” che negli animali si produce con uno scambio di liquido, mentre tra gli umani si realizza concentrando l'attenzione su una persona importante all'interno di un gruppo, rendendo così la comunicazione quasi segreta, oppure tramite una comunicazione indirizzata ed esclusiva verso una persona particolarmente importante e interessata.

Il terzo tipo è quello “one to some” o “The Gossip” dove si comunica solo con una parte del gruppo, coinvolgendo e attirando l'attenzione solo di alcune persone. Questo processo può diventare rischioso se è troppo nascosto e se ci si relaziona sempre con gli stessi membri.

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Questo secondo tipo di comunicazione si è sviluppata perché sempre più spesso l'informazione primaria è lunga, grezza, ridondante e burocratica. In questo modo l'intermediario, grazie alla sua esperienza e competenza, riesce a ridurre la complessità degli argomenti attraverso operazioni di selezione e riassunto, generando così un'informazione chiara e utile per l'esterno. Nell'ambito economico, inoltre, l'intermediario aiuta a soddisfare specifiche esigenze dei destinatari che la comunicazione primaria non considera e attua confronti tra diversi operatori.

Gli intermediari quindi posso essere informativi “puri”se il loro obiettivo è solo quello di diffondere informazioni. In tal caso possono essere generalisti, fornendo un'informazione ampia ma poco approfondita, dove le fonti sono sia i canali diretti che indiretti dell'azienda.

Questa pratica è tipica dei mass media, come i quotidiani o le riviste. Oppure l'intermediario puro può essere specialistico, ovvero può conoscere bene quell'ambito e addentrarsi con facilità, riuscendo anche a fare ricche analisi e comparazioni.

Infine, nell'ambito economico esistono anche gli intermediari informativi “misti”, che sono coloro che hanno come primo obiettivo lo scambio di denaro o titoli e solo come secondo quello di informare. In questo ambito la comunicazione diventa più un'arma che un mezzo di condivisione, difatti spesso questi intermediari lavorano più per creare gossip e rumor piuttosto che mediare tra azienda e destinatario.

È chiaro che questa classificazione non è pienamente applicabile ad una pubblica amministrazione, anche se il concetto di intermediario “puro” (con le sue due classificazioni) può risultare utile per capire l'importanza che ricoprono i media nella diffusione e nella comparazione delle informazioni di un ente. È sempre più raro però che loro operino un'attività di mediazione contenutistica, in quanto i nuovi uffici comunicazione stabiliti dalle leggi hanno come obiettivo una comunicazione lineare, semplice e non altisonante. Certo, nei casi ancora più tecnici, come ad esempio la lettura di un'ordinanza, i mass media realizzano ancora questo compito: anche quella infatti è informazione pubblica, veicolata e ancora molto condizionata da strutture linguistiche imposte dalla legge e dalla burocrazia.

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Tutti questi canali, con le loro ramificazioni, sono sintetizzata da Quagli in questo utile schema:

Schema tratto da A. Quagli, Comunicare il futuro, cit.

In esso, come in tutta la trattazione, non è stato considerato il canale Internet, non perché la pubblicazione sia datato, ma perché l'autore lo considera come un canale ibrido, dove la comunicazione indiretta può avere più valore e risalto di quella diretta. Anch'io qui non approfondisco quest'ambito, perché verrà trattato ampiamente nel capitolo dedicato al supporto e alle problematiche che Internet può riservare ad una PA.

Ora, piuttosto che esaminare gli schemi dei flussi comunicativi, proposti da Quagli nel suo testo, che sono estremamente legati ad imprese con capitali, è più opportuno esaminare quelle che lui definisce le tipologie della comunicazione, a fronte dei canali comunicativi.

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Esse per l'autore16 possono essere di tre tipi:

comunicazione operativa, ovvero relativa allo svolgimento di un'operazione o di un lavoro particolare. L'impresa comunica con lo stakeholder in modo bidirezionale per fini tecnici e strumentali, senza puntare ad influenzare o a trasmettere un'immagine completa dell'azienda. Questo in parte è positivo per la resa di una comunicazione immediata, sincera e tecnica ma bisogna sempre ricordarsi che l'operazione di coordinazione dei flussi comunicativi verso l'esterno deve concretizzarsi anche in piccoli episodi;

comunicazione di indirizzo, con un termine prettamente economico, si intende quel flusso comunicativo gestito da professionisti che mira a convincere e persuadere l'esterno sulla bontà di un'opera o di un progetto ad ampio raggio. Qui gli obiettivi devono essere chiari, anche perché è su questo terreno che si struttura la relazione tra immagine e identità dell'impresa, a volte rispondendo anche a dei feedback più o meno diretti provenienti dagli stakeholder;

comunicazione istituzionale, quella che potrebbe essere più burocratica, dove l'aspetto bidirezionale è assente. Si punta a descrivere, non a raccontare e quindi l'intento è prettamente informativo, volto «a far sapere che l'azienda esiste e fa qualcosa»17. In alcuni casi questa comunicazione può diventare un

po' più ricca e personalizzata, ma rimane sempre piuttosto basilare.

Quagli nota poi che ci sono due elementi importanti per qualsiasi tipo di comunicazione: la condivisione di valore con l'interlocutore, che permette una migliore condivisione degli argomenti ed un'ottima riuscita degli intenti persuasivi, insieme invece ad una comunicazione di “rumore”, intesa come disturbo di canale nella diffusione dell'informazione. Queste due caratteristiche coesistono pienamente anche in un'Agenzia Comunicazione. La prima è più legata all'ideologia politica, ovvero se c'è un sistema di valori simile tra addetto stampa e mass media sarà più facile veicolare messaggi che per altri potrebbero risuonare come duri ed arroganti, mentre il rumore è cioè che l'Agenzia Comunicazione cerca di ridurre al minimo,

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coordinando gli strumenti di comunicazione dell'amministrazione.

Infine, viene proposta un'importante dicotomia, che ci sposta facilmente dall'impresa all'amministrazione pubblica. È quella, rilevata nell'ambito delle imprese, tra comunicazione obbligatoria e volontaria.

La prima è imposta da leggi e regolamenti con l'obiettivo di ridurre le asimmetrie informative tra gli stakeholder interessati ai capitali dell'azienda. Essa ha quindi l'obiettivo di dare accesso a tutti e per questo è ampia, generica, di basso livello e dà come beneficio all'impresa quello di aumentarne la credibilità e di diminuire i costi di comunicazione. Può essere tipica, episodica o periodica, o atipica in base al genere di attività che descrive. Spesso viene assimilata alla comunicazione istituzionale, ma si ricordi che in quella può entrare facilmente la componente volontaria: sono due concetti distinti.

La seconda, ovvero la comunicazione volontaria, invece permette alle imprese di andare oltre il livellamento informativo imposto dalle norme e trasmette dei surplus importanti. Si attiva così una comunicazione d'indirizzo che ha l'obiettivo di puntare sul capitale intellettuale dell'azienda per differenziarla dai competitori. In questo modo si pubblicizza e al tempo stesso aumenta la sua credibilità, rendendo meno rischioso investire in essa. Certamente quest'azione ha dei costi, legati alle informazioni che vengono diffuse ai concorrenti, ai clienti (bargaining cost) e alle speranze che vengono suscitate (litigation cost18). Inoltre, una volta avviato un

processo di comunicazione volontaria, si crea un'abitudine nel destinatario e così ci sono costi di continuità, oltre che anche di revisione da parte di esterni nel caso in cui si voglia aumentarne la credibilità.

Queste ultime due tipologie, però, come possono esser lette all'interno di una PA? Esaminando i processi che hanno attraversato nel tempo il concetto di comunicazione pubblica. In un primo tempo, infatti, l'URP (legge 241/1990) aveva obiettivi molto burocratici, di diffusione di informazioni standard. Solo verso l'inizio del nuovo secolo si è lavorato nella direzione di un'informazione in parte più informale in parte più calcolata, che cercasse di analizzare il proprio target magari anche per celati fini politici, stando così attenti ai costi-benefici di quella comunicazione. Ciò comunque

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non toglie che la differenza tra comunicazione obbligatoria e volontaria esista ancora nell'amministrazione pubblica: ci sono infatti documenti, particolarmente tecnici, che non verrebbero prodotti se non ci fosse un obbligo. Si pensi, ad esempio, a documenti catastali o dell'ufficio tributi. Inoltre, anche in una PA si ha quella commistione tra obblighi e volontarietà che Quagli nota nel suo libro per quanto riguarda il bilancio. Produrre un bilancio e diffonderlo è un obbligo anche per un ente pubblico dal 1988, ma comunicarlo attraverso brochure, conferenze o creare un bilancio sociale o operazioni di condivisione coi cittadini dei soldi pubblici è una scelta, strettamente volontaria e politica.

Come visto quindi, seppur non nei caratteri più specifici, il discorso economico può calzare anche all'interno della PA e non perché questa ormai ha perso ogni valore etico e si è inserita in un circuito di lucro, quanto perché anche l'economia ha aspetti strettamente legati alla comunicazione e alla condivisione, qualità che è scorretto immaginare proprie solo di un'impresa sociale e pubblica.

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