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CAPITOLO 1 Basi teoriche del tirocinio professionalizzante

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CAPITOLO 1

Basi teoriche del tirocinio professionalizzante

1.1. Il Tirocinio professionale: cos’è e a cosa serve

Nell’antica Roma i tirones, erano i novizi dell’aristocrazia e del cavalierato che si avvicinavano all’arte militare. Accadeva a 17 anni. A 18 i più bravi e svelti diventavano milites, segnati col marchio militare sulla pelle e con il diritto allo stipendium. Dall’esercito alla società civile: tirones divennero poi, in genere, tutti i giovani romani prima di poter vestire la toga virile ed entrare nel mondo degli adulti, da professionisti e da cittadini. Dunque, nel termine “tirocinante” c’è un significato inaugurante, di introduzione a nuovi compiti, lavori e responsabilità professionali e civili (6).

Nella preparazione professionale degli studenti dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie, il tirocinio è una modalità formativa fondamentale per sviluppare competenze professionali, ragionamento diagnostico e pensiero critico. Si attua attraverso la sperimentazione pratica e l’integrazione dei saperi teorico-disciplinari, insieme alla prassi operativa professionale ed organizzativa.

L’applicazione della legge di Riforma Universitaria 270/2004 ai Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie rappresenta l’occasione per riprogettare e consolidare le esperienze maturate nella formazione universitaria, in quanto, ai fini della realizzazione dell'autonomia didattica di cui all’articolo 11 della legge 19 novembre 1990, n. 341, infatti, le Università (con le procedure previste dalla legge e dagli statuti) disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri Corsi di Studio di Laurea in conformità con le disposizioni del regolamento e di successivi decreti ministeriali (7).

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Durante il percorso formativo il tirocinio rappresenta la modalità privilegiata ed insostituibile per apprendere il ruolo professionale e regolare l’accesso di nuovi membri ad un gruppo professionale.

L’importanza che si attribuisce al concetto di esperienza deriva dal fatto empirico e antropologico che il tirocinio, così come ogni altra autentica occasione formativa, si dà in situazione, in una realtà precisa nel tempo e nello spazio nella quale la persona osserva, apprende, verifica sé durante la situazione. Forse si può obiettare che il tirocinio è occasione soprattutto osservativa, ove il coinvolgimento attivo del soggetto sul piano professionale è per sua natura limitato e che dunque la consistenza della riflessione che da tale osservazione può derivare non è quella possibile quando lo studente agisce in prima persona. Tuttavia, il criterio pedagogico permette di riconoscere anche nell’osservazione ben fatta e partecipata le connotazioni di un’esperienza formativa significativa.

A sostegno di questo, si pensi alla recente teoria dei neuroni specchio: cellule nervose presenti nella corteccia premotoria ventrale che si attivano sia quando si esegue un determinato atto motorio, sia quando si osserva il medesimo atto compiuto da un altro individuo. Il meccanismo dello specchio neuronale permette di apprendere comportamenti motori osservando gli altri, mentre li eseguono. Tale sistema consente anche di intuire, quasi in una sorta di pre-veggenza, comportamenti, emozioni e sentimenti di coloro che osserviamo. Parrebbe, quindi, che “le nostre menti siano state “costruite” dalla storia evolutiva proprio per essere in relazione motoria, sensitiva e sentimentale con gli altri” (6). L’imitazione, da parte del tirocinante, dei comportamenti del tutor-modello (figura che verrà approfondita in seguito), non si limita, però, a pura e semplice replica di ciò che fa il professionista, ma si basa su di una rielaborazione attiva, mediata dal tutor (8).

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Le finalità del tirocinio vengono raggruppate nei seguenti punti (9):

I. sviluppo di competenze professionali. Facilita processi di elaborazione ed integrazione delle informazioni e delle conoscenze con le esperienze;

II. sviluppo di identità e appartenenza professionale. Promuovere il progressivo superamento di immagini idealizzate della professione ed aiuta lo studente a confermare la scelta;

III. socializzazione anticipatoria al lavoro. Mettere a contatto con contesti organizzativi ed iniziare ad apprezzarne le dimensioni funzionale, gerarchica, relazionale ed interprofessionale dei servizi, permettendo di apprezzare valori, abilità, comportamenti lavorativi. Tuttavia è necessario precisare che il tirocinio è una strategia formativa e non un pre-inserimento lavorativo, pertanto non sostituisce un piano di inserimento all’assunzione del neolaureato per sviluppare le competenze specifiche in quel contesto.

Da queste premesse pare dunque chiaro come il tirocinio assuma sempre più una importanza centrale nel percorso formativo nelle classi della riabilitazione. Diventa un processo che deve essere quindi regolato e supervisionato con criteri specifici e ben definiti. A questo scopo, nel 2009, un gruppo di lavoro composto dai coordinatori del tirocinio di tutti i corsi delle professioni sanitarie provenienti da 25 università si è riunito formando la

Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie, per

creare un documento di indirizzo per la progettazione ed il coordinamento del tirocinio professionalizzante, con approfondimento sulla tematica della valutazione delle competenze acquisite dagli studenti attraverso il tirocinio. Di questa conferenza esaminiamo gli elementi principali ai fini di una buona organizzazione del tirocinio.

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4 1.2. La programmazione del tirocinio

L’impegno che lo studente deve dedicare al tirocinio è di minimo 60 C.F.U. Ogni C.F.U. di tirocinio corrisponde a 25 ore per cui sono non meno di 1200 ore di esperienza sul campo a contatto con i professionisti presso servizi, strutture, aziende, comunità (10).

I crediti riservati al tirocinio sono da intendersi come impegno complessivo necessario allo studente per raggiungere le competenze professionali “core” previste dal rispettivo profilo professionale.

Il processo di apprendimento in tirocinio si articola di norma secondo le seguenti fasi:

A. preparatoria. Il tirocinio è preceduto ed accompagnato dall’apprendimento dei prerequisiti teorici, da sessioni tutoriali che preparano lo studente all’esperienza, da esercitazioni, simulazioni in cui si sviluppano le abilità tecniche, relazionali e metodologiche in situazione protetta prima o durante la sperimentazione nei contesti reali;

B. esperienza diretta sul campo. Svolta con supervisione e accompagnata con sessioni di riflessione e rielaborazione dell’esperienza e feedback costanti; C. supporto di questi processi di apprendimento. Dall’esperienza possono

essere assegnati allo studente compiti didattici (elaborati e approfondimenti scritti specifici) e assistenziali ben assegnati. Talvolta questi sono necessari per far recuperare allo studente prerequisiti teorici, prima di sperimentare interventi sul paziente o su costose tecnologie in modo da garantirne la sicurezza.

Queste fasi appartengono ad un processo a spirale che può tornare indietro continuamente e integrare via via le strategie utilizzate anche con successioni diverse, adattandosi alle esigenze dello studente e del contesto di tirocinio. Nella programmazione triennale le esperienze di tirocinio possono essere inserite con gradualità, per durata e complessità crescente dal primo al terzo

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anno. Le singole esperienze di tirocinio non devono necessariamente essere inserite in ciascun semestre e nemmeno alla fine delle attività teoriche. Nella distribuzione all’interno del triennio possono talvolta essere successive alla teoria (per esempio, al 1° anno), altre volte precederla (per esempio, al 2° e 3° anno) e altre volte ancora integrarla (per esempio, tirocinio al mattino e attività teorica al pomeriggio).

Le ultime esperienze di tirocinio collocate al 3° anno offrono allo studente l’opportunità di provarsi in un crescendo progressivo di autonomia professionale e operativa.

La qualità dell’esperienza degli studenti dà significato alla quantità del tempo trascorso in tirocinio come fissato dalla normativa, il quale deve essere rigorosamente rispettato come tempo minimo.

Tuttavia la ricchezza di opportunità formative offerte e una rigorosa progettazione e conduzione dei tirocini sono determinanti per un apprendimento di qualità dello studente. È necessario trovare un giusto equilibrio tra quantità e qualità del tirocinio, considerando anche che non è sufficiente che lo studente abbia assolto il monte ore previsto: è il raggiungimento degli obiettivi formativi a sancire la conclusione del tirocinio. Questa scelta prevede percorsi di tirocinio personalizzati che tengano conto che, per alcuni studenti, è necessario aumentare il numero di esperienze, per completare la loro formazione professionale.

Le esperienze di tirocinio orientate all’apprendimento di competenze professionali dovrebbero durare di norma dalle 4 alle 6 settimane e avere il carattere di continuità per favorire un giusto senso di appartenenza alla sede, ridurre lo stress dello studente, aumentare il sentimento di auto-efficacia e consolidare le abilità.

Tirocini di breve durata e in vari contesti (numerose rotazioni) possono lasciare non completo l’apprendimento di abilità professionali. I tirocini brevi

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sono da prevedere in numero limitato e per il raggiungimento di un obiettivo specifico o a scopo osservativo.

C’è concordanza sulla necessità di prevedere almeno 5/6 esperienze di tirocinio in contesti diversi nel triennio.

È necessario dare tempo allo studente per apprendere e garantire frequenti feedback formativi, prima di procedere ad una valutazione certificativa della performance.

I sistemi di valutazione delle competenze attese devono essere espliciti e condivisi tra referenti del corso e quelli dei servizi. I metodi di valutazione devono essere sottoposti a costante verifica per affidabilità e validità (11).

1.3. Descrizione, finalità e metodologie

Nel documento della Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie, il tirocinio viene quindi definito: “strategia formativa che prevede l’affiancamento dello studente ad un professionista esperto in contesti sanitari specifici, al fine di apprendere le competenze previste dal ruolo professionale. L’apprendimento in tirocinio avviene attraverso la sperimentazione pratica, l’integrazione dei saperi teorico-disciplinari con la prassi operativa professionale ed organizzativa, il contatto con membri di uno specifico gruppo professionale”.

L’attività principale consiste nel poter far provare attività selezionate in base al loro valore educativo. Questo aspetto valoriale viene elencato esplicitamente nelle finalità ed è mirato a dare allo studente la possibilità di sviluppare competenze professionali e personali, di riflettere sulle caratteristiche proprie della professione sanitaria cui si avvia, di comprendere ed apprezzare l'importanza delle relazioni interpersonali e del confronto cooperativo del contesto lavorativo stesso (12).

Il processo di formazione deve porre maggiore attenzione alle strategie di insegnamento e apprendimento per agevolare l’integrazione della teoria e

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della pratica, deve aiutare gli studenti ad essere discenti attivi e futuri professionisti riflessivi, in grado di affrontare i cambiamenti.

Le strategie per l’insegnamento e apprendimento in tirocinio devono considerare i seguenti principi pedagogici:

- passaggio da un’enfasi storica sull’addestramento ad un modello di apprendimento dall’esperienza;

- attivazione di processi di responsabilizzazione dello studente utilizzando i principi dell’apprendimento degli adulti;

- tutorialità per garantire supervisione e facilitazione dei processi di apprendimento;

- trasparenza del processo di valutazione;

- garanzia di esperienze di apprendimento basate sulla personalizzazione e flessibilità del percorso;

- rispetto del diritto di privacy dello studente (i tutor e i supervisori gestiscono con riservatezza le informazioni sulle perfomance dello studente e le utilizzano solamente a scopi formativi).

La Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie dichiara che “il tirocinio offre pertanto non solo la possibilità di imparare a fare, ma la possibilità di pensare sul fare, di approssimarsi problemi, di interrogarsi sui significati possibili di ciò che incontra nell’esperienza”.

Queste fasi appartengono un processo a spirale che può tornare indietro continuamente e integrare via via le strategie utilizzate anche con successioni diverse, adattandosi alle esigenze dello studente e del contesto di tirocinio. Evidenzia quindi la ricorsività di un apprendimento e la già richiamata necessità di situare la conoscenza nel contesto reale per cui si trova ad affrontare il problema connesso a questi saperi, avendo a cuore “come, per chi e quando” e cercare di incrociare regola generale e situazione particolare (11).

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8 1.4. Il sistema del tutorato

Dal lavoro svolto dalla Conferenza permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie emerge che la figura professionale che, per norma, coordina il tirocinio professionale dei corsi laurea delle professioni sanitarie, è il Direttore della didattica professionale, a cui sono affidati i compiti di individuare e scegliere le sedi in cui realizzare il tirocinio, di avviare l’accreditamento formale e di assegnare gli studenti alle diverse sedi di tirocinio. E’ chiamato a questi compiti nel rispetto di precisi criteri e improntati bisogni educativi dello studente nonchè per l'efficacia del percorso stesso. Con il Direttore della didattica professionale, opera un sistema di tutor professionali che generalmente si organizza a seconda delle scelte locali su due o tre livelli. Le due figure che, come la norma prevede, caratterizzano la realtà del tirocinio curriculare e ne garantiscono la realizzazione, sono:

- il tutor che in Università (tutor della didattica professionale), collabora con il Direttore della didattica professionale nell'organizzazione e gestione dei tirocini, nella progettazione e conduzione di laboratori di formazione professionale propedeutici alla via del tirocinio presso la sede;

- il tutor a livello del servizio di sede del tirocinio (guida di tirocinio o supervisore clinico). E’ solitamente un professionista dello stesso profilo professionale che, mentre svolge le normali attività lavorative, ha il compito di facilitare l’apprendimento delle competenze professionali dello studente e ne garantisce la sicurezza rispetto e rischi possibili nei luoghi di tirocinio. E’ chiamato a rappresentare un vero e proprio modello di ruolo per il tirocinante;

- Tra i vari Tutor può essere individuato un coordinatore dei tirocinanti presso il servizio (tutor clinico).

L’azione di tutoring più diretto nei confronti lo studente è dunque realizzato dal professionista che, presso la sede di tirocinio, accompagna lo studente sia

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all’osservazione che alla riflessione sui processi di lavoro tipici della professione (9).

La presenza del tutor è fondamentale per rendere “acquisibili” le informazioni che l’allievo deve apprendere e per controllare che siano state correttamente apprese. La guida istruttiva dell’insegnante deve operare, dapprima, nella fase di acquisizione per aiutare gli allievi ad assegnare il corretto significato alle informazioni esperite o ricevute e a collocarle correttamente nelle proprie strutture cognitive, e, in una fase successiva, per controllare la correttezza, congruenza ed efficacia delle rappresentazioni mentali costruite. In assenza di un’adeguata guida istruttiva gli allievi possono facilmente sviluppare rappresentazioni mentali errate, distorte o non ottimali.

Per mettere in atto un’efficace guida istruttiva, l’insegnante deve prevedere frequenti momenti di sperimentazione e di “messa in pratica” delle rappresentazioni mentali costruite dagli studenti (i laboratori). Questi momenti diventano ottime occasioni di feedback studenti-docente: il docente vede come gli studenti applicano ciò che hanno appreso, si rende conto se è stato compreso o meno e interviene per correggere eventuali incomprensioni. Ovviamente lo scopo del feedback deve essere non solo quello di scoprire ed eliminare incongruenze e incomprensioni, ma soprattutto quello di rendere progressivamente autonomo lo studente nel regolare il proprio apprendimento, portandolo ad essere in grado di scoprire da solo quando le cose “vanno bene” o “vanno male” senza dover sempre dipendere da un valutatore esterno. Per questo è necessario promuovere l’uso di strategie metacognitive da parte degli studenti (12).

In un articolo di W.D. Wood e K.D. Tanner (2012) viene evidenziato come l’attività di tutor possa produrre profitti in termini di apprendimento, rispetto alle classi in cui vengono usati metodi classici di insegnamento, in cui il docente si limita a trasmettere conoscenze senza mediare la capacità di interiorizzare ed elaborare attivamente le informazioni, da parte dello

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studente. In particolare, infatti, si evidenzia il ruolo che la mediazione del tutor svolge nel potenziare la capacità di risoluzione dei problemi da parte di ogni studente, senza discriminazione rispetto alle diverse attitudini e ai livelli di preparazione di partenza.

I ricercatori hanno identificato sette caratteristiche necessarie per una buona mediazione tutoriale, che identificano con l'acronimo I.N.S.P.I.R.E. (Fig. 1) (13):

Figura 1: Le caratteristiche del tutor secondo il modello I.N.S.P.I.R.E.

- Intelligent: è necessario che il tutor abbia conoscenze elevate in termini di contenuti e di metodiche pedagogiche;

- Nurturant: stabilire e mantenere rapporti personali e livelli di empatia adeguati con lo studente;

- Socratic: proporre non tanto soluzioni o spiegazioni, ma elicita gli studenti a porsi domande;

- Progressive: partire da ciò che è alla portata degli studenti, per poi progredire in termini sia di contenuti che di strategie operative;

TUTOR

INSPIRE Intelligent Nurturant Socratic Progressive Indirect Reflective Encouraging

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- Indirect: basarsi sul processo e non sullo studente in sé, dando feedback positivi e negativi;

- Reflective: chiede agli studenti di esprimere i propri pensieri, dare un nome ai ragionamenti per saperli generalizzare anche in altri contesti; - Encouraging: utilizzare strategie per motivare gli studenti e dare il senso

di auto efficacia.

1.5. La valutazione del tirocinio

L’esperienze di tirocinio devono essere progettate, valutate e documentate, durante il percorso dello studente, perché la valutazione guida l’apprendimento (Assessmente Drives Learning). E’ necessario mostrare i progressi sia rispetto agli obiettivi stabiliti, sia alla progressione delle competenze e infine dare un giudizio rispetto al loro raggiungimento. Il termine di paragone è il livello minimo accettabile per quella competenza rispetto all’anno di corso e rispetto al progredire del percorso formativo. Inoltre la valutazione è una garanzia, oltre che per lo studente, anche per il curriculum del corso di laurea, per le istituzioni (università e le aziende del sistema sanitario nazionale) e per l’utenza (Tab. 1) (2).

Vengono individuate due momenti di valutazione (14):

- durante ogni esperienza di tirocinio lo studente riceve feed-back continui di valutazione formativa sui suoi progressi sia attraverso colloqui che schede di valutazione.

- al termine di ciascun anno di corso viene effettuata una valutazione certificativa per accertare i livelli raggiunti dallo studente nello sviluppo delle competenze professionali attese. Tale valutazione è la sintesi delle valutazioni formative via via documentate durante il corso dai tutor, del profitto negli elaborati scritti e del livello di perfomance dimostrata all’esame di tirocinio che può essere realizzato con colloqui, prove scritte

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applicative, esami con simulazioni o su casi e situazioni reali. Una Commissione presieduta dal direttore della didattica professionale e composta da un minimo di due docenti certifica il livello di apprendimento professionale raggiunto dallo studente negli standard previsti. La valutazione certificativa del tirocinio è espressa in trentesimi.

Scopi della valutazione

Per chi apprende  Fornire feedback utili circa i punti di forza e debolezza, come guida per l’apprendimento futuro

 Promuovere l’abitudine all’autoriflessione e al trovare autonomamente strategie di miglioramento

 Promuovere l’accesso ad esperienze più avanzate e complesse

Per il curriculum

del

corso di laurea

 Rispondere alla necessità di evidenziare la mancanza di competenza (richiesta obbligatoria di ulteriore esperienza)  Certificare il raggiungimento degli obiettivi curricolari  Promuove i cambiamenti dei singoli corsi e del

curriculum

 Creare coerenza curricolare (cioè tra le varie attività formative)

 Stabilire standard di competenza per gli studenti ai differenti livelli

Per le istituzioni (l’Unversità e le Aziende del sistema Sanitario Nazionale)

 Guidare il processo di autoriflessione e miglioramento  Discriminare tra i candidati che necessitano di ulteriore

training o possono avanzare

 Attraversare la individuazione di cosa si valuta e delle modalità della valutazione, esprime i valori

dell’istituzione

 Sviluppare valori educativi condivisi tra le diverse comunità di educatori

 Promuovere lo sviluppo del corpo docente  Fornire dati per la ricerca in ambito educativo Per l’utenza  Certificare la competenza dei laureati

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CAPITOLO 2

I Laboratori

2.1. Principi pedagogici

I laboratori nascono al fine di concretizzare sempre più la visione dell’apprendimento, come un processo in cui l’apprendente fa esperienze dirette e non come il prodotto di un processo di solo insegnamento. Prevedono un lavoro personale attivo su un determinato tema o problema, la creazione di percorsi cognitivi, la produzione di idee, rispetto ad un determinato compito e la soluzione di un problema (15).

A Chicago, nel 1986, J. Dewey (1859-1952) creò a una scuola sperimentale annessa alla locale Facoltà di Filosofia, Psicologia e Pedagogia. In Esperienza

e educazione (1938), J. Dewey scrisse: “All’impostazione dall’alto si

oppongono l’espressione e la cultura dell’individualità; alla disciplina esterna, la libera attività; all’imparare dai libri e dai maestri, l’apprendere attraverso l’esperienza; all’acquisto di abilità e di tecniche isolate attraverso l’esercizio, si oppone il conseguimento di esse come mezzi per ottenere fini che rispondono a esigenze vitali; alla preparazione per un futuro più o meno remoto si oppone il massimo sfruttamento delle possibilità della vita presente; ai fini ed ai materiali statici è opposta la familiarizzazione con un mondo in movimento”. Fra questi principi, quello dell’apprendere attraverso l’esperienza (Learning by doing) occupa un posto centrale nella riflessione dell’autore. L’esperienza, per J. Dewey, rappresenta tutto ciò che è sperimentato, tutto ciò che avviene nel mondo, tutto ciò che si prova e si subisce. Scaturiscono, in prospettiva educativa, due conclusioni importanti sull’esperienza:

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2) è valida e fertile nella misura in cui conduce a percepire le connessioni (il significato) tra l’attività del soggetto e le conseguenze che ne risultano. La sola attività, senza la riflessione conseguente, di per sé non costituisce esperienza.

L’educazione, secondo J. Dewey, deve essere concepita come una ricostruzione continua dell’esperienza, tale da accrescere il significato dell’esperienza stessa e da aumentare la capacità a dirigere il corso dell’esperienza seguente (16).

Anche D. Schon (professore al Massachussetts Institute of Technology, 1983) si rifà al pensiero di J. Dewey, secondo il quale la pratica deve essere considerata come il motore stesso della ricerca. Nel suo libro “Professionista Riflessivo” (1993) l’autore esamina cinque professioni (ingegneria, architettura, management, psicoterapia e pianificazione urbana) per illustrare il modo in cui i professionisti, nella realtà operativa, affrontano la soluzione dei problemi. D. Schon sostiene che, nel far fronte alle sfide giornaliere lanciategli dal proprio lavoro, essi ricorrono a quel genere di improvvisazione che si apprende nel corso della pratica più che a formule imparate durante gli studi universitari. L’autore propone così una nuova epistemologia della pratica professionale fondata sulla riflessione nel corso dell'azione (16). Riflettere durante l’azione porta ad affrontare nuove situazioni, formulare ipotesi di soluzione, decidere, scoprire quindi nuove conoscenze e pertanto continuare ad apprendere. La pratica diventa knowing in action, cioè un mezzo per l’apprendimento (15).

L’apprendimento in questo tipo di approccio segue alcuni principi che possono essere paragonati a quelli per eseguire un processo di ricerca (Tab. 2):

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Processo di Ricerca Knowning in action

Enunciare un quesito o definire un problema oggetto di ricerca

Riconoscere l’esistenza di un problema Consultare la letteratura esistente

sull’argomento

Raccogliere informazioni sul problema Formulare ipotesi e definire le variabili di

ricerca

Definire l’esatta natura del problema Selezionare un metodo per verificare

l’ipotesi

Individuare soluzioni ed elaborare un piano d’azione

Attuare la verifica Attuare il piano d’azione

Raccogliere dati Monitorare gli effetti dell’”agito”

Analizzare i dati e interpretare i risultati Valutare la soluzione scelta e confrontarsi Tabella 2: Confronto tra processo di ricerca e knowing in Action.

Ad oggi, secondo diverse ricerche, il processo educativo più efficace che corrisponde anche ai principi sopra elencati è definito Problem Based Learning (P.B.L.). Il P.B.L. ha le sue radici nei programmi di educazione medica, ma ora viene utilizzato in una vasta gamma di discipline per la varietà di benefici esaminati con la sua attuazione. Una caratteristica comune a tutte le forme di P.B.L. è l'attuazione di problemi contestualizzati, che aiutano gli studenti a sviluppare abilità di problem-solving oltre ad acquisire una conoscenza specifica dell'argomento. Diversi studi dimostrano l’efficacia di un approccio P.B.L. nel produrre benefici nel rendimento e nella capacità di affrontare diverse prove per gli studenti (17).

Nelle attività P.B.L. i partecipanti sono suddivisi in piccoli gruppi: devono analizzare attività assegnate basate su obiettivi di apprendimento, si devono incontrare con il tutor, discutendo dei problemi assegnati e collaborano tra di loro per riuscire a collegare mentalmente le conoscenze appena acquisite. Infatti P.B.L. è un approccio di apprendimento orientato al processo: nelle

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attività, lo sviluppo delle abilità di problem solving è strettamente coinvolto e si rivolge più a sviluppare processi di pensiero che alla risposta in se (18). L’impostazione segue quindi quello della suddivisione degli incontri in tre fasi principali (19):

1. Briefing. Iniziale dialogo che punta a motivare e a spiegare (obiettivi, metodi) la particolare direzione che ha la successiva esperienza educativa.

2. Didattica pratica. Attuazione dell’esperienza pratica-educativa in simulazione.

3. Debriefing. Discussione dopo l’esperienza in cui si identificano i punti di forza e di debolezza dell’agire professionale.

Di seguito esaminiamo nel dettaglio la metodologia e le tecniche di insegnamento innovative basate sulla risoluzione dei problemi.

2.2. Metodologia dei laboratori

L’offerta formativa è rivolta quindi verso “l’imparare ad imparare”: attraverso il fare si riflette anche sui meccanismi alla base del proprio apprendimento, si sviluppa cioè la metacognizione come pure la produzione di idee personali, la ricerca di diverse soluzioni ad un quesito e lo sviluppo del pensiero creativo. Per questa ragione le modalità didattiche ottimali sono quelle dell’insegnamento “aperto”, in cui si ha una maggiore interazione tra docente-studenti e tra studente-studente, in contrasto con l’insegnamento “chiuso”, in cui l’insegnante dirige la lezione frontale. Quindi l’ insegnamento “aperto” è una concezione didattica che dal nuovo concetto di apprendimento, trae quattro importanti deduzioni (20):

1. i contenuti si devono orientare alle esperienze, alle tematiche e ai problemi dell’ambiente immediatamente vicino all’alunno;

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2. si deve tener conto dell’eterogeneità degli studenti. La proposta di attività si orienta al problem solving, all’autonomia dell’apprendente, all’autoriflessione e alla cooperazione;

3. si deve aprire dal punto di vista organizzativo e superare il rigido schema orario dei 45/50 minuti;

4. deve diventare più coinvolgente sotto l’aspetto personale, cosa che richiede un cambiamento del ruolo dell’insegnante (insegnante come risorsa).

Si può ottenere un apprendimento significativo solo se, a quanto sopra, segue un’opportuna elaborazione cognitiva da parte dello studente, volta ad un’attiva “assegnazione di significato” alle informazioni esperite o ricevute attraverso i canali verbale/uditivo, visuale e cinestetico. La corretta assegnazione di significato dipende ovviamente dalle “preconoscenze” che hanno gli studenti in relazione ai temi trattati ed è il prerequisito alla costruzione di rappresentazioni mentali efficaci e durature, dato che sono i significati che gli studenti associano alle informazioni esperite o ricevute a passare nella memoria a lungo termine, più che le informazioni stesse (12). Quindi è opportuno promuovere il coinvolgimento “cognitivamente attivo” degli studenti attraverso l’uso frequente di attività che stimolino l’elaborazione cognitiva richiesta per l’apprendimento delle abilità. Tutto questo grazie a momenti di pratica delle proprie conoscenze, problemi di difficoltà controllata e di attività che favoriscano l’elaborazione “profonda” dei contenuti. Si inseriscono quindi obiettivi da valutare che sono trasversali alle pratiche proprie del campo riabilitativo (Tab. 3).

Cognitivo Relazionale Psicomotorio

Memorizzazione Recettività Imitazione Interpretazione dati Risposta Controllo Soluzione del problema Interiorizzazione Automatismo

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Il principio dell’istruzione diretta prevede che il docente svolga una serie di azioni volte a massimizzare l’efficacia del trasferimento d’informazioni e della costruzione di rappresentazioni mentali da parte degli studenti. Anzitutto il docente deve dichiarare preventivamente ciò che gli allievi dovranno essere in grado di fare dopo l’intervento didattico e quali sono i criteri di successo per valutare la loro prestazione. Questo comporta per il docente di poter modificare il proprio approccio con gli studenti, perché quest’ultimi possano avere maggiori stimoli per l’apprendimento professionale.

La lezione dovrebbe essere basata su tecniche attraverso le quali il docente pone problemi e domande stimolanti agli studenti per incuriosirli nei confronti del tema della lezione riferendosi, ad esempio, alle esperienze che essi compiono.

L’esposizione dei contenuti viene poi svolta usando tecniche opportune, quali:

 comparazione e contrasto (compare & contrast), in cui si mette in evidenza similarità e differenze tra due oggetti/eventi/concetti;

 modellare (modelling), breve spiegazione seguita da esempi e dimostrazioni;

 esempi di lavoro (worked examples,) esempi paradigmatici di problemi risolti e commentati, che illustrino in concreto cosa lo studente deve fare per raggiungere l’obiettivo che gli è stato proposto;

 pensiero ad alta voce (thinking aloud), in cui il docente verbalizza, lentamente e con chiarezza, il processo logico che compie nel risolvere un problema.

Alla teoria devono essere fatti seguire momenti di: pratica guidata da parte dello studente; controllo di quanto appreso (valutazione formativa); dissipazione puntuale di eventuali dubbi (il già citato feedback docente-studente). In seguito vanno previsti momenti di pratica indipendente, in cui lo studente deve fare da solo ciò che prima aveva svolto con l’aiuto del docente.

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Questo approccio metodologico didattico permette agli studenti di portare effetti positivi sull’autostima dello studente e sul suo senso di autoefficacia, oltre che approfondire le proprie conoscenze sul piano dei contenuti e sulle strategie cognitive (12).

2.3 Laboratori di Formazione Corporea

Alcuni processi cognitivi ampiamente studiati negli ultimi anni nel campo delle neuroscienze, quali la percezione degli oggetti, la percezione dello spazio e del comportamento altrui sono intimamente legati all'esperienza sensori-motoria del corpo. Questa, nel corso dello sviluppo (a partire dal periodo prenatale) crea e definisce, attraverso il movimento intenzionale, un codice che può tradurre gli oggetti della percezione, in coordinate riferite al corpo (21).

Le scoperte sul sistema “mirror” (neuroni specchio) vengono a collocarsi in una posizione centrale nel dibattito inerente l’intersoggettività. Secondo gli esiti sperimentali è plausibile che l’embodied simulation (simulazione incarnata), definita come una attivazione dei processi di osservazione, imitazione e comprensione, possa di fatto rappresentare il substrato funzionale di tipo neurofisiologico per la possibilità di assumere condotte motorie e relazionali di tipo empatico. Secondo gli autori è perciò ragionevole un impiego del termine “cognitivo” applicato a tutti gli aspetti del sistema sensomotorio coinvolti nella definizione dei concetti e, in senso ampio, ai processi di ragionamento. Ne consegue che la didattica caratterizzata da esperienze di mediazione corporea, deve implicare una profonda riqualificazione delle pratiche educative e dei relativi obiettivi (22).

Questo modello di mente si basa su due dimensioni: il movimento e la relazione tra movimento nello spazio ed oggetto, sia esso un oggetto della realtà fisica o della dimensione sociale. In particolare nella dimensione

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sociale, il movimento complesso e coordinato tra due soggetti colloca il baricentro del processo mentale in un luogo che oscilla tra il proprio corpo e quello dell'altro permettendo quindi la cocreazione di uno spazio e di una dimensione intersoggettiva e intercorporea.

I nostri corpi sono quindi in grado di produrre movimento e di percepire il movimento simile al nostro, come se vi fosse una qualche capacità di identificazione che rende la percezione del movimento e delle emozioni altrui non solo familiari, ma anche intimamente connesse a noi, come parte di noi. La distinzione artificiosa tra azione e percezione deve essere considerata alla base della sua costruzione in un cervello che allo stesso tempo esegue e percepisce, e quindi ha la necessità di definire i tempi corporei e i processi percettivi (21).

Su queste basi possiamo adottare la teoria elaborata da J. Bonange (1988), su una tipologia tripartita nella dimensione ludica della corporeità, distinguendo:

 motricità d’azione,

 motricità di tipo espressivo,

 motricità di tipo impressivo.

La prima ha come finalità il confronto con la realtà e la possibilità di scoprire ed attuare efficaci soluzioni d’accomodamento; la seconda cerca di assimilare il reale alla propria corporeità attraverso l’immaginazione e la simulazione ludica; la terza infine concepisce il corpo come mediatore sensibile, dove la ricerca e l’ascolto di sensazioni emotive e sensoriali diventa importante per conoscere la propria corporeità e, in senso ampio, sé stessi.

In realtà le potenzialità educative e formative dello sviluppo psicomotorio sono insite nelle potenzialità dell’esperienza sensomotoria, nelle manipolazioni del corpo e degli oggetti, nelle interazioni con l’ambiente che attivano processi di differenziazione, discriminazione, riconoscimento e

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strutturazione: un sistema complesso che coniuga la dimensione emotiva con schemi procedurali e sviluppi processuali (22).

Pertanto la percezione della diversità, come risorsa e sensibilizzazione, offre l’opportunità di acquisire consapevolezza nell’interazione con gli altri, in una cultura dell’accoglienza intesa come esito di un giocare comune. La qualità didattica delle proposte educative è frutto di risposte ad elevata creatività progettuale nei confronti degli impellenti bisogni educativi emergenti, in grado di trasformare in patrimonio comune la capacità di cogliere i problemi, la competenza nell’affrontarli e la padronanza nell’ipotizzare valide opzioni educative.

La crescita globale della persona rimane al centro della progettazione curricolare, anteposta a finalità di carattere disciplinare o funzionale: dobbiamo quindi valorizzare le prassi educative che danno spazio ad una progettualità composita implicante indicatori metodologici come, appunto, il gioco e le strutture ludiche, l’improvvisazione e la narrazione, secondo approcci educativi che, a loro volta, sono qualificati da processi di insegnamento e apprendimento in cui corporeità, creatività e identità rappresentano le costanti pedagogiche.

Il vissuto corporeo, pertanto, sostanzia la comunicazione linguistica, ad esempio in termini di vocalità (prosodica e paralinguistica), di qualità d’interazione cinesica, posturale e prossemica. Questo sollecita lo sviluppo delle dinamiche di comunicazione interpersonale e sociale, sia in termini di role taking (capacità di assunzione del ruolo dell’altro) sia di perspective taking (assunzione della prospettiva dell’altro) (Selman, 1971).

La sensorialità, l’agire motorio e la corporeità in senso ampio, conducono la persona a percepire se stessa nello spazio e nel tempo in forme particolari dell’esperienza di sé (22).

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22

La formazione corporea nel Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (T.N.P.E.E.) è uno dei percorsi indispensabili per affrontare una professione che si fonda sul dialogo continuo tra terapista e paziente, un dialogo che permette di modulare costantemente la metodologia d’intervento adattandola ai bisogni di sviluppo e di crescita del bambino. In questo dialogo il corpo del terapista è messo in gioco non solo nelle sue componenti motorie e percettive, ma anche in quelle espressive non verbali che trasmettono messaggi emotivi, affettivi, controtransferali della massima importanza nella comunicazione con il piccolo in difficoltà. È un corpo dunque che mette in gioco la globalità della persona e la rende presente con la propria unicità nell’incontro con l’altro.

Un esempio di metodologia per i laboratori di formazione corporea è quella proposta da G. Vismara (direttore didattico CdL TNPEE dell’università degli studi di Milano- Fondazione Don Gnocchi).

“La maggior parte delle attività corporee si svolge nelle attività formative indicate come Laboratori; si ha così la possibilità di utilizzare per l’esperienza corporea diverse tappe distribuite nei 3 anni. L’impianto metodologico delle attività formative corporee è strutturato in modo da permettere all’allievo di sperimentare, riconoscere e quindi dare un nome (prendere coscienza) alla propria modalità di essere presente nel mondo, integrando gli aspetti motori, cognitivi e affettivo-emozionali. I percorsi formativi sono strutturati in incontri di 3 o 4 ore: al vissuto corporeo (esperienza pratica) si alternano le verbalizzazioni (riflessioni in gruppo a partire dalla propria esperienza). Il vissuto corporeo è sollecitato da specifiche consegne verbali del docente, finalizzate a stimolare l’attivazione di tutte le persone del gruppo. La formulazione delle consegne è particolarmente curata per fornire una traccia di lavoro, ma nello stesso tempo, permettere a ognuno di sperimentarsi ed esprimersi senza eccessivi vincoli. La situazione formativa deve consentire di agire liberamente e per questo con gli allievi si sottolinea che non esiste un

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modo giusto per rispondere alla consegna, ma esiste il proprio modo, unico e personale. L’agire nel vissuto corporeo consente di sperimentarsi e riconoscere che esiste un proprio modo originale di saltare, lanciare, rilassarsi, gridare, ascoltare, guardare, arrabbiarsi, ecc. Nel vissuto lo studente è sollecitato a essere costantemente disponibile, quindi a non porsi come osservatore esterno o distaccato, ma a mantenere una presenza attiva e un’effettiva messa in gioco nell’interazione con l’ambiente e gli altri; ciò non prevede necessariamente un continuo agire, ma implica la necessità che questa presenza sia qualitativa e interattiva, in relazione al contesto. All’allievo si chiede di agire con spontaneità e di conseguenza, di rispondere in modo personale alle sollecitazioni esterne, tenendo conto delle proprie reazioni interne. Una persona, un oggetto, uno spazio, un suono possono indurre attivazioni motorie, sensoriali, espressive, emotive, così come sensazioni, percezioni, emozioni personali possono evocare desideri di agire, di relazionarsi, di approfondire esperienze sensoriali, di osservare. Per questo è importante che lo studente si renda disponibile all’ascolto dell’ambiente, degli altri e soprattutto del proprio corpo e delle proprie risonanze emozionali. Un elemento fondamentale che rende possibile l’esperienza del vissuto corporeo è l’eliminazione del linguaggio. Durante la seduta pratica infatti non si parla, in modo da attivare maggiormente nello scambio la rete dei canali comunicativi non verbali. Si favorisce così anche lo spostamento dell’attenzione su di sé e sull’altro, approfondendo la concentrazione sul qui e ora e aumentando la genuinità del gesto e del movimento. Si lascia così la parola al corpo, permettendo una ricerca su registri espressivi e comunicativi, spesso poco considerati. L’esperienza corporea è molto diversificata e si articola in attività individuali, di coppia o di gruppo, con o senza oggetti, spesso con un supporto musicale. Come si diceva, le fasi di attività pratica esperienziale sono seguite da momenti di verbalizzazione, che consistono in una riflessione comune sulle esperienze vissute. In questi momenti ognuno

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esprime le proprie considerazioni a partire dal dato reale e concreto e dalla descrizione di ciò che ha sperimentato. Successivamente si cercano, in questa lettura e discussione condivisa dell’esperienza, i collegamenti con i riferimenti teorici e clinici relativi alla propria formazione personale e professionale. Oltre a questo livello verbale di elaborazione, ogni studente è incoraggiato a lasciare traccia scritta delle proprie esperienze e riflessioni, in modo da non dimenticare e poter verificare in seguito l’evoluzione personale e il livello di crescita raggiunto” (23).

La formazione professionalizzante, deve saper utilizzare approcci in cui le situazioni ludico-ricreative di apprendimento, nell’ambito della disabilità, possono aiutare a individuare le potenzialità latenti, residue, parziali, creando così contesti e situazioni realmente inclusive, dove un’esperienza corporea, emozionale, di sofferenza (come può essere un deficit) divenga metafora organizzatrice, resa possibile anche da mediatori quali le mani, le braccia, il corpo, la voce, gli strumenti musicali, gli oggetti mediatori, basilari facilitatori della relazione stessa.

La mediazione corporea e le competenze comunicative non verbali, analogiche, espressivo-motorie, ludiche e imitative risultano essenziali per la costruzione e la realizzazione di contesti educativi accoglienti e di dispositivi didattici inclusivi proprio perché chiamano in causa competenze che stanno alla base dello sviluppo di una teoria della mente e della capacità di assunzione di punti di vista decentrati (22).

2.4. Tecniche didattiche innovative

La competenza ha sempre a che fare con l’inedito, con la risoluzione di problemi più o meno nuovi la cui soluzione è tutt’altro che scontata. Per dimostrare competenza, infatti, non basta applicare regole in situazioni standard; serve farlo ogni volta con originalità ed adattamento, nelle

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situazioni concrete, legate a contesti reali in cui ci si viene a trovare. Essa è “un’inesauribile conversazione riflessiva con la situazione”. Flessibilità e capacità di adattamento sono ormai parole chiave nel panorama lavorativo, e l’esperienza nei laboratori offre una formazione in situazione utile all’acquisizione di competenze intese come “schemi d’azione” astratti, più o meno complessi, capaci di adattarsi e ridefinirsi per far fronte a situazioni nuove (8).

Per promuovere un’attività educativo-didattica realmente efficace, necessita una continua sperimentazione di “nuovi modi di fare educazione”. Questo richiede agli insegnanti una forte flessibilità e anche il “rimettersi in gioco”, adattando continuamente il proprio modo di insegnare, per stare al passo con i tempi e con le crescenti e sempre più diversificate esigenze degli alunni. Per questo è necessario applicare metodologie educativo-didattiche valide ed efficaci nel promuovere da una parte l’apprendimento degli alunni e, dall’altra, il loro benessere emotivo-motivazionale (24).

Il problema consiste nel far passare queste concezioni teoriche nella realtà pedagogica, di rinnovare le strutture di una didattica tradizionalmente dualista e di fornire agli insegnanti i metodi pedagogici che possano permettere a loro di metterle in pratica.

La divisione dell’insegnamento in diverse materie corrisponde a differenti modi di pensare: le diverse materie affrontate simultaneamente, partendo da nozioni fondamentali, non sembreranno più come i pezzi di un mosaico, ma come i differenti rami di una conoscenza diversificata che parte da un unico tronco. E’ un insegnamento aperto nel quale tutto deve essere legato (25). Qui di seguito riportiamo le metodiche di nuova educazione che si basano sui principi del P.B.L. e che possono essere ritenute utili per proporre Laboratori nel Corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva.

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26 2.4.1. Learning by doing

Per “Learning by doing” si intende un apprendimento attraverso il fare, l’operare e le azioni.

Gli obiettivi di apprendimento si configurano sotto forma di “sapere come fare a”, piuttosto che di “conoscere che”: infatti in questo modo il soggetto prende coscienza del perché è necessario conoscere qualcosa e come una certa conoscenza può essere utilizzata.

Le azioni impiegate in questo processo sono: Organizzare Goal-Based-Scenarios (GBSs), cioè simulazioni in cui lo studente persegue un obiettivo professionale concreto applicando ed utilizzando le conoscenze e le abilità funzionali al raggiungimento dell’obiettivo. Dovrà trattarsi di un obiettivo in grado di motivarlo ed indurlo a mettere in gioco le sue conoscenze pregresse creando una situazione ideale per l’integrazione delle nuove conoscenze. Le finalità sono quelle di migliorare la strategia per imparare, ove l’imparare non è il memorizzare, ma anche e soprattutto il comprendere (26).

2.4.2. Role playing

“Role playing” significa gioco di ruolo. Questo approccio ha l’obiettivo di far emergere non solo il ruolo, le norme comportamentali, ma la persona con la sua creatività.

Il PBL ha il potenziale di adottare giochi di ruolo, come un’attività di apprendimento innovativa, che rende la classe più dinamica attraverso vari atti verbali e non verbali degli studenti (18).

Si realizza in un clima collaborativo, rilassato, accogliente in cui viene organizzata l’attività, che si articola in quattro fasi (26):

- warming up: creare un clima sereno e proficuo attraverso tecniche specifiche (sketch e scenette, interviste, discussioni, ecc..);

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27

- action: i corsisti sono chiamati ad immedesimarsi in ruoli diversi e ad ipotizzare soluzioni;

- cooling off: uscire dai ruoli e dal gioco, per riprendere le distanze. - analysis: analizzare, commentare e discutere ciò che è avvenuto.

Ha come fine ultimo potenziare la creatività individuale.

2.4.3. Problem solving

Per “Problem solving” si intende l’insieme dei processi per analizzare, affrontare e risolvere positivamente situazioni problematiche.

Viene utilizzato per diversi obiettivi, quali:

1. cercare la responsabilità di una situazione problematica per velocizzare la risoluzione del problema dato;

2. trovare la soluzione e rendere disponibile una descrizione dettagliata del problema e del metodo per risolverlo;

3. trovare la soluzione dove è possibile o descrivere bene il problema perché questo non si ripresenti.

Le azioni possono essere così schematizzate:

 focalizzare

• creare un elenco di problemi • selezionare

• verificare e definire il problema • descrizione scritta del problema  analizzare

• decidere cosa è necessario sapere • raccogliere i dati di riferimento • determinare i fattori rilevanti • elenco dei fattori critici

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28  risolvere

• generare soluzioni alternative • selezionare una soluzione

• sviluppare un piano di attuazione • la soluzione del problema

• il piano di attuazione  eseguire

• impegnarsi al risultato aspettato • eseguire il piano

• monitorare l’impatto durante l’implementazione • impegno organizzativo

• completare il piano • valutazione finale

Quindi le finalità sono quelle di migliorare le strategie operative per raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione data (26). Sviluppare un appropriato contesto di allenamento per acquisire l’abilità di squadra e di competenze sociali e tecniche è una sfida e simultaneamente è uno strumento critico che espone i discenti alla complessità dell’ambiente clinico senza i rischi della vita reale. Le simulazioni sono strategie che coinvolgono scenari altamente realistici che richiedono di prendere complesse decisioni e gestire l’interazione con molti elementi del personale. La fedeltà di simulazione è stata definita come il grado con cui i simulatori o la simulazione replica la realtà o quanto vicino questi rappresentano il sistema reale. Questo ha il potenziale per sviluppare approcci innovativi all’educazione clinica.

Gli adulti imparano meglio quando possono applicare immediatamente quello che hanno imparato. I metodi tradizionali di insegnamento (per esempio la lezione diretta unidirezionale) non sono particolarmente efficaci

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nell’apprendimento degli adulti perché è importante per i tirocinanti dare senso a quello che sperimentano o osservano (27).

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CAPITOLO 3

Analisi del profilo lavorativo e formativo della terapia della

neuro e psicomotricità dell’età evolutiva

3.1. Il Core Competence: definizioni

Il Core Competence del Corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva è stato definito, a partire dalle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dalle Linee Guida Nazionali inerenti la Professione, per proporre strategie di formazione e metodologie di valutazione innovative che facilitassero i formatori nella definizione e nell’implementazione degli obiettivi educativi e di idonei strumenti di valutazione. La programmazione del percorso formativo richiede una precisa definizione degli obiettivi, che gli studenti devono raggiungere attraverso le attività didattiche appositamente definite. Ha bisogno di contenuti chiaramente selezionati e di una ragionevole identificazione dei tempi e dei setting formativi, ciascuno inquadrato nella sua specificità e valutato in rapporto alla sua efficacia. Attraverso la programmazione dell’insegnamento tutoriale, si può garantire agli studenti la giusta centralità in un sistema in cui sono costantemente sollecitati ad impegnare le loro risorse intellettuali, etiche, relazionali, per acquisire progressivamente un controllo decisionale. Un Core Curriculum e un Core Competence aiutano a definire e superare la distanza che spesso si presenta tra teoria e pratica nella mente degli studenti, perché questo è spesso presente tra principi ed azioni, indicazioni e realizzazioni dei docenti e professionisti coinvolti nel processo formativo. Tutto questo ha una precisa valenza etica: l’etica della competenza formativa che comprende sia la quella clinica che quella didattica (5).

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3.2. Il profilo lavorativo del Terapista della neuro e psicomotricità dell’Età Evolutiva

Il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (T.N.P.E.E.) partecipa al processo diagnostico e si occupa della prevenzione e della terapia riabilitativa di minori di età compresa tra 0 e 18 anni che manifestano problemi o disabilità correlati allo sviluppo.

Al T.N.P.E.E., la cui professione è disciplinata dal Decreto Ministeriale 17 gennaio 1997, n. 56, compete quindi la valutazione, prevenzione e terapia riabilitativa nei soggetti in età evolutiva, che manifestano ritardi e difficoltà psicomotorie, della comunicazione e dell’apprendimento.

Il progetto di intervento, a favore del bambino o dell’adolescente, è messo a punto in collaborazione con altre figure professionali (neonatologi, pediatri, fisioterapisti, neuropsichiatri infantili) e mira ad individuare il percorso terapeutico più adeguato in presenza di problemi neuromotori (prematuri affetti da paralisi cerebrale, distrofie, sindromi e neuropatie) o psicomotori (ritardo mentale, autismo, disturbi comportamentali e relazionali) (28).

In particolare, il T.N.P.E.E. deve costruire una relazione di aiuto con il minore e con la sua famiglia, così come con le altre figure del suo contesto sociale, ivi compresi gli operatori scolastici per l’attuazione dei percorsi preventivi e diagnostici e del piano educativo individualizzato.

L’ampio spettro degli ambiti di azione delle professioni sanitarie della riabilitazione, sia per campi di intervento che per fascia di età su cui si interviene, costituisce indubbiamente una ricchezza, ma anche un ulteriore motivo della loro differenziazione. Questa differenziazione, da una parte, pone l’esigenza di un ampio e diversificato ventaglio di competenze dei terapisti della riabilitazione implicati e, dall’altro, richiede di individuare all’interno del Core Competence alcune competenze trasversali comuni a tutta

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la filiera professionale e competenze tecnico professionali specifiche per ogni professionista della Classe della Riabilitazione (29).

Il T.N.P.E.E. deve pertanto possedere conoscenze metodologiche specifiche per:

 valutare l’interrelazione tra funzioni affettive, cognitive, sensoriali e motorie per ogni singolo disturbo neurologico, neuropsicologico, neurosensoriale e psicopatologico dell’età evolutiva e per il loro recupero funzionale;

 conoscere le caratteristiche proprie delle patologie che si modificano in rapporto allo sviluppo;

 conoscere l’attività terapeutica per le disabilità neuropsicomotorie, neurosensoriali, psicomotorie e neuropsicologiche in età evolutiva utilizzando tecniche specifiche per fascia d’età e per singoli stadi di sviluppo.

La relazione terapeutico riabilitativa, con un paziente in età evolutiva, richiede una formazione personale e competenze specifiche di tipo trasversale e sistemico, che vadano oltre il conoscere e il padroneggiare le tecniche specifiche per disturbi neuromotori, neurosensoriali, neuropsicologici e psicomotori. La terapia neuropsicomotoria va a lavorare sul ripristino della capacità integrativa delle funzioni e rappresentativa, sul piacere, sull’intenzionalità e sulle abilità esecutive del movimento. Inoltre deve considerare quei complessi sistemi dinamici che consentono la realizzazione degli scopi richiesti dall’ambiente e presuppongono la capacità di prevedere, fare ipotesi, immaginare e rappresentarsi l’effetto dei propri atti per restituire al bambino l’idea e le competenze relative alla padronanza del proprio corpo, della propria motricità e delle proprie azioni (28).

Il bambino è l’elemento attivo del processo di crescita ed è essenziale stimolare al massimo le sue possibilità di adattamento rispetto alle limitazioni,

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primarie o secondarie e rispetto alle caratteristiche proprie dell’ambiente in cui vive. L’intervento neuropsicomotorio richiede una forte complementarietà tra la dimensione abilitativa e riabilitativa. La dimensione riabilitativa assume un valore centrale nell’intervento di presa in carico della persona, quando è sostenuta da un modello integrato di promozione della salute e pone l’accento sullo stato di benessere individuale (inteso non solo come benessere soggettivo, ma come possibilità di sviluppare le proprie potenzialità) oltre che garantire una qualità di vita. Questo richiede anche un’analisi proattiva delle condizioni abilitanti, volta ad individuare ed eliminare le criticità dell’ambiente e a prevedere ausili e facilitazioni.

La riabilitazione dell’età evolutiva lavora per favorire lo sviluppo del bambino sollecitando i processi integrativi delle funzioni e utilizzando il movimento e l’azione sia come strumento che come area di intervento privilegiata.

Facendo riferimento a quanto descritto finora sarà importante riflettere, a partire dalle competenze professionali del T.N.P.E.E., su cosa e come insegnare ad un neuropsicomotricista in formazione che dovrà confrontarsi con soggetti in età evolutiva e quindi su come costruire il Core Curriculum del Corso di Laurea (29).

In sintesi, il Corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva deve mirare alla formazione di personale riabilitativo specializzato nell’area dell’età evolutiva, promuovendo il passaggio dal semplice studio delle discipline caratterizzanti i diversi ambiti della riabilitazione, alla capacità di connettere tra loro tali discipline, per poi intervenire in un ambito specifico (5).

E’ fondamentale partire dal Core Competence, ossia dagli obiettivi Terapeutici Riabilitativi propri della terapia neuropsicomotoria per poi implementare il Core Curriculum che va a descrivere gli obiettivi formativi dei Corsi di Laurea.

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3.3. Obiettivi formativi specifici del corso e descrizione del percorso formativo

Il percorso di laurea in Terapia della Neuro e Psicomotircità dell’Età Evolutiva, nella sua programmazione, prevede obiettivi specifici secondo il DM 270/04 quali (7):

1) compiere attività terapeutica per le diverse disabilità neuro-psicomotorie, psichiatriche e neuropsicologiche in età evolutiva, utilizzando tecniche specifiche per fascia d'età e per singoli stadi di sviluppo;

2) collaborare nelle equipe dedicate alla riabilitazione funzionale di tutte le patologie acute e croniche dell'infanzia;

3) attuare procedure di valutazione delle funzioni motorie, percettive, affettive e cognitive e delle loro interazioni nei diversi disturbi neurologici, neuropsicologici e psicopatologici dell'età evolutiva;

4) individuare ed elaborare, nell’equipe multiprofessionale, il programma di prevenzione, di terapia e riabilitazione del bambino con disabilità dello sviluppo, mediante le modalità terapeutiche più consone al suo bisogno di salute;

5) attuare interventi terapeutici e riabilitativi nei disturbi percettivi e motori, anche mediante l'eventuale uso di ortesi ed ausili;

6) attuare interventi riabilitativi nei disturbi neurologici e psichiatrici fin dalle prime settimane di vita;

7) valutare le risposte all'intervento riabilitativo attuato, registrando le modificazioni durante e alla fine del medesimo;

8) stabilire e mantenere relazioni di aiuto con il bambino, con la sua famiglia e con il contesto sociale, applicando i fondamenti delle dinamiche relazionali;

9) attuare procedure rivolte al trattamento ed all'inserimento nella famiglia, nella scuola e nella società dei soggetti in età evolutiva portatori di

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disabilità derivanti da handicap neuro-psicomotorio, cognitivo, psichiatrico;

10) riconoscere e rispettare il ruolo e le competenze proprie e degli altri operatori dell'equipe assistenziale, stabilendo collaborazioni operative; 11) svolgere attività di studio, di didattica, di ricerca specifica applicata, e di

consulenza professionale, nei servizi sanitari e nei luoghi in cui si richiede la loro competenza professionale;

12) agire in modo coerente con i principi disciplinari, etici e deontologici della professione di terapista della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva.

Il percorso formativo deve quindi idealmente essere suddiviso, per le esigenze sopradescritte, in modo da dare possibilità allo studente di acquisire le competenze in modo graduale (5, 29, 30):

 1° anno

Fornire le conoscenze di base (biomediche, psicologiche e sociologiche) sul funzionamento del sistema nervoso centrale. Trasmettere i fondamenti della disciplina professionale quali requisiti per affrontare la prima esperienza di tirocinio finalizzata all’orientamento dello studente agli ambiti professionali di riferimento e all’acquisizione delle competenze di base.

 2° anno

Approfondire le conoscenze sui principali disturbi neurologici e psichiatrici dell’età evolutiva, sugli strumenti per la diagnosi, e sulle principali classificazioni dei disturbi. Acquisire le competenze professionali relative alla riabilitazione neuropsicomotoria nell’infanzia e nell’adolescenza, alla somministrazione di test per le varie valutazioni funzionali. Sono previste più esperienze di tirocinio nei contesti in cui lo studente può sperimentare le conoscenze e le tecniche apprese.

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36  3° anno

Finalizzato all’approfondimento specialistico delle malattie del sistema nervoso centrale e periferico e della loro terapia. Ampliare l’acquisizione di conoscenze e metodologie inerenti l’esercizio professionale, la capacità di lavorare in equipe all’interno di contesti organizzativi complessi. Risulta necessario ampliare la rilevanza assegnata alle esperienze di tirocinio che lo studente può sperimentare, passando dalla supervisione ad una propria graduale assunzione di autonomia e responsabilità. Trasversalmente a questo è opportuno favorire l’emergenza di competenze e metodologie per la ricerca scientifica.

Il laureato deve dimostrare conoscenze e capacità di comprensione nei seguenti campi trasversali:

- scienze biomediche, per la comprensione dei processi fisiologici e patologici connessi allo stato di salute e alle malattie del sistema nervoso nell'infanzia e nell’adolescenza, con particolare approfondimento degli aspetti diagnostici, terapeutici e specifica attenzione alle tecniche riabilitative di competenza;

- scienze etiche, legali e sociologiche, per la comprensione della complessità organizzativa del Sistema Sanitario, dell’importanza e dell’utilità di agire in conformità alla normativa e alle direttive nonché al rispetto dei valori e dei dilemmi etici che si presentano nella pratica quotidiana. Sono finalizzate inoltre a favorire la comprensione dell’autonomia professionale, delle aree di integrazione e di interdipendenza con altri operatori del team di cura;

- scienze preventive, per la comprensione dei determinanti di salute, dei fattori di rischio e protettivi, delle strategie di prevenzione sia individuali che collettive;

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- discipline informatiche e linguistiche con particolare approfondimento della lingua inglese, per la comprensione della letteratura scientifica.

Di conseguenza anche gli obiettivi del tirocinio devono essere suddivisi in base agli obbiettivi delle competenze teoriche sopra elencate (Tab.4):

1° anno

- conoscere e osservare lo sviluppo neuropsicomotorio nell’età evolutiva, saper osservare e descrivere lo sviluppo neuropsicomotorio del paziente in età evolutiva con sviluppo tipico nelle diverse fasce d’età, ponendo attenzione all’aspetto motorio, sensoriale, affettivo, cognitivo, del linguaggio, dell’autonomia e della socializzazione, attraverso esperienze di tirocinio presso strutture specifiche;

- conoscere e osservare l’ambiente riabilitativo presso strutture sanitarie, conoscere e osservare l’ambiente riabilitativo presso strutture sanitarie. Acquisire informazioni sull’organizzazione delle Strutture riabilitative, sapersi inserire all’interno della struttura in relazione alle caratteristiche peculiari della stessa ed all’area specifica di intervento, saper osservare e descrivere oggettivamente i vari ambiti in cui si svolge il tirocinio.

 2° anno

Individuare il bisogno del bambino:

- osservare e valutare lo sviluppo neonatale neuropsicomotorio e neuropsicologico del bambino;

- utilizzare gli strumenti di valutazione (scale, schede, griglie, test, prove, esami) per le aree neuromotoria, neurosensoriale, neuropsicomotoria e neuropsicologica;

- individuare segni e sintomi dei principali disturbi dello sviluppo in età evolutiva;

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- collaborare alla stesura, in équipe multidisciplinare, del Piano dinamico funzionale (P.D.F.) e del Piano educativo individualizzato (P.E.I.).

 3° anno

Progettare il percorso riabilitativo e realizzare il progetto terapeutico nei diversi quadri clinici:

- utilizzare i dati della valutazione in funzione della stesura di un progetto terapeutico riabilitativo;

- individuare i principali obiettivi abilitativi e riabilitativi;

- comunicare ai genitori, in collaborazione con il medico specialista e il tutor, la valutazione neuro e psicomotoria e il progetto riabilitativo; - verificare il programma terapeutico riabilitativo anche attraverso

indici di risultato;

- comunicare ai genitori, in collaborazione con il medico specialista e il tutor, il percorso terapeutico, gli adattamenti degli interventi e le modificazioni nel tempo;

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