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Capitolo I Evoluzione storica della Rai: da società di interesse nazionale a strumento d’informazione 1. La nascita e l’immediato dopoguerra La Rai nasce nel 1924, anno in cui fu fondata l’URI

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Capitolo I

Evoluzione storica della Rai:

da società di interesse nazionale a strumento d’informazione

1. La nascita e l’immediato dopoguerra

La Rai nasce nel 1924, anno in cui fu fondata l’URI1, società

alla quale lo Stato assegnò i servizi di radioaudizioni circolari.

Con il r.d.l. nr. 2207 del 17 novembre 1927, l’URI fu trasformata nell’EIAR2 al quale lo Stato concesse il servizio delle radioaudizioni circolari fino al 15 dicembre 1952.

Il Consiglio dei Ministri approvò, il 20 marzo 1931, tra l'altro, uno schema di decreto legge necessario per il prossimo ampliamento della rete radiofonica e per disciplinare con la dovuta cautela il nascente servizio di televisione.

L’11 luglio 1931, con convenzione aggiuntiva3, il governo

accordò all'EIAR la concessione senza esclusiva dei servizi di radiofotografia e radiovisione circolare, mentre ripresentò la concessione in esclusiva per le radioaudizioni circolari.

1 Unione Radiofonica Italiana il cui capitale sociale era ripartito tra la Radiofono e la Sirac. 2

Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche.

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Il Regio Decreto 27/2/36 n. 6454 disciplinò l'intero settore delle telecomunicazioni, stabilendo la loro appartenenza allo Stato e fissando le norme per l'esercizio in concessione.

Il canone Rai fu istituito nel 1938 dal Governo di Benito Mussolini con il Regio decreto numero 246 del 2 febbraio 1938. Inizialmente la tassa fu voluta per finanziare la propaganda del regime fascista e in un’epoca in cui il televisore era stato inventato da poco, era esclusiva di pochi cittadini abbienti.

In concomitanza con l'inaugurazione della Mostra della Radio e della Televisione avvenuta il 22 Luglio del 1939, entrò in funzione il trasmettitore video della stazione sperimentale di televisione di Roma. I programmi furono trasmessi dalle diciannove alle venti e dalle ventidue e trenta alle ventitré. Questo concreto risultato stette a dimostrare il poderoso sforzo compiuto dall'EIAR con spirito fascista. I giornali del giorno seguente diedero grande risalto all’evento e fornirono le prime recensioni sulla televisione italiana.

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A seguito dell'entrata in guerra dell'Italia, nel Giugno del ’40, furono sospese le trasmissioni televisive dalla stazione di Roma per poi riprendere circa due anni dopo nelle ore serali.

Nel 1944 la società mutò denominazione in Rai-Radio Audizioni Italia. Inizialmente era una partecipata della SIP ma in seguito le azioni furono comprate dal Ministero delle Comunicazioni.

Fin dalla prima metà del '46, terminatasi la seconda Guerra Mondiale, l'opinione pubblica italiana aveva guardato con molta attenzione alla possibilità di riconsiderare l'assetto istituzionale della radiodiffusione, anche sotto la pressione d’interessi industriali e commerciali di settori che tradizionalmente avevano ricavato dall'esercizio della radiofonia una cospicua fonte di profitto. Queste tendenze orientate alla privatizzazione nascevano da presupposti del tutto diversi rispetto alle ipotesi di autonomia ideativa e amministrativa maturate nella resistenza. In pochi mesi, per iniziativa di gruppi privati che erano riusciti a eludere le disposizioni della Commissione alleata di controllo, erano sorte nella penisola numerose stazioni radio di limitata potenza.

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Il fenomeno presentava caratteri assai simili e in qualche modo

anticipatori del boom della comunicazione5.

Il servizio pubblico radiotelevisivo italiano era caratterizzato dalla centralità dell’esecutivo nel determinare le politiche aziendali e dalla presenza invasiva dei partiti politici.

Con il decreto legge del 3 aprile 1947 s’introdusse la sola novità legislativa sulle radiodiffusioni del dopoguerra, la Commissione parlamentare di Vigilanza. Era composta di trenta membri e aveva il compito di verificare che vi fossero

l’indipendenza politica e l’obiettività informativa delle

radiodiffusioni.

Ben presto si capì che la Commissione di Vigilanza era un organo privo di poteri effettivi e al completo servizio non solo del Governo ma anche della maggioranza parlamentare.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il 2 maggio 1949, si stabilì la composizione della Commissione per lo studio dei problemi riguardanti lo sviluppo e alla diffusione della televisione in Italia.

2. Anni’50: l’era Guala e il mondo cattolico

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La struttura organizzativa della RAI fu sancita dalla convenzione del 26 gennaio 1952, valida fino al 15.12.1972, che stabiliva due importanti temi: la concessione in esclusiva del servizio delle radioaudizioni e della televisione circolare e che la maggioranza delle sue azioni spettasse all’IRI6. La convenzione, stipulata in anticipo rispetto alla naturale scadenza fissata al 31 Dicembre del 1952, mirava chiaramente ad accrescere i vincoli tra l’azienda e il governo. L’esecutivo nominava sei membri su sedici del Consiglio d’Amministrazione e doveva approvare le nomine del presidente, dell’Amministratore Delegato e del Direttore Generale.

La recente stipulazione si poteva vedere come un ottimo esempio della continuità dello Stato; essa, infatti, non era che il rinnovo della vecchia convenzione venticinquennale tra lo Stato e l’EIAR del 1927, che veniva a scadere nel 1952 e di cui la Rai era considerata l’erede naturale. Questa convenzione pose tutte le premesse normative e finanziarie per l’attività televisiva, estendendo esplicitamente il monopolio dall’attività radiofonica a quella radio-televisiva, e accentuò il carattere para-pubblico della Rai. Nacque così il monopolio Rai per la radiotelevisione.

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Saputi del rinnovo della convenzione, il Gruppo Cisalpino presentò un ricorso contro la decisione di affidare il servizio televisivo in esclusiva alla Rai.

Durante la discussione alla Camera del bilancio delle Poste e Telecomunicazioni, avvenuta il 18 giugno 1952, arrivarono i primi commenti ufficiali alla convenzione del gennaio ‘52.

Molto critico fu il PSI, alla Camera dei Deputati, nella persona del deputato Giovanni Pieraccini il quale affermò come fossero ancora ben presenti i criteri fascisti, si domandava il perché di cotanta fretta nel rinnovo e lamentava il mancato coinvolgimento dell’opinione pubblica e specialmente del Parlamento in un tema così importante. Sempre Pieraccini, faceva notare come stessero emergendo sulla scena gruppi privati che chiedevano la libera

concorrenza nel campo della televisione7.

Come risposta alle opposizioni, il Ministro Spataro, due giorni dopo, dichiarò che il Consiglio Superiore tecnico delle

telecomunicazioni ha dichiarato inaccettabile la domanda perché il servizio della televisione deve essere assicurato a tutte le regioni italiane e non solo a quella più ricca.

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Questa interpretazione, in realtà, favoriva solo la RAI giacché era l’unico Ente capace di coprire l’intero territorio nazionale con un solo servizio di televisione.

Il quadro che si presentava era alquanto insolito dato che la RAI era una società per azioni di diritto privato la cui maggioranza spettava per legge a un ente a partecipazione statale e i cui vertici

dirigenziali erano nominati dal governo8.

Il 3 gennaio 1954 iniziò il servizio regolare di televisione della Rai. Le trasmissioni furono irradiate sulla banda VHF dalle stazioni di Torino, Milano e Roma. L’85% delle trasmissioni era realizzato nella sede di Milano e il canone era il più alto in Europa.

Il 10 aprile 1954, data l’estensione dell’attività al settore televisivo, la società modificò la sua denominazione in quella di RAI-Radio Radiotelevisione Italiana.

Il mondo cattolico aveva guardato alla radio e alla televisione con sollecitudine fin dal loro sorgere. Un ampio spazio fu dedicato, dalla stampa cattolica, all’inizio delle trasmissioni televisive. Sia Il

8

G. Guazzaloca, La televisione è di tutti? I partiti politici e la gestione della RAI - TV negli

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Popolo che l’Osservatore Romano pubblicarono la notizia in prima

pagina9.

La TV rappresentava, per i cattolici, il tramite con cui si voleva diffondere una cultura nazionale unitaria fino a quel momento distrutta dall’epoca fascista.

Questo progetto di raggiungere l’intera comunità nazionale preso avvio nel 1954 quando l’Ingegner Filiberto Guala divenne Amministratore Delegato della RAI. La sua missione era di accentrare tutte le attività da Torino a Roma e di condurre l’azienda

all’avvicinamento con il modello della BBC10. Questa era presa ad

esempio per la capacità di garantire il pluralismo politico e il progresso.

Oggetto di grandi critiche fu l’introduzione del codice di autodisciplina dei programmi televisivi: comprendeva norme sul rispetto della persona umana, della famiglia, dei sentimenti religiosi e rispondeva all’intento di diffondere criteri di attuazione dei

programmi rispondenti alla morale cattolica11.

9 Ivi, p. 198.

10 Sigla di British Broadcasting Corporation, ente radiofonico e televisivo inglese. 11

G. Guazzaloca, La televisione è di tutti? I partiti politici e la gestione della RAI – TV negli

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Nelle intenzioni di Guala invece, il codice di autodisciplina mirava a creare una nuova cultura nazionale.

Con il chiaro intento di rinnovare i quadri aziendali e garantire la formazione di amministratori professionisti indipendenti alla politica e al clientelismo, organizzò il primo concorso della storia della RAI. Da detto concorso usciranno personaggi che segneranno la storia dell’azienda televisiva nei decenni successivi.

Nel Gennaio 1955 fu aumentato il canone radiotelevisivo: quello della radio passò da 2460 a 3300 lire, quello della televisione si attestò a diciotto mila, tremila in più del precedente. I nuovi utenti erano esentati dal pagamento per i primi due anni.

Tutte queste innovazioni apportate, suscitarono molte critiche e polemiche sia da parte delle opposizioni sia dagli stessi esponenti

della Democrazia Cristiana. Il quotidiano Il Tempo e il settimanale

l’Espresso chiesero, apertamente, la sostituzione del consigliere delegato sostenendo che in rapporto all’alto costo del canone, le

trasmissioni televisive non erano adeguate12.

In questo clima, nel Giugno del ’56, Filippo Guala si dimise da amministratore delegato della Rai per il sollievo espresso degli

12

F. Dentice, Vuole salvarci l’anima, non ci salva gli orecchi e gli occhi, in l’ Espresso 6.11.55.

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oppositori e tacito dagli stessi membri della Dc. Poche ore dopo l'ufficio stampa dell'azienda comunicò la nomina del suo successore: Marcello Rodinò, già direttore dell’Azienda Elettrica Meridionale e stimato ingegnere vicino alla Dc. Cercò di portare avanti la riorganizzazione aziendale iniziata da Guala ma restituendo fiato agli aziendali e attenuando i contrasti interni13.

Emerse con forza l’intento della DC degli anni Cinquanta di insegnare al popolo italiano la democrazia mediante una RAI feudo dell’esecutivo che fosse capace di consolidare la propria legittimazione e plasmare il consenso politico attraverso la radio e la Tv14.

Il deficit dell’azienda ammontava a circa due miliardi e per ovviare in parte fu deciso di annunciare l’inizio della pubblicità per il Gennaio del 1957. Contestualmente fu prevista la riduzione del canone di circa duemila lire per gli utenti privati ma l’aumento per bar, alberghi e locali pubblici.

Il disegno di Guala, consistente nella centralizzazione dell’attività della RAI a Roma, avvenne nel Novembre del ’56. Le destre contestarono aspramente questa novità. Il quotidiano il

13 G. Guazzaloca, La televisione è di tutti? I partiti politici e la gestione della RAI-TV negli

anni Cinquanta, cit., p. 202.

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Tempo, invece, avviò una pesante offensiva contro la RAI sia per la

sua posizione di monopolio sia per il canone più alto del mondo15.

Come previsto, il 3 Febbraio del 1957, fu introdotta per la prima volta la pubblicità nei programmi televisivi.

Il 17 agosto 1957 fu approvata la Convenzione16 aggiuntiva tra

Stato e Rai per il completamento della rete televisiva.

In un clima infuocato dove quasi la totalità dei partiti e dei quotidiani erano fortemente contrari alla posizione dominante assunta dalla RAI, La Discussione, periodico della Democrazia Cristiana, si espresse in maniera opposta affermando che i gruppi d'imprenditori che avrebbe voluto gestire la TV commerciale avevano interessi ben determinati e precisi anche in campo politico, come del resto gli orientamenti della cosiddetta stampa italiana indipendente dimostravano. Il servizio d'informazione trasmesso dalle loro stazioni aveva scopi ben determinati e non avrebbe certamente e comunque il carattere dell'imparzialità e della libertà. Per questi motivi, concludeva il quotidiano, quello che era un servizio d'interesse pubblico andava tutelato con opportuni provvedimenti dalla speculazione privata e dall'interessamento di

15

A. Consiglio, La macchina infernale, in Il Tempo, 22.12.1956.

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parte. Le lacune e i difetti dell’ente non erano riconducibili al monopolio.

Il quotidiano l’Espresso, invece, criticò l’atteggiamento evanescente che i democristiani assumevano quando si trattava di individuare le responsabilità politiche. Denunciò altresì l’assoluta inconsistenza della Commissione Parlamentare per l'Alto Controllo della radio e delle tele audizioni, rea di essere paralizzata

dall’atteggiamento ostruzionistico dei rappresentanti della

maggioranza che la svuotavano di ogni potere o controllo.

Proprio in virtù di queste considerazioni, condivise da un nutrito numero di parlamentari, il 19 marzo 1959, un gruppo di deputati del PCI, presentarono alla Camera una proposta di legge di riforma della Rai TV. La proposta prevedeva l'attribuzione delle competenze esercitate dal Consiglio dei Ministri e dal Ministero delle Poste al Ministero delle Partecipazioni statali. I membri del Consiglio d’Amministrazione designati dai vari ministeri e dall'Iri dovevano essere nominati dal Parlamento. La Commissione Parlamentare di vigilanza poteva partecipare preventivamente alla determinazione dei programmi e non intervenire soltanto dopo come l’allora legge prevedeva. Ogni partito politico avrebbe avuto

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un tempo di trasmissione radiofonica e televisiva ogni settimana e con maggiore frequenza durante la campagna elettorale.

3. Anni ’60: Bernabei e i partiti politici

Il 1960 fu un anno importantissimo nella storia della RAI. La

sentenza n. 59 della Corte costituzionale17 sancì la legittimità della

riserva di Stato nelle trasmissioni radio-tv. Appellandosi a cause tecniche sia per la considerazione che lo Stato tutela e garantisce meglio dei privati, mossi da interessi particolari, le condizioni di obiettività, imparzialità e completezza, la Corte accolse le tesi della Rai considerando il regime esistente come un monopolio naturale. Si affermò il monopolio ma auspicando al contempo una legislazione certa per garantire attraverso il mezzo televisivo, la libertà di manifestazione del pensiero e la sua adeguata diffusione.

Il 5 gennaio 1961 Ettore Bernabei, già direttore del Popolo, divenne direttore generale della RAI. Rimarrà in carica fino al 1974.

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Con la sua nomina la prima stagione della storia della televisione italiana si chiuse definitivamente. Il nuovo direttore, in linea con quanto si stava verificando a livello governativo, cercò di spostare l’asse politico dell’azienda dal destra al centro-sinistra, favorendo l’ingresso dei socialisti e riuscendo a mantenere stretti i legami con i poteri forti della Chiesa18.

Cominciò la stagione più prospera della Tv italiana e la RAI fece di tutto per assumere il ruolo di centro di diffusione di saperi e conoscenze.

L’inizio delle trasmissioni di Tribuna Elettorale e Tribuna Politica rappresentò il tentativo della Dc di modernizzare il sistema televisivo date le pressioni fatte dal Partito socialista e dalla sentenza della Corte Costituzionale che aveva espresso forti dubbi per lo scarso pluralismo all’interno della RAI. Vi fu pertanto, un chiaro segnale politico verso il centro sinistra e una risposta agli spettatori che reclamavano sempre più una partecipazione attiva al dibattito politico19.

In una riunione della Direzione Generale della Rai, svoltasi nel Giugno del ’61, si ventilò la possibilità che il canone, nel giro di

18 G. Guazzaloca, La televisione è di tutti? I partiti politici e la gestione della RAI-TV negli

anni Cinquanta, cit., p. 205.

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qualche anno, potesse essere abolito. I programmi, in questo caso, sarebbero stati interamente finanziati dalla pubblicità.

Nel corso di una seduta al Senato del 20 luglio 1961, i partiti della sinistra portarono un duro attacco alla Rai: l'ente televisivo fu definito dal Pci un feudo esclusivo della DC e uno strumento decisivo per la clericalizzazione della vita pubblica e per il sottogoverno, mentre il Psi pose l'accento sulla mancanza di una regolamentazione legislativa capace di imprimere alle trasmissioni Rai imparzialità e correttezza20.

Il Pci presentò una mozione in cui chiedeva che nel consiglio

d'amministrazione della RAI-TV siano compresi rappresentanti di tutti i partiti politici, e negli organi direttivi e redazionali siano inclusi intellettuali e giornalisti capaci, senza discriminazione politica, in modo che si stabiliscano equilibri e reciproco controllo21.

Il 4 novembre 1961 rappresentò una data storica: iniziarono i programmi del Secondo Canale Rai, trasmesso sulla banda UHF. La programmazione era di circa due ore ogni sera, dalle 21,05 alle 23,15.

20 G. Sansa, Vivace dibattito al Senato sulle trasmissioni radio-televisive, in Corriere della Sera

21/7/61, p. 2.

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Il 10 febbraio 1962 si aprì a Roma il convegno sulla televisione indetto dall'associazione italiana dei radioabbonati: al centro degli interventi dei numerosi relatori, i rapporti tra la Rai e il Parlamento. Dal convegno emerse la proposta che alla Rai fosse assicurata legislativamente sia l'indipendenza dal potere esecutivo, sia i caratteri organizzativi di ente pubblico. Si richiese inoltre l'ampliamento delle attribuzioni della Commissione Parlamentare di vigilanza.

Il 3 gennaio 1964 si festeggiarono i primi dieci anni di televisione in Italia. La maggior parte dei quotidiani nazionali fece notare come la politica aveva fatto da padrona all’interno della RAI. Si affermò come alla Democrazia Cristiana dovesse spettare il potere assoluto del monopolio della TV ma che opposizione popolare e democratica avrebbe trovato nuove e concrete formulazioni, strumenti di lotta più avanzati, un più coerente indirizzo22.

Molto feroce fu la critica nel Maggio seguente da parte di Idro Montanelli che affermò come si respirassero i tossici di una propaganda intesa a scalzare la libertà e quel poco di laicismo che

22

I. Cipriani, Ogni sera a servizio della Dc: la tecnica della manipolazione, in La Rinascita, 4.1.64, p. 25.

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c’era nel Paese. Sferrò, inoltre, un violentissimo attacco all’azienda pubblica colpevole di proporre una costante propaganda filo comunista. Prese di mira anche Ettore Bernabei accusandolo di controllo politico e per il fatto che avesse speso milioni per una cifra indefinita di collaboratori esterni inutili. Concluse la sua critica sulla particolarità della società RAI: un'azienda che, in realtà, era dello Stato, ma che lo Stato non poteva controllare perché in teoria privata23.

Una pioggia d’interrogazioni e interpellanze si abbatté sul Presidente del Consiglio dopo gli articoli di Montanelli. Provennero da deputati missini, comunisti, liberali e democristiani.

Il clima di forte ostilità nei confronti della televisione italiana continuò per diverso tempo tant’è vero che nel Marzo del ’66, in una seduta della Camera, l'On. Bignardi rilevò come le trasmissioni del servizio pubblico spesso mancassero di obiettività, denunciò il monopolio DC sull'ente e ripeté la necessità di sottrarre l'ente al controllo dei partiti24.

Le polemiche, critiche e denuncie sfociarono, il 13 ottobre 1967, nella presentazione, da parte del partito liberale, di una

23

I. Montanelli, Il teleschermo avvelenato, in Corriere della Sera, 6.5.1964.

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proposta di legge per riformare la Rai. I punti salienti consistevano nella creazione di un comitato di garanti incaricato di garantire l'imparzialità delle trasmissioni e composto di studiosi ed esperti nominati dal Capo dello Stato, il controllo politico delle trasmissioni affidato alla Commissione parlamentare di vigilanza, il controllo parlamentare sulle nomine di competenza governativa, l’assunzione di personale per mezzo di concorsi pubblici, la regolamentazione da un punto di vista quantitativo della pubblicità televisiva in modo che tutti potessero accedervi e infine l’obbligo di rettifica per notizie e fatti non rispondenti a verità secondo quanto già avveniva per la stampa25.

Le posizioni degli altri partiti sulla riforma proposta dal partito liberale furono diverse: per il PSI la Rai andava riformata in senso democratico. L'azienda non doveva essere più chiusa alle diverse correnti culturali che animavano il paese. Per la Dc invece, l'unico modo per garantire l'imparzialità dell'ente era di garantire l'autonomia, l'indipendenza e la sicurezza dei giornalisti che vi lavoravano.

25

A. Barone, Proposta dei liberali per la riforma della Rai Tv, in Corriere della Sera, 14.10.1967

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4. Anni ’70: Le sentenze della Corte Costituzionale e la fine del monopolio

Cresceva un sentimento di oppressione nei confronti del monopolio della RAI ed emersero sempre più con forza piccole realtà private che richiedevano il loro spazio. Era necessaria una riforma profonda e radicale dell’azienda.

Avendo sentore del malcontento popolare, il presidente del Consiglio Emilio Colombo, nel Maggio del ’71, intervenne alla Commissione parlamentare di vigilanza per affermare che il governo avrebbe presentato un progetto di riforma della Rai entro la fine dell'anno, e che contemporaneamente sarebbero aumentati i poteri della commissione stessa.

Il 15 dicembre 1972, alla scadenza della convenzione, come già annunciato da qualche tempo, fu concessa alla Rai la proroga di un anno in attesa della riforma. Tale convenzione fu imposta dal governo con atto amministrativo sottraendolo dunque alla supervisione del Parlamento.

Tutto il 1973 fu segnato da dibattiti intorno alla riforma della Rai; perfino le Regioni, con in testa l’Emilia Romagna, rivendicarono la loro autonomia locale in materia televisiva.

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Nel Dicembre 1973, il presidente del Consiglio Rumor, annunciò che la convenzione Stato-Rai sarebbe stata prorogata di quattro mesi per il periodo 10 gennaio-30 aprile 1974. Ciò al fine di consentire al comitato di esperti designato dai partiti di governo di

elaborare le proposte per la riforma Rai26. La proroga sarà

ulteriormente estesa fino al 30 Novembre del corrente anno.

Il 10 luglio 1974 fu una giornata decisiva nella storia della televisione in Italia. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi dalle questioni poste da venti ordinanze di rinvio poste da diverse autorità giudiziarie, circa la violazione degli art.21, 41 e 43 della Costituzione, per contrasto con le norme che sanciscono il

monopolio statale della TV, emise due sentenze. La prima27 stabilì

che il monopolio statale sulla TV via etere era legittimo solo alla presenza di una legge di riforma della Rai che avesse garantito il pluralismo e l'obiettività dell'ente. La seconda28 invece dichiarò

l’incostituzionalità della riserva statale delle trasmissioni

radiotelevisive via cavo a livello locale poiché irragionevolmente limitativa della libertà d’iniziativa economica privata.

26 Decreto legge approvato il 20.12.1973. 27

C. Cost., 10 luglio 1974, n. 225, in Giur. Cost., 1974.

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Una calda sera d'estate di Firenze del ’74, tremila persone assistettero alla prima trasmissione via etere di una TV italiana diversa dalla Rai. L'emittente si chiamava Firenze Libera. Nel Settembre dello stesso anno ebbero inizio le trasmissioni di Telemilano. La stazione apparteneva a Silvio Berlusconi.

Il 30 novembre 1974 i partiti trovarono l'accordo sulla Riforma della Rai. Un provvedimento atteso da molti anni, che la decisione della Corte Costituzionale e prima ancora la serrata battaglia politica sul cavo, non resero più differibile.

L'accordo in realtà fu molto travagliato. Più volte nel corso degli incontri, le delegazioni dei partiti minacciarono di abbandonare il tavolo della trattativa. Il governo varò in extremis il decreto legge per la riforma dell'ente, giacché la convenzione Stato-Rai scadeva proprio il 30 novembre. Sulla TV via cavo, nell'accordo, si prevedeva la regolamentazione di quella locale. Vietate le interconnessioni, liberalizzate le TV che avevano una fascia non superiore alle cinquanta utenze, anche se erano vietate in questo caso la riscossione del canone e la pubblicità.

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La TV via cavo avrebbe potuto essere installata in località o aree con non più di centocinquantamila abitanti. Le autorizzazioni sarebbero state rilasciate da Regioni e Ministero delle Poste.

Il 22 marzo 1975 fu prorogata, fino all'entrata in vigore della legge di riforma, la convenzione tra lo Stato e la Rai.

Il 14 Aprile del ’75 fu approvata definitivamente la legge di riforma della RAI29.

La permanente influenza dei partiti, che rischiava di monopolizzare il servizio radiotelevisivo, condizionò la Corte Costituzionale che, nel Luglio 1976, dichiarò l’incostituzionalità della riserva statale delle trasmissioni radiotelevisive via etere a livello locale, perché irragionevolmente restrittiva della libertà

d’iniziativa economica privata30. La RAI, che fino a quel momento

esercitava una posizione di assoluto monopolio, dovette perciò entrare in concorrenza con i privati non solo su scala locale ma, di lì a poco, anche su scala nazionale.

La fine conclamata del monopolio si ebbe con le elezioni del 3 e 10 giugno 1979, dove si ebbe un nuovo protagonista: l'emittenza locale. Si affermò che le TV private sono più spigliate, più efficaci e

29

Legge 14.4.75 n. 103.

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credibili nelle trasmissioni elettorali e anche partiti e candidati si comportano meglio che alla Rai. Lo spazio dell’emittente pubblica è gratuito, quello delle emittenti private va pagato e chi paga di tasca propria, vuole essere sicuro dei risultati31.

5. Anni ’80 - ’90: Berlusconi e Fininvest

Dopo lo sviluppo incontrollato dei primi anni, le Tv private iniziarono a catturare l’attenzione di grandi gruppi imprenditoriali, desiderosi di eliminare la leadership della RAI.

Nel Marzo dell’80 uscirono le prime interviste e i primi articoli su Silvio Berlusconi che nel ’78 aveva fondato a Milano Fininvest con l’inaugurazione ufficiale del canale televisivo via etere Telemilano. Fu considerato una sorta di astro nascente dell’emittenza privata.

Il 30 Settembre del 1980, cinque emittenti del nord Tele Milano, A&G Television, Video Veneto, Tele Torino, Tele Emilia Romagna mandarono in onda gli stessi programmi con spot pubblicitari di Publitalia e con lo steso marchio: Canale 5.

31

G. Scardocchia, Un giallo in Tv, anche al posto dell’assassino compare l’onorevole, in Corriere della Sera, 16.05.1979, p. 1.

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Al centro Sud, analoga operazione con il marchio Canale 10 che vedette coinvolte Roma TV, Puglia TV e in un secondo momento Tele Toscana Uno, Video Umbria, Tele A (Napoli).

Le emittenti che recavano i due marchi erano in gran parte controllate da Berlusconi attraverso una finanziaria32.

Canale 5 strappò alla Rai l'esclusiva per la ripresa del Mundialito, la Coppa in programma in Uruguay a Capodanno alla quale parteciparono diverse nazionali tra cui l’Italia33.

Vi erano però due evidenti problemi. Si doveva avere l'autorizzazione a trasmetter fuori dall'ambito locale e si doveva poter utilizzare il satellite. Il Ministro delle PT, Di Giesi, vietò la diretta.

Per la diffusione dei programmi non fu utilizzata l’interconnessione strutturale o materiale, ossia il collegamento tra i vari impianti trasmittenti via ponte radio, poiché ciò avrebbe comportato il superamento del limite posto dalla Consulta; Berlusconi fu il primo a utilizzare la cd. tecnica del pizzone che prevedeva che ognuna delle emittenti partecipanti al network mandasse in onda, in contemporanea, una bobina su cui era stato in

32

La finanziaria Cofint controllava tutte le società di Berlusconi.

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precedenza registrato l’intero palinsesto della giornata, comprensivo di molti spot pubblicitari. Si creava così l’illusione della diretta. La RAI, attraverso il suo capo ufficio stampa, scaricò tutte le colpe della mancata visione in diretta delle partite su Canale 5 che aveva acquistato il diritto a trasmetterle con un’offerta

abnorme e fuori mercato34.

Berlusconi di contro, rilasciò un’intervista in cui evidenziava come la RAI fosse in mano ai politici che non avevano nessun interesse a spartirla con il rischio di perdere il monopolio dell’informazione.

Tra Rai e private fu guerra a colpi di carta bollata. La Rai li accusava in sostanza di diffondere le loro trasmissioni in ambito ultralocale, violando così il disposto della Corte Costituzionale che già si era espressa sull'argomento nella sentenza scaturita dalla vicenda Rai-Rizzoli.

A testimonianza di quanto ormai le tv private rappresentassero una parte importante della cultura e dell’informazione italiana, canale 5, il 22 Maggio dell’82, batté una rete RAI negli ascolti.

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Berlusconi, nel dicembre dell’82, comprò Italia 1 fondendola con Canale 10, la nuova rete di sua emittenza. I giornali di sinistra fecero notare come si stesse passando da un monopolio Rai a un monopolio di Berlusconi. La Rai riusciva ormai a tenere il passo soltanto con la Rete 1 mentre la Rete 2 continuava a perdere spettatori ed era ormai sistematicamente battuta da Canale 5. Il successo delle private era dunque troppo rapido e troppo grande per passare inosservato.

Nel Novembre 1983 Berlusconi annunciò trionfalmente che entro la fine dell'anno, grazie a Canale 5 e Italia 1, si sarebbe potuto contare sulla cifra record di cinquecento miliardi di pubblicità rastrellata, tra l'altro, quasi esclusivamente sul mercato nazionale.

A smorzare l’entusiasmo dell’imprenditore milanese, nel

Marzo 1984, ci pensò il Meter35. Le tabelle elaborate nei primi mesi

dell'84 indicarono un comportamento degli italiani davanti alla televisione profondamente diverso da quello accreditato sin a quel momento. In particolare furono sensibilmente modificati gli ascolti della Rai e delle TV private. Il servizio pubblico registrò una migliore tenuta di quanto mai era apparso. Canale 5 ne uscì

35 Una scatoletta inserita a cura della Rai in 1500 televisori che comunica ad un cervello

elettronico un flusso continuo di dati sulle preferenze dei telespettatori italiani, effettuando rilevamenti automatici a intervalli di 30 secondi.

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ridimensionata e comunque lontana da Rai uno. Chiaramente questi dati per Berlusconi non furono attendibili tant’è vero che nell’Agosto dello stesso anno, con un accordo piuttosto macchinoso, acquistò Rete 4. L’accordo sollevò un vespaio di polemiche e d’interrogazioni parlamentari; si denunciarono l'avvio della formazione di un processo bipolare con un unico soggetto pubblico da un lato e un unico soggetto privato dall'altro36.

Il 1984 si chiuse per Berlusconi in modo piuttosto turbolento; dopo che il 16 Ottobre i pretori avevano oscurato le reti Fininvest nelle Regioni Lazio, Abruzzo e Piemonte sequestrando i ponti radio utilizzati dalle emittenti e dopo che il 21 Ottobre seguente un decreto riaccese le Tv private per un anno, il 4 Dicembre vennero ancora una volta oscurati dai pretori di Roma e di Torino Canale 5, Italia 1 e Rete 4.

Dopo varie riunioni di maggioranza di governo, interrogazioni parlamentari e attacchi feroci da parte di stampa e opinione pubblica, il 6 Dicembre dell’84 si riaccesero le tv di Fininvest;

36

D. Brancati, Rai e Berlusconi aprono la guerra della pubblicità, in La Repubblica, 31.08.1984, p. 6.

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questa data fu considerata come l’inizio ufficiale del sistema misto radiotelevisivo dove pubblico e privato ebbero pari dignità37.

Il 25 gennaio 1985 il Consiglio dei Ministri finalmente varò il disegno di legge per la Tv. A quasi dieci anni dalla riforma della Rai e dalla storica sentenza con la quale la corte Costituzionale sancì, nel '76, il diritto di cittadinanza delle emittenti locali accanto alla Rai, da quel momento ci si avviò verso un sistema radiotelevisivo misto che pur confermando la centralità della Rai autorizzava i privati a trasmettere sia localmente sia su scala nazionale attraverso l'interconnessione38.

Nel Giugno 1985 fu deciso che le tv private avrebbero potuto continuare a trasmettere su tutto il territorio nazionale fino al 31 dicembre senza il pericolo di nuovi black out dei pretori39.

Giunti all’1 Gennaio dell’86 il terzo decreto Berlusconi, che, di fatto, consentiva alle tv private di trasmettere su scala nazionale, era scaduto alla mezzanotte del 31 dicembre e dunque era in vigore da quel momento la stessa situazione che nell'autunno dell'84 spinse alcuni pretori ad applicare le leggi vigenti e a impedire alle tv

37 L. Delli Colli, Teleschermi divisi a metà tra la Rai e Berlusconi, ivi, 7.12.84, p. 2. 38

G. Fedi, Una legge per le emittenti dopo nove anni di anarchia, in La Stampa, 26.01.85, p. 2.

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private nazionali di trasmettere programmi oltre l'ambito regionale40.

Il timore di un oscuramento delle reti Fininvest si tramutò in certezza il 22 Gennaio dell’86 ma a seguito di ricorso al Tribunale delle libertà di Torino, dopo nove giorni di buio, si riaccesero gli schermi delle tre reti. Il Tribunale affermò che il trasmettere in contemporanea con il sistema delle cassette preregistrate non equivalesse a una diretta. Questa era l'unica, vera forma di televisione: informava sugli avvenimenti mentre accadevano ed era quindi la sola idonea a influenzare l'opinione pubblica. Però, essendo le tv private escluse dai notiziari, era assai difficile comprendere come loro potessero mettere in pericolo il monopolio pubblico.

Arrivato a dominare il panorama televisivo italiano, nel Febbraio ’86, Berlusconi e Fininvest allargarono i propri orizzonti affacciandosi alla Francia. In meno di ottanta giorni nacque La Cinq bruciando tutte le tappe e registrando dall’Italia giacché gli studi francesi non erano ancora pronti.

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Nonostante l’avvio in pompa magna, l’11 Giugno del corrente anno, il governo francese privatizzò il primo canale ed espulse Berlusconi dalla tv francese.

Alla cocente delusione francese si aggiunse, per Fininvest, il problema della vendita di una delle tre reti: era emersa la volontà di stipulare una nuova legge sulla radiotelevisione che avrebbe portato, tra le altre, Berlusconi alla vendita di una parte del proprio asset. Quest’ultimo si mostrò molto perplesso contro la normativa anti trust che si intendeva proporre41.

Molti quotidiani si occuparono di tale vendita e l’opinione diffusa era quella della cessione di Rete 4 a Callisto Tanzi, proprietario della Parmalat e del gruppo televisivo Euro – tv.

Si capì ben presto che in realtà si sarebbe eventualmente trattato di una vendita fittizia e pro forma che avrebbe consentito a Fininvest di presentarsi con le carte in regola al varo della futura legge di regolamentazione televisiva.

Interrogato sull’argomento Berlusconi smentì categoricamente l’idea di privarsi di una delle sue tre reti42.

41 L. Delli Colli, Berlusconi: voglio tre reti, la legge e la diretta tv, in La Repubblica,

31.1.1987, p. 31.

42

L. Delli Colli, Non esistono trust in tv chi lo dice è in malafede, in La Repubblica, 23.10.1987, p. 7.

(31)

Gli anni ’80 si chiusero con la RAI che annunciò la nascita della terza rete che sancì, tra le altre, la presenza netta e marcata di un duopolio nell’ambito della televisione italiana.

6. Gli anni recenti: l’arrivo del Digitale Terrestre.

Tratteremo nel prossimo capitolo i vari tentativi di riforma del servizio radiotelevisivo italiano che hanno occupato, oltre agli anni passati, gli anni recenti. Questi sono stati contraddistinti, come novità, dall’arrivo del Digitale Terrestre.

Nel 2001 si ebbe l’inizio del processo di transizione dalla tv analogica a quella digitale. Si avviò la procedura che consentiva agli emittenti di sperimentare la tecnica DTT su frequenze proprie e si stabilì che entro il 31 dicembre 2006 sarebbero finite le trasmissioni analogiche su frequenze terrestri43.

La successiva legge di regola del sistema televisivo, la Legge Gasparri del 2004, confermò lo switch-off al 31 dicembre 2006 oltre alla previsione di un contributo statale per l’acquisto di decoder digitali. Avverrà, in seguito, lo spostamento del termine ultimo per il passaggio al digitale al 31 dicembre 2008 e per ultimo al 31

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dicembre 2012. In realtà, a fine 2009, tutte le Regioni italiane completarono lo switch-off.

L’argomento base della legge che portava il nome dell’ex-ministro delle comunicazioni stava nel pluralismo che sarebbe derivato automaticamente dall’innovazione tecnica del sistema di radiodiffusione televisivo. Contrariamente a quanto pensato, invece, non si è avuto un aumento del pluralismo e non si è consentito ad altri soggetti di entrare nel mercato televisivo aumentando il coefficiente di pluralismo del sistema44.

Bisogna inoltre considerare che i costi non sono destinati a

essere sostenuti esclusivamente dai telespettatori, gravati

dall’acquisto di decoder o televisori con decoder integrato, ma anche dalle emittenti televisive: la RAI nel 2008 ha chiesto un importante aumento del canone giustificato anche dai costi del passaggio alla tecnologia digitale.

I costi concernono la sostituzione degli impianti di trasmissione e ripetizione del segnale, poiché le antenne riceventi il segnale analogico non possono essere utilizzate anche per quello digitale e il costo di aggiudicazione all’asta delle licenze per l’uso

44

P. Ortoleva, Il declino industriale del sistema dei media italiano, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 271.

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delle frequenze, in altre parole l'affitto da corrispondere ai vincitori d'asta per l'utilizzo delle frequenze loro assegnate.

Di fatto il digitale terreste è andato nelle mani degli operatori già attivi come RAI e Mediaset favorendo specialmente quest’ultima.

Data la presenza a capo del governo di Silvio Berlusconi, si è parlato di emergenza democratica del paese e di un altro immiserimento della sfera pubblica nel nostro paese.

Un aspetto sicuramente positivo del digitale terrestre è stato l’aumento di programmi televisivi e una maggiore scelta da parte degli utenti di poter vedere contenuti diversi.

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