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Capitolo 4: Vladimir Tatlin (1885/1953)

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Capitolo 4: Vladimir Tatlin (1885/1953)

Molte delle notizie biografiche su Vladimir Evgrafovič Tatlin (1885/1953) sono state scritte dall’autore stesso in alcuni memoriali e in alcuni “curriculum” di presentazione del proprio lavoro per mostre ed eventi. Nato a Mosca nel 1885, dopo la morte della madre (Nadežda Nikolaevna Bart, una poetessa, cfr. Zhadova 1988, pag. 445) a soli due anni, si trasferisce con il resto della famiglia in un piccolo villaggio rurale della regione di Charkov (cfr. Fredrickson 1999, pag. 54). Il padre, Evgraf Nikiforovič Tatlin, è un ingegnere ferroviario.

Dal 1895 (anno in cui, secondo alcuni studiosi, muore suo padre, cfr. ibidem) al 1902 si imbarca come marinaio su numerose imbarcazioni. Sono anni fondamentali per la sua crescita artistica: impara a intagliare il legno e visita i paesi più disparati:

«[Ho avuto] l’opportunità di vedere le navi, il mare, numerosi paesi stranieri, persone, pesci e uccelli, che già allora osservavo attentamente. E tutto questo mi suggeriva le idee più disparate, che in parte ho realizzato. Nei miei viaggi ho visto più di una volta la Turchia, la Siria, la Libia, il Libano e l’Egitto. Sono attraccato nei porti di Costantinopoli, Beirut, Haifa, Giaffa, Smirne, Porto Said, Alessandria d’Egitto, Tripoli, Rodi e altri ancora. Scrivo questo perché, oltre a darmi uno stipendio, questa esperienza mi ha formato come artista.» (Tatlin 1952, cit. in Zhadova 1988, pag. 322, traduzione mia)

Gli anni passati in mare saranno quindi fondamentali per la formazione culturale e artistica di Tatlin: il dover costruire e riparare con i materiali a disposizione gli oggetti più diversi e il prendere consapevolezza della dinamicità delle vele e della loro importanza per il movimento della nave lascia tracce profonde sia nel suo lavoro sia nel suo approccio ai materiali. Se ogni materiale viene utilizzato al meglio, non ci saranno ostacoli durante

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la navigazione: per questo è necessaria una conoscenza approfondita dei vari materiali lignei e metallici impiegati nella costruzione di alberi, timoni, gradini, ecc.. Allo stesso modo, se ogni parte di un’opera viene utilizzata al meglio, la dinamicità e il messaggio dell’opera d’arte non incontrerà ostacoli comunicativi.

K. Simonov scrive a proposito:

«Il suo andare per mare […] era legato non solo a una attrazione romantica al mare, ma anche a un interesse nelle strutture ben progettate come i piroscafi, oppure nella bellezza e nell’efficienza delle manovre di una barca a vela. […] La forma stessa di una torre di metallo traforata nel quale sono inseriti gli spazi di numerose sale e camere, è collegata nella mente con la sensazione del mare e del cielo aperto contro cui si slancia qualcosa delle dimensioni di una barca, semplice e potente, abitata da persone e messa al mondo dalle mani umane.» (cit. in Rowell 1978, pag. 103: traduzione mia.)

Nel 1902 si iscrive all’Accademia d’arte di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca, da cui però viene presto espulso in quanto considerato di scarso talento (secondo alcune fonti suo padre tenta, nel 1903, di farlo riammettere, cfr. ivi, pag. 445). Viene riammesso nel 1909, ma non completa mai gli studi. Ottiene la qualifica di disegnatore professionista all’Accademia delle Arti di Penza, che gli permette di insegnare.

Mentre completa gli studi, viene fermato diverse volte dalla polizia per la partecipazione a numerosi moti di protesta contro il governo e per la condivisione di idee giudicate rivoluzionarie. Inizia inoltre a studiare approfonditamente le icone e la disposizione spaziale dei corpi e delle linee all’interno di esse.

Nel 1908 conosce Michail Fёdorovič Larionov, pittore e fondatore del movimento raggista, che lo avvicina ai membri delle avanguardie pittoriche e letterarie di quegli anni. Diventa un visitatore fisso della “Torre” di

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Ivanov e partecipa ad alcune mostre pittoriche dei modernisti, tra cui la mostra La coda d’asino, a cui parteciperanno anche Larionov, Natal’ja Gončarova, Marc Chagall, Kazimir Malevič. Partecipa inoltre alla mostra di pittura 0.10 nel 1915, in cui il Suprematismo, il concetto di un’arte che attraverso l’astrazione conduca verso un mondo non-oggettivo ma reale quanto il nostro inizia a espandersi all’interno dei movimenti dell’avanguardia.

Nel 1911 inizia a lavorare come scenografo teatrale, mettendo in scena una delle opere più famose del teatro folkloristico russo, Car’ Maksimiliam (Tatlin 1952, in Zhadova 1988, pag . 324).

La base delle sperimentazioni artigianali di Tatlin è il concetto di faktura, ossia dell’attenzione che si ha della struttura delle sostanze plastiche utilizzate. Il primo a formulare questo concetto è il gilejano David Burljuk, che nella raccolta “Schiaffo al gusto corrente” pubblica due saggi, uno dei quali è sulla testura degli oggetti:

«La pittura è spazio colorato […]. Nota. Ci si è sempre occupati di assurde raccolte di aneddoti e fatti o si è tentato di mettere le briglie alla libertà della creazione nel miracolo futuro del domani, rifiutando un tranquillo lavoro metodico impostato scientificamente, lo studio dei fatti e dei fenomeni della pittura secondo la natura della superficie.

Piano del quadro: (superficie): Testura (carattere della superficie del quadro). La pittura confina plasticamente con la scultura.» (In Vitale 1979, pag. 44)

Applicando questi concetti alla scultura, Tatlin deciderà di rispettare la forma interna del materiale utilizzato e di piegarlo e modificarlo secondo le possibilità che il materiale stesso offre. È l’elasticità e la densità del materiale stesso che permette all’artista e all’artigiano di capire qual è il modo migliore di utilizzarlo. Con una attenzione simile a quella di Chlebnikov nei confronti della costruzione della parola, Tatlin inizia a

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studiare le strutture dei vari tipi di legno, non esitando a scegliere anche legni pregiati per le sue sculture (per esempio il legno di palissandro, piuttosto costoso ai tempi). Quest’attenzione è dovuta al tentativo di stravolgere l’idea stessa della dimensione artistica:

«Faktura, like Cubism, may have been associated with metaphysical ideas and notions of the fourth dimension. Found materials with their irregular forms and textures carry marks showing how they have been changed, used or damaged over time, embodying the ideas of time, transience and duration. In Blue counter-relief the battered quality of the wooden ground indicates its earlier existence as an artefact of human use, highlighting the material's relationship to everyday life, and incorporating the concept of time. In this way, Tatlin's assemblages of textures, like icon painting, could operate on different levels and evoke alternative realities.» (in Lodder 2008, pag. 32).

Ispirato dal tentativo dei colleghi di strappare dalla tela il movimento dell’oggetto/soggetto osservato e dalla loro visione artistica, Tatlin si avvicina anche alle istanze cubofuturiste. Fondamentale per la sua crescita artistica un breve viaggio a Parigi, in cui visita lo studio di Picasso nel 1913 (cfr. Dabrowski 1992, pag. 41; cfr. Rowell 1978, pag. 84; secondo Strigalev però l’incontro avvenne nel 1914, cfr. in Lodder 2008, pag. 28n) . Se l’influenza di Picasso sulle scelte artistiche di Tatlin è indubbia, è anche vero che lo sviluppo e l’utilizzo della tecnica ha portato i due pittori a conclusioni completamente diverse:

«[W]hat is of real significance is not that Tatlin was influenced by Cubism, but that he used it as a point of departure - to ward an abstract sculptural idiom. For all his indebtedness to Cubism, Tatlin differed strongly in his artistic goals. While Cubism focused principally on the making of pictures, the representing of volume through fragmented planes in pictorial space, Tatlin's fundamental interest was always the space itself. His development progressed from negating illusionistic pictorial space to affirming real space. […] Tatlin's main interest, on the other

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hand, was in diverse, concrete materials, their inherent qualities, and in virtual space.» (in Dabrowski 1992, pp. 41-42)

L’attenzione alla struttura interna dei materiali utilizzati (cioè il concetto già citato di Faktura) è quindi ciò che rende le opere artistiche di Tatlin originali e diverse rispetto a quelle di Picasso. Se il pittore spagnolo decostruisce oggetti reali per darne offrire allo spettatore un nuovo modo di osservare la realtà, lo scultore russo utilizza le pieghe naturali e le forme interne dei materiali (legno, metallo, gesso) per creare nuove forme spaziali non esistenti prima d’allora.

«Tatlin used materials with palpable weight and solidity to build nonreferential material objects that could claim a place among the other objects in the world.» (in Ivi, pag. 44).

L’intenzione di Tatlin era quella di «scoprire nuove leggi strutturali dello spazio e dei materiali» (in Volpi Orlandini 1974, pag. 8): questa nuova geometria spaziale intesse nuove relazioni tra l’opera d’arte e chi la osserva.

Lo stesso Nikolaj Punin, critico d’arte e primo biografo di Tatlin, studierà le influenze del cubismo di Picasso sullo scultore nell’articolo Tatlin. Protiv Kubizma (Tatlin. Contro il cubismo), polemizzando contro chi riteneva Tatlin un passivo imitatore dell’arte di Picasso ed enfatizzando gli sforzi da lui compiuti nel campo artistico:

«Gli sforzi di Tatlin […] superano tutto quanto è stato sinora fatto; diventa nuovamente possibile una concezione del mondo oggettivo-autentica e reale per la quale l’arte potrà essere reale allorché la realtà diverrà arte. Con la severità e la decisione delle quali sono dotati i grandi maestri sono scacciate le relazioni individuali dalle forme casuali […]. L’arte di rigenera, l’occhio [inteso qui come modo di vedere e concepire la realtà in modo artistico] si ristabilisce. L’intenso lavoro per la guarigione dell’occhio è il lavoro necessario ed essenziale del tempo ed è contemporaneamente il contenuto della maggior parte dell’attività creatrice di Tatlin.» (Punin 1921, in Bőhmig 1979, pag. 175-176)

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Secondo Punin, gli sforzi in campo artistico devono essere tutti indirizzati alla distruzione delle concezioni spaziali comuni dell’individuo (cfr. ivi, pag. 181) e i controrilievi di Tatlin hanno proprio questo scopo:

«Riteniamo che solo un’arte che non trovi gli elementi sulla superficie delle forme precostituite ed apparenti delle realtà, ma, al contrario, costruisca queste forme [queste nuove forme spaziali] nei materiali e nei volumi di un’esperienza viva, l’arte di Tatlin, sia in grado di compiere questo sforzo. Essa, nel compierlo, fornisce alle nuove opere d’arte reali rapporti spaziali. Chiamiamo queste opere, seguendo Tatlin, contro rilievi angolari e centrali di tipo superiore.» (in Ivi, pag. 181-182).

Il cubismo non è l’unica fonte di ispirazione del lavoro di Tatlin. Le opere di Malevič e la corrente del Suprematismo sono la base di partenza per la costruzione dei controrilievi. Per quanto il costruttivismo sembra essere ciò che di più lontano possa esistere dal Suprematismo, i due movimenti hanno in comune il desiderio di aprire la mente di chi gode della vista di un oggetto d’arte. Malevič, nei suoi quadri, insisterà per aprire la mente dello spettatore e condurlo in una dimensione nuova, non-oggettiva, verso la metafisica e l’idea di divinità. Attraverso la cancellazione di tutto ciò che è precedente, alla riduzione allo stato zero (anche da un punto di vista di colorazione della tela) della rappresentazione, l’artista può dare uno stralcio del mondo parallelo in cui esiste l’arte. I quadrati neri e le varie forme dipinte da Malevič non sono altro che sostanze alchemiche al grado zero, da cui si può intravedere la realtà per quello che è.

«Malevič […] proclamava l’illusione anche il mondo oggettivo e predicava l’emancipazione del nulla dalle congetture oggettive del pensiero umano. Al contrario dei primitivizzanti che riassegnano all’arte un valore magico, o dei costruttivisti che ne vogliono l’utilizzazione nel mondo (che Malevič chiama pratico-oggettivo), egli fa un passo ulteriore di tipo filosofico, insiste ossessivamente sull’apertura cosmica dell’arte, come annullamento del nostro

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sapere pratico-oggettivo in un’accettazione del non-umano.» (in Volpi Orlandini 1974, pag. 10)

Dalle istanze cubiste e suprematiste nasceranno i controrilievi di Tatlin, nuove forme artistiche in cui, impiegando materiali diversi e inusuali, tra cui anche lo zinco, il gesso, legno, vetro, vengono ridiscusse le geometrie compositive dello spazio dentro l’opera d’arte e fuori l’opera d’arte. Giocando sulla convessità e la posizione dei materiali (di solito sovrapposti l’uno sull’altro), Tatlin sperimenta nuovi scenari artistici. Simili a nuove icone ortodosse, i controrilievi si rapporto in modo polemico con il passato, sfidando non solo le leggi geometriche comuni creando nuove astrazioni, ma anche la legge di gravità stessa, grazie a un gioco di posizionamento verticale dei materiali e a un gioco di funi e contrappesi che fanno sembrare alcuni contro rilievi sospesi rispetto al terreno.

Non solo la struttura in sé dell’opera, ma anche la sua colorazione e pigmentazione diventano poi parte centrale della costruzione dell’opera:

«Together, the two reliefs [le opere Controrilievo Blu e Rilievo Pittorico] suggest that colour and pigment did play an important role in some of the artist's constructions and that a much closer relationship existed between his painting and certain of his three-dimensional works than has hitherto been apparent. In both works, colour is not only present as an integral quality of the materials employed, but it is also present as pigment applied to these materials, enhancing as well as disguising the actual relationships between the three-dimensional elements. In this respect, colour is not an incidental factor but is integral; the process of applying the paint to both structures was clearly crucial to how both works were conceived and intended to operate.» (in Lodder 2008, pag. 30)

Ovviamente, le idee di Tatlin e Malevič divergeranno molto presto: quest’ultimo, a proposito dell’ arte, non ammette eccezioni di sorta:

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«Il Suprematismo come bianca uniformità non-oggettiva è, secondo me, il fine al quale dovrebbero rivolgersi tutti gli sforzi del realismo pratico, perché in esso c’è quell’essenzialità di cui l’uomo va in cerca» (in Malevič 1969, pag. 82)

E a proposito delle accademie d’arte (dove Tatlin in seguito lavorerà assiduamente) scrive:

«L’artista è divenuto maestro tessitore di miracolosi paramenti liturgici con cui qualunque contenuto della vita può venire glorificato. Dopo aver sottomesso la sua essenza non-oggettiva all’estetica, all’etica e alla bellezza, l’arte ha finito con l’imporsi anche un limite appropriato: l’accademia di belle arti! In questa cornice solenne è compreso tutto ciò che non ha in sé alcuna realtà all’infuori dell’oggettività di vuote ed insignificanti convenzioni.» (in Ivi, pag. 84)

I due artisti divergeranno sia per la decisione di Malevič di raggiungere attraverso il grado zero della materia una nuova astrazione del vero, sia per la strada opposta intrapresa da Tatlin. Fervente sostenitore della Rivoluzione d’Ottobre, giunge alla conclusione che il modo migliore per riuscire a creare un nuovo stato proletario è quello di modificare fin dai più piccoli particolari le abitudini delle persone e creare così una cultura totalmente nuova, che possa permeare la futura classe dirigente proletaria. Definito “Costruttivismo”, questo movimento prende forma dopo che all’interno dell’Inchuk (Istituto di cultura artistica, centro di direzione delle istanze artistiche della Russia ai tempi) si forma il I Gruppo di lavoro dei costruttivisti (che comprende A. Gan, A. Rodčenko, V. Stepanova e altri: cfr. Quilici 1991, pag. 8n). Il primo testo in cui il gruppo autodefinisce la propria identità e chiarisce i propri intenti pedagogici sulle masse proletarie è Konstruktivizm di Gan, del 1922:

L’arte è un prodotto della vita sociale delle generazioni «che si abbeverano» [alle fonti del sublime]. […] Il trionfo del materialismo e il delinearsi di un atteggiamento consapevole nei confronti della vita delle masse lavoratrici impegnate nell’azione pratica, ha dimostrato l’insufficienza delle facoltà

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organizzatrici del momento estetico. Le verità «eterne» e «incorruttibili» cominciano a decomporsi e a diffondere germi contagiosi. [… ] Nell’ambito del lavoro e dell’intelletto non c’è posto per l’attività speculativa. Nel campo della costruzione culturale, ha realmente valore solo ciò che è indissolubilmente connesso con i compiti di carattere generale della giornata rivoluzionaria. […] La rivoluzione proletaria ha risvegliato il pensiero umano e ha colpito con precisione gli idoli e le reliquie della spiritualità borghese. […] L’arte è morta! Non vi è posto per l’arte nell’apparato lavorativo umano. Lavoro, tecnica, organizzazione! La rivalutazione delle funzioni dell’attività umana, il nesso tra ogni sforzo e il quadro generale dei compiti sociali, ECCO L’IDEOLOGIA DEL NOSTRO OGGI. (Gan 1922, in Quilici 1969, pag. 226-227, 239).

Il pensiero pedagogico costruttivista di costruzione sociale e culturale dell’individuo verrà portato avanti tramite l’apertura dello Vchutemas (acronimo per Vysšie chudožestvenno-techničeskie masterskie, Atelier superiore d’arte e tecnica) a Mosca il 18 dicembre 1920 (cfr. Zhadova 1988, pag. 340n). In questo istituto si formeranno scenografi, architetti, costumisti di primo piano nella scena culturale russa. Tra i loro insegnanti oltre a Tatlin , ci saranno Rodčenko, la Popova, la Stepanova, Falk, Boris Arvatov.

Per i primi due anni anche Vasilij Kandiskij insegnerà nello Vchutemas, da cui si allontanerà poi deluso:

«Kandinsky s’employait à trouver dans l’univers intérieur de l’homme, dans son subcoscient, dans ses emotions subjectives, certaines lois objectives applicables à l’elaboration de composition picturales.» (in Khan-Magomedov 1990, pag. 61, vol. I)

Le sue idee profondamente intimiste saranno prima accettate, poi osteggiate dagli altri membri del corpo accademico della scuola.

Lo scopo della scuola è chiarito dal Decreto del Sovnarkom (acronimo per Sovièt naròdnych komissàrov, Consiglio dei Commissari del Popolo):

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«[Il Vchutemas] è un’istituzione educativa per la formazione artistica e tecnica superiore, creata per preparare artisti altamente qualificati per l’industria, così come istruttori e direttori per l’educazione professionale e tecnica.» (cit. in Quilici 1991, pag. 74)

Lo scopo della scuola era quindi quello di formare una nuova generazione di artisti e artigiani, di professionisti della produzione industriale su larga scala, che a loro volta potessero cambiare radicalmente la concezione borghese precedente alla rivoluzione e formare una nuova classe proletaria.

La scuola è così strutturata:

L’intero corso degli studi ha una durata di quattro anni: al primo anno si ha un corso di base, o fondamentale, che svolge una funzione propedeutica e formativa generale, valida per tutti gli indirizzi presenti nella scuola. Esso si articola in discipline artistiche (raggruppate in Koncentr, o Fuochi della didattica), che […] sono tre («Grafica», «Superficie e colore», «Volume e spazio») e in discipline scientifiche. Nei tre anni successivi sono invece le facoltà che consentono una specifica preparazione professionale e che a loro volta si articolano in dipartimenti di specializzazione, cattedre e raggruppamenti autonomi. L’equilibrio tra istanze formativo-culturali e necessità di preparazione professionale è così garantito sia nella successione temporale degli studi che nella diversa impostazione della didattica, all’interno del corso di base delle singole facoltà. (in ibidem).

Le linee guida alla base dei più svariati progetti (in cui si tenevano corsi di ceramica, di studio dei materiali, di scenografia, di design, di sartoria ecc.) erano quelle della necessità e dell’utilità: ciò che veniva creato doveva essere necessario all’uomo. Lo stesso Tatlin dichiara nel 1923 «non il nuovo, non il vecchio, ma il necessario» (cit. in Zhadova 1988, pag. 139). Gli oggetti prodotti nello Vchutemas dovevano essere pensati per la massa, per l’utilizzo continuo da parte dei lavoratori e per ogni lavoratore doveva essere pensato l’abito adatto, il luogo di lavoro adatto, ecc.

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Tatlin si dedica a lungo alla realizzazione di abiti appropriati per la nuova classe proletaria:

Between 1923 and 1925 Tatlin's "studio" produced a variety of worker's clothing norms, including a man's overcoat, linen suit and sport coat combination, simple "street" suit, and a loose woman's dress with a cowl neck. The "street suit" was constructed without decorative features and careful attention was paid to its modest detailing; buttons were covered with flaps of fabric, large armholes allowed for free movement, and buttons neatly closed its high neckline.61 Distinguished by nongeometricized utilitarianism, these designs seemed the antithesis of pre-revolutionary clothing whose divergences of design, fabric, and detailing reflected signifi-cant variance in function and social status. Tatlin's program sought to erase such differences. (in Fredrickson 1999, pag. 61)

Tatlin propone, ad esempio, il progetto di un cappotto adeguato al clima russo e che potesse essere utilizzato in tutte le stagioni:

«As a coat for all seasons, it was constructed from vulcanized waterproof fabric and given two removable linings; a lightweight flannel for fall and spring, and a heavier sheepskin for winter. Tatlin added an inexpensive fur collar to be attached for greater warmth. This coat could be worn for years because it "consists of three separate parts put together when necessary, each of them can be replaced by a new one when the original part is worn out.”» (Zhadova 1988, pag. 142, cit. anche in Fredrickson 1999, pag. 62)

Un altro progetto di Tatlin che esemplifica i lavori eseguiti all’interno della scuola è quello di una stufa che, col minimo dispendio di energia, potesse fornire il maggior calore possibile:

«This stove has an economical furnace producing a considerable heating effect with a small expenditure of wood (six logs). The stove is supplied with an oven and a large hermetically-sealed chamber capable of keeping wood and food hot for 28-30 hours; at the same time, with only one furnace it can heat a room of 8 x

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6 x 6 arshins [30 inches] for 48 hours, maintaining a temperature of 14-16 degrees Reamur.» (in Zhadova 1988, pag. 139).

Nikolaj Punin descrive così la stufa:

From the outside it presents a parallelepiped made of tiles wihout any decorations and of strictly prescribed proportions… Tatlin’s stove consists of a furnace with complicated and adjustable passages which make it possible to heat allo f it or only its central part – the air chamber. The latter is so designed that it also serves as a range or, to put it more simply, it is a range covered with an air box; there is a small glass window in one of the side sto peer into the chamber […] Tatlin produced neither an electric stove nor even a gas one – in a word, none of those Americanized stoves – but an ordinary wood stove to be used by anybody and all. (cit. in ivi, pag. 140).

Il progetto del cappotto e della stufa sono interessanti sia per capire fino in fondo la mescolanza di materiali utilizzata da Tatlin sia perché, nonostante la linea guida della praticità dell’oggetto, l’artista non si dimenticherà mai che quella che sta producendo è comunque un’opera d’arte, che necessita di un particolare design. Non sono più principi estetici a guidare la mano dell’artigiano, quanto piuttosto è la mano dell’artigiano che crea un nuovo tipo di estetica basata sull’utilità dell’ oggetto stesso.

Dal 1923 Tatlin insegna anche nella facoltà di ceramica, facendo da supervisore ad alcuni studi:

«La Faculté de ceramique est donc tout à la fois une faculté de production et une faculté artistique […] A la fin des années 20 (sic), V. Tatline (sic) y met en pratique sa théorie de la «Culture du matériau». Il se passionne pour les possibilités qu’offre le travail de l’argile. Selon lui, une vaisselle fonctionnelle c’est, entre autres choses, une vaisselle que l’on doit bien tenir en mains. La forme d’un plat par exemple n’est pas seulement visuelle, elle est aussi tactile et sensorielle.» (in Khan-Magomedov 1990, pag. 724, vol. II)

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Le caraffe realizzate da A. Sotnikov (sotto la supervisione di Tatlin) rispetta la faktura del materiale utilizzato senza rinunciare a un design accattivante. Una, ispirata alla struttura fisica degli uccelli, è una teiera senza manici, che è possibile prendere tra le mani grazie a dei rilievi che riproducono in maniera stilizzata le ali chiusi di un volatile. Un’altra, una brocca pratica e maneggevole, si basa invece su un progetto precedentemente elaborato da Tatlin con altri materiali:

«Three years later, while working at a porcelain factory, although still under Tatlin's direction, Sotnikov created a porcelain version. He modified the vessel's organic form by adding a groove that ran from its base to its top. A metal strip attached to the lid fit tightly in this groove, and through tension held the lid securely in place. Sotnikov designed this vessel for day-nurseries, adding a wicker carrying basket to efficiently hold ten at a time» ( in Fredrickson 1999, pag. 64).

Il Costruttivismo si esprimeva anche nell’architettura degli edifici. L’edificazione di un nuovo genere di strutture, di un nuovo modo di percepire e riempire gli spazi era l’obiettivo degli architetti dello Vchutemas.

Anche Tatlin si cimenta nell’architettura e, grazie al suo progetto della Torre-Monumento alla III Internazionale, si avvicinerà sempre di più al suo obiettivo di trovare una forma artistica che permettesse la fusione di tutte le varie forme d’arte.

Le prime informazioni sulla costruzione di questo immenso monumento risalgono a Nikolaj Punin, che in un suo articolo del 1919 (cfr. Quilici 1969, pag. 37) informa i lettori che Tatlin sta progettando un nuovo tipo di edificio. Nel 1920 scrive che

«La sezione arti visive [IZO] del Commissariato del Popolo [Narkompros] per l’istruzione ha incaricato l’artista V. E. Tatlin di progettare un monumento alla III Internazionale. L’artista Tatlin ha immediatamente iniziato il lavoro ed ha

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elaborato il progetto. Gli artisti V. Tatlin, I. Meerzon, P. Vinogradov e T. Sapiro si sono allora riuniti in un gruppo, in un «Collettivo creativo», hanno sviluppato il progetto in ogni dettaglio e costruito il suo progetto» (Punin 1920, cit. in Quilici 1991, pag. 92)

Tatlin era molto ambizioso riguardo al soggetto: nel tentativo di glorificare gli sforzi della popolazione russa, decise di eliminare ogni cenno di statuaria e classicismo dalla progettazione del monumento e decise di costruire un monumento all’idea astratta dell’uomo e ai suoi sforzi.

Tatlin's model for the Monument to the IIIrd International, executed in 1919-20, was the celebration of a specific ideology. For Tatlin, this was not so much a radical departure as a focusing of his aims, both aesthetic and social. Although Russian artists had been essentially apolitical prior to 1917, they nonetheless sought a substantive modification of the conception of the work of art,

traditionally bourgeois in its origins and functions. The new art would be an active transformational force in the mass revolution. The inaccessibility to the proletariat of Tatlin's art, like that of Malevich, Khlebnikov, Kruchenykh, made for its utopian character. […] The building's formulation was to be not only a synthesis of art and technology, heralding a new society, but a symbol of the unification of all men under communism. As such an ideal configuration, its physical presence should be dematerialized, a disembodied representation or cipher of pure forms in space. (Rowell 1979, pag. 100/105)

La torre doveva essere la dimostrazione che l’attenzione ai materiali e un diverso uso dello spazio terrestre poteva essere portavoce di un nuovo significato e di un nuovo modo di fare arte. Doveva simboleggiare la vittoria del socialismo sul capitalismo borghese e sullo stile di vita precedente: doveva essere, insomma, una Cattedrale del Socialismo (cfr. ivi, pag. 102).

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L’idea principale del progetto è originata dalla sintesi organica di architettura, scultura e pittura, che deve produrre un nuovo tipo di arte monumentale e combinare una forma puramente artistica con una utilitaria. Secondo quest’idea il progetto del monumento presenta tre grandi sale dalle pareti vetrate all’interno di un complesso sistema di assi verticali e di spirali. Speciali meccanismi assicurano il loro movimento, a differenti velocità. La sala che si muove più velocemente, dal volume cubico, ruota attorno al proprio asse una volta l’anno ed è destinata alle attività legislative. […] Una seconda sala, piramidale, ruota attorno a se stessa al ritmo di una volta al mese ed è destinata alle funzioni esecutive […]. Infine, il cilindro posto più in alto, che ruota alla velocità di un giro al giorno, contiene i centri per l’informazione: un ufficio, un centro per la stampa, una tipografia per reclami, opuscoli, manifesti […]. (Punin 1920, cit. in Quilici 1991, pag. 96)

La costruzione è completata da due spirali di forma conica che si inseguono in verticale, puntando verso l’alto.

«Nella visione frontale l’effetto è quello di una figura piramidale, mentre nella visione laterale l’impressione è che l’intera struttura sia inclinata di un lato. In realtà lo è la grande trave reticolare di irrigidimento, disposta in modo da collegare le due spirali e da accompagnarne il progressivo restringimento verso l’alto […].» (in ivi, pag. 93)

Nonostante l’avveniristica forma della torre, la simbologia alla base del progetto è strettamente legata alla dimensione terrestre più che a una dimensione cosmica. Il monumento è sì un dinamico slancio dell’uomo verso l’alto, verso le dimensioni Altre, ma è anche vero che è composto da vetro, acciaio e metalli plastici. L’inclinazione della torre segue quella dell’asse terrestre (cfr. ivi, pag. 97), il movimento delle varie forme presenti nella struttura segue il tempo delle rotazioni della terra, del sole e della luna (cfr. Rowell 1979, pag. 106), la sua altezza (di 400 metri) è pari alla

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centomillesima parte del meridiano terrestre (in Quilici 1991, pag. 97). Tatlin sembra inoltre essersi ispirato alla concatenazione di geometrie perfette ipotizzate da Keplero come base dell’armonia dei pianeti della nostra galassia (per esempio nel testo del 1619 L’armonia del mondo o quello del 1596 Machina Mundi Artificialis (cfr. Rowell 1979, pag. 106). In questa commistione tra nuove istanze cosmiche e un forte legame con la natura terrestre si può intuire il legame piuttosto forte che l’artista aveva con Chlebnikov e la sua idea di ritorno armonioso alla natura.

Gli studi e le ambizioni dei lavori di Tatlin assomigliano molto a quelle di Chlebnikov: seppur declinate in ambito scultoreo, le idee di Tatlin sulla concezione dell’arte e gli esperimenti audaci da lui eseguiti con le forme spaziali sono parallele a quelle del poeta:

«Both Chlebnikov and Tatlin worked for an essential renewal of the language, forms and means of art. The common characteristic of their method was that they penetrated into the deepest layers of the idiom of their own branch of art, and reached down to the elementary expressive force of material in its untouched purity.» (in Zhadova 1988, pag. 136)

Così come Chlebnikov attinge a piene mani dal folklore e da diversi tipi di linguaggio (sia naturali sia inventati) per togliere alla parola la patina che ne oscura il significato, così Tatlin inventa, tramite l’utilizzo e la sovrapposizione di materiali diversi, un nuovo ordine materiale, un «organized space» (in Ivi, pag. 137) in cui è lo spazio stesso a subire una dilatazione e ad avere un nuovo significato. I due furono legati da una profonda amicizia e, come si intuisce da questa poesia dedicata a Tatlin da Chlebnikov, erano anche consapevoli della loro vicinanza artistica (Chlebnikov ritiene Tatlin suo sodale, vate anche lui del mondo che verrà, ma attraverso strumenti diversi, ossia tramite il metallo e la tecnologia):

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Татлин, тайновидец лопастей И винта певец суровый, Из отряда солнцеловов. Паутинный дол снастей Он железною подковой Рукой мертвой завязал. В тайновиденье щипцы. Смотрят, что он показал, Онемевшие слепцы. Так неслыханны и вещи Жестяные кистью вещи. Конец мая 1916

Tatlin, il preveggente delle lame, e severo cantore dell’elica, della corte dei pescasoli. L’aracnidea valle delle funi Con gli zoccoli ferrosi

Lui ha intrecciato con mano funerea. Nelle pinze preveggenti

Loro osservano Ciò che lui mostra.

Così inauditi anche gli oggetti, Le cose di latta col pennello.

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Fine maggio 1916.1

Come ha osservato il critico letterario A. Lur’e nel suo memoriale La nostra marcia (Naš marš),

«In a sense the image of Tatlin is associated in my memory with the image of Khlebnikov. Tatlin possessed the same creative spontaneity, freshness of perception and sharpness of imagination in the sphere of plastic forms and lines as Khlebnikov did in the sphere of words.» (cit. in Zhadova 1988, pag. 337)

Tra i due artisti correvano certo molte differenze, a partire soprattutto dai mezzi espressivi utilizzati per riuscire a comunicare le proprie visioni del futuro. Detto questo, il desiderio chlebnikoviano della creazione di un mondo in cui uomo e natura sono finalmente un tutt’uno armonioso e compatto non esclude la pratica scientifica e l’avanzamento tecnologico. Seppur diffidente verso il destino degli uomini e l’errato utilizzo delle conoscenze storiche a disposizione (il poeta è uno spietato fautore dell’idea che l’uomo sia destinato per sempre a ripetere gli stessi errori), Chlebnikov però riconosce che questo nuovo mondo possa essere pensato anche tramite i giochi materiali e le istanze educative e costruttiviste implicite nei lavori di Tatlin:

«Like Tatlin, Khlebnikov has been characterized as a Utopian who sought to maintain and develop a kinship between modern man and nature. In the future he envisioned the city would be reconciled with the country and technological innovation integrated with cosmological patterns through structures based on botanical forms.» (in Fredrickson 1999, pag. 56).

Fu proprio Chlebnikov a suggerire a Tatlin come intitolare le sue ultime, più avverinistiche creazioni: le Letatlin (da Letat’, volare e il nome

1 Nel suo lavoro di ricostruzione del pensiero tatliniano, Larissa Zhadova nota che sono presenti

altre due versioni di questa poesia (in Zhadova 1988, pag. 336-337), versioni che differiscono tra loro per uno o due versi. La versione presa in considerazione è quella approfondita dalla Zhadova nel suo lavoro su Tatlin (Zhadova 1988, pag. 336) e nella raccolta delle opere di Chlebnikov Tvorenije (Tvorenije, pag. 103). La traduzione è mia.

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dell’autore, anche se potrebbe essere anche un suffisso per la creazione di un sostantivo autonomo). Queste macchine volanti di ispirazione leonardesca furono l’apoteosi del pensiero costruttivista di Tatlin, che decise di iniziare a costruire le macchine che il popolo avrebbe usato nel futuro. Come scrive la Zhadova, «Tatlin lived the future in the present and tried to convert everybody to his ideas of the future» (in Zhadova 1988, pag. 147). Prodotte tra il 1929 e il 1932,

«Tatlin and his assistants, Alexei Sotnikov and Giorgii Pavil'onov, produced several models of this birdlike glider that improved and expanded upon the bentwood construction of the chair and sleigh. Forming wood into curves by steam pressing and assembling the parts with rawhide, silk, wood, cork, steel cable, and duralumin, they added whale bone for extra strength at those points of connection bearing the most stress. They then finished their models by covering them with strong and lightweight silk.» (in Friedrickson 1999, pag. 67-68)

Tatlin studiò approfonditamente la curvatura delle ali e dello scheletro degli uccelli (in particolare delle gru) e curvò le macchine in modo tale che le varie parti adottate per il volo fossero il più possibile adatte alla curvatura della spina dorsale dell’uomo. Sono macchine diverse, come composizione e ideazione, dagli aerei:

As opposed to the rigid construction of engine-driven airplanes, Letatlin was built on the principle of elasticity. For the sake og the greatest possible elasticity, Tatlin shake the main support of the wings from bentwood in the form of a figure eight with complicated curves, and glued whalebone to it for greater firmness. […] Tatlin thought that his elatic construction, quite alien to the spirit of the age, was indie the most complicated form which meets the needs of the moment for man’s mastery of space. (in Zhadova 1988, pag. 148).

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Le Letatlin sono, nella loro progettazione, uno strumento quotidiano dell’uomo del futuro.»

I progetti di Tatlin, per quanto affascinanti, si scontreranno però sempre con la realtà: le ceramiche e i vestiti da lui ideati non furono mai prodotti in serie, in quanto giudicati troppo costosi. Il monumento non verrà mai costruito e rimarrà per sempre un modello, in quanto (oltre al costo eccessivo della eventuale costruzione) nella sua progettazione Tatlin non tenne conto in alcun modo della struttura e della conformazione del terreno che avrebbe eventualmente dovuto sostenere la torre. Le Letatlin, per quanto precise e con materiali ritenuti adeguati, non voleranno (ovviamente) mai. Dopo il 1932 inizierà una fase di lungo declino: dopo aver lavorato per anni in enti e laboratori artistici (il Vchutemas è solo una delle numerose scuole con cui collaborò), viene presto allontanato dalla cultura artistica del tempo e le sue idee utopistiche/costruttiviste saranno dimenticate. Continua a lavorare come scenografo teatrale (mestiere che svolge per tutta la vita e di cui parleremo approfonditamente nel prossimo capitolo), ma non sarà più creativo come un tempo. Morirà, semidimenticato, a Mosca nel 1953.

Le opere analizzate in questo capitolo sono la base di partenza per capire al meglio ciò che realiza Tatlin nei suoi spettacoli teatrali e in particolare in Zangezi. Così come quest’opera è per Chlebnikov la summa di tutta la sua produzione, così per Tatlin questa rappresentazione teatrale rappresenta un tentativo di unire armonicamente tutte le sue idee sull’arte e sulla vita dell’uomo.

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