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Capitolo 3 – THE KING OF THE GOLDEN RIVER DI JOHN RUSKIN 3.1 John Ruskin e la genesi di The King of the Golden River

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Capitolo 3 – THE KING OF THE GOLDEN RIVER DI JOHN RUSKIN

3.1 John Ruskin e la genesi di The King of the Golden River

John Ruskin nacque a Londra l’8 febbraio del 1819 in una famiglia benestante e

fu l’unico figlio di John James Ruskin, mercante e grande appassionato di arte, e

Margaret, donna di fede protestante evangelica. Fu educato a casa fino all’età di

dodici anni; i viaggi compiuti con i genitori gli conferirono sin da giovane una

ricca prospettiva sull’arte, e studiò poi a Oxford laureandosi nel 1842.

The King of the Golden River; or the Black Brothers

fu scritto nel 1841 all’età

di ventidue anni ma non fu pubblicato fino al 1851; pur non essendo sicuramente

una delle sue opere più rilevanti, essa anticipa molte delle idee che poi Ruskin

avrebbe sviluppato negli anni successivi. Nonostante la sua apparente semplicità

ed esplicito moralismo, questa fiaba prese forma, come sostiene Jane Merrill

Filstrupp, dalle paure che perseguitano Ruskin durante la sua giovinezza

derivategli non solo dai dubbi inerenti l’apprezzamento estetico della natura ma

anche riguardo alle insicurezze legate alla formazione di un’identità di uomo

adulto.

66

La fiaba fu composta in un momento cruciale della vita dello scrittore, in

quel periodo infatti si era convinto che non sarebbe diventato un pittore e

cominciava a cullare l’idea di un’opera, Modern Painters, in cui avrebbe

analizzato l’arte di Turner, piuttosto che imitarla. Inoltre, non aveva ancora preso

una decisione se diventare ministro di chiesa, come desiderava sua madre, oppure

dedicarsi esclusivamente a scrivere, anche se, come vedremo in seguito, il viaggio

in Italia l’aveva rinfrancato dandogli nuovi stimoli. A infondergli questi dubbi era

un latente senso di colpa nello sprecare la formazione religiosa, infusagli dalla

madre. Alla fine, fu proprio in quel periodo che, come Gluck, il protagonista della

sua fiaba, anche Ruskin si decise a seguire il suo personale sentiero lungo la

montagna perseguendo il suo obiettivo primario, diventare uno scrittore.

66 Cfr. J.M. FILSTRUPP, “Thirst for Enchanted Views in Ruskin's The King of the Golden

(2)

Ruskin scrisse The King of the Golden River accogliendo la richiesta della

piccola Euphemia Gray, figlia di amici di famiglia, anch’ella desiderosa di

allontanare le ansie personali relative alla morte: mentre lo scrittore era infatti in

convalescenza dopo un attacco di presunta tubercolosi, la bambina aveva appena

perso la sorella. I primi lettori della fiaba furono tuttavia i genitori di Ruskin, che

la apprezzarono enormemente, considerandola una prova tangibile dell’innocenza

incorruttibile del figlio.

67

Al contrario, Ruskin in Praeterita, l’autobiografia

pubblicata nel 1886, non riservò grandi lodi alla sua opera di gioventù: “[It] was

written to amuse a little girl; and being a fairly good imitation of Grimm and

Dickens, mixed with a little true Alpine feeling of my own, has been rightly

pleasing to nice children, and good for them. But it is totally valueless, for all that.

I can no more write a story than compose a picture.”

68

È lecito chiedersi quindi quali siano le ragioni per le quali l’autore sminuisca

il valore del testo scritto molti anni prima; la fiaba fu pubblicata solo dieci anni

dopo la composizione, in un periodo in cui Ruskin quindi non era più uno

sconosciuto che scriveva per un ristretto pubblico familiare poiché, con la

pubblicazione dei primi due volumi di Modern Painters e di The Seven Lamps of

Architecture

(1849), era diventato una celebrità letteraria. Inoltre l’innocente

bambina a cui aveva dedicato la fiaba era diventata sua moglie nel 1848 anche se,

soltanto due anni dopo, la disaffezione verso di lei era già più che manifesta;

come sostiene Knoepflmacher “the flirtatious woman he still tried to treat as a

desexualized ‘Sweet Sister’ now seemed to belong to the same ‘adult reality’ he

had resisted in his fairy tale, where his exaltation of ‘unquestioning innocence’

could still bind him to a thirteen-year old.”

69

È molto probabile che Ruskin non cullasse nessun desiderio di pubblicazione

della fiaba e, in effetti, essa fu voluta da una persona a lui vicina (con molta

probabilità lo stesso padre di Ruskin), che custodiva il manoscritto. La versione

67 Cfr. U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and

Femininity, Chicago, The University of Chicago Press, 1998, p. 40.

68

J. RUSKIN, Praeterita, Oxford, Oxford University Press, 2012, pp. 192-193.

69 U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland, Victorians, Fairy Tales, and Femininity,

(3)

del 1850 aveva una nota introduttiva della casa editrice e non dell’autore, che

volle rimanere anonimo, dettaglio che privò il lettore di tutti i riferimenti personali

che il pubblico amava ricercare nelle opere. Questa decisione dell’autore si allinea

a quella di non fare menzione di Euphemia Gray in Praeterita, un’autobiografia

che aveva lo scopo di rievocare i momenti piacevoli del passato; inoltre, anche

quando Ruskin arrivò a prendere posizione verso la sua fiaba evitò accuratamente

di fare associazioni sentimentali ricollegando la composizione del testo

semplicemente a una delle sue passeggiate, “under these peaceful conditions I

began to look carefully at cornflowers, thistles, and hollyhocks; and find, by entry

on Sept. 15th, that I was writing a bit of The King of the Golden River.”

70

Allo

stesso modo, anche il rapporto conflittuale con i genitori non viene mai collegato

alle circostanze che lo condussero a mettere in luce alcune delle ambiguità

presenti nel testo; in più occasioni Ruskin rimarcò che i genitori lo avevano

involontariamente rovinato:

Men ought to be severely disciplined and exercised in the sternest way in daily life. They should learn to lie on stone beds and eat black soup, but they should never have their hearts broken – a noble heart, once broken, never mends […] The two terrific mistakes which Mama and you involuntarily fell into were the exact reverse of this in both ways. You fed me effeminately and luxuriously to that extent that I actually now could not travel in rough countries without taking a cook with me! – but you thwarted me in all the earnest fire and passion of life.71

Alla luce di queste informazioni sembra plausibile che fu probabilmente la sua

ritardata adolescenza a portarlo a cercare l’approvazione di un doppio destinatario,

composto sia da adulti che da bambini, il che comportò anche un continuo

oscillare tra innocenza ed esperienza.

72

70 J. RUSKIN, Praeterita, cit., p. 192.

71 E.T. COOK, The Life of John Ruskin. Volume 2. 1860-1900, New York, Cambridge University

Press, 2009, p. 66.

72 Cfr. U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland, Victorians, Fairy Tales, and

(4)

3.2 Fiaba e immaginazione: contraddizioni e ambiguità

È stato detto che l’autore definì il testo senza valore poiché adatto ai bambini, e

quindi non al livello delle successive opere per adulti. Tuttavia, come è già stato

anticipato, la fiaba preannunciava alcune tematiche che sarebbero diventate

centrali nella sua concezione della società, la natura e l’arte.

Ruskin, durante l’infanzia e la giovinezza, si era avvicinato alla fiaba

attraverso la traduzione delle storie dei Grimm di Edgar Taylor del 1823, che

amava ricopiare da bambino; la raccolta venne poi ripubblicata nel 1868 con le

illustrazioni di George Cruikshank e un’introduzione dello stesso Ruskin dal titolo

“Fairy Stories,” in cui egli espresse la sua opinione sulle fiabe tradizionali nonché

sul loro scopo sociale ed educativo. Ruskin affermò di essere alquanto riluttante a

esaltare eccessivamente le fiabe “because there is in fact nothing very notable in

these tales, unless it be their freedom from faults which for some time have been

held to be quite the reverse of faults, by the majority of readers;”

73

tuttavia esse

avevano un valore storico: “historical at least in so far as it has naturally arisen out

of the mind of a people under special circumstances, and risen not without

meaning, nor removed altogether from their sphere of religious faith,”

74

e sociale,

poiché capaci “to animate the material world with inextinguishable life, to fortify

children against the glacial cold of selfish science, and preparing them

submissively, and with no bitterness of astonishment, to behold, in later years, the

mistery […] of the fates that happen alike to the evil and the good.”

75

Ruskin condivideva l’opinione di Dickens sulle fiabe, sostenendo che esse

non dovevano essere macchiate da un’esplicita dottrina morale né da intenti

satirici. Si poneva quindi contro le scrittrici didatticiste che scrivevano per i

bambini “bred in school-rooms and drawing-rooms, instead of fields and woods –

children whose favourite amusements are premature imitations of the vanities of

elder people, and whose conceptions of beauty are dependent partly on costliness

73 J. RUSKIN, “Fairy Stories” 1868, in E.T. COOK – A. WEDDERBURN (eds), The Complete

Works of John Ruskin, Vol 1, London, George Allen, 1903, p. 233.

74 Ibidem, p. 236. 75 Ibidem, pp. 235-236.

(5)

of dress.”

76

Ruskin riteneva che i bambini non hanno bisogno di morali perché

“they will find in the apparently vain and fitful courses of any tradition of old

time, honestly delivered to them, a teaching for which no other can be substituted,

and of which the power cannot be measured.”

77

Secondo lo scrittore, le fiabe

moderne hanno perso ciò che animava le fiabe tradizionali: “the simplicity of the

sense of beauty has been lost in recent tales for children, so also the simplicity of

their conception of love;”

78

poi insiste sulla “unquestioning innocence”

79

del

bambino e sulla sua innata moralità “unsullied and unhesitating”

80

sostenendo che

“a child should not need to choose between right and wrong. It should not be

capable of wrong; it should not conceive of wrong.”

81

Quanto all’uso della satira

nelle fiabe moderne egli affermò “the fine satire […] seems to me no less to unfit

[the stories] for their proper function. Children should laugh, but not mock; and

when they laugh, it should not be at the weakness or faults of others.”

82

Tuttavia, come fa notare John Pennington,

83

Ruskin paradossalmente sembra

propendere per fiabe capaci di insegnare ai bambini proprio delle lezioni morali, e

i bambini devono sottomettersi ad esse, lasciarsi guidare, affinché imparino la

giusta via per conoscere il mondo. Per spiegare questa apparente contraddizione, è

opportuno precisare che in realtà Ruskin, come Dickens, condannava le fiabe

moraleggianti non perché essenzialmente didattiche ma perché non artistiche, e

quindi la presenza di insegnamenti era ammissibile solo preservandone la purezza.

Entrambi gli scrittori, inoltre, condividevano la condanna verso i mali originatisi

dalla Rivoluzione industriale e vedevano nella fiaba un mezzo per opporre

immagini positive di bellezza alla violenza e al degrado sociale rievocando

l’innocenza del bambino attraverso la sua immaginazione.

76 Ibidem, pp. 233-234. 77 Ibidem, p. 235. 78 Ibidem, p. 234. 79 Ibidem, p. 235. 80 Idem. 81 Idem. 82 Ibidem, p. 234. 83

Cfr. J. PENNINGTON, “The ‘Childish Imagination’ of John Ruskin and George MacDonald: Introductory Speculations”, in North Wind: A Journal of MacDonald Studies, Vol. 16 (1997), pp. 59-60.

(6)

Nel saggio “Fairy Land: Mrs. Allingham and Kate Greenaway” del 1883,

Ruskin, grande ammiratore delle illustrazioni di bambine vittoriane che fece la

Greenaway, affermò che aveva visto nei suoi lavori un ritorno all’innocenza

infantile che richiamava le fiabe dei Grimm e le Mille e Una Notte. Secondo

Ruskin, la pratica creativa delle due illustratrici consiste nell’ “art which intends

to address only childish imagination, and whose object is primarily to entertain

with grace.”

84

Nel saggio, Ruskin inizia annunciando che sfiderà il personaggio di Dickens,

Gradgrind, l’educatore utilitarista che voleva che i bambini imparassero

meccanicamente i fatti sopprimendo l’immaginazione; al contrario Ruskin

sostiene che i bambini hanno bisogno della loro immaginazione per giocare “one

of the most curious proofs of the need to children of this exercise of the inventive

and believing power […] you will find in the way you destroy the vitality of a toy

to them, by bringing it too near the imitation of life,”

85

inoltre “the child falls in

love with a quiet thing, with an ugly one—nay, it may be, with one, to us, totally

devoid of meaning.”

86

L’esercizio dell’immaginazione nel bambino, quindi, è fondamentale come

quello del corpo poiché esso aiuta a sviluppare la mente adulta:

it is quite an inexorable law of this poor human nature of ours, that in the development of its healthy infancy, it is put by Heaven under the absolute necessity of using its imagination as well as its lungs and its legs;- that it is forced to develop its power of invention, as a bird its feathers of flight; that no toy you can bestow will supersede the pleasure it has in fancying something that isn’t there; and the most instructive histories you can compile for it of the wonders of the world will never conquer the interest of the tale which a clever child can tell itself.87

84 J. RUSKIN, “Fairy Land: Mrs. Allingham and Kate Greenaway” 1883, in E.T. COOK – A.

WEDDERBURN (eds), The Complete Works of John Ruskin, Vol. 33, London, George Allen, 1905, p. 332.

85

Ibidem, p. 329.

86 Idem. 87 Idem.

(7)

Da queste affermazioni possiamo constatare che, per Ruskin, bellezza e

immaginazione sono strettamente legate. Tuttavia, come fa notare anche George

Landow, dal momento che, secondo Ruskin, “the most valuable, most

educational, most moral function of art is simply to be beautiful,”

88

è strano che

egli non difenda più strenuamente la fiaba. In effetti egli sembra rispettarla nella

sua semplicità e in quanto oggetto d’arte e di bellezza, d’altro canto ritiene che

essa sia il nutrimento ideale per i bambini perché oltre alla bellezza ha poco altro

da trasmettere.

Nonostante l’ambigua concezione teorica della fiaba, una delle chiavi per

leggere The King of the Golden River risiede sicuramente nel desiderio dello

scrittore di proteggere i bambini, nonché il suo io bambino e quel mondo passato

“non macchiato”.

Quando Ruskin scrisse The King of the Golden River nel 1841, la fiaba era

ancora considerata un genere sospetto a causa della forte influenza di note

scrittrici per l’infanzia che ritenevano immorali i racconti popolari; dieci anni

dopo, invece, la situazione era molto cambiata, poiché nel frattempo anche altri

scrittori si erano cimentati con questo genere sfidando il conservatorismo

letterario con un’ondata di fiabe innovative cui partecipò anche la fiaba di Ruskin,

che riscosse un clamoroso successo. Prickett la definisce “the first original

English fairy story […] The basic plot is conventional enough, nevertheless, the

story is unmistakably nineteenth-century, in tone, with a clear moral, and a certain

restrained wit in the telling.”

89

3.3 The King of the Golden River: una lettura ravvicinata

Ispirata a “The Water of Life” dei fratelli Grimm contenuta in German Popular

Stories

, la fiaba di Ruskin racconta la storia di tre fratelli, Hans, Schwartz e il più

piccolo, Gluck. Una sera, mentre Gluck è intento a riordinare la casa, arriva un

piccolo visitatore che chiede di entrare. Gluck lo accoglie, ma quando i due fratelli

88

G.P. LANDOW, “And the World Became Strange: Realms of Literary Fantasy” in The Georgia Review, 33, Number 1 (Spring 1979), p. 13.

(8)

egoisti tornano e trovano lo strano ospite gli ordinano di andarsene. Quella stessa

notte i fratelli vengono svegliati da un tremendo fragore e scoprono che il tetto è

stato distrutto dalla furia del piccolo visitatore che si rivela essere il South West

Wind Esquire. Anche la feconda valle dal nome emblematico, Treasure Valley, in

cui abitano e i cui frutti i fratelli hanno sempre tenuto per sé, è stata ridotta ad una

distesa di sabbia, così si trasferiscono nella città dove cominciano a lavorare come

orafi truffatori. Gli affari, tuttavia, vanno male; così, per sopravvivere, Hans e

Schwartz cominciano a fondere tutto l’oro accumulato, tra cui anche una

particolare tazza a forma di faccia, regalata a Gluck da uno zio. Incaricato di

controllare la tazza che si fonde mentre i fratelli sono usciti a bere, Gluck ode

improvvisamente un canto e dal pentolone esce un nano d’oro che si rivela essere

the king of the golden river

, fino ad allora vittima di un incantesimo. Come

ricompensa per averlo liberato, il piccolo re dice a Gluck di andare sulla cima

della montagna e, se verserà tre gocce di acqua santa alla sorgente del fiume, esso

diventerà interamente d’oro; chiunque invece verserà nel fiume dell’acqua non

benedetta si tramuterà in una roccia nera. Nell’epilogo della fiaba i due fratelli

maggiori, cercando di ingannarsi l’un l’altro, si trasformano in pietre, mentre

Gluck, che dà le ultime gocce di acqua benedetta che gli rimangono ad un

vecchio, ad un bambino e infine a un cane (che si rivelerà essere il piccolo re sotto

mentite spoglie), per questi atti di bontà viene nuovamente ricompensato dal re

con tre gocce di rugiada che, una volta versate alla sorgente del fiume,

trasformano nuovamente l’arida valle in una sorta di paradiso terrestre.

Nella descrizione iniziale dell’ambientazione, Ruskin adotta una voce molto

personale e, come mette in luce Suzanne Rahn, qui si scorge quello che Ruskin

definì in Praeterita “a little true Alpine feeling of my own.”

90

Descrizioni

pittoriche particolarmente vivide conferiscono alla fiaba uno spiccato senso dello

spazio che è una delle caratteristiche ruskiniane più riconoscibili e riconducibili

all’esperienza personale dell’autore. Proprio durante l’inverno precedente alla

composizione di The King of the Golden River infatti, Ruskin aveva fatto un

viaggio in Italia con i genitori attraversando le alpi e, nella fiaba, sono

(9)

riconoscibili descrizioni molto simili a quelle che Ruskin scrisse sul suo diario in

quei giorni. La vista delle Alpi, inoltre, ebbe un forte impatto terapeutico su di lui,

che lo fece riprendere dalla depressione di cui lo scrittore aveva sofferto durante il

viaggio;

91

Ruskin annotò in particolare quel che aveva provato in una vallata:

I woke from a sound sleep in a little one-windowed room at Lans-le-bourg, at six of the summer morning, June 2nd, 1841; the red alguilles on the north relieved against pure blue – the great pyramid of snow down the valley in one sheet of eastern light. I dressed in three minutes, ran down the village street, across the stream, and climbed the grassy slope on the south side of the valley, up to the first pines. I had found my life again – all the best of it. What was good of religion, love, admiration or hope, had ever been taught me, or felt by my best nature, rekindled at once; and my line of work, both by my own will and the aid granted to it by fate in the future, determined for me.92

Possiamo dedurre che lo scenario montano della fiaba fosse associato a questa

esperienza gioiosa di rinascita e che parte di quelle sensazioni di amore, speranza

e ritrovato entusiasmo siano entrate a far parte di essa al momento della sua

stesura, solo tre mesi dopo. L’ambientazione dell’opera infatti non è una mera

decorazione ma svolge un ruolo proprio come i personaggi, rispondendo ai

comportamenti umani, soprattutto nelle scene in cui i tre fratelli affrontano la

scalata della montagna in cerca del Golden River, anche il clima registra le loro

scelte morali come un barometro spirituale;

93

mentre il percorso di Schwartz e

Hans è reso più impervio da questa natura viva, quello di Gluck è reso più facile e

piacevole. Ruskin riteneva che la natura non fosse un’entità neutrale ma

un’espressione del volere divino, perciò la relazione stessa dell’uomo con la

natura dipendeva dalla sua obbedienza a Dio.

La descrizione iniziale dell’ambientazione pone immediatamente a contrasto

innocenza ed esperienza, la fertile valle è infatti protetta da “steep and high

91 Cfr. S. RAHN, “The Sources of Ruskin’s Golden River”, in Victorian Newsletter 68 (Fall 1985),

p. 4.

92 J. EVANS, John Ruskin, New York: Oxford UP, 1954, p. 79. 93 Cfr. S. RAHN, op. cit., p. 4.

(10)

mountains”

94

che la separano dalla città. La successiva descrizione dei tre fratelli

segue la stessa antitesi:

Schwartz and Hans, the two elder brothers, were very ugly men, with over hanging eye-brows and small dull eyes, which were always half shut, so that you couldn’t see into them, and always fancied they saw very far into you. They lived by farming the Treasure Valley, and very good farmers they were. They killed everything that did not pay for its eating. They shot the blackbirds, because they pecked the fruit; and killed the hedgehogs, lest they should suck the cows; they poisoned the crickets for eating the crumbs in the kitchen; and smothered the cicadas, which used to sing all summer in the lime trees. […]and were, in a word, of so cruel and grinding a temper, as to receive from all those with whom they had any dealings, the nick-name of the “Black Brothers.” The youngest brother, Gluck, was as completely opposed, in both appearance and character, to his seniors as could possibly be imagined or desired. He was not above twelve years old, fair, blue-eyed, and kind in temper to every living thing. He did not, of course, agree particularly well with his brothers, or rather, they did not agree with him. […] At other times he used to clean the shoes, floors, and sometimes the plates, occasionally getting what was left on them, by way of encouragement, and a wholesome quantity of dry blows, by way of education.95

Come nei Märchen tedeschi, i fratelli maggiori sono completamente diversi, per

carattere e aspetto fisico, da quello minore che incarna la lealtà e l’ingenuità

dell’innocente. Mentre i due vengono descritti come maschi adulti prevaricatori la

cui mascolinità appare quasi ripugnante, Gluck è un dodicenne (come Euphemia

Gray), biondo con gli occhi azzurri (come il giovane Ruskin) dall’aspetto quasi

androgino e soprattutto non ancora “macchiato” dal peccato. Inoltre, i fratelli

incarnano anche la mentalità mercantile e materialista dell’età vittoriana che lo

stesso Ruskin ben conosceva, attraverso il padre mercante, e condannava. Il

contrasto fra i tre personaggi fu ulteriormente accentuato dalle illustrazioni del

giovane disegnatore Richard Doyle che raffigurò i due fratelli come figure

atletiche dai capelli corti e sempre con armi in mano, mentre Gluck è ritratto come

un bambino dai tratti quasi femminili, con lunghi capelli che mettono in risalto i

lineamenti morbidi.

94

J. RUSKIN, “The King of the Golden River”, in E.T. COOK – A. WEDDERBURN (eds), The Complete Works of John Ruskin, Vol 1, London, George Allen, 1903, p. 313.

(11)

Con questa descrizione Ruskin sembra voler far presagire che il fratello più

piccolo e più maltrattato alla fine otterrà una gratificazione per le pene sofferte;

anche il nome che gli appartiene è in linea con le convenzioni tradizionali infatti

“in the fifth volume of Modern Painters Ruskin rightly recalled that the ‘latest

descent’ of a ‘youngest child’ was habitually regardered as ‘a sign of

fortunateness’ in the Scandinavian and Germanic sagas on which so many Grimm

folktales are based.”

96

La parola tedesca che significa “fortuna” è appunto Glück,

dettaglio che lo separa ulteriormente dai fratelli, Schwarz infatti significa “nero”

in tedesco, mentre Hans è l’abbreviazione di Johannes che in inglese corrisponde

a John, il nome di Ruskin.

Tuttavia Ruskin si allontana dai modelli tedeschi che professa di aver preso a

esempio poiché, mentre nei racconti grimmiani l’eroe virtuoso alla fine viene

premiato acquisendo il potere dei suoi prevaricatori, Gluck segue passivamente

l’autorità dei fratelli; inoltre nella fiaba di Ruskin viene eliminato qualsiasi

riferimento alla figura paterna solitamente associata al potere (Gluck, infatti, non

viene mai descritto come un figlio), e a una qualsivoglia figura femminile, nonché

alla principessa che tradizionalmente spettava al figlio come ricompensa per le sue

azioni eroiche o caritatevoli. Così facendo Ruskin cercò di eliminare dalla sua

storia le tracce di impurità legate alla violenza e alla sessualità che erano presenti

negli originali grimmiani.

Il primo dei cinque capitoli della fiaba introduce anche il primo degli agenti

magici, The South West Wind Esquire, definito da Prickett “possibly the first

magical personage in fiction to show that combination of kindliness and eccentric

irascibility that was to appear so strongly in a whole tradition of subsequent

literature.”

97

Questo personaggio viene descritto in modo alquanto grottesco ma,

fin dal primo sguardo, Gluck è particolarmente colpito dal suo aspetto:

It was the most extraordinary looking little gentleman he had ever seen in his life. He had a very large nose, slightly brass-coloured; his cheeks were very round, and very red, and might have warranted a supposition that he had

96

U. C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and Femininity, cit., p. 49.

(12)

been blowing a refractory fire for the last eight-and-forty hours; his eyes twinkled merrily through long silky eyelashes, his moustaches curled twice round like a corkscrew on each side of his mouth, and his hair, of a curious mixed pepper-and-salt colour, descended far over his shoulders. He was about four-feet-six in height, and wore a conical pointed cap of nearly the same altitude, decorated with a black feather some three feet long. His doublet was prolonged behind into something resembling a violent exaggeration of what is now termed a “swallow tail,”but was much obscured by the swelling folds of an enormous black, glossy-looking cloak, which must have been very much too long in calm weather, as the wind, whistling round the old house, carried it clear out from the wearer’s shoulders to about four times his own length.98

Questo singolare visitatore sembra ancora più piccolo di Gluck, in statura, ma è

ingrandito da una serie di protuberanze, tra le quali il naso che Doyle ritrasse di

forma fallica e che Ruskin fece modificare. Pur temendo le reazioni dei fratelli,

mosso a compassione, Gluck accoglie in casa il piccolo ospite zuppo di pioggia,

ma di lì a poco, al rifiuto dei fratelli alla sua richiesta di cibo, l’apparentemente

innocuo signore sfoga la sua forza distruttiva. Nel primo combattimento con i due

fratelli egli usa il cappello conico per difendersi, mentre nella seconda incursione

notturna non solo distrugge parte della casa in cui vivono i fratelli, ma devasta

anche la valle rendendola sterile e inospitale. Il South West Wind tuttavia ha un

occhio di riguardo per il generoso Gluck e, rivolgendosi a Schwartz e Hans, mette

in atto un capovolgimento di ruoli: “‘I’m afraid your beds are dampish; perhaps

you had better go to your brother’s room: I’ve left the ceiling on, there.’ They

required no second admonition, but rushed into Gluck’s room, wet through, and in

an agony of terror.”

99

Come fa notare anche Knoepflmacher, è il bambino che

accoglie gli adulti terrorizzati nel suo letto virginale, poiché esso non è stato

deflorato da nessun cappello conico e Schwartz e Hans hanno subito qualcosa di

non dissimile da quello che Wordsworth, nella prefazione della seconda edizione

delle Lyrical Ballads, chiamò “a spontaneous overflow of powerful feelings.”

100

98 J. RUSKIN, “The King of the Golden River”, cit., p. 316. 99

Ibidem, p. 323.

100 Cfr. U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and

(13)

Nel secondo capitolo entra in scena l’altro personaggio magico, che, nella

fornace, si trasforma da tazza a nano. Tuttavia, a differenza del suo predecessore,

egli ha un aspetto più raffinato:

there came out, first, a pair of pretty little yellow legs, then some coat tails, then a pair of arms stuck a-kimbo, and, finally, the well-known head of his friend the mug; all which articles, uniting as they rolled out, stood up energetically on the floor, in the shape of a little golden dwarf, about a foot and a half high. […] He was dressed in a slashed doublet of spun gold, so fine in its texture, that the prismatic colours gleamed over it, as if on a surface of mother of pearl; and, over this brilliant doublet, his hair and beard fell full halfway to the ground, in waving curls, so exquisitely delicate, that Gluck could hardly tell where they ended; they seemed to melt into air. The features of the face, however, were by no means finished with the same delicacy; they were rather coarse, slightly inclining to coppery in complexion, and indicative, in expression, of a very pertinacious and intractable disposition in their small proprietor.101

In questa prima descrizione del nano, che di lì a poco si presenterà come the King

of the Golden River

, viene sottolineata l’indole intrattabile e irascibile del

personaggio, che però si mostra riguardoso nei confronti di Gluck, per poi

scomparire nuovamente nella fornace:

What I have seen of you, and your conduct to your wicked brothers, renders me willing to serve you; therefore, attend to what I tell you. Whoever shall climb to the top of that mountain from which you see the Golden River issue, and shall cast into the stream at its source three drops of holy water, for him, and for him only, the river shall turn to gold. But no one failing in his first, can succeed in a second attempt; and if any one shall cast unholy water into the river, it will overwhelm him, and he will become a black stone.102

Nel terzo, quarto e quinto capitolo la descrizione dei paesaggi montani che i tre

fratelli affrontano individualmente possiede una ricca precisione di dettagli che

fanno da sfondo alla difficile scalata; durante l’impervio percorso essi vengono

messi alla prova allo stesso modo da un vecchio, un bambino e un cane morenti

101 J. RUSKIN, “The King of the Golden River”, cit., pp. 329-330. 102 Ibidem, p. 331.

(14)

che chiedono dell’acqua, ma, mentre Schwartz e Hans fermi nel loro egoismo

vengono puniti dal re e trasformati in pietre nere, Gluck, mostrandosi caritatevole

pur rimanendo senza acqua, viene premiato con tre gocce di rugiada che gli

permetteranno di compiere la profezia. Gluck, tuttavia, è colpito dalla crudeltà del

re che gli si rivolge con veemenza: “‘Why didn’t you come before, […] instead of

sending me those rascally brothers of yours, for me to have the trouble of turning

into stones? Very hard stones they make too.’”

103

A queste parole Gluck protesta e

il re dà sfogo alla sua irascibilità “‘Oh dear me!’ said Gluck, ‘have you really been

so cruel?’ ‘Cruel!’ said the dwarf, ‘they poured unholy water into my stream: do

you suppose I’m going to allow that?’”

104

Così dicendo, il re intende far capire al

bambino che sono le azioni delle persone a stabilire se esse sono meritevoli di

crudeltà o benevolenza.

I due personaggi magici, entrambi molto piccoli in statura, presentano una

differenza fondamentale: mentre le energie del South West Wind Esquire sono

totalmente distruttive, il re fa un uso migliore dei suoi poteri ristabilendo la ricca

fertilità della valle; tuttavia essi svolgono lo stesso ruolo assumendo la duplice

connotazione di sadici salvatori, entrambi hanno un atteggiamento autoritario a

cui Gluck si sottomette ed entrambi mettono in atto una violenza e un’ostilità che

a Gluck non è permesso esternare. Essi, in qualche modo, svolgono il ruolo di

vendicatori del bambino ma lo fanno mettendo in atto proprio la stessa

aggressività che si professano di condannare in Schwartz e Hans. Gluck, per

questo motivo, è allo stesso tempo vittima e beneficiante della crudeltà che viene

profusa nella storia poiché è proprio attraverso essa che verrà liberato dal giogo

dei fratelli. Solo alla fine, quando deciderà di dare le ultime gocce d’acqua al

cane, Gluck dimostrerà in minima parte la rabbia da cui è stato fino ad allora

protetto, affermando sconsolato: ‘“Confound the King and his gold too.’”

105

Come è stato notato, nella fiaba non c’è nessun personaggio femminile. Solo

Gluck è presentato e descritto con tratti effeminati e a lui sono destinate mansioni

tradizionalmente femminili, come la pulizia della casa; non casualmente il suo è

103

Ibidem, p. 346.

104 Idem. 105 Idem.

(15)

un personaggio puro, privo di malizia e risentimento, se non nel passo che è stato

fatto precedentemente notare. Secondo Knoepflmacher, Ruskin identificava la

femminilità con l’infanzia, e la mascolinità con un’aggressività che cercava e

temeva allo stesso tempo, in quanto profana e ribelle.

106

Se accettiamo questa

teoria, sembra ammissibile che il giovane Ruskin si identificasse con il piccolo

protagonista della sua fiaba, un personaggio minacciato dalla violenza maschile

dei fratelli e, in modo diverso, dai due personaggi magici, che lo scrittore cerca di

immobilizzare nella sua innocente e confortante infanzia. Data l’assenza di

personaggi femminili, è altrettanto interessante notare che nell’epilogo della fiaba

i personaggi maschili sono tutti scomparsi o immobilizzati per sempre in pietre

nere, mentre Gluck, surrogato femminile, rimane l’unico erede della materna

Treasure Valley

. In un modo non dissimile da Wordsworth e Coleridge, l’infanzia

appare come ristoratrice di quel senso di incompletezza, insito nell’età adulta, che

i romantici e lo stesso Ruskin avvertivano.

L’epilogo della fiaba inserisce un altro capovolgimento; nei modelli

grimmiani, la ricompensa finale è quasi sempre rappresentata da emblematici

oggetti che forniscono un arricchimento materiale. Qui, la ricerca della sorgente

del Golden River intrapresa dai tre fratelli fa presupporre che la ricompensa finale

non potrà che essere dell’oro, la tradizionale fonte di ricchezza; tuttavia, viene

evidenziato che il fiume non scorre nemmeno nella Treasure Valley in quanto essa

non ne ha bisogno: la sua fertilità viene direttamente dal cielo che le fornisce il

nutrimento necessario. Questo dettaglio funge da indizio per la risoluzione finale

della storia, dal momento che Gluck otterrà qualcosa di molto più prezioso;

secondo l’ideologia di Ruskin infatti, “that country is the richest which nourishes

the greatest number of noble and happy human beings; that man is richest who,

having perfected the functions of his own life to the utmost, has also the widest

helpful influence, both personal, and by means of his possessions, over the lives

of others.”

107

106 Cfr. U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and

Femininity, cit., p. 68.

107 J. RUSKIN, “Unto this Last”, in E.T. COOK – A. WEDDERBURN (eds), The Complete Works

(16)

La ricchezza che il giovane erediterà è vera perché nutre non solo se stesso

ma anche gli altri abitanti della valle “and Gluck went, and dwelt in the valley,

and the poor were never driven from his door;”

108

mentre quella posseduta dai

fratelli all’inizio della storia è una ricchezza fittizia, fondata sull’avidità e fine a se

stessa. L’acqua simboleggia queste due tipologie di ricchezza poiché essa può

essere distruttiva ma può anche portare benessere e vita; analogamente, l’acqua

benedetta, necessaria a far realizzare la profezia del re, registra le azioni dei

personaggi: “the water which has been refused to the cry of the weary and dying,

is unholy, though it had been blessed by every saint in heaven; and the water

which is found in the vessel of mercy is holy, though it had been defiled with

corpses.”

109

L’avidità dei due fratelli ha spezzato il loro rapporto con madre natura

mentre Gluck ne fa pienamente parte, rispettandone le leggi. La generosità di

Gluck fa sì che il fiume prenda un nuovo corso “a river, like the Golden River,

was springing from a new cleft of the rocks above it, and was flowing in

innumerable streams among the dry heaps of red sand.”

110

L’effeminato protagonista, non avendo desideri di supremazia maschile, è

ricompensato dalle acque che sgorgano da questa nuova sorgente. Rimanendo

puro, egli può tornare in una valle edenica ancora più bella di quella iniziale.

Tuttavia il giovane protagonista è rimasto immutato nella sua purezza, non c’è

stata maturazione; semplicemente, come è accaduto alla terra, anche lui è stato

rifertilizzato. Ciononostante, egli rinasce bambino poiché non è intervenuta

nessuna principessa a macchiare la sua innocenza.

111

The King of the Golden River

anticipa quella che sarà la visione

economico-politica di Ruskin nonché il suo impegno riguardo le ingiustizie sociali del suo

tempo, l’insistenza sulla responsabilità morale dell’individuo e, come già detto, la

sua visione della natura.

112

In Unto this Last, il saggio di argomento

108 J. RUSKIN, “The King of the Golden River”, cit., p. 347. 109 Ibidem, p. 346.

110 Ibidem, p. 347. 111

Cfr. U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and Femininity, cit., p. 56.

(17)

economico pubblicato nel 1862, lo scrittore esprime l’importanza di sfruttare in

modo giusto le risorse naturali come l’acqua:

The course neither of clouds nor rivers can be forbidden by human will. But the disposition and administration of them can be altered by human forethought. Whether the stream shall be a curse or a blessing, depends upon man's labour, and administrating intelligence. For centuries after centuries, great districts of the world, rich in soil, and favoured in climate, have lain desert under the rage of their own rivers; not only desert, but plague-struck. The stream which, rightly directed, would have flowed in soft irrigation from field to field—would have purified the air, given food to man and beast, and carried their burdens for them on its bosom—now overwhelms the plain, and poisons the wind; its breath pestilence, and its work famine.113

Nella sua apparente semplicità la fiaba è usata per conferire centralità alla

relazione tra il singolo e le ricchezze della natura e per denunciare l’egoismo

distruttivo nello sfruttamento e abbrutimento del paesaggio per fini

esclusivamente economici e a scapito dei più bisognosi. La metafora del Golden

River

, oggetto del desiderio, simboleggia non una fonte inesauribile d’oro ma una

sorgente di vita aperta a tutti in un paese assetato, ed esprime un concetto centrale

dell’ideologia di Ruskin, “THERE IS NO WEALTH BUT LIFE.”

114

Le ultime frasi della fiaba, dai toni quasi biblici, in una versione che poi

Ruskin decise di non far stampare, lasciavano il posto ad un epilogo dai toni più

satirici. Qui lo scrittore si rivolge al bambino lettore prendendo di mira tutte

quelle persone della valle (tra le quali anziane signore, istruiti uomini di chiesa e

persino la “mater”

115

che si profuse in edificanti commenti alla storia) che

cercarono di dare una loro spiegazione agli eventi accaduti. Le loro opinioni sono

così confuse che il narratore consiglia al bambino di farsi un’idea da solo: “to

form you own conclusions.”

116

Tuttavia il narratore insiste sul fatto che i due

fratelli non sono stati puniti eccessivamente, poiché è stato il loro rifiuto a prestare

attenzione alle tre suppliche (nonché a quella del South West Wind Esquire) a

113 J. RUSKIN, “Unto this Last”, cit., pp. 60-61. 114

Ibidem, p. 105.

115 Ruskin poi sostituì nel manoscritto la parola mater con relative. 116 J. RUSKIN, “The King of the Golden River”, cit., p. 347.

(18)

portarli al loro destino; al contrario, la reazione di Gluck alle loro richieste d’aiuto

lo ha portato alla salvezza. In questa precisazione Ruskin sembra voler

evidenziare il fatto che, come in una parabola cristiana di salvezza e

dannazione,

117

sono state le scelte libere dei fratelli a portarli alla morte. Il re,

come un Dio miltoniano, aveva dato loro più di un’occasione per redimersi ma

essi, dotati di libero arbitrio, hanno scelto la strada della dannazione; Gluck, in

questo senso è un personaggio paragonabile a Cristo poiché la “inheritance, which

had been lost by cruelty, was regained by love”

118

per tutta l’umanità.

Inoltre, spiegando la logica divina (che per Ruskin dipende più dalle azioni

che dalla fede) che ha portato all’esito di questa storia, sembra che lo scrittore

voglia togliersi parte del peso di una vicenda che richiede la morte dei parenti più

prossimi di un bambino.

Indubbiamente, The King of the Golden River si presta a numerose chiavi di

lettura poiché le complessità insite in questa fiaba sono di varia natura.

Knoepflmacher insiste sul fatto che “Ruskin enlisted the form of the fairy tales he

had loved as a boy in order to reconfront the disabling childhood conflicts he had

never fully resolved in the process of growing up.”

119

Tuttavia, ritengo che il

desiderio di Ruskin di esplorare un’infanzia diversa da quella che aveva vissuto si

fondesse, nonostante il suo dichiarato intento non moralistico, con un potente

messaggio di speranza per la sua epoca, cui il racconto mostrava una possibile

strada da seguire.

117 Cfr. S. RAHN, op. cit., p. 5. 118

J. RUSKIN, “The King of the Golden River”, cit., p. 347.

119 U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and Femininity,

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