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CAPITOLO QUARTO Ingresso, controllo delle frontiere ed allontanamento dei migranti

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CAPITOLO QUARTO

Ingresso, controllo delle frontiere ed allontanamento dei migranti

4.1 Disomogeneità del quadro giuridico e la c.d. geometria variabile

Vista a grandi linee la nascita e l’orientamento della politica UE in materia dell’immigrazione, a questo punto viene spontaneo chiederci se gli Stati membri abbiano margini di discrezionalità, quali siano i loro obblighi nei confronti della normativa europea relativa all’ingresso, al respingimento e dell’attraversamento dei cittadini di Paesi terzi non beneficiari della libera circolazione, nonché l’eventuale rispetto delle elementari esigenze umanitarie.

Come già visto1, nel corso degli anni l’UE ha faticato nell’armonizzazione delle norme sui requisiti d’ingresso e di soggiorno di qualsiasi cittadino di Stato terzo, a cominciare dai visti, procedure di frontiera, soggiorno breve e di lunga durata. Se in queste materie rimangono agli Stati margini esigui di discrezionalità, in altri ambiti invece domina la quasi libertà nazionale con la conseguenza di un quadro normativo non omogeneo e distorsioni applicative. A ciò si aggiunga la direttiva rimpatri 2008/1152 dota di efficacia europea i provvedimenti negativi adottati dai singoli Stati membri (segnalazione ai fini della non ammissione, respingimento, espulsione, rifiuto del visto).

Premesso questo, innanzitutto non bisogna dimenticare che l’evoluzione della politica europea comune sull’immigrazione si è dovuta scontrare con le resistenze di diversi Stati UE, poco disposti a cedere le loro competenze statali. Tutt’oggi infatti alcune di queste questioni non sono state ancora superate, dando luogo a due fenomeni: a) una geometria variabile nel riconoscimento delle competenze UE in materia d’immigrazione, ossia “non tutti gli Stati membri ne sono vincolati e alcuni Stati terzi sono vincolati da

determinati aspetti”3; b) le esigenze pratiche e la conformazione geografica della zona di frontiera hanno dato il via ad una necessaria cooperazione tra Stati confinanti e non, formalizzati sia con accordi o con intese informali a volte in disaccordo con la normativa di competenza UE (come nel caso dell’esenzione del visto di ingresso) e le norme internazionali sui diritti umani.

In riferimento alla c.d. geometria variabile, Regno Unito e Irlanda non partecipano alla normativa sulle frontiere, decidendo ogni volta se accettare atti in tema di visti e di immigrazione regolare e irregolare; anche la Danimarca decide di volta in volta se

1 Si veda nel capitolo 3 il paragrafo 3.1. 2

Si veda in questo capitolo il sotto-paragrafo 4.1.2.

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75 accettare gli atti in materia, mentre partecipa al sistema di gestione delle frontiere con un “obbligo a norma del diritto internazionale”4

nei confronti degli altri Stati membri UE; altro discorso va fatto per i Paesi di recente ingresso che prevedono un regime transitorio in attesa della piena applicazione della normativa sulle frontiere e sull’immigrazione da Stati terzi. Islanda, Norvegia Svizzera e Liechtenstein sono vincolati dalle regole sui controlli alle frontiere e, in parte, sulla politica d’asilo, sui visti e sulla lotta all’immigrazione irregolare, tranne che sulla migrazione regolare. Quindi “aunque en

algunos aspectos se ha ido avanzando hacia una gestión común, la realidad es que aún existen pocos límites para que cada Estado siga haciendo por su cuenta la política de inmigración que crea conveniente”5. Pertanto esistono differenza riscontrabili all’interno delle legislazioni nazionali in materia di immigrazione e neanche il Programma di Stoccolma è riuscito a compiere grandi passi verso una vera e propria linea comune dei vari sistemi giuridici nazionali. Questo è dovuto al fatto che da un lato la disciplina UE relativa all’ingresso in frontiera esterna presenta un quadro giuridico indubbio e poco unitario per un gran numero di Stati interessati dai flussi migratori in entrata; dall’altro, ad irrigidire le posizioni delle singole Nazioni, gli Stati collocati alle frontiere esterne devono affrontare costi derivati molto consistenti. A questo proposito nonostante l’art.80 del TFUE6 sottolinei il principio di solidarietà, sembra che il sostegno allo Stato interessato da flussi significativi ordinari o straordinari sia declinato solo ad aiuti finanziari gestiti dalla Commissione sulla base del FFE7, Fondo europeo per i rifugiati8 e Fondo europeo per i rimpatri9. Sebbene anche per il Programma di Stoccolma prevede che la politica d’immigrazione deve essere incentrata sulla solidarietà, nella realtà dei fatti gli Stati membri tanto come le Istituzione europee sembrano lontane da trovare un vero compromesso di solidarietà sia con Stati UE che soffrono di una pressione migratoria più intensa, sia con i Paesi di origine e di transito dell’immigrazione10.

4 Ibid. 5

Pajares, op. cit., p.142. 6

Art.80 TFUE, Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione: “Le politiche dell'Unione di cui al presente capo e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell'Unione adottati in virtù del presente capo contengono misure appropriate ai fini dell'applicazione di tale principio”.

7

Si veda il riferimento al capitolo 1 paragrafo 1.5, nota 81. 8

Decisione n.573/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23.5.2007, che istituisce il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2008/2013 nell’ambito del programma generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori.

9

Decisione n.575/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23.5.2007, che istituisce il Fondo europeo per i rimpatri per il periodo 2008/2013 nell’ambito del programma generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori.

10

Di questa opinione Fajardo del Castillo, op. cit., p.17 e Cugusi, op. cit., p.6. In particolare quest’ultimo sottolinea che all’origine della proposta inziale di Sarkozy della nascita di un UpM come organizzazione intergovernativa tra i soli Stati membri del Sud, appoggiata da Italia e Spagna ci sarebbe proprio la consapevolezza di una diversa percezione del Mediterraneo tra loro e gli altri Stati membri. Si veda nel capitolo 3 il sotto-paragrafo 3.3.1.

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76 Riguardo della cooperazione tra Stati, l’UE potrebbe rappresentare un circuito politico decisionale maggiormente equilibrato e meno emotivo rispetto alle politiche dei singoli Stati in materia dei flussi migratori in entrata11, poiché non condizionata da cambiamenti di maggioranze governative o scadenze elettorali; al tempo stesso però verso gli Stati terzi di piccola e media dimensione, l’UE potrebbe rappresentare una controparte dotata di forza eccessiva12.

Tuttavia, come già visto e vedremo13, sia gli Stati sono i veri attori della cooperazione internazionale nella lotta all’immigrazione irregolare sia la cooperazione bilaterale tra Stati UE e Paesi partner è la soluzione più efficiente nel contrasto dell’immigrazione clandestina14. Infatti i negoziati degli accordi da parte della Commissione, finalizzati a prevenire flussi consistenti da un lato hanno avuto successo solo se associati a forme di compensazione per lo Stato terzo interessato (rilascio visti, assistenza finanziaria), dall’altro si sono protratti per anni senza raggiungere l’obiettivo degli accordi; inoltre l’elaborazione di scelte politiche in materia condensate in Programmi quinquennali adottati dal Consiglio europeo non hanno un carattere vincolante ma rimangono semplici raccomandazioni.

Dall’analisi condotta della normativa europea apparirà chiaramente le garanzie a tutela di un cittadino di uno Stato terzo siano minori rispetto ad un cittadino UE, come dimostrano gli ordinamenti restrittivi con riguardo all’immigrazione proveniente da Paesi terzi. Eppure l’intenzione della Commissione nel Programma di Stoccolma era quella di adottare un codice dell’immigrazione che assicuri agli immigrati legali uno status giuridico uniforme e paragonabile a quello dei cittadini dell’UE. Ne risulta che, in questo quadro giuridico indubbio e poco unitario, le lesioni ai diritti degli immigrati potrebbero essere all’ordine del giorno nell’attuazione pratica e non solo da parte dei Paesi di origine e di transito dei flussi, ma anche dei Paesi UE di destinazione15. A rendere più oscura la sfera delle garanzie, si pensi che i rimedi giurisdizionali statali non sempre riescono a intervenire con efficacia e tempestività. Eppure la presenza di una disciplina UE corretta ed attenta ai diritti fondamentali, potrebbe essere inquadrata come “strumento addizionale di controllo esterno sull’operato delle autorità degli Stati

membri e di reazione alle lesioni dei diritti dei singoli”16.

11

Di questo parere Danese G., Le politiche migratorie nazionali nella prospettiva della comunitarizzazione. I casi di Francia e Spagna, Laboratorio CeSPI, Institut d’Etudes Politique de Paris, 2000.

12 Ibid.

13 Si veda il capitolo 3 e in questo capitolo il paragrafo 4.2 e 4.3. 14

Wolff, cit., p.9 15

A questo proposito si guardino le preoccupazioni espresse da Amnesty International, Hay que rellenar las lagunas del Programa de Estocolmo, cit.. In particolare l’Organizzazione lamenta che il Programma di Stoccolma non contiene nessuna disposizione che introduca un organo di vigilanza e di sorveglianza per gli abusi commessi.

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77 4.1.1 Il diritto di ingresso e di uscita

Come già citato17 ogni Stato risulta avere un ampio margine di manovra per configurare la propria politica migratoria sul proprio territorio.

Sul piano del diritto positivo il diritto di entrata ed uscita sono due concetti alquanto discordanti, anche se complementari nella pratica; se da un lato infatti, molti trattati internazionali e regionali hanno riconosciuto la libertà al singolo di lasciare qualsiasi Paese compreso il proprio salvo alcune restrizioni18, evitando che la libertà di uscita venga considerata una “graziosa concessione”19, dall’altro gli Stati hanno costantemente

ribadito che l’ammissione rientra nel c.d. dominio riservato, con la conseguenza di normative statali diversificate.

Nello specifico il diritto di uscita è riconosciuto nei seguenti trattati: Dichiarazione universale dei diritti umani (art.13, par.2) del 1948, Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione raziale (art.5), Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (art.10, par.2), ICCPR (art.12, par2), Convenzione americana sui diritti umani (art.22, par.2), Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (art.12, par.2), CEDU (art.12 del Protocollo n.4) e Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e le loro famiglie (art.8).

La sempre più marcata affermazione dei diritti umani con le loro forme di tutela e controllo fa sì che il diritto a emigrare venga annoverato tra i diritti suscettibili di tutela nell’ambito internazionale20

.

Parlando del diritto di entrata, secondo il diritto internazionale uno Stato è libero di decidere se procedere con l’allontanamento e permettere la presenza sul territorio di persone arrivate irregolarmente. Sulla base del diritto consuetudinario, le navi straniere posso entrare nelle acque interne per approdare ad un porto solo e soltanto con il consenso dello Stato interessato. La situazione non cambia in alto mare: le disposizioni di allontanamento e ammissione del Paese di destinazione operano ogni qual volta tale Stato eserciti atti di coercizione sulle imbarcazioni di migranti o svolga compiti di soccorso. Eppure parlare di migranti irregolari in alto mare sembra un paradosso, poiché la condizione dell’irregolarità si consuma soltanto dopo che le persone coinvolte sono entrate nel mare territoriale dello Stato di destinazione (o di uno Stato di transito), e non quando la nave che li trasporta si trova ancora in alto mare.

17

Si veda nel capitolo 2 paragrafo 2.3, parte I. 18

Per un approfondimento sulle restrizioni si veda Di Filippo, La c.d. libertà di circolazione nel diritto internazionale, cit., p.56-63.

19

Di Filippo, L’ammissione di cittadini stranieri, cit., p.83. 20 Calamia, op. cit., p.9.

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78 Quindi gli Stati riconoscono il diritto a partire ma non a scegliere dove andare, con l’obiettivo di non obbligare i propri cittadini o stranieri residenti a stare sul territorio contro la loro volontà: è con questa logica che trattati sui diritti umani hanno inteso imporre obblighi allo Stato di partenza, ma non a quello di destinazione.

Riguardo poi al diritto di entrata restano da specificare tre questioni: a) il diritto positivo obbliga lo Stato di cittadinanza di un individuo respinto o espulso a consentirne l’ingresso/reingresso sul proprio territorio; b) in assenza di norme convenzionali in materia, il rifiuto all’ingresso non è mai stato valutato come fatto illecito, così che sono pochi gli Stati che hanno attuato protezione diplomatica dei propri cittadini non ammessi sul territorio di un altro Stato; c) nonostante l’ampia discrezionalità statale in questa materia, molte norme consuetudinarie e accordi multilaterali possono porre condizionamenti al principio di libertà degli Stati21.

Inoltre a complicare il quadro si aggiunga che ogni Stato decide in maniera autonoma la questione dei documenti di riconoscimento, attribuendo loro valore di vario tipo, anche sulla base di accordi bilaterali e multilaterali. Per esempio, sulla base delle disposizioni contenute nell’accordo di Schengen, il CAAS dedica alcune norme in tema di ingresso e soggiorno di cittadini di Stati terzi22; in relazione alla modalità che possono essere svolte in frontiera al momento dell’attraversamento, lo straniero è sottoposto ad un controllo approfondito finalizzato alla ricerca dei requisiti necessari per il diritto di soggiorno e in caso di assenza di uno di questi, il respingimento è automatico23; non è ammessa né la concessione di un periodo di grazia né che il soggetto possa essere messo in grado di dimostrare in altri modi il possesso dei requisiti, come accade invece per i cittadini UE: l’unica deroga consiste quindi nell’applicazione di regole internazionali o statali sull’asilo o su forme di protezione internazionale.

Inoltre, anche se sembra che allo Stato membro non rimanga un alto margine di discrezionalità per rifiutare l’ingresso del suddetto cittadino, riguardo alle condizioni di ingresso per un periodo non superiore tre mesi24, in realtà alcuni requisiti da essere soddisfatti sono ambigui, lasciando decidere nella prassi applicativa arbitrariamente alle

21

Un esempio si trova nella garanzia del non refoulement; si veda in questo capitolo il paragrafo 4.5. 22

L’art. 5, par.1 elenca le condizioni per l’ingresso dei cittadini di Paesi terzi: possedere sia “uno o più documenti di viaggio validi”; (lett.a) sia “un visto valido, se richiesto (…), salvo che si sia in possesso di un permesso di soggiorno valido” (lett.b); provare sia “lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto” sia il godimento “dei mezzi di sussistenza” tanto per il soggiorno quanto per il ritorno nel Paese di origine o di transito (lett.c); “non essere segnalato” nel Sistema d’Informazione Schengen (lett.d); “non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri” (lett. e). Inoltre l’art.4, par. 1 prevede l’attraversamento delle frontiere esterne unicamente ai valichi di frontiera durante le ore stabilite. Tuttavia, il par. 2 del citato articolo contempla alcune eccezioni con specifico riferimento sia ai valichi che alle ore di apertura.

23 La mancanza delle suddette condizioni comporta il respingimento (art.13, par.1), salvo l’applicazione di specifiche disposizioni “relative al diritto d’asilo e alla protezione internazionale o al rilascio di visti…”. 24 Art.5, par.1, regolamento (CE) n.562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15.03.2006, Codice frontiere.

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79 guardie di frontiera; ne sono un esempio il concetto di pericolosità sociale e minaccia alle relazioni internazionali25.

In riferimento al diritto di uscita, bisogna poi sottolineare una insidiosa lacuna normativa: il diritto dell’UE tratta del diritto di uscita solo in relazione ai cittadini di Stati terzi legalmente residenti in uno Stato membro26 o titolari di un visto uniforme Schengen (art.19-21); nessun cenno di tale diritto si trova nella Carta UE dei diritti fondamentali, concentrata invece sulla circolazione infra-comunitaria (art.45) e sul principio di non refoulement (art.19).

Trattando brevemente la materia di ingresso tramite visto (laddove richiesto dalla pertinente disciplina27), le garanzie sembrano molto sfumate e poco chiare nella ripartizione delle competenze statali ed europee28. Da una lettura dell’art.5 del CAAS sembra che per il soggiorno di periodo inferiore a tre mesi, gli Stati29 non esercitano nessuna discrezionalità legislativa, con una lista di motivi ristretti per rifiutare l’ingresso; ma con una lettura più attenta si nota come ristretti non voglia dire anche precisi: i requisiti che devono essere soddisfatti sono molto soggettivi e gli Stati membri sono legittimati a decidere arbitrariamente sui motivi di base di un eventuale respingimento. Discorso analogo è quello sui visti di lunga durata: i requisiti che devono essere soddisfatti dal richiedente sono molto soggettivi.

Inoltre gli Stati decidono autonomamente a quali cittadini di Stati terzi imporli e sono gli unici competenti ad esaminare la richiesta con la conseguenza sia di un alto rischio di arbitrarietà da parte del singolo consolato, sia di disparità consolari tra gli Stati. Questa logica è stata sviluppata al fine di dare agli Stati membri il diritto di determinare le condizioni d’ammissione e i volumi d’ingresso sul proprio territorio dei c.d. lavoratori migranti30. A ciò si deve aggiungere che in primo luogo gli Stati che impongono il visto spesso specificano nella propria legislazione che il rilascio non ne esclude la negata ammissione al momento dell’attraversamento in frontiera; in secondo luogo solo in casi

25

In particolare con la causa C-503/03, Commissione c. Spagna, la Corte di giustizia ha sottolineato che le nozioni di ordine pubblico e sicurezza pubblica relative al controllo delle frontiere esterne dotino gli Stati membri interessati di una maggior discrezionalità, in quanto non sottoposte ai condizionamenti previsti per le clausole applicabili ai cittadini UE.

26

Da notare che il diritto internazionale consuetudinario non vieta l’espulsione dello straniero residente. 27

Regolamento (CE) n.539/2001 del Consiglio, del 15.3.2001 che adotta l'elenco dei Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei Paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo. Nel corso degli anni ci sono state varie modifiche.

28

L’UE ha esteso le proprie competenze in materia di rilascio dei visti per soggiorni di breve durata, mentre per quanto riguarda i visti d’ingresso di lunga durata (superiori ai tre mesi) rimangono prettamente competenti gli Stati.

29

La normativa UE relativa ai visti di corta durata non è riconosciuta dall’Irlanda e dal Regno Unito, mentre è applicata anche per la Svizzera, Norvegia, Liechtenstein e Islanda.

30

In materia di immigrazione lavorativa la riserva di sovranità degli Stati membri è contemplata all’art.79, par.5 TFUE; in particolare anche in questo campo la direttiva 2003/109/CE ha delle importanti lacune riguardo l’ammissione dei lavoratori stagionali, dipendenti di società multinazionali e lavoratori stagionali: si rileva una discrezionalità valutativa nel diritto di ingresso e una forte rigidità circa la conversione in permesso di soggiorno.

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80 eccezionali una persona sprovvista ha la possibilità di richiederne e ottenerne il rilascio in frontiera31.

Concludendo quindi riguardo a questi diritti sopra trattati, i singoli possono sperare a tutele maggiori solo laddove lo Stato in questione partecipi a Trattati multilaterali dotati di meccanismi avanzati di controllo sull’operato delle autorità incaricate oppure presenti nel proprio ordinamento strumenti tali da assicurare l’efficacia e la corretta interpretazione del diritto consuetudinario.

4.1.2 La Direttiva rimpatri e gli aspetti controversi

La direttiva rimpatri32 del 2008 è stata concepita con l’obiettivo di stabilire norme comuni per il rimpatrio dei cittadini di Stati terzi non beneficiari della libera circolazione, soggiornanti illegalmente nel territorio di uno Stato membro.

L’obiettivo dichiarato è quello di stabilire norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace per affrontare un politica d’immigrazione correttamente gestita; tuttavia con una lettura più attenta sorgono dubbi sia sull’elaborazione di uno standard comune sia sul rispetto dei diritti fondamentali e della dignità dei migranti.

Innanzitutto il trattamento dei migranti in relazione alla destinazione del rimpatrio appare molto superficiale, tanto che il termine rimpatrio appare dotato di un significato più ampio: può avvenire non solo verso il Paese di origine, ma anche verso uno Stato terzo in cui il cittadino decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato, o in un Paese di transito in conformità con accordi comunitari o bilaterali di riammissione, includendo come possibile destinazione Paesi diversi dalla patria ( art.3, par.3).

In secondo luogo la direttiva non sembra essere molto specifica riguardo ai suoi destinatari: in mancanza di altre disposizioni nell’ordinamento statale, è rivolta a chiunque abbia effettuato un ingresso irregolare o sia soggiornate in uno Stato membro irregolarmente33, includendo anche situazioni riguardanti cittadini di Stati terzi legalmente residenti in uno Stato membro che devono essere espulsi per motivi di sicurezza nazionale, ordine pubblico, revoca, scadenza e mancato rinnovo dei titoli di soggiorno di lunga o breve durata (art.3, par.2).

In terzo luogo al momento della sua attuazione nei vari ordinamenti dei singoli Stati membri, la discrezionalità è molto ampia. Infatti la direttiva dota il legislatore statale

31

Regolamento (CE) n.810/2009, art. 35-36, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13.7.2009. 32

Direttiva n.2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, del 16.12.2008 su proposta della Commissione nel 2005.

33

Ossia ha effetto diretto su chiunque non soddisfi più le condizioni di ingresso dell’art.5 Codice frontiere o altre condizioni di ingresso, soggiorno o residenza in uno Stato membro.

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81 della possibilità sia di non applicarla a due particolari casi di cittadini di Stati terzi34, sia di autorizzare il migrante a restare sul territorio in caso di procedura di rinnovo del permesso di soggiorno o per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura: ciò fa capire bene come i migranti siano ancora una volta in balia di diverse decisioni degli orientamenti statali.

Ma non è tutto: la direttiva tantomeno si occupa direttamente delle correlate decisioni che pongono fine a un soggiorno regolare, di cui se ne occupa il diritto derivato con sempre conseguenti discrezionalità statali. Infatti nella recente sentenza Achughbabian35, la Corte di Giustizia afferma che “l'oggetto della direttiva 2008/115/CE è soltanto il

rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare, senza avere l'obiettivo di armonizzare integralmente le norme interne sul soggiorno degli stranieri”. Sempre nella

stessa sentenza la Corte di Giustizia ha ribadito che la direttiva “non vieta che il diritto di

uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare alla stregua di reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione delle norme nazionali in materia di soggiorno”, così che le condizioni dell’arresto iniziale di

cittadini di Paesi terzi sospettati di soggiornare in modo irregolare in uno Stato membro rimangono disciplinate dall’ordinamento nazionale.

Inoltre non specificate o ridotte all’osso sono anche le questioni relative alle procedure di ricorso, lasciando campo libero agli Stati membri; ma è noto che gli Stati membri adottano differenti standard reali in termini accuratezza delle procedure in esame, possibilità e tempi di ricorso, trattamento del richiedente. Come evidenziato sopra l’art.6 della direttiva lascia libero lo Stato di valutare l'opportunità di astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio fino al completamento della procedura, qualora un cittadino di un Paese terzo in condizione irregolare, abbia iniziato una procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno o di un'altra autorizzazione che conferisce il diritto di soggiornare. Tuttavia va ricordato che secondo gli standard delineati dalla CEDU (art.13), laddove il soggetto faccia valere motivi di ricorso concernenti il rispetto del non

refoulement, occorrerà prestare attenzione all’esigenza di sospendere l’esecuzione

dell’allontanamento finché non sia stata presa una decisione in merito.

Le informazioni sui motivi di fatto inoltre “possono essere ridotte laddove la

legislazione nazionale consenta che il diritto di informazione sia limitato, in particolare per salvaguardare la sicurezza nazionale, la difesa, la pubblica sicurezza e per la

34

In particolare si possono escludere i cittadini di Stati terzi scoperti o fermati dalle autorità competenti in occasione di un attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un’autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato oppure coloro che sono stati sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale o sottoposti a procedure di estradizione. In quest’ultimo caso dipende però dalla conformità della legislazione nazionale. 35 Sentenza Achughbabian, causa C - 329/11, n. 28, 6 dicembre 2011.

(9)

82

prevenzione, le indagini, l'accertamento e il perseguimento di reati”36. Gli Stati non sono neanche obbligati a fornire una traduzione scritta od orale dei principali elementi della decisione connessa al rimpatrio, ai cittadini che non hanno ottenuto un diritto di soggiorno o un autorizzazione (art.13 par.2), sebbene l’art.5 par.2 della CEDU lo preveda.

In quarto luogo alcuni autori37 sottolineano preoccupazioni assai condivisibili derivanti dalla limitazione delle libertà personali, citate all’art.6 TUE38

; infatti gli Stati membri che intercettano illegali hanno diritto a detenerli in centri di detenzione “por un

periodo maximo de seis meses, ampliables a 12 meses más en caso de que la persona o el Pais tercero en cuestion no cooperen”39(art.15), permettendo una detenzione degli immigrati irregolari fino anche a 18 mesi. Inoltre gli Stati hanno la facoltà di “empeorar

su propria legislación en cuanto a detención”40, ricorrendo se necessario a provvedimenti cautelari ante ripatrio e misure coercitive41. In merito a questa questione è bene sottolineare tre punti in relazione al diritto positivo: anche se la CEDU ammette tale possibilità all’art.5 lett.e, in primo luogo sia il diritto internazionale sia la direttiva danno solo la facoltà di procedere al trattenimento in strutture detentive e non un obbligo42; ove non sia possibile un rimpatrio forzato non c’è nessun automatismo nell’invio dello straniero in centri di detenzione, diffondendosi la regola generale che si debba far ricorso a misure meno restrittive; da ultimo la direttiva prevede solo due ipotesi43 ristrette relative alla detenzione. Inoltre anche se magra consolazione la direttiva vuole che i cittadini di paesi terzi trattenuti siano tenuti separati dai detenuti ordinari.

Lo stesso Barge rimane scettico anche sull’art.4 della direttiva che lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli vigenti in forza di: a) accordi bilaterali o multilaterali tra la Comunità, o la Comunità e i suoi Stati membri, e uno o più Paesi terzi; b) accordi bilaterali o multilaterali tra uno o più Stati membri e uno o più Paesi terzi; quindi anche in forza di accordi di riammissione, situazione in cui la possibilità di violazioni del principio di non refoulement è alta.

36

Direttiva rimpatri, art.12, par.1. 37

Fernández Sánchez, op. cit., p.177 e Barge, op. cit., p.7. 38

“1. L'Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. 2. L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”.

39

Fernández Sánchez, op. cit., p.177. 40 Barge, op. cit., p.7.

41

Ibid. Inoltre Barge sottolinea che molto spesso “eso va a traducirse para las personas interesadas, en sanciones penales, prisión, o incluso malos tratos”.

42

Dall’art.10 della direttiva si ricava che solo qualora uno Stato membro non possa ospitare il cittadino di un Paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea, può sistemarlo in un istituto penitenziario; in quale caso i cittadini di Paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari.

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83 Anche la parte dedicata ai minori non accompagnati, inclusi nella categoria di

persone vulnerabili44, è dubbia: in particolare l’art.10 par.2 dispone che il minore sia

ricondotto a un membro della sua famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza nello Stato di rimpatrio; ma chi verifica l’adeguatezza di queste strutture e il trattamento del fanciullo una volta rimpatriato molto spesso in Paesi con garanzie ridotte all’osso? In questo senso supportata è anche la tesi secondo cui il trattamento dei minori nella direttiva contrasta con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del fanciullo45.

Detto ciò va considerato che la direttiva all’art.5 dice espressamente che gli Stati membri devono rispettare come principi giuridici vincolanti il principio di non

refoulement, nonché tenere in considerazione l’interesse superiore del bambino, le

condizioni di salute del cittadino di un Paese terzo interessato e la vita familiare, come ribadito all’art.8 della CEDU.

4.2 L’attività di prevenzione nell’ingresso e nell’attraversamento

Le regole di attraversamento delle frontiere esterne sono le stesse per tutti gli Stati che applicano la normativa Schengen, in seguito al Protocollo n.2 allegato al Trattato di Amsterdam; gli Stati vincolati da queste regole non sono pertanto liberi di configurare i controlli di frontiera, portando, come abbiamo visto, ad un severo inasprimento dei controlli46.

L’attività di prevenzione viene portata avanti mediante forme di cooperazione con lo scopo di identificare lo straniero, condividere dati ed esperienze acquisite, mediante anche l’assistenza tecnica del personale di frontiera. Gli Stati di destinazione hanno infatti coinvolto sia altri Stati di destinazione sia gli Stati di origine appartenenti alla stessa area geografica nell’attività di sorveglianza alle frontiere aeree, marittime e terrestri; inoltre la cooperazione può essere sia a livello bilaterale che multilaterale e di solito, come vedremo nell’esperienza spagnola47

, è sul piano bilaterale che vengono intrapresi gli accordi più significativi48.

44

In particolare l’art.3 par.9 definisce persone vulnerabili i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in gravidanza, le famiglie monoparentali con figli minori e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

45

Si veda Fernández Sánchez, op. cit..

46 Si veda nel capitolo 3 il paragrafo 3.1, parte II, relativo c.d. cortina di ferro. Sia gli Stati candidati all’adesione dello spazio Schengen sia gli Stati membri UE che non partecipano ad esso, sono sottoposti ad una valutazione circa la loro idoneità ad assicurare la corretta attuazione degli obblighi in tema di controlli delle frontiere esterne. 47

Si veda la parte III dedicata alla gestione del fenomeno dell’immigrazione da parte della spagnola.

48 In questo senso il rafforzamento del controllo delle frontiere e la prevenzione di flussi irregolari o illegali può essere realizzata nell’ottica di una cooperazione più ampia che include assistenza tecnica, la disciplina della riammissione, cooperazione allo sviluppo, etc.

(11)

84 Questa attività complessa può essere riassunta in vari ambiti di cooperazione49: a) scambio di informazioni e dati (protocollo sullo smuggling, sul trafficking e le banche dati UE); b) invio di ufficiali distaccati presso le autorità di frontiera di altri Stati; c) operazioni di pattugliamento congiunto.

Riguardo allo scambio di dati e informazioni, a livello universale è stato possibile trovare un accordo tra gli Stati di destinazione e Stati di origine solo in relazione allo scambio di informazioni diretto alla prevenzione e repressione dei fenomeni criminali; a questo proposito particolare rilievo assume l’Interpol50

e i due Protocolli addizionali alla Convenzione di Palermo, il primo volto a combattere il trafficking e il secondo a contrastare lo smuggling, adottati dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2000. Inoltre l’art. 27 par. 1 lett. d della Convenzione prevede che gli Stati debbano cooperare al fine di promuovere lo scambio di personale e di altri esperti, incluso il distaccamento di ufficiali di collegamento, previa conclusione di accordi bilaterali.

Se ci spostiamo a livello europeo invece, il coinvolgimento di soli Stati di destinazione ha permesso di aspirare ad una vera e propria gestione integrata delle frontiere tramite le banche dati come SIS, Eurodac e Vis. In questo senso esistono anche forme di cooperazione amministrativa e di polizia tra gli Stati membri, finalizzate all’identificazione dello straniero, alla condivisione di esperienze e dati, all’assistenza tecnica del personale di frontiera.

L’impiego di ufficiali distaccati presso le autorità di frontiera di altri Stati ha varie funzioni: raccolta di informazioni, scambio di dati ed esperienze, coadiuva le attività territoriali nell’attività di controllo dei documenti e dei requisiti per l’ingresso nello Stato di destinazione. Oltre alla già citata Convenzione di Palermo51, a livello regionale il regolamento (CE) 377/2004 ha stabilito un meccanismo di cooperazione tra i rispettivi funzionari di collegamento che sono stati distaccati sul territorio di Stati terzi dal servizio dell’immigrazione o da altre autorità competenti; tali funzionari possono essere distaccati presso le autorità consolari degli Stati membri situati in Paesi terzi, pertinenti autorità di altri Stati membri, competenti autorità dei Paesi terzi o organizzazioni internazionali, allo scopo di mantenere i contatti con le autorità del Paese ospitante per contribuire alla prevenzione dell’immigrazione irregolare, al rimpatrio di clandestini e anche alla gestione dell’immigrazione regolare52

. Tuttavia obblighi più specifici

49

Si rileva molto difficile e quasi impossibile classificare le attività di cooperazione tra gli Stati nel contrasto all’immigrazione irregolare, data sia la varietà sia l’utilizzo di molte tecniche in concomitanza tra loro, nonché inoltre le informazioni sono offuscata da un’area grigia riguardante attività ai limiti della legalità o a volte illegali. 50

Organizzazione internazionale delle polizie criminali; offre un formulario standard per poter segnalare casi di traffico di migranti in modo tale da poterli registrare nella medesima banca dati, oltre a collaborare con la polizia di frontiera e i servizi per l’immigrazione.

51

Si veda nel capitolo 3 il paragrafo 3.2, parte II. 52 Marinai, op. cit., p.553.

(12)

85 potrebbero essere previsti all’interno di accordi conclusi a livello bilaterale con Stati di provenienza dei flussi.

Quindi il distaccamento di agenti può essere utile sia nel caso in cui agenti dello Stato di destinazione siano inviati presso i valichi di frontiera dello Stato di origine sia viceversa; in particolare nell’ultimo caso lo scambio di informazioni tra le autorità può rivelarsi efficace nel momento in cui i migranti si presentano alle frontiere senza documento di viaggio o con documento falso o rubato.

Detto ciò, quindi è quasi ovvio specificare che, nonostante spetti all’UE dettare regole sulle modalità di effettuazione dei controlli alle frontiere, in primo luogo la realizzazione concreta dei controlli è demandata alle autorità statali competenti tanto che non esiste tutt’ora un corpo europeo di guardie di frontiera o di unità europee incaricate al controllo delle frontiere marittime meridionali53; in secondo luogo l’UE non ha adottato una politica comune sul comportamento di ufficiali di Stati membri presso porti e aeroporti di Paesi terzi, ma rimane contemplato da alcuni Stati solo sulla base di accordi bilaterali. Nessun controllo così esiste sulle guardie di frontiera così che in ogni Nazione operano in un quadro normativo elaborato dal legislatore statale con differenti regole, con il rischio di comportamenti arbitrali e situazioni in cui la dignità della persona viene lesa.

Inoltre lo Stato un'altra difficoltà deriva dal fatto che ospite deve accettare la presenza sul proprio territorio di agenti stranieri: ciò porta ad una significativa incidenza sulla sovranità dello Stato in questione.

A complicare i quadro inoltre c’è anche un’altra questione generale; malgrado le proteste avanzate dai Paesi d’immigrazione verso i Paesi di emigrazione, lo Stato di partenza non ha l’obbligo di accertarsi che i soggetti che si recano in altri Stati abbiano un titolo valido di ingresso in quel Paese: uno Stato può affermare che ha fatto tutto quanto era in suo potere per prevenire un’attività di emigrazione irregolare e che al momento dell’uscita al proprio territorio non può sapere se certi individui tenteranno un ingresso irregolare in altri Stati.

Nel 2008 la Commissione ha presentato un primo documento di discussione54, a cui ha fatto seguito un accoglimento da parte del Consiglio e un decisivo impulso da parte del Consiglio europeo del 2011: ciò ha portato alla presentazione del progetto smart

borders 2011 per rendere più efficienti e rapidi i controlli alla frontiera esterna55. In particolare gruppi di viaggiatori frequenti si possono registrare, previo esame preventivo associato, e beneficiare di verifiche di frontiera semplificate; ma la conseguenza

53

Da notare che il Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo aveva ripreso l’idea di un sistema europeo di guardie di frontiera e il Programma di Stoccolma ha inviato la Commissione europea ad avviare uno studio sulla fattibilità in materia.

54

Doc. COM (2008) 69, cit..

(13)

86 implicita è quella sia di categorizzare i cittadini dei Paesi terzi come viaggiatori in buona fede e in mala fede56, sia che il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne tocca indirettamente anche i beneficiari della libera circolazione. Inoltre nel dicembre 2011 inoltre la Commissione ha formalizzato in una proposta di regolamento57 l’istituzione un sistema di sorveglianza del confine meridionale dell’UE, denominato European Border

Surveillance System (EUROSUR), su proposta della Commissione a febbraio 200858; in particolare a ottobre 2013 il Parlamento europeo ha approvato le regole del suo funzionamento, concordate con i governi nazionali.

In realtà l’idea di metodi comuni affinché i responsabili dei controlli delle frontiere esterne possano coordinare la loro azione al fine di realizzare un quadro coerente per un'azione comune che permetteva una gestione integrata delle frontiere esterne, ha radici più lontane. Già da dicembre 2000 il Consiglio di Nizza insisteva nella necessità di una cooperazione tra i sistemi di vigilanza statali alle frontiere esterne, in particolare quelle marittime; al punto 42 delle conclusioni del Consiglio europeo di Laeken gli Stati membri si impegnavano ad attuare una migliore gestione dei controlli alle frontiere esterne dell'UE per lottare efficacemente contro il terrorismo, l'immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani. Nella comunicazione del 7 maggio 2002, intitolata Verso

una gestione integrata delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea59, la Commissione aveva auspicato l'istituzione di un organo comune di esperti in materia di frontiere esterne che si occupasse della gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri che ha trovato attuazione nel Piano per la gestione

delle frontiere esterne degli Stati membri, concordato dal Consiglio nel 200260. Alla luce

56

Per un approfondimento critico Di Filippo, Controllo delle frontiere e ruolo della cooperazione internazionale, cit., p.148.

57

Doc. COM (2011) 873 del 12.12.2011. 58

Doc. COM (2008) 68 del 13.02.2008. In questa comunicazione ad EUROSUR vengono stabiliti tre compiti: ridurre il numero di immigrati illegali che riescono ad entrare clandestinamente nell’UE, aumentare la sicurezza interna in tutta l’UE contribuendo a prevenire la criminalità transfrontaliera, aumentare la capacità di ricerca e di salvataggio. EUROSUR è stato istituito con l’intento di fornire agli Stati membri situati lungo i confini ad Est e a Sud dell’UE, un quadro tecnico e operativo comune di assistenza nelle operazioni di contrasto alla criminalità transfrontaliera e di prevenzione dell’immigrazione clandestina, attraverso la condivisione di informazioni operative al fine di cooperare con Frontex e con gli altri Organismi europei e internazionali che operano nel settore. In particolare ciascuno Stato membro situato lungo le frontiere esterne avrà attivo di Centri Nazionali di coordinamento che facciano circolare informazioni rilevanti tra tutte le autorità responsabili della sorveglianza delle frontiere a livello nazionale, gli altri centri nazionali di coordinamento e Frontex. EUROSUR entra in vigore dal 1 dicembre 2013, coinvolgendo tutti gli Stati membri situati ai confini marittimi e terrestri a Sud e ad Est dell’UE (Bulgaria, Croazia, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia e Spagna) e la Norvegia; dal 1 gennaio 2014 parteciperanno anche Belgio, Germania, Paesi Bassi e Svezia. Per una panoramica generale sul ruolo di EUROSUR su veda: Commissione europea, EUROSUR: new tools to save migrants' lives at sea and fight cross-border crime, 19.06.2013, doc. MEMO/13/578.

59

Doc. COM (2002) 233 del 7.05.2002

60 Decisione n.2002/463/CE del Parlamento e del Consiglio del 13.06.2002, che istituisce un programma d'azione finalizzato alla cooperazione amministrativa nei settori delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione (programma ARGO).

(14)

87 delle difficoltà strutturali nella collaborazione Scifa+/PCU61, a giugno 2003 il Consiglio europeo di Salonicco da il via alla creazione dell’agenzia Frontex che viene approvata formalmente nel 2004 con il regolamento (CE) 2007/200462.

Tuttavia lo sviluppo di un border management nel Mar Mediterraneo sia a livello multilaterale che bilaterale, è davvero una risposta efficace alla drammatica realtà degli immigrati irregolari in cerca del “sogno europeo”? Innanzitutto sebbene l’immagine delle barche di migranti che arrivano sulle coste meridionali dell’Europa contribuiscono a diffondere l’idea di un’invasione mediterranea e che la militarizzazione ai confini meridionali UE sia una risposta naturale63, il numero di immigranti irregolari via mare è di gran lunga minore rispetto a quelli che entrano con documenti falsi oppure

overstayer64. Inoltre nei prossimi paragrafi vedremo come tutte queste attività di prevenzione abbiano conseguenze alquanto delicate e, se finalizzate solo ad impedire agli immigranti di raggiungere i territori UE, non sembrano essere molto efficaci. Infatti in primo luogo i flussi migratori non si arrestano ma mutano soltanto le loro rotte e destinazioni (c.d. waterbed effects), spesso più lunghe e pericolose65; in secondo luogo occorre avere riguardo a non violare le principali norme internazionali sui diritti umani, anche in situazioni di irregolarità; problematica che non è da sottovalutare proprio in caso di accordi bilaterali che prevedono operazioni di pattugliamento congiunto e respingimenti push back, alla luce del fatto che oggigiorno i flussi sono prevalentemente misti. A questo proposito anche Rijpma esprime preoccupazione: “By making it

increasingly difficult for people to actually reach UE territory, the Member States try to avoide the responsability for asylum claims or the removal of irregularly-present

61

Scifa (Strategic Committee on Immigration, Frontiers and Asylum) viene creato dal Trattato di Amsterdam nel ’97 come Council working group ed avviato nel ’98 allo scopo di elaborare strategic guidelines sui temi di immigrazione, frontiere e asilo. Successivamente ha assunto la forma di Scifa+ con il compito di approvare e monitorare operazioni congiunte e progetti pilota nell’ambito del border management. Per sopperire alle difficoltà incontrate da Scifa+, nel 2002 venne creato il PCU (External Border Practioners Common Unit) come leader’ co-ordinating and controlling operational projects. Tuttavia due anni più tardi il Consiglio decide di fare un passo oltre, così che l’esperienza dura solo un anno. Per un approfondimento si veda Wolff S., Schout A., Frontex as agency: More of the Same?, Paper presented at the EUSIM, the Governance of Asylum and Migration in the European Union, University of Salford, Centre for European Security, 26-27.01.2012.

62

Tuttavia la Commissione e il Parlamento europeo auspicavano ad un corpo di guardie di frontiera europeo o unità europee incaricate del controllo delle frontiere marittime meridionali; anche l’auspicio formulato dal Consiglio europeo nel 2004 e 2005 andava verso questa direzione. Tuttavia il dibattito tra gli Stati membri era molto acceso a causa della poca volontà di supportare gli Stati mediterranei a seguito delle c.d. regolarizzazioni (si veda nel capitolo 5 il caso delle regolarizzazioni spagnole). Per un approfondimento su Frontex e sui suoi regolamenti si veda in questo capitolo il paragrafo 4.4. L'agenzia assume le proprie funzioni dal 1° maggio 2005 e la decisione n.2005/358/CE del Consiglio del 26.04.2005 fissa la sede a Varsavia.

63

Wolff, op. cit., p.9 64

Frontex, Annual Risk Analysis 2013, Varsavia, aprile 2013, Secondo Frontex “The single biggest entry route for migrants into the EU is via international airports: most of those who currently reside in the EU illegally, originally entered in possession of valid travel documents and a visa whose validity period they have since overstayed”. Inoltre secondo dati OECD 2008 relativi all’Italia “about 60-65% of unauthorised immigrants are overstayers, another fourth persons who entered with fraudulent documents and the remainder persons who entered illegally, by sea or across borders”(OECD, International Migration Outlook, Annual report, SOPEMI, 2008).

65 Per esempio secondo l’analisi condotta da Frontex, Annual risk Analysis 2013, cit, “many of the migrants who crossed illegally through the Eastern Mediterranean route are expected to continue making secondary movements across the Western Balkans and within the EU”.

(15)

88

country nationals”66. Eppure il regolamento EUROSUR, a proposito della cooperazione tra Stati terzi e Stati membri, stabilisce che ogni cooperazione tra Stati UE e Paesi

partner deve essere basata su un agreements, oltre al fatto che gli Stati UE devono

informare la Commissione prima di concludere tali accordi, la quale verificherà il pieno rispetto dei diritti fondamentali e del principio di non-refoulement67. In terzo luogo nel caso in cui le barche non siano guidate da migranti stessi, ma da terze persone molto spesso si arrestano prima di raggiungere le acque territoriali al fine di non essere intercettate dalla guardia costiera, lasciando i migranti in mare e limitandosi a lanciare segnali luminosi verso la costa68.

Inoltre non bisogna dimenticare ancora una volta che proprio la disciplina stessa UE in relazione all’ingresso alla frontiera esterna crea molte disparità e confusione ai cittadini di Stati terzi, proprio per la sua formulazione e la sua logica a geometria variabile.

4.2.1 L’esternalizzazione dei controlli di frontiera

Tendenzialmente il territorio di uno Stato termina laddove inizia il territorio di un altro Stato. L’IOM definisce la frontiera “line separating the land territory or maritime

zones of one State from another”69, intendendo questa come una linea di demarcazione, passata la quale uno Stato ha il potere di esercitare la propria giurisdizione sul territorio, controllando gli ingressi e le uscite di persone ed oggetti, “in exercise of its

sovereignty”70. Tale potere implica così l’istituzione di postazioni fisse di controllo

lungo le principali vie di comunicazione e l’erigere di strutture fisiche che impediscono attraversamenti incontrollati.

Tuttavia nel caso della c.d. esternalizzazione dei controlli di frontiera i controlli vengono realizzati in prossimità dei confini politici di uno Stato, determinando una dissociazione tra il momento dell’attraversamento della frontiera e lo svolgimento effettivo dei controlli. Si pensi per esempio al trasporto aereo o alle frontiere marittime71, in opposizione a quanto avviene alle frontiere sulle vie di comunicazione stradale e ferroviaria. In questo senso si cerca di selezionare o di fermare gli immigrati nei Paesi di transito, molte volte prima che arrivino anche solo ad intravedere il suolo europeo.

66

Rijpma J. J., Frontex: Successful Blame Shifting of the Member State?, in “Analysis of Real Instituto Elcano”, n.69/2010, p.2.

67 Doc. PE-CONS 56/13 dell’11.10.2013, Regulation of the European Parliament and of the Council establishing the European Border Surveillance System (EUROSUR).

68

A questo proposito nel doc. COM (2008) 68, cit., p.4 si legge anche che molto spesso le barche sono inadatte ad affrontare tali viaggi e tale capienza.

69 International Organization of Migration (IOM), IOM's Glossary on Migration. 70

Ibid.

(16)

89 Questa logica rientra nella ratio secondo cui forme di cooperazione tra Stati confinanti sono molto spesso usate dagli Stati di destinazione per prevenire alla fonte gli arrivi di migranti sprovvisti di un valido titolo di ingresso. In particolare non va dimenticato che la natura dei rapporti tra gli Stati confinanti condiziona i contenuti della cooperazione frontaliera, facendo nascere diverse situazioni: a) controllo ferreo attuato congiuntamente; b) regime liberale congiunto; c) uno dei due Stati adotta un approccio liberale e l’altro restrittivo. Infatti la gestione delle frontiere esterne pone diversi problemi che possono essere efficacemente affrontati solo attraverso forme di stretta cooperazione amministrativa, giudiziaria e di polizia tra Stati mediante l’adozione di strumenti normativi elaborati a livello universale, regionale e bilaterale72; in special modo alcuni Paesi, come la Spagna, si trovano lungo rotte migratorie e sono così destinati ad apportare sforzi maggiori, sia economici che in termini di risorse, di uomini e mezzi per sorvegliare le proprie frontiere.

Riguardo alla cooperazione bilaterale nell’ambito dell’esternalizzazione delle frontiere Migreurop ha espresso molto recentemente profonda preoccupazione in quanto a suo avviso tale esternalizzazione si è tradotta in una delocalizzazione, con il subappalto dei controlli delle frontiere europee ai Paesi confinanti, senza alcuna garanzia per il rispetto dei diritti dei migranti e dei rifugiati73.

Nel contesto regionale l’UE ha fatto un discreto uso di alcune tecniche di esternalizzazione dei controlli di frontiere già sperimentate dagli Stati, sia europei che non europei, rendendole obbligatorie per gli Stati membri. Tra le tecniche più comuni sviluppate si può ricordare: a) l’imposizione di un obbligo di visto; b) i controlli svolti nelle rappresentanze diplomatiche e consolari dislocate nei Paesi di provenienza; c) il dislocamento delle proprie guardie di frontiera presso i terminali aerei o marittimi di partenza dei Paesi di destinazione con cui sono stati conclusi appositi accordi di cooperazione; d) imposizioni alle compagnie di trasporto di obblighi di verifica preventiva all’imbarco.

4.2.2 Le banche dati e il problema della segnalazione ai fini della non-ammissione

A seguito dell’europeizzazione delle competenze in materia di immigrazione operata dal Trattato di Amsterdam, gli Stati membri possono scambiarsi informazioni,

72

Wolff, cit., p.11. In particolare l’analisi condotta dall’autrice ha come conclusione che la cooperazione bilaterale tra Stati Ue e Stati partner si rivela molto efficace soprattutto con lo scopo di lotta al terrorismo proprio perché “proper externalisation security of UE security governance is constrained by institutional factors, and that internal inefficiencies impact upon the externalisation of UE norms to its neighbours”.

73

Migreurop, Dichiarazione congiunta ai Capi di Stato e di Governo in vista del Consiglio europeo del 24,25 ottobre 2013, 24 ottobre 2013.

(17)

90 esperienze e dati. A questo scopo devono essere ricordate le banche dei dati SIS74, VIS75 e Eurodac76, create al fine di incamerare informazioni utili in funzione all’attuazione della politica relativa all’immigrazione. Per evitare rischi di intercorrenza tra le informazioni contenute all’interno delle tre banche dati, è stata creata nel 2011 un’apposita agenzia responsabile della comune gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia77.

Tuttavia l’UE ha ritenuto utile condividere anche i dati acquisiti in merito alle rotte seguite e ai mezzi di trasporto utilizzati nel momento in cui viene presentata assistenza tecnica ed attività di consulenza a favore del personale di frontiera.

Il processo di “autonomizzazione” dei settori della sicurezza e della gestione delle frontiere nell’area europea rispetto alle politiche comuni di immigrazione ed asilo subisce tuttavia una brusca battuta d’arresto dopo i fatti dell’11 settembre del 2001 e a seguito degli attentati di Madrid e Londra nel 2004 e 2005; da questo momento le tematiche della gestione delle frontiere, del controllo dell’immigrazione e della lotta al terrorismo risultano fortemente collegate tra di loro.

Nella banca SIS78 vengono inserite una serie di informazioni concernenti persone o cose. In particolare, ai sensi della Convenzione di Schengen, gli Stati aderenti possono segnalare cinque categorie di persone: 1) persone ricercate per l’arresto ai fini di estradizione; 2) cittadini di Paesi terzi ai fini della non ammissione79; 3) persone scomparse; 4) testimoni e persone citate a comparire dinnanzi all’autorità giudiziaria; 5) persone sottoposte a monitoraggio in quanto costituenti minaccia per la sicurezza. I dati inseriti nel sistema SIS erano il nome e cognome della persona, eventuali segni fisici particolari, data e luogo di nascita, sesso e nazionalità o se la persona fosse armata o ritenuta pericolosa. A tali dati potevano accedere, nei limiti delle proprie aree di competenza, le autorità di polizia, le autorità di controllo alle frontiere, le autorità doganali e le autorità giudiziarie nei procedimenti penali.

74

Il SIS venne previsto fin dall’origine dalla CAAS e divenne operativo nel 1995 con la finalità di garantire la sicurezza pubblica all’interno dell’Area Schengen. Attualmente si applica nei 24 Stati UE appartenenti a Schengen e Paesi non UE quali Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein. È applicabile anche in Romania e Bulgaria; Irlanda e UK partecipano agli aspetti della cooperazione di polizia della Convenzione, tranne le segnalazioni relative ai cittadini di Paesi terzi iscritti nell’elenco delle persone soggette a divieto di ingresso. 75

Il Visa Information System è stato adottato con regolamento (CE) n.767/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9.7.2008; è applicabile in tutti gli Stati membri ad eccezione di Irlanda e UK e in Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein.

76

L’European Dactyloscopie è stato adottato con il regolamento (CE) n.2725/2000 del Consiglio, del 11.12.2000. 77

Regolamento (UE) n.1077/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25.9.2011.

78 Il SIS si articola in un network di SIS nazionali (N‐SIS), situati presso ciascuno Stato membro e in un data‐base a livello centrale (C‐SIS), localizzato a Strasburgo con il compito di trasferire e standardizzare i dati.

79

Indipendentemente dal fatto che siano sottoposti o meno all’obbligo del visto. Le spese per i sistemi nazionali sono a carico dei Paesi membri.

(18)

91 Nel corso degli anni si è assistito ad un’evoluzione della natura e delle funzioni del SIS fino ad arrivare a prevedere un sistema di seconda generazione, il SIS II80, attivo dal 9 aprile 2013. Le categorie di segnalazioni che vengono ad essere inserite nel sistema SIS II sono qualificate in modo parzialmente differente rispetto al passato: 1) persone ricercate per l’arresto a fini di consegna o di estradizione; 2) persone scomparse; 3) persone ricercate per presenziare ad un procedimento giudiziario; 4) persone o oggetti ai fini di un controllo discreto o di un controllo specifico; 5) oggetti ai fini di sequestro o di prova in un procedimento penale.

Il VIS venne istituito per lo scambio dei dati sui visti rilasciati dai Paesi membri a cittadini di Paesi terzi per i quali viene richiesto il visto, allo scopo di migliorare l’attuazione della politica comune in materia di visti, la cooperazione consolare e la consultazione tra autorità centrali competenti per i visti, agevolando lo scambio di dati tra Stati membri in ordine alle domande di visto e alle relative decisioni.

Per verificare l’identità dei titolari del visto alle frontiere esterne e agevolarne la procedura relativa alle domande si raccolgono le impronte digitali e altri dati biometrici, a cui possono accedere sia le autorità competenti in materia di politiche dei visti, sia le autorità di polizia nazionali e l’Europol purché sia nell’ambito della lotta ai reati terroristici ed ad altri reati gravi81.

Infine l'Eurodac è operativo dal gennaio 2003 allo scopo di registrare le impronte digitali di determinati cittadini di Paesi terzi per facilitare l’applicazione della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri dell’UE ed evitare il fenomeno del c.d. asylum shopping82. La sua banca dati contiene le impronte di individui di età maggiore dei 14 anni richiedenti asilo in uno Stato (categoria 1), di persone fermate in relazione all’attraversamento irregolare di una frontiera esterna (categoria 2) e di persone illegalmente presenti in uno Stato membro (categoria 3)83. Inoltre contiene alcune categorie di informazioni quali lo Stato membro d’origine, il luogo ed il giorno in cui è stata presentata domanda d’asilo, il sesso, la data di rilevamento delle impronte

80

Regolamento (CE) n.1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20.12. 2006 sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) e la decisione n. 2007/533/GAI del Consiglio, del 12.06 2007 sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II).

81

Come il SIS, il VIS si compone di un Central Visa Information System che ha sede a Strasburgo, con cui si interfacciano le sezioni nazionali The National Interfaces presso ciascun Stato aderente.

82

Si definisce asylum shopping una situazione nella quale più Stati membri siano chiamati a dover decidere su un’analoga domanda di asilo presentata dallo stesso straniero.

83

Le impronte digitali dei richiedenti asilo sono conservate per 10 anni ed esse debbono essere cancellate nel momento in cui lo straniero abbia ottenuto un permesso di soggiorno, o lasci il paese o acquisti la cittadinanza. Mentre i dati di coloro che sono stati fermati mentre attraversavano le frontiere debbono essere conservati per due anni.

(19)

92 digitali, la data di trasmissione dei dati all’unità centrale, la data di inserimento dei dati nella banca dati centrale84.

Nel 2012 su un totale di 285,959 asylum applications registrate nell’Eurodac il 27.48% erano registrate come multiple asylum applications, ossia in 78,591 dei casi le impronte digitali erano già state rilevate in altri Stati membri; lo stesso si può dire dell’anno 2011 con il 22.4% di richieste di asilo multiple rispetto al totale; in particolare questo fenomeno in Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Spagna, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Polonia e UK ha superato il 50% del totale85.

Le autorità abilitate all’accesso dei dati Eurodac sono di norma quelle competenti per l’asilo e l’immigrazione, le guardie di frontiera e le autorità di polizia.

Che dire allora sulle garanzie di tutela del migrante e le relazioni tra Stati membri? La necessità di procedere all’identificazione di cittadini di Stati terzi con la creazione di un imponente apparato di barriere tecnologiche, sembra essere il risultato dell’eliminazione delle barriere fisiche tra gli Stati. Innanzitutto in alcuni casi però questa conseguenza si estremizza, facendo diventare la questione assai problematica sotto il profilo della tutela dei diritti: condivisibile è la preoccupazione in relazione alla banca dati Eurodac che va ad incidere su soggetti particolarmente vulnerabili quando, laddove il cittadino di uno Stato terzo sia fermato nel tentativo di attraversare le frontiere irregolarmente e abbia un età non inferiore a 14 anni (anche richiedente asilo o rifugiato), vengono rilevate le impronte digitali per un loro inserimento nel sistema ed è sottoposto sistematicamente al controllo SIS86. Una garanzia in più arriva dall’art.4 del regolamento Eurodac, prevedendo che la procedura nazionale di rilevamento delle impronte debba tuttavia rispettare i principi previsti nella Convenzione CEDU e della Convenzione ONU sui diritti dei fanciulli. Inoltre anche chi ha l’obbligo di possedere un visto per un soggiorno di breve durata è sottoposto al controllo nella banca dati VIS.

Dagli ultimi dati disponibili, relativi al 2012, si rivela che l’unità centrale ha ricevuto un totale di 411,236 successful transactions, con una diminuzione dello 0.26% in relazione al 2011; tuttavia nel 2012 ci sono state 285,959 succesfull transaction in riferimento alle categorie degli asylum seekers, con un incremento del 3,66% rispetto al 2011, mentre nel 2010 erano sono 215,463; le nazioni con una maggior richiesta di asilo sono state la Germania seguita dalla Francia, con rispettivamente 51,920 richieste su un totale di 76,609 successful transaction e 40,614 su un totale di 45,489. Il fenomeno è

84 In particolare si procede tramite l’inserimento delle impronte digitali delle persone fermate nella banca dati centrale tramite i punti d’accesso nazionali, ottenendo un riscontro con quelle contenute nel database centrale. 85

Doc. COM (2013) 485 del 28.6.2013, Annual report to the European Parliament and the Council on the activities of the EURODAC Central Unit in 2012.

86 Di Filippo, Controllo delle frontiere e ruolo della cooperazione internazionale, cit., p.149-151 e Muselli L., Alcune prime considerazioni su sistemi di scambio di informazioni nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia: securization, function creep e tutela del diritti, Research paper, Centro Studi sul Federalismo, maggio 2013, p.17.

(20)

93 stato particolarmente significativo anche in Svezia dove su un totale di 34,149 transazioni positive 33,986 appartenevano alla categoria uno87.

In secondo luogo quindi la decisione del migrante implica la necessità di fornire dati significativi che entrano in un circuito di archivi a cui accedono anche organi di polizia e di intelligence che utilizzano i dati personali per ricostruire connessioni, percorsi e frequentazioni di una persona. Tuttavia “ogni persona ha diritto alla protezione dei dati

di carattere personale che la riguardano”88.

In realtà i regolamenti non sono assenti da garanzie. Il regolamento Eurodac89 da il diritto ad essere informato circa il nominativo del responsabile del trattamento, le finalità per cui i dati saranno trattati e i destinatari dei dati, il diritto d’accesso ai dati registrati, la possibilità di chiederne la modifica o la cancellazione, così come, ove ne ricorrano i presupposti, la possibilità di ottenere un risarcimento dei danni; nel regolamento SISII90 sebbene si legga che i dati contenuti nelle segnalazioni verranno trattati nel rispetto di particolare cautele, il diritto di informazione (art.42) e i mezzi di impugnazione (art.43) sembrano essere alquanto scarni; inoltre nell’art.11 ogni Stato membro viene dotato della facoltà di applicare le proprie norme nazionali in materia di segreto professionale o altri obblighi di riservatezza equivalenti a tutti i soggetti e organismi che debbano lavorare con i dati SISII e con le informazioni supplementari, conformemente alla propria legislazione nazionale. a questo proposito la recente istituzione dell’Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT ha l’espresso compito di “garantire un elevato livello

di protezione dei dati, conformemente alle norme applicabili”91, nonché di “riferire periodicamente al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e, per le questioni relative alla protezione dei dati, al Garante europeo di protezione dei dati”92

gli sviluppi della ricerca per la gestione operativa del SISII, VIS, Eurodac e di altri sistemi IT di larga scala.

In terzo luogo sebbene lo Stato di frontiera debba necessariamente procedere al respingimento del cittadino di Stato terzo inserito nel SIS o analoga banca dati, aggiungendo una possibilità remota e a posteriori agli altri Stati di non tener conto della segnalazione, si devono segnalare difformità applicative tra Stati che determinano un quadro di notevole frammentazione: la segnalazione è su base nazionale, così come i motivi che giustificano la non ammissione sono presi nel rispetto di norme previste dalla legislazione del Paese in questione; non ci sono disposizioni comuni riguardo allo

87 Ibid. 88

Art.16, par.1 TFUE. 89

Art.17 e 18.

90 Capo VI, Protezione di dati. 91

Regolamento (UE) n.1077/2011, cit.. 92 Ibid.

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