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PREFAZIONE Don Lorenzo Milani scriveva nel suo libro “Lettera ad una professoressa”: «[…] perché è solo la lingua che fa eguali

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Academic year: 2021

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PREFAZIONE

Don Lorenzo Milani scriveva nel suo libro “Lettera ad una professoressa”: «[…] perché è solo la lingua che fa eguali […]; eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero conta meno». Questa frase è molto attuale considerata la multietnicità delle nostre società, la quale ogni giorno ci fa confrontare con la presenza di persone con culture e linguaggi diversi dai nostri. Non si parla di turisti che ogni anno affollano le nostre città e luoghi d’arte, ma di persone venute anche da molto lontano con l’intento di stabilizzarsi per un progetto di vita più duraturo: gli immigrati.

La decisione di migrare per un tempo prolungato, talvolta definitivo, contiene necessità che al semplice viaggiatore sono risparmiate: trovare un lavoro, cercare un alloggio, etc. Subito dopo il loro arrivo, gli immigrati devono perciò acquisire un posto nella nuova società, senza considerare che, ogni venuto porta stampati nella mente e nella propria lingua d’origine, modi di pensare e di vivere molto lontani dai “nostri”. Il primo impatto, forse il più destabilizzante, è quello con una lingua nuova: il migrante non solo si trova catapultato in un mondo completamente diverso dal proprio ma descritto con parole, intonazioni, suoni e modi di dire familiari solo per chi vi abita da tempo. La conoscenza linguistica, dunque, diventa un punto centrale nella vita dell’immigrato nella nuova società, poiché, senza di essa, egli è “condannato” all’esclusione sociale: perché frequentare gli altri se non si ha la possibilità di comunicarci? Così molti di loro si rifugiano nelle loro abitazioni e nelle comunità etniche di appartenenza, rappresentate da amici e connazionali. La non conoscenza della lingua del Paese di destinazione alimenta quindi la chiusura e l’isolamento, rendendo più difficoltosa la riuscita del progetto migratorio.

Jacques Thiers, noto scrittore e saggista, in un’intervista di diversi anni fa sostenne che: «La lingua, proprio come ciascuno dei suoi parlanti, ha una sua identità, una sua personalità, una sua anima; insegnare o apprendere una lingua non significa insegnare o apprendere semplicemente il modo di parlarla e di scriverla, ma tentare invece di trasmettere o assimilare proprio quell’identità, quella personalità, quell’anima». La lingua, oltre ad essere un essenziale mezzo di comunicazione in ogni cultura, è il vettore principale per la conservazione e la condivisione della propria identità.

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Il fattore linguistico, proprio perché marcatore di appartenenza culturale, è anche fonte di apprensione verso la diversità: non capire bene la lingua significa aumentare la diffidenza, che poi fa diffidare della cultura straniera e così via, in un circolo vizioso. La presenza di individui provenienti da altri ambiti territoriali, distanti culturalmente, genera, di frequente, nelle comunità di accoglienza sentimenti di apprensione, con l’effetto di rallentare in maniera ulteriore il già difficile processo di inserimento dei nuovi arrivati nel nuovo tessuto sociale. Ciò ha portato di conseguenza a riflettere sulla lingua e sul suo potere come condizione e presupposto dell’uguaglianza, mediazione della differenza e base della convivenza. È grazie al saper parlare attraverso codici linguistici comuni che le persone possono interagire, socializzare, scambiarsi idee e opinioni. L’apprendimento della lingua è allora una condizione essenziale, se non una precondizione dell’integrazione per un immigrato: solo chi è in grado di capire o comunicare ha maggiori possibilità di integrarsi.

Nelle pagine che seguiranno, sarà osservata, in tutti i suoi aspetti, la funzione che la lingua svolge in contesti migratori e nei processi di inclusione, soprattutto alla luce del ruolo predominante che essa ha assunto nelle recenti legislazioni europee in materia di integrazione. Dopo aver dedicato i primi due capitoli introduttivi all’analisi rispettivamente della realtà migratoria attuale e su che cosa si debba intendere per integrazione, la parte centrale verterà sulla questione dell’apprendimento linguistico per un migrante adulto, senza tralasciare i documenti, gli indirizzi e i suggerimenti provenienti dal Consiglio d’Europa.

Nei due capitoli restanti si è cercato, invece, di ricostruire i presupposti normativi, politici e ideologici che hanno portato diversi Stati europei, in particolare l’Italia, all’introduzione di contratti di integrazione, Carte o Manifesti dei valori nonché test di lingua e di educazione civica. Tali misure, sebbene correlate principalmente alle politiche di inclusione, come vedremo fungeranno anche da filtraggio degli arrivi di persone potenzialmente più assimilabili sotto il profilo culturale rispetto ad altre.

Infine, si richiama l’allegato finale, dove è riportata la testimonianza diretta di un centro linguistico per migranti adulti, presso il quale è stata da me svolta l’attività di tirocinio curriculare, e da cui è stata tratta ispirazione per l’approfondimento di questo tema molto attuale.

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