• Non ci sono risultati.

Capitolo 1 I primi quattro romanzi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1 I primi quattro romanzi"

Copied!
56
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 1

I primi quattro romanzi

1. L’esordio: Grimus

L’esordio letterario di Rushdie avviene nel 1975 con la pubblicazione del romanzo Grimus, che però non riscuote successo di critica né di pubblico. Lo stesso autore ne prese ironicamente le distanze dopo la pubblicazione di Midnight’s Children, commentando: “I think Grimus is quite a clever book. But that’s not entirely a compliment. It’s too clever for its own good”.1 In seguito lo aveva anche definito “a fantasy without any roots in the discernible world. It’s too cerebral a book and it’s clever in a kind of pejorative sense”.2 Tuttavia, diversi studiosi sono tornati sull’opera dopo il successo ottenuto da Rushdie negli anni seguenti, spesso rivalutandola e trovandovi diversi elementi riscontrabili anche negli altri testi dello scrittore.

Protagonista di Grimus è Flapping Eagle, un nativo americano appartenente all’immaginaria tribù degli Axona, stanziata su un altipiano isolato. Flapping Eagle è cresciuto dalla sorella maggiore, la mascolina e intraprendente Bird-Dog, che rompe il tradizionale isolamento della tribù e scende in città. Al suo ritorno porta con sé due fiale contenenti una l’elisir della vita eterna e l’altra l’elisir della morte eterna. Bird-Dog sceglie dunque di diventare immortale, separandosi dagli Axona. Flapping Eagle, bandito dalla tribù, beve anch’egli l’elisir e parte alla ricerca della sorella. Dopo sette secoli, cade attraverso un “buco nel mare” e approda su un’isola nel mezzo del Mediterraneo, Calf Island.

Qui Flapping Eagle viene accolto da Virgil Jones, un bizzarro individuo panciuto e miope, assieme al quale inizia l’ascesa di Calf Mountain, da cui è costituita l’isola, verso la città di K, abitata da altre persone che, come loro, hanno scelto l’immortalità. Per giungere in città, Flapping Eagle e Virgil devono vincere la Febbre Dimensionale e lottare contro le visioni interne indotte dal Gorf Koax,

1 “Interview with Salman Rushdie”, Kunapipi, 4.2, 1982, p. 25, citato in I. JOHANSEN,

“Tricksters and the Common Herd in Salman Rushdie’s Grimus”, in A. GURNA [ed.], The

Cambridge Companion to Salman Rushdie, CUP, Cambridge 2007, p. 80.

2 “An Interview with Salman Rushdie”, Scripsi, cit., p. 125, citato in D.C.R.A.

(2)

un alieno proveniente da un’altra dimensione. Aiutato da Virgil, Flapping Eagle riesce nell’impresa e finalmente giunge a K. Una volta conosciuti gli altri abitanti e aver trovato un luogo dove vivere, il protagonista è combattuto tra il desiderio di proseguire con la ricerca della sorella e quello di essere accettato e mettere radici nella comunità.

La seconda opzione risulta impossibile quando i residenti dell’isola iniziano a morire a causa di improvvisi attacchi di febbre dimensionale, epidemia che erano riusciti a sventare fino a quel momento concentrandosi ognuno su un’ossessione personale. È solo grazie a questo stratagemma, infatti, che essi erano stati in grado di negare l’esistenza di Grimus (l’uomo che, grazie alla tecnologia aliena dei Gorf, ha creato Calf Island e vive sulla sommità della montagna) e ai suoi effetti perniciosi. Flapping Eagle si vede quindi costretto a concentrare la ricerca su Grimus e sulla Rosa di Pietra, l’oggetto magico che è alla base di tutta l’incredibile vicenda. A Grimushome avviene finalmente l’incontro tra i due, durante il quale Grimus rivela a Flapping Eagle come tutto quello che è accaduto sia opera sua, e come lo abbia prescelto quale suo successore. Il romanzo si conclude con la lotta psichica tra i due, durante la quale Grimus soccombe. Flapping Eagle procede infine alla distruzione della Rosa di Pietra e, con essa, di tutta Calf Island.

Grimus rientra formalmente nel canone fantascientifico: ha infatti partecipato al concorso “Science Fiction Prize”, indetto dall’editore Victor Gollancz Ltd nel 1975. Tuttavia, gli elementi fantascientifici compaiono in misura limitata e sfociano spesso nel fantasy (la distruzione dell’oggetto magico che rende possibile governare l’isola in cui si svolge la vicenda, “the Stone Rose”, richiama alla mente quella dell’unico anello in The Lord of the Rings di Tolkien) e soprattutto nel “realismo magico”, che informerà pure i romanzi successivi di Rushdie. Grimus è, infatti, tecnicamente ricollegabile alla fantascienza solo per quanto riguarda l’origine degli eventi fuori dall’ordinario evocati nella storia: la Rosa di Pietra è stata creata dai Gorfs, esseri alieni capaci di modificare il mondo a loro piacimento grazie alla potenza dei loro anagrammi. Secondo la definizione di E.S. Rabkin, “a good work of science fiction makes one and only one assumption

(3)

about its narrative world that violates our knowledge about our own world and then extrapolates the whole narrative world from that difference”.3 Il testo di Rushdie è, invece, totalmente immerso nella dinamica del mondo reale, e il fatto che la “magia” abbia un’origine aliena non incide in maniera significativa sulla trama e lo svolgimento della vicenda.

Tuttavia, alcuni critici hanno riscontrato come l’idea di una civiltà superiore che osservi la nostra sia presente in diversi testi fantascientifici, come Ice di Anna Kavan (1967) o Briefing for a Descent into Hell (1971) di Doris Lessing, e come la figura di Grimus possa essere paragonata a quella del dottor Hoffmann nel romanzo di Angela Carter The Infernal Desire Machines of Doctor Hoffmann (1972). Il dottor Hoffmann, infatti, così come Grimus, dispone di un grande potere sulla mente delle altre persone ed è capace di creare potenti illusioni, distruggendo il senso stesso della realtà. Inoltre, alle ripetute menzioni del “Grimus effect” si può paragonare un corrispondente “Hoffmann effect”.

L’edificio narrativo della storia è tenuto insieme dall’immaginario avicolo e dalla Rosa di Pietra, ma il suo equilibrio strutturale è garantito anche da un’ulteriore cornice di riferimenti, costituita dalla ripresa o ripetizione di un fatto o un’azione nella prima parte del romanzo e in (una di) quelle successive, in modo che il collegamento sia evidente anche se non diretto (ad esempio l’apparizione dei “Whirling Demons” in ogni sezione).4

Gli anagrammi, così importanti per i Gorfs, sono in realtà anche una componente costitutiva delle denominazioni del romanzo. Infatti, l’intero mondo dei Gorfs è, per così dire, un anagramma del nostro: i Gorfs (Frogs), creature di pietra simili a rane ed estremamente evolute, guidati da Dota (Toad), vivono sul pianeta Thera (Earth), che orbita attorno alla stella Nus (Sun) nella galassia della Yawy Klim (Milky Way) nel Nirveesu (Universe) gorfico. Inoltre, anche il nome “Grimus” è un anagramma di Simurg, il dio degli uccelli costituito a sua volta da tutti i volatili e meta evocata nel poema persiano del XII secolo La conferenza

3 E.S. RABKIN [ed.], The Fantastic in Literature, Princeton UP, Princeton 1976, p. 121, citato

in C. CUNDY, Salman Rushdie, Manchester University Press, Manchester 1997, p. 24.

4 U. PARAMESWARAN, “New Dimensions Courtesy of the Whirling Demons: Word-Play in

Grimus”, in M.D. FLETCHER [ed.], Reading Rushdie: Perspectives on the Fiction of Salman Rushdie, Rodopi, Amsterdam 1994, pp. 38-39.

(4)

degli uccelli.5 Come nota Uma Parameswaran, l’anagramma scelto da Rushdie “is just right with its GRIM-US, GRIME-US, GRIMACE, GRIM-ACE, and associations with ANIMUS. It brings out the grim and grimy predicament of the life-force in a situation where the grimace replaces smiles and laughter”.6

Elemento linguistico rilevante è appunto la scelta dei nomi dei personaggi, costruiti ancora una volta su anagrammi e puns spesso funzionali alla descrizione delle loro caratteristiche. Ne sono un esempio i nomi delle prostitute Kama(la) Sutra e Lee Kok Fook che lavorano alla House of the Rising Son. Sulla stessa onda sono da collocare i giochi di parole umoristici di Oscar Cramm e Nicholas Deggle (ad esempio l’uso di “Etiopia” per prendere congedo, rimandando al suo nome antico, “Abissinia”, che suona vagamente come “I’ll be seeing you”).

Se è però vero che la lingua di questo romanzo è ancora piuttosto uniforme, è altresì impossibile non notare la presenza di alcune volute discrasie, come passaggi privi di punteggiatura (chiaro riferimento all’ultimo capitolo dello Ulysses joyciano) o l’alternanza delle istanze narrative. Infatti, anche se la voce aderisce per la maggior parte del racconto a quella di un narratore eterodiegetico, la sua focalizzazione è variabile (a volte coincide con il punto di vista di Flapping Eagle, altre con quello di altri personaggi). Inoltre, in alcuni passi, la narrazione si svolge in prima persona, o con un’alternanza di prima e terza, ma coincide anche in questo caso con la prospettiva di personaggi diversi ogni volta. Questo stratagemma permette all’autore di evidenziare le oscillazioni dell’identità di Flapping Eagle, il quale possiede una natura camaleontica, grazie alla quale si adatta costantemente al mutare dell’ambiente circostante e agli atteggiamenti degli altri nei suoi confronti. Il disturbo da “personalità multipla” del protagonista è in qualche modo riflesso nella varietà di stili e generi letterari assimilati nel testo.

5 Il componimento narra di come l’Upupa, per sottrarsi al caos e alla disperazione che opprimono

il mondo, raccolga la moltitudine degli uccelli e li guidi alla ricerca del leggendario Simurg, che si dice abbia tutte le risposte. Durante il viaggio gli uccelli devono affrontare insidie mortali ma, quando i trenta sopravvissuti giungono alla meta, si rendono conto di essere loro stessi Simurg. Si tratta di un gioco di parole, in quanto in lingua persiana “si murgh” significa appunto “trenta uccelli”. Tutto il poema è in realtà un’allegoria della ricerca di Dio da parte degli uomini, guidati da un maestro Sufi.

6 U. PARAMESWARAN, “New Dimensions Courtesy of the Whirling Demons: Word-Play in

Grimus”, in M.D. FLETCHER [ed.], Reading Rushdie: Perspectives on the Fiction of Salman Rushdie, cit., p. 37.

(5)

La lingua utilizzata da Rushdie in Grimus resta comunque distante da quella dei romanzi successivi: l’inglese è ancora standard, anche se non manca, come abbiamo visto, l’interesse per la sperimentazione e il gioco lessicale. Lo stesso autore sente di non aver ancora trovato qui il proprio idioma: “I feel very distant from [Grimus], mainly because I don’t like the language it is written in. It’s a question of hearing your own voice, and I don’t hear it because I hadn’t found it then”.7

Le fonti che Rushdie rielabora in questo romanzo sono molte e provengono, come sempre nella sua produzione, sia dai classici della letteratura occidentale, sia da quella orientale. Il tema stesso dell’elisir di lunga vita è trasversale alle varie culture; la Rosa rappresenta una sorta di santo Graal e le peregrinazioni di Flapping Eagle richiamano il mito dell’Ebreo errante.8 In particolare, la storia si configura come una rielaborazione in chiave ironica e degradante di due opere cardine: La conferenza degli uccelli del mistico sufista Farid ud-Din Attar, citato nell’epigrafe e menzionato poi dallo stesso Grimus; e la Divina Commedia di Dante Alighieri.

Inoltre è possibile individuare nei personaggi di Grimus e Flapping Eagle, e nella loro relazione, un richiamo al Prospero e al Calibano shakespeariani. Grimus, che grazie alla Rosa di Pietra si comporta come un mago e governa tutti gli abitanti di Calf Island, è in questo simile a Prospero. Ciò che li distingue è la differente capacità di gestire il proprio regno: se il personaggio shakespeariano mantiene magistralmente il controllo sull’isola e sui suoi abitanti fino alla fine della vicenda, Grimus fallisce invece in ogni sua impresa. Gli abitanti di Calf Island si rivoltano contro di lui e Flapping Eagle, il successore da lui designato, distruggerà completamente quel mondo. Flapping Eagle-Calibano, quindi, riesce dove il bruto shakespeariano falliva, e afferma la propria volontà e identità, ribaltando la situazione. Neanche in questo caso, tuttavia, il finale può essere lieto

7 “An Interview with Salman Rushdie”, Scripsi, cit., p. 125, citato in C. CUNDY, Salman

Rushdie, cit., p. 25.

8 U. PARAMESWARAN, “New Dimensions Courtesy of the Whirling Demons: Word-Play in

Grimus”, in M.D. FLETCHER [ed.], Reading Rushdie: Perspectives on the Fiction of Salman Rushdie, cit., p. 37.

(6)

per il neo-Calibano, che condivide la sorte del mago e viene annientato assieme all’intera Calf Island.9

Già da questo intervento demistificante è evidente come Rushdie introduca fin dal suo primo romanzo una prospettiva postcoloniale. Questo si riscontra anche in relazione al personaggio principale, Flapping Eagle, un nativo americano escluso sia dalla sua tribù, gli Axona, sia dai bianchi con cui convive a Calf Island. La società da cui proviene lo ha emarginato fin dall’infanzia a causa della sua condizione infantile di ermafrodita, per il fatto che la madre fosse morta pochi attimi prima della sua nascita e per il colore della sua pelle, insolitamente chiaro. Benché configurati come nativi, gli immaginari Axona possono essere visti anche come rappresentanti della cultura americana dominante, puritana e omofoba, che Rushdie rende oggetto di satira soffermandosi sulla loro ossessione per la pulizia, sul loro credo secondo cui “All that is Unaxona is Unclean”10 e sulla loro incapacità di accettare una donna forte e non convenzionale come Bird-Dog: “breasted providers (such as Bird-Dog) were anathema to the Axona” [G 17].

Quando poi Flapping Eagle viene bandito per avere infranto le leggi della tribù, si ritrova in un mondo di bianchi in cui non gli è comunque possibile trovare le proprie radici e la propria identità, perché incapace di adattarsi alle norme e ai valori della società consumistica occidentale. La città di K può rappresentare infatti la mediocrità e l’autocompiacimento della borghesia europea, e a Flapping Eagle risulterebbe impossibile integrarsi in una comunità così profondamente prevenuta e razzista.

Grimus, a sua volta, è descritto come “evidently Middle-European, a refugee no doubt” [G 208]. Benché condivida con Flapping Eagle la condizione di esule, è però un europeo, e il suo ruolo di mago e “governatore” lo rende un simbolo (negativo) delle competenze tecnologiche e della cultura scientifica del vecchio continente, oltre che un’immagine di colonizzatore.11

9 I. JOHANSEN, “The Flight from the Enchanter: Reflections on Salman Rushdie’s Grimus”, in

M.D. FLETCHER [ed.], Reading Rushdie: Perspectives on the Fiction of Salman Rushdie, cit., p. 26.

10 S. RUSHDIE, Grimus, Paladin, London 1989, p. 24. I numeri di pagina delle citazioni

successive verranno indicati direttamente nel corpo del testo con la sigla “G”.

11 I. JOHANSEN, “The Flight from the Enchanter: Reflections on Salman Rushdie’s Grimus”, in

M.D. FLETCHER [ed.], Reading Rushdie: Perspectives on the Fiction of Salman Rushdie, cit., p. 28.

(7)

Grimus, come si è visto, è un’opera composita, che mescola insieme stili, registri e generi molto diversi tra loro. È caratterizzata da una certa eterogeneità e dal rifiuto di aderire a un singolo schema narrativo. Questo, secondo la definizione di Mikhail Bakhtin, lo farebbe confluire nella satira menippea, caratterizzata da “the organic combination within it of free fantasy, symbolism and – on occasion – the mystical-religious element, with extreme (and from our point of view) crude underworld naturalism”.12 Bakhtin sottolinea anche la presenza di scene scandalose o di comportamenti eccentrici, che qui si riscontrano negli episodi ambientati nel bar di Flann O’Toole e nel bordello di Madama Jocasta, in cui questioni filosofiche e ricerche metafisiche risultano contaminate da coinvolgimenti in avventure sessuali e scene di vita dei bassifondi. Lo studioso russo aveva inoltre identificato una struttura tripartita nella satira menippea, rispondente agli stadi di Olimpo, terra e mondo degli inferi. Anche Calf Island è composta da tre livelli: la cima della montagna, dove vive Grimus, la città di K e la spiaggia, che corrispondono approssimativamente ai livelli sopracitati.

È anche possibile vedere nella distruzione di Calf Island seminata da Flapping Eagle alla fine del romanzo, e quindi nel suo ribaltare i piani di Grimus, una rielaborazione del carnevale nell’accezione bakhtiniana, inteso come “festival of all-annihilating and all-renewing time”, il cui punto di partenza è lo spodestamento di un re.13

I personaggi stessi sarebbero infine riconoscibili come caratteristici di questo genere, poiché contraddistinti da un interesse o passione predominante. La satira menippea, infatti, tratta “less with people as such than with mental attitudes. Pedants, bigots, cranks, parvenus, virtuosi, enthusiasts, rapacious and incompetent professional men of all kind, are handles in terms of their occupational approach to life as distinct from their social behaviour”.14 Il fatto che gli abitanti di K

12 M. BAKHTIN, Problems of Dostoevsky’s Poetics, ed. & tr. Caryl Emerson, Ardis, Ann Arbor

1973, p. 94, citato in I. JOHANSEN, “The Flight from the Enchanter: Reflections on Salman Rushdie’s Grimus”, in M.D. FLETCHER [ed.], Reading Rushdie: Perspectives on the Fiction of

Salman Rushdie, cit., p. 25.

13 M. BAKHTIN, Problems of Dostoevsky’s Poetics, ed. & tr. Caryl Emerson, Ardis, Ann Arbor

1973, p. 94, citato in I. JOHANSEN, “Tricksters and the Common Herd in Salman Rushdie’s

Grimus”, in A. GURNA [ed.], The Cambridge Companion to Salman Rushdie, cit., p. 85.

14 N. FRYE, Anatomy of Criticism, Atheneum, New York 1966, p. 309, citato in I. JOHANSEN,

“The Flight from the Enchanter: Reflections on Salman Rushdie’s Grimus”, in M.D. FLETCHER [ed.], Reading Rushdie: perspectives on the fiction of Salman Rushdie, cit., p. 32.

(8)

abbiano ognuno una particolare area di interesse è proprio una delle prime informazioni fornite a Flapping Eagle al suo arrivo in città.

2. Midnight’s Children

Il secondo romanzo di Rushdie è Midnight’s Children (1981) che, contrariamente al precedente e anche alle aspettative della casa editrice, riscuote fortunatamente fin da subito un successo internazionale. Protagonista è Saleem Sinai, uno dei “figli della mezzanotte”, ovvero dei bambini nati tra la mezzanotte e l’una del 15 agosto 1947, la prima ora dell’indipendenza dell’India dal Regno Unito. Saleem, prossimo al suo trentunesimo compleanno, crede che il suo corpo si stia a poco a poco “disintegrando” (la componente magico-realistica non tarda ad affiorare) ed è pertanto ansioso di mettere per iscritto la sua storia.

Vista la peculiarità dell’immaginario rushdiano, è qui opportuno soffermarsi sui momenti essenziali dell’intreccio. La vicenda inizia non con la nascita del protagonista, ma nel 1915, con il nonno materno di Saleem, Aadam Aziz, un medico originario del Kashmir che ha studiato a Heidelberg e che ha perso la fede (quella musulmana). Tornato nel paese di origine, inizia a curare la futura moglie Naseem, che gli è negata alla vista, in quanto nubile, da un lenzuolo bianco. Questo è però dotato di un foro nel quale appare di volta in volta la parte del corpo della giovane che deve essere visitata. Dopo il matrimonio, Aadam e Naseem si trasferiscono ad Agra, dove il medico assisterà al massacro di Amritsar. La coppia ha tre figlie, Alia, Mumtaz ed Emerald, e due figli, Mustapha e Hanif. Aadam diventea un sostenitore di Mian Abdullah, un attivista che verrà ucciso a causa del suo impegno contro il progetto della partizione dell’India. Il suo assistente, il poeta Nadir Khan, si nasconde nella casa degli Aziz, dove si innamora e sposa Mumtaz. Quando Emerald informa il maggiore Zulfikar, suo futuro marito, della presenza di Nadir, l’uomo è costretto a scappare, lasciando (per amore) un atto di divorzio rivolto alla moglie, colma di disperazione.

Mumtaz si risposa poco dopo con il mercante vedovo Ahmed Sinai, cambia nome in “Amina” e si trasferisce con lui prima a Delhi, poi a Bombay. Qui la coppia compra una casa da William Methwold, un inglese che sta lasciando

(9)

l’India in vista dell’indipendenza del paese. Wee Willie Winky è un povero suonatore ambulante hindu che intrattiene le famiglie residenti nella tenuta di Methwold. Sua moglie Vanita è incinta, e il bambino è frutto della sua relazione extraconiugale con il ricco proprietario. Sia Amina che Vanita danno alla luce un figlio, rispettivamente Saleem e Shiva, allo scoccare della mezzanotte del 15 agosto 1947. Allorché Vanita muore durante il parto, si snoda il punto cruciale nella vicenda: l’ostetrica cattolica Mary Pereira scambia i due neonati, ispirata dalle parole del proprio amante socialista, Joseph D’Costa, “Fai che il ricco sia povero e il povero sia ricco”. Tormentata dai sensi di colpa, diventerà poi la tata (ayah) di Saleem e della sua sorellina Jamila, soprannominata “scimmia di ottone”. Nessuno sospetta dello scambio, perché Saleem ha un naso enorme e gli occhi azzurri come il nonno Aadam Aziz. All’età di dieci anni, per la prima volta il bambino sente le voci degli altri figli della mezzanotte nella sua testa. Da 1001 che erano, i bambini sopravvissuti sono adesso soltanto 581, e ognuno di loro ha un potere speciale, tanto più potente quanto più vicino alla mezzanotte sono nati. La telepatia di Saleem lo rende l’unico in grado di riunirli tutti, mentre Shiva è nato con delle ginocchia particolarmente grandi e forti e una formidabile abilità nel combattimento.

A causa di alcuni esami del sangue, Ahmed e Amina scoprono che Saleem non può essere loro figlio e Mary confessa le proprie azioni. Ahmed allora invita la moglie a trasferirsi in Pakistan con i figli, dalla sorella Emerald. Qui Saleem registra il fatto che lo zio, diventato generale dell’esercito pakistano, organizza un colpo di stato contro il governo del paese e dà inizio a un periodo di legge marziale. Quattro anni dopo, Amina e i suoi figli tornano a Bombay, dove Saleem viene operato ai condotti nasali: di conseguenza, egli perde le sue capacità telepatiche ma acquisterà un eccezionale senso dell’olfatto, grazie al quale può “fiutare” le emozioni. I Sinai si trasferiscono nuovamente in Pakistan, dove Jamila diventa una cantante famosissima. Nel 1965, durante un bombardamento aereo nel corso della guerra tra India e Pakistan, l’intera famiglia rimane uccisa, tranne Jamila e Saleem, che viene però colpito alla testa dalla sputacchiera d’argento della madre e perde completamente la memoria. Imbarbarito, Saleem si ritrova reclutato nell’esercito, per il quale svolge la funzione di segugio grazie al suo

(10)

olfatto ultrasviluppato. Il giovane è costretto a dare il suo contributo alla repressione del movimento indipendentista del Bangladesh e, dopo aver assistito a diverse atrocità, scappa nella giungla del Sundarbans con altri tre soldati, dove recupererà la memoria, tranne il dettaglio del proprio nome.

Dopo aver lasciato la giungla, Saleem incontra Parvati-la-strega, un’altra dei bambini della mezzanotte, che gli ricorda il suo nome e lo aiuta a tornare in India. Lì vivono insieme nel ghetto dei maghi di Delhi, dove conoscono anche l’incantatore di serpenti Picture Singh. Delusa perché Saleem non vuole sposarla, Parvati ha una relazione con Shiva, diventato un famoso eroe di guerra, e resta incinta. Convinto dagli abitanti del ghetto, Saleem accetta di sposarla. Nel frattempo il primo ministro dell’India, Indira Gandhi, inizia una campagna di sterilizzazione. Poco dopo la nascita del figlio di Parvati, il governo fa distruggere il ghetto dei maghi; Parvati muore e Shiva cattura Saleem e lo porta in un centro per la sterilizzazione. Saleem è costretto a fornire i nomi degli altri figli della mezzanotte, che vengono rintracciati e sterilizzati, in modo da distruggere i poteri che minacciavano il primo ministro. In seguito, tuttavia, Indira Gandhi perde le elezioni, e tutti i bambini della mezzanotte sono rilasciati.

Saleem si mette alla ricerca del figlio di Parvati, Aadam, che vive con Picture Singh. I tre si recano a Bombay, dove Saleem assaggia un chutney che ha esattamente lo stesso sapore di quello che preparava la sua tata Mary. Trova quindi la fabbrica di pickle che appartiene alla donna e lì incontra Padma, che diventerà la sua compagna e fidanzata, nonché l’ascoltatrice del suo racconto. Saleem decide di trasferirsi lì e terminare i suoi giorni confezionando pickle.

2.1 Le fonti letterarie

Il corposo romanzo di Rushdie è stato definito un’epica nazionale in virtù della sua lunghezza e della complessità dei temi trattati. I modelli a cui l’autore ha fatto riferimento per la stesura del testo possono essere individuati non solo in opere della tradizione occidentale come Tristram Shandy, Il tamburo di latta e Cent’anni di solitudine, ma anche in quelle della tradizione epica indiana, in particolare il Mahabharata, il Ramayana e il Panchatantra. Per quanto riguarda i

(11)

romanzi, se da García Márquez Rushdie ha evidentemente mutuato la tecnica del realismo magico, la relazione con Tristram Shandy e Il tamburo di latta è sicuramente più stretta. Infatti i due protagonisti maschili (e narratori in prima persona) di queste opere sono non solo simili tra loro, ma presentano anche diverse caratteristiche comuni con Saleem Sinai.

In particolare, Tristram, come Saleem, è ossessionato dall’idea della degenerazione del proprio corpo e della morte imminente, e interviene nella narrazione per fornire un resoconto del proprio decadimento. Il romanzo inizia parecchio prima della nascita del narratore, posticipando il “vero” inizio con divagazioni e “a parte”. Ci sono inoltre dei dubbi sull’identità dei genitori del protagonista. Entrambi i narratori hanno nasi straordinari, ed entrambi sono distrutti da una vedova. In Tristram Shandy viene condotta una discussione pseudoscientifica su come il naso indichi una discendenza aristocratica, e in Midnight’s Children non solo Tai il barcaiolo prevede dinastie nel naso di Aadam Aziz ma, alla nascita di Saleem, Amina rimarca proprio come il naso del bambino assomigli a quello del nonno, riconoscendolo come simbolo di un legame ancestrale.15 Infine, Saleem finisce per tradurre la storia pubblica in “ossessione privata”, in modo da renderla stranamente spiegabile: il suo è un attacco al caso e al caos che dominano la vita umana, attacco di cui è possibile identificare un modello letterario nel tentativo (seppur infruttuoso) dello zio Toby di contenere le campagne della guerra di successione spagnola all’interno dei confini del suo campo da bocce.16

Il narratore del Tamburo di latta, Oskar Matzerath, come Saleem, è fisicamente deforme e impotente, ma è dotato di facoltà particolari: è, a suo dire, in grado di decidere se e quando crescere, la sua voce può infrangere il vetro ed ha una capacità straordinaria di suonare il tamburo. Inoltre anche lui ha un ascoltatore nel romanzo, il suo custode nel manicomio in cui si è ritirato: Bruno, come Padma, è un sostituto del lettore implicito, a cui però è anche concesso di interrompere e addirittura di contribuire alla storia per delle brevi sezioni.

15 Questo aspetto è indagato nel dettaglio da A. GURNA, “Themes and Structures in Midnight’s

Children”, in A. GURNA [ed.], The Cambridge Companion to Salman Rushdie, cit., p. 99.

16 K. WILSON, “Midnight’s Children and Reader Responsibility”, in M.D. FLETCHER [ed.],

(12)

Sia l’eroe di Grass che quello di Rushdie sono “ammanettati alla storia”, obbligati a divenire testimoni dei loro tempi. Si sentono obbligati a scrivere del ruolo misconosciuto che hanno ricoperto negli eventi storici e politici dei loro paesi. Come Oskar, “il vero protagonista [che] si vide assegnare il ruolo di comparsa”,17 Saleem è la “perennial victim [of history, who] persists in seeing himself as [its] protagonist”.18 Entrambi si considerano infatti responsabili di quanto accaduto nei loro trent’anni di vita, con tutte le atrocità e gli orrori che questi hanno comportato. Nei romanzi, storia individuale e collettiva sono collegate attraverso delle convergenze sincroniche a cui è comicamente attribuito un valore simbolico, come l’osservazione da parte di Oskar che “insieme al Corpo Africano anche la tosse canina del piccolo Kurt ebbe fine”,19 o tramite l’assunzione di responsabilità per eventi lontani dalla propria portata, come il commento di Saleem secondo il quale la morte di Nehru si sarebbe verificata per colpa sua.

Sia Oskar che Saleem raccontano una storia in prima persona, apparentemente episodica, in una sequenza di capitoli raggruppati in tre libri. Nel caso di Rushdie i capitoli, associati a vasetti di pickle, si accumulano fino a raggiungere l’età del protagonista alla fine del libro, ossia trenta elementi. In Grass, l’ultimo dei 46 capitoli si chiama “Trenta” per la stessa ragione. Entrambe le autobiografie iniziano molto in anticipo rispetto alla nascita del protagonista (ai tempi del primo incontro dei loro nonni), il quale si impegna appunto a tracciare le proprie origini familiari.

Alle opere orientali Rushdie deve, invece, il particolare stile della narrazione, che tenta di evocare ed imitare quello dell’esposizione orale, apparentemente interminabile e ricco di digressioni. In Midnight’s Children, lo scrittore tenterebbe di creare

a literary form which corresponds to the form of the oral narrative and which, with any luck, [would] succeed in holding readers, for reasons of its shape, in the same way that the oral narrative holds audiences for reasons of its shape, as well as its narrative.20

17 G. GRASS, Il tamburo di latta, Feltrinelli, Milano 1980, traduzione di L. SECCI, p. 284. 18 S. RUSHDIE, Midnight’s Children, Vintage, London 2008, p. 330. I numeri di pagina delle

citazioni successive verranno indicati direttamente nel corpo del testo con la sigla “MC”.

19 G. GRASS, Il tamburo di latta, cit., p. 315.

(13)

In effetti, le caratteristiche di questo romanzo ricordano maggiormente le convenzioni della narrazione orale rispetto a quella scritta: ci sono molte digressioni ma si torna sempre al punto nodale; si impiegano “ripetizioni formulari”; alla linearità della trama principale si contrappone una tendenza non-lineare a tornare ripetutamente su una costellazione ben definita di motivi narrativi.21 Infine, il testo è autocosciente, sia nel suo riconoscere l’importanza del narratore/cantastorie, sia nella sua consapevolezza del ruolo svolto dal pubblico.22 C’è tuttavia una sostanziale differenza tra lo scopo e l’intento morale dei cantastorie indiani e quello rushdiano. Il narratore dei racconti popolari indiani, infatti, crede fermamente in una certa realtà oggettiva e le sue reazioni tentano il più delle volte di rafforzare un complesso preesistente di codici e valori. Quindi, mentre le fiabe indiane, benché fantastiche, rientrano in una visione del mondo condivisa e certa, la tecnica narrativa di Rushdie deve molto a movimenti filosofici che hanno incrinato il consenso generale riguardo i valori condivisi e la realtà stessa.23

2.2 Aspetti dello stile narrativo

Rushdie vede la scrittura di Midnight’s Children anche come un modo per staccarsi da certe consuete descrizioni occidentali dell’India. Ha infatti affermato che i suoi tentativi di allontanarsi dal modo canonico in cui si è scritto sull’India in inglese hanno un unico precedente indiano, ossia il romanzo comico All About H. Hatter di G.V. Desani (1948):

The way in which the English language is used in that book is very striking; it showed me that it was possible to break up the language and put it back together in a different way … one [other] thing it showed me was the importance of punctuating badly. In order to allow different kinds of speech rhythms or different kinds of linguistic rhythms to occur in [Midnight’s Children], I found I had to punctuate it in a very peculiar way, to destroy the natural rhythms of the English

21 Rushdie descrive in questi termini la struttura della narrazione orale da cui ha preso

ispirazione. Cfr. “Midnight’s Children and Shame”, Kunapipi, cit., p. 7.

22 A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., pp. 45-46.

23 T. RAHMAN, “Politics in the Novels of Salman Rushdie”, in G.R. TANEJA e R.K.

DHAWAN [eds.], The Novels of Salman Rushdie, Indian Society for Commonwealth Studies in association with Prestige, New Delhi 1992, p. 103.

(14)

language; I had to use dashes too much, keep exclaiming, putting in three dots, sometimes three dots followed by semi-colons followed by three dashes … That sort of thing just seemed to help to dislocate the English and let other things into it.

Desani does that all the time in Hatterr.24

Rushdie ha inteso rendere attraverso la sua scrittura i ritmi del parlato indiano quotidiano, un intreccio composto spesso da parole ed espressioni in lingue diverse. Si è trovato quindi nella necessità di creare un idioma letterario nuovo, misto, pieno di neologismi, in grado di superare le barriere linguistiche che i personaggi avrebbero incontrato nella realtà, ma che allo stesso tempo suonasse “naturale”. Tra gli espedienti da lui utilizzati, sono presenti l’inserimento di parole dialettali o di altre lingue, spesso corredate da traduzione (“Hey, bhaenchud! Hey, little sister-sleeper, where you running?” [MC 444]); la ripetizione della stessa parola, tratto tipico della lingua parlata (“‘Chhi-chhi,’ Padma covers her ears, ‘My God, such a dirty-filthy man, I never knew!’” [MC 443]); e la traduzione in inglese di modi di dire dialettali (“Donkey from somewhere!” [MC 159]).

Scrivendo in inglese dell’India, inoltre, Rushdie mostra come l’uso della lingua possa conciliarsi con un’azione politica di rivendicazione identitaria. Da un lato, l’uso degli idiomi nativi non è necessariamente visto in una luce positiva: esso è del resto il contesto del conflitto tra i parlanti Marathi e Gujarati ed è un ostacolo per la comunicazione tra i Figli della Mezzanotte. Significativamente, Saleem sceglie di comunicare con loro in un modo che va oltre il conflitto: “abitando” metaforicamente le loro coscienze.25 Dall’altro lato, Rushdie intreccia i significati letterali e metaforici di diverse espressioni, descrivendo ad esempio gli esiti concreti di un modo di dire (la letteralizzazione della metafora) e inserendo quindi un elemento di “magia” nel realismo della narrazione. Lo shock di Ahmed Sinai per il congelamento dei suoi beni a causa della sua origine musulmana gli fa esclamare: “The bastards have shoved my balls in an ice-bucket” [MC 185] e Amina “beg[ins] to feel them growing colder and colder” [MC 186]. La donna riesce a concepire Jamila appena prima che si trasformino in cubetti di ghiaccio e

24 Cfr. M. REDER [ed.], Conversations with Salman Rushdie, University of Mississippi Press,

Jackson 2000, p. 10, citato in A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., p. 43.

(15)

Ahmed diventi per lei un mostro inavvicinabile. Questo metodo scaturisce, secondo lo scrittore, direttamente da una sinergia con la realtà indiana:

India is a country in which God isn’t dead. There are gods everywhere. I remember thinking at the time I was working on Midnight’s Children that one of the reasons for writing in the way I did […] is that you’re writing about a reality in which the idea of the miraculous is all absolute truth. It’s not a metaphor, it’s absolutely real. The miraculous and the everyday coexist; gods are real and intervene in human affairs; miracles happen. So you have to develop a form which doesn’t prejudge whether your characters are right or wrong. You have to create a form in which the idea of the miraculous can coexist with observable, everyday reality.26

Il cifrario allegorico o metaforico è quindi una strategia figurale preminente nel romanzo. Saleem incarna una molteplicità nell’Uno: di madre hindu, ha un padre inglese ed è cresciuto da musulmani con una tata cristiana. In questo senso, egli è anche sineddoche di una Bombay poliglotta e politeista, essa stessa emblema dell’India. Ma Saleem si sta anche disgregando, così come l’India si sta disintegrando, prima con la partizione e poi per la corruzione e il tradimento delle sue speranze da parte della Dichiarazione di Emergenza di Indira Gandhi e le crudeltà che ciò ha avallato. La disintegrazione è anche suggestivamente collegata alla dispersione della famiglia Sinai, di per sé allegoria della nazione.27 Infine, la graduale menomazione di Saleem può ritenersi un simbolo della perdita di libertà, integrità mentale e individualità dell’uomo moderno.28

Come nel romanzo precedente, i nomi dei personaggi sono cruciali anche in Midnight’s Children: Parvati diventa Laylah, Mumtaz si trasforma in Amina, Nadir Khan sarà ribattezzato Qasim il Rosso. Questa insistenza sulla natura flessibile e ricostruibile dell’identità ha un significato particolare anche all’interno del generale contesto della letteratura postcoloniale, dove il reinventarsi può coincidere con una confutazione dell’assunto secondo cui solo il passato è il luogo dove il carattere e il destino degli individui vengono inderogabilmente fissati.

26 E. WACHTEL, “Salman Rushdie”, in P.S. CHAUHAN [ed.], Salman Rushdie Interviews: A

Sourcebook of His Ideas, cit., p. 128.

27 A. GURNA, “Themes and Structures in Midnight’s Children”, in A. GURNA [ed.], The

Cambridge Companion to Salman Rushdie, cit., pp. 100-101.

28 K. BÖRNER, “The Reception of Midnight’s Children in West Germany”, in G.R. TANEJA e

(16)

“Our names contain our fate” [MC 423], dice Saleem. Ma cambiare il proprio nome e assumere, così, un’identità fluida fanno in modo che il destino dell’individuo non sia necessariamente determinato una volta per tutte.29

Gli interventi metanarrativi di Saleem sembrano poi alludere a una questione centrale: quale sia la forma letteraria più adatta per descrivere una nuova democrazia, una nuova nazione che emerge dal giogo del colonialismo. Il romanzo mostra che il sovvertire le norme del realismo può rispondere sia a un fine tanto di oppressione, sia a un progetto di liberazione. Ad esempio, l’arcinemico di Saleem, Shiva, adotta pericolosamente la “tecnica” di invertire le reazioni emotive che ci si aspetterebbe normalmente in certe situazioni: parla di omicidi con noncuranza, mentre una buona mano a carte gli ispira voli poetici. Egli crea così una sorta di realtà alternativa, in cui la sua distanza dall’oggetto o dalla situazione vissuta ne stravolge la percezione naturale. Anche la discussione sull’invisibilità nel testo può essere considerata cruciale per la questione della relazione dello scrittore postcoloniale con la società da lui osservata: l’invisibilità può derivare da una necessità politica. Saleem diventa così spettatore alla “periferia”, in grado di vedere le azioni degli altri dal suo cassone del bucato o dall’interno del campanile. L’invisibilità gli permette quindi di riflettere sulla natura del reale e della sua narrazione.30

Ciò che però tiene insieme le fila della vicenda è, in primo luogo, la memoria del protagonista e la sua volontà di trovare un significato nella propria vita. In questo gioca un ruolo particolarmente importante la serie di leitmotiv che costella l’intero romanzo. Si tratta di una rete di connessioni non razionali che porta con sé un notevole peso simbolico. Come le espressioni convenzionali e ripetute dell’antica poesia epica, che aiutavano il bardo a sviluppare la storia, la sputacchiera d’argento, il cassone della biancheria, l’indice puntato, il mappamondo e il lenzuolo perforato del passato di Saleem informano il suo universo memoriale tanto quanto la vita della nuova India.31 Questi oggetti riemergono periodicamente per segnare delle transizioni importanti sia nella storia

29 C. CUNDY, Salman Rushdie, cit., pp. 41-42. 30 Ivi, pp. 38-41.

(17)

pubblica, sia in quella privata. La sputacchiera d’argento, per esempio, posseduta inizialmente dalla Rani di Cooch Naheen e regalata poi dalla nobile morente a Mumtaz e Nadir Khan per celebrare il loro matrimonio, passa ad Ahmed Sinai e finisce per colpire Saleem, provocandogli l’amnesia nello stesso raid aereo che uccide quasi tutta la sua famiglia. Questa perdita di identità si raccorda alla distruzione del ghetto dei maghi, fatto che conduce alla sterilità di Saleem e al suo adottare il figlio di Shiva. Ciò consentirà, a sua volta, alla linea di sangue dei Sinai di ricongiungersi con le proprie origini ancestrali. Per Saleem questo segna un divorzio definitivo dal suo passato personale, e la transizione è segnata dalla sparizione della sputacchiera d’argento. Un oggetto materiale diventa così l’unico e innegabile depositario di un “vissuto” che sta uscendo sempre di più dal controllo di Saleem. Una volta che l’oggetto è scomparso, il suo passato è in pericolo.32 Un altro elemento ricorrente nel testo è il riferimento al gioco detto “scale e serpenti”, che può rappresentare una metafora delle vicissitudini della vita, ma rimanda anche ai serpenti veri e propri, il cui ruolo resta ambiguo: essi sono sia pericolosi, sia portatori di vita. Grazie a tutti questi indici figurali, Saleem conferisce una continuità percepibile alle vicende narrate, cosicché l’esperienza nazionale e familiare si correla a un disegno, una sorta di palinsesto tangibile.

Fonte letteraria e fucina di motivi ricorrenti è poi il testo delle Mille e una notte. Rushdie ne riprende lo stile digressivo e inserisce molti riferimenti associati al numero 1001 (ad esempio, i Figli della Mezzanotte sono esattamente 1001 che, secondo la credenza indiana, è un numero fortunato). Saleem stesso si paragona a Sheherazade, perché entrambi si trovano costretti a narrare delle storie ogni notte. Per la fanciulla il motivo impellente è la sopravvivenza, mentre Saleem vuole cogliere il significato della propria esistenza prima di “disintegrarsi”. La grande differenza sta nel ceto sociale dei protagonisti: Sheherazade si rivolge a un re, e i personaggi delle sue storie sono spesso principi e principesse, di solito minacciati da geni infatuati e, anche quando sono presenti personaggi più umili, non è detto che questi rimangano tali (essi tendono a trasformarsi in santoni o ereditiere). Saleem affida invece la propria storia a Padma, che rappresenta il “popolo”, la

32 K. WILSON, “Midnight’s Children and Reader Responsibility”, in M.D. FLETCHER [ed.],

(18)

linea di trasmissione delle storie non ufficiali. Il “popolo”, d’altro canto, spesso è privilegiato nei romanzi di Rushdie in quanto degno di fiducia e “autentico”: anche in questo caso, la “nobiltà” di Padma risiede nella sua semplice franchezza, segnale di integrità. La sua tenerezza, nonostante le apparenze, ribadisce questa sua connaturata onestà.33

Grazie alla narrazione in prima persona, Rushdie può “tell a story in the way in which Indian people tell stories, which is very roundabout full of digressions, and jokes, and asides, and parentheses and goes on forever, and exaggerates, and fantasises”.34 Sia la sua nascita a mezzanotte che il suo naso enorme conferiscono a Saleem tratti emblematici, da un lato in quanto cittadino dell’India postcoloniale, dall’altro in quanto sineddoche dell’eredità folclorica del subcontinente, poiché il suo naso lo collega a Ganesh, il dio dalla testa di elefante che è anche il dio degli scrittori. Si sarebbe infatti rotto una zanna per trascrivere il Mahabharata.35 Questo riferimento mitologico rende Saleem un perfetto narratore per l’epica della nuova India indipendente.

La storia di Midnight’s Children è insomma, allo stesso tempo, la storia della vita di Saleem e dell’India. Saleem significativamente respinge un metodo narrativo sistematicamente cronologico e lineare a favore di uno che oscilli tra passato, presente e futuro: un metodo che dilaziona, oppure trae potenziamento dalla prolessi, anticipando non solo il subentrare di eventi e personaggi che saranno rivelati in seguito, ma anche lo stesso annientamento finale del narratore. Questo è in parte dovuto alla natura retrospettiva della narrazione, in cui la suspense può essere generata tanto dal sottacere, quanto dal “dosare” le informazioni. Anziché una narrazione lineare “ufficializzata”, si utilizza qui una forma non-lineare e interpolata che suggerisce l’“eteroglossia”, ossia la presenza

33 A. GURNA, “Themes and Structures in Midnight’s Children”, in A. GURNA [ed.], The

Cambridge Companion to Salman Rushdie, cit., p. 93.

34 CHINWEIZU, “Interview: Novelist Salman Rushdie”, South: The Third World Magazine,

January 1993, p. 25, citato in T. RAHMAN, “Politics in the Novels of Salman Rushdie”, in G.R. TANEJA e R.K. DHAWAN [eds.], The Novels of Salman Rushdie, cit., p. 103.

35 C.L. INNES, The Cambridge Introduction to Postcolonial Literatures in English, CUP,

(19)

di una molteplicità di voci e significati, caratteristica del discorso “non-ufficiale”.36 Secondo Rushdie, infatti:

India is very much a plural culture, and if you are dealing with a country in which there is, and always has been, a mixed tradition, then you have to find a plural form. The oral epic tradition is the most flexible form that’s ever been discovered. It gives a great freedom, allows for interpolations and digressions and circularities. I used it in Midnight’s Children because I wanted to communicate a sense of fertility and fecundity, and to do this I had to very consciously waste material. That idea of unfinished stories, I thought, would be the only way of giving the sense of infinite possibility, of the narrator taking a path, not as the

inevitable but as one of several possible paths.37

La stratificazione della narrazione orale, con le sue parabole, digressioni e reiterazioni può quindi essere vista come il perfetto correlativo della tecnica di Rushdie in Midnight’s Children. All’interno del romanzo sono inoltre presenti due personaggi che possono essere definiti dei “cantastorie” in questa accezione: il barcaiolo Tai e Mary Pereira. La donna raccontava le storie della buonanotte ai fratelli Sinai, nelle quali Saleem era convinto si nascondesse la verità. Tai è invece un cantastorie illetterato, che tramite la sua tecnica riflette la costruzione formale della narrazione di Saleem e dell’intero romanzo; egli è in grado di incantare il giovane Aadam Aziz:38

“I have watched the mountains being born; I have seen Emperors die. Listen. Listen, nakkoo… […] I saw that Isa, that Christ, when he came to Kashmir. Smile, smile, it is your history I am keeping in my head. […] Once I knew where there was a grave with pierced feet carved on the tombstone, which bled once a year. Even my memory is going now; but I know, although I can’t read. […] I have seen plenty. Yara, you should’ve seen that Isa when he came, beard down to his balls, bald as an egg on his head. He was old and fagged-out but he knew his manners. “You first, Taiji,” he’d say, and “Please to sit”; always a respectful tongue, he never called me crackpot, never called me tu either. Always aap. Polite, see? And what an appetite! Such a hunger, I would catch my ears in fright. Saint or devil, I swear he could eat a whole kid in one go. And so what? I told him, eat, fill your

36 Per questo approccio bakhtiniano, cfr. A. GURNA, “Themes and Structures in Midnight’s

Children”, in A. GURNA [ed.], The Cambridge Companion to Salman Rushdie, cit., p. 97.

37 K. SANGARI, “Interview with Salman Rushdie”, in P.S. CHAUHAN [ed.], Salman Rushdie

Interviews: A Sourcebook of His Ideas, cit., p. 64.

(20)

hole, a man comes to Kashmir to enjoy life, or to end it, or both. His work was finished. He just came up here to live it up a little.” [MC 12-13]

Un ulteriore elemento comune alla narrazione orale e Midnight’s Children è il coinvolgimento di un pubblico. Infatti, se i cantastorie si rivolgono a una folla, spesso di illetterati appartenenti agli strati sociali inferiori, lo stesso fa Saleem, che legge tutta la vicenda a Padma. In Padma e Saleem è possibile cogliere da un lato il pragmatismo e lo scetticismo femminili radicati nella tradizione hindu, e dall’altro l’aspirazione politica e intellettuale maschile influenzata dalla tradizione europea.39 Il ruolo di Padma all’interno del testo ha una chiara funzione simbolica, vista la sua critica al processo di costruzione e ricostituzione della storia personale e nazionale offerto dal narratore. La donna vorrebbe piuttosto ascoltare una storia narrata in modo tradizionale, con un senso logico e lineare, e interrompe spesso Saleem per spronarlo a proseguire in quella direzione, evitando le ripetizioni, l’accumulazione di dettagli e le anticipazioni che, invece, sono così frequenti. Le sue interruzioni raffinano però il contesto culturale e fenomenologico della ricezione narrativa, sollecitando l’attenzione del lettore implicito e impedendogli di calarsi completamente nella materia finzionale. Ciò offre anche a Rushdie l’opportunità di descrivere il suo metodo, di sottolineare quale tipo di narrazione la sua arte non è.40 Saleem è infatti conscio del proprio potenziale, è consapevole che, nonostante le sue proteste, Padma è coinvolta da ciò che ascolta, e si sente per questo investito della responsabilità di spiegarle le ragioni del suo metodo: “I know now that she is, despite all her protestations, hooked. No doubt about it: my story has her by the throat […]. Fighting down the proper pride of the successful storyteller, I attempt to educate her” [MC 44]. Si può quindi affermare che, da una certa prospettiva, Midnight’s Children sia una metanarrazione, un’allegoria sulla scrittura, un’officina del testo.41

Padma non è solo una sineddoche del pubblico, ma anche una co-creatrice. Le associazioni mitologiche del suo nome suggeriscono che sia una sorta di Musa, in quanto richiama la Dea del Loto, fiore che, sollevandosi dal fango o dallo sterco,

39 C.L. INNES, The Cambridge Introduction to Postcolonial Literatures in English, cit., p. 135. 40 A. GURNA, “Themes and Structures in Midnight’s Children”, in A. GURNA [ed.], The

Cambridge Companion to Salman Rushdie, cit., p. 97.

(21)

rappresenta le potenzialità della bellezza e della nobiltà di ascendere rispetto al livello dell’impurità. Inoltre Saraswathi, la Dea delle Arti Creative, è sempre ritratta seduta sul loto.42 La presenza di Padma come ascoltatrice consolida così la “sostanza” mitopoietica della storia: Saleem ha bisogno del suo supporto; la sua memoria presenta falle se lei non collabora alla creazione del testo. In maniera altrettanto significativa, quando Saleem procede nella stesura anche in assenza di Padma, la sua storia assume proprio la caratteristica che lei percepisce come mancante e che lui ha fino a quel momento fortemente allontanato: si profila cioè come una narrazione lineare e cronologica. Con il ritorno di Padma, passerà la crisi creativa di Saleem stesso, e il loro matrimonio prefigurerà la riconciliazione degli imperativi, spesso in conflitto, facenti capo ad autore e lettore. Mettendo in scena la relazione dialettica tra narratore e pubblico, Rushdie ribadisce l’importanza del dialogo tra le parti alla base di qualsiasi attività letteraria o artistica.43

Bisogna anche tenere presente che alla base della concezione di Midnight’s Children sta l’accettazione dell’imperfezione e dei tratti fluidi del “prodotto finale”. La realtà della storia pubblica o dell’esperienza privata non sarebbe mai riducibile alle forme totalizzanti che un artista ambizioso potrebbe voler imporre su di loro. Il concetto dell’inevitabile fallimento dei tentativi di raggiungere la perfezione artistica è veicolato da un certo numero di personaggi minori, il cui operato può essere considerato un avvertimento simbolico nei confronti del progetto letterario di Saleem. Un esempio è dato dal giovane Lifafa Das e dal suo peepshow, attraverso il quale egli vanta di poter mostrare il mondo intero con una collezione di cartoline. L’illusione di questo mondo onnicomprensivo rinchiuso in una scatola è un dettaglio ironico che fa risaltare il fallimento di chi tenta di suggellare una riproduzione statica della realtà.44

Per l’artista che ha un’ambizione eccessiva, che insegue l’obiettivo dell’onnicomprensività e del controllo assoluto, il risultato finale, anche a fronte

42 Ivi, p. 41.

43 K. WILSON, “Midnight’s Children and Reader Responsibility”, in M.D. FLETCHER [ed.],

Reading Rushdie: Perspectives on the Fiction of Salman Rushdie, cit., pp. 58-60.

(22)

di un esordio promettente, è una sconfitta. Rushdie si confronta dunque direttamente con la fallibilità dell’artista, la parzialità della sua visione e l’inevitabile imperfezione dell’opera d’arte. La forma che la storia di Saleem assume alla fine deve molto al coinvolgimento dell’ascoltatore, ovvero del lettore implicito e di quello intradiegetico, cioè Padma, la cui presenza sollecita interventi e aggiustamenti. Come nota Keith Wilson:

[t]he participatory but implicit contract that Rushdie has with his reader, a contract premised on his reader’s knowledge of the conventions and deceptions of the narrative act, is ironically imaged in the relationship that Saleem has with Padma, who has no time for the problems of narrative and wants untrammelled, sequential and moralistic reality in the here-and-now. Out of the distance between himself and Saleem, and that between his reader and Padma, Rushdie makes the

“meaning” that Saleem can only, frenetically, hope to find.45

Per Saleem, l’attività dell’artista diventa quindi relativa e collaborativa, non assoluta e indipendente. La sua premessa è l’esistenza di un pubblico, la cui relazione con il narratore può a volte apparire antagonistica, ma è in realtà il sine qua non della sua fabula.

2.3 L’individuo e la Storia

Tra le già citate forme di rivisitazione allegorica attuate nel romanzo, forse la più pronunciata riguarda la rappresentazione della Storia. Ci sono infatti riferimenti ripetuti alle connessioni di Saleem con le vicende storiche: quello che accade all’India succede anche a lui, che se ne sente responsabile. Il personaggio di Saleem fa quindi pensare a un’allegoria dell’India, ma rappresenta anche un “malinteso” sulla centralità dell’individuo nella narrazione della storia nazionale. Saleem è sempre propenso a considerarsi la figura centrale dell’intero discorso narrativo (“I was already beginning to take my place at the centre of the universe; and by the time I had finished, I would give meaning to it all” [MC 173]), e si ritiene la fonte di tutti gli eventi contemporanei rilevanti: “I […] found myself obliged, yet again, to accept responsibility for the events of my turbulent, fabulous

(23)

world” [MC 375]. Con l’aumento delle sue capacità telepatiche, egli “diventa” le persone di cui legge i pensieri: “And finally I hit my highest point: I became Jawaharlal Nehru” [MC 241]. Durante questa “occupazione”, è proprio lui a far succedere le cose.46

La spiegazione che Saleem offre del suo bisogno di centralità è che, dopo i portenti antecedenti e contemporanei al momento della sua nascita (la profezia di Ramram Seth, la lettera di Nehru), egli teme che la sua intera esistenza sia in realtà priva di significato. Il narratore tenta così di ricostruire il proprio passato in modo da farlo collimare con tale quadro epistemico, fatto che lo rende un cronista tutt’altro che disinteressato e oggettivo.47 Nonostante Saleem cerchi continuamente di convincere il lettore che il proprio posto sia al “centro dell’universo”, il testo mostra quanto ciò sia falso, rivelandone chiaramente il ruolo periferico. Un esempio lampante è l’episodio della scoperta riguardante gli altri Figli della Mezzanotte. Quando sente le loro voci in testa per la prima volta, Saleem pensa di sentire gli arcangeli come Maometto, e di essere quindi l’ultimo profeta venuto ad annunciare la fine del mondo. Crede che questo sia ciò che era stato profetizzato per lui, e prontamente si annuncia alla sua famiglia, con l’unica conseguenza di ricevere uno schiaffo all’altezza dell’orecchio sinistro per la sua blasfemia, colpo che lo rende sordo.

Alla fine, lo stesso Saleem si rende conto che la grandezza che era stata profetizzata per lui alla sua nascita è compromessa dal trattamento riservatogli dalle persone che lo circondano. La sua vita risulta essere una serie di disavventure e sfortune; il suo corpo è sfigurato e menomato. Ben lungi dall’emergere come un eroe, diventa quindi un antieroe.48

La versione della storia fornita da Saleem è dunque, a causa del motivo che muove la sua narrazione, diversa da un resoconto logico, costruito su una catena rigorosa di causa-effetto. La storia in Midnight’s Children è invece frammentaria, apertamente soggettiva, una costruzione, una lettura. Alcuni degli errori cronologici e storici nel testo restano impliciti, ma altri, come la data della morte

46 A. GURNA, “Themes and Structures in Midnight’s Children”, in A. GURNA [ed.], The

Cambridge Companion to Salman Rushdie, cit., pp. 102-104.

47 S. RUSHDIE, “‘Errata’: or, Unreliable Narration in Midnight’s Children”, in Imaginary

Homelands, cit., p. 24.

(24)

di Gandhi, sono evidenziati da Saleem, senza essere però corretti. Il narratore può permettersi di contraddirsi apertamente e rimanere comunque all’interno del discorso storico. Questo è possibile perché gli errori di Saleem “are the mistakes of a fallible memory, compounded by the quirks of character and of circumstance”.49 Non per questo la realtà da lui descritta avrebbe minore valore di verità: “It is memory’s truth, he insists, and only a madman would prefer someone else’s version to his own”.50 Grazie a questo stratagemma, Rushdie non solo tiene il lettore all’erta e lo coinvolge nel ruolo di co-creatore, ma trasmette anche messaggi importanti relativi alla natura della storiografia e all’inaffidabilità dello scrittore. Per descrivere il suo approccio, l’autore adotta un’immagine estrapolata dalla quotidianità indiana, parlando di “chutnification of history” [MC 642]. Ogni capitolo finisce virtualmente in un vasetto di pickle. Ma la “chutneyficazione” è un metodo di conservazione che comportare delle distorsioni.51

Attraverso la sua narrazione plurale, Rushdie rende il lettore consapevole anche del ruolo affidato ai ricordi. Ciò che Saleem “pretende” dalla sua memoria è sconfinato: il processo del ricordare deve essere velocizzato, in modo da concludersi prima della disintegrazione fisica del protagonista. Midnight’s Children diventa così anche testimonianza dell’importanza della memoria nella ricreazione della Storia e nella costruzione dell’identità individuale.

Rushdie, attraverso Saleem, sembra confrontarsi con l’idea di quanto controllo si possa esercitare su una cronologia anche fuorviante e su quanto questo si connoti di rilevanza. Per quanto riguarda l’impatto della Storia sugli individui, non importa quando Gandhi sia stato assassinato, solo che lo sia stato, e come questo abbia inciso sulla coscienza individuale e collettiva dei cittadini indiani. Il progetto di Rushdie era quello di ritrarre l’India post-facendo luce sulla storia umana nell’ottica percettiva dei singoli individui, con tutta l’opacità che questo comporta.52

49 S. RUSHDIE, “Imaginary Homelands”, in Imaginary Homelands, cit., p. 10.

50 S. RUSHDIE, “‘Errata’: or, Unreliable Narration in Midnight’s Children”, in Imaginary

Homelands, cit., p. 25.

51 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 43. 52 C. CUNDY, Salman Rushdie, cit., pp. 32-34.

(25)

2.4 Il contesto politico

Alla fine della sua vita, Saleem si rende conto che tutte le speranze legate all’indipendenza dell’India, e quindi ai Figli della Mezzanotte e a lui stesso, sono infrante. Ma l’azzurro degli occhi del protagonista e gli altri elementi cromatici a lui connessi (ad esempio il colore della sua camera), vista l’associazione del blu con Krishna e Gesù, si fanno indice di una salvezza possibile, così come l’indipendenza avrebbe potuto rappresentare la speranza per l’India. Saleem è dotato di poteri straordinari – la telepatia e, in seguito, un olfatto finissimo – ma non è in grado di usarli per edificare il futuro. Impiega i suoi doni soprattutto per scopi che non gli fanno onore, come imbrogliare a scuola o spiare la madre durante il suo incontro con l’ex-marito, Nadir Khan. I suoi poteri olfattivi sono usati solo dagli altri e per motivi distruttivi: diventa infatti un segugio per l’esercito pakistano. L’unica azione positiva da lui compiuta con i poteri telepatici è aver organizzato la conferenza dei bambini della mezzanotte: anche questa, però, finisce in un fallimento completo, in gran parte a causa dei limiti dello stesso personaggio, ma anche per l’impossibilità oggettiva di trovare un modo per armonizzare le varie componenti politiche, linguistiche, religiose, etniche e sociali dell’India:

The prejudices and world-views of adults began to take over [the children’s] minds, I found children from Maharashtra loathing Gujaratis, and fair-skinned northerners reviling Dravidian ‘blackies’; there were religious rivalries; and class entered our councils. The rich children turned up their noses at being in such lowly company; Brahmins began to feel uneasy at permitting even their thoughts to touch the thoughts of untouchables; while, among the low-born, the pressures of poverty and Communism were becoming evident… and, on top of all this, there were clashes of personality. [MC 353]

La conferenza, il cui acronimo rimanda al Metro Cub Club del romanzo e allude ironicamente all’emblema imperiale, il Marylebone Cricket Club, è, nelle intenzioni di Saleem, una sorta di parlamento alternativo. Ma non ha un vero programma di azione coerente ed i suoi propositi rimangono a livello verbale. Il dissenso prende piede e la conferenza gradualmente si disintegra: anche la generazione più giovane, la prima nata libera dal gioco del Raj, soccombe alle

(26)

divisioni caratteristiche dell’India; invece di forgiare un’unità, essa diventa una vittima delle tendenze conflittuali del paese.53

La politica in Midnight’s Children non si limita, ovviamente, alla sola conferenza dei bambini della mezzanotte. Rushdie si scaglia apertamente contro Indira Gandhi e l’Emergency da lei dichiarata tra il 1975 e il 1977. Saleem e tutti i Figli della Mezzanotte ne sono vittima: il primo ministro (che nel romanzo è soprannominata “la Vedova”), temendone i poteri sovrannaturali, li imprigiona e li sterilizza, arrecando così la loro distruzione. Quest’azione metaforizza nell’opera l’annullamento delle promesse di speranza della nuova India, del sogno di una nazione.

Sotto altri aspetti, però, l’India è raffigurata positivamente, soprattutto attraverso la città di Bombay, che ne rappresenta la molteplicità: le sue lingue, religioni, culture e storie. In contrasto con Bombay si profila il Pakistan. Saleem lo descrive come “a country where the truth is what it is instructed to be” [MC 453], i cui governanti e famiglie al potere sono cinici e arroganti. La natura autoritaria di questa élite governativa è testimoniata dall’esercito e dalle sue ingerenze nel governo. L’episodio della “rivoluzione della pepaiola” getta comicamente luce sull’avidità dei corpi ufficiali e sui loro interessi circoscritti.

Ma è nel Pakistan orientale, il futuro Bangladesh, che si palesa la vera corruzione del potenziale umano, con la retorica dell’indipendenza e l’apice raggiunto dai crimini dell’esercito pachistano. Queste perversioni hanno coinvolto tutti i livelli dell’esercito e del governo; la degenerazione del mito nazionalistico distorce la realtà e spinge i soldati semplici a partecipare a uccisioni di massa e atrocità. L’inseguimento-fuga verso sud condotto dalla squadra d’assalto di Saleem (soltanto un “segugio” per la squadra ma, da un certo punto di vista, ciecamente colpevole quanto gli altri) è diretto al Sundurbans, un luogo emblematico di una spiazzante alterità.54 Si può allora intendere la fuga del protagonista come un tentativo di scappare dal senso di “wrong-doing” tramite la diserzione “into the historyless anonimity of rainforests” [MC 502].

53 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., pp. 33-35.

54 A. GURNA, “Themes and Structures in Midnight’s Children”, in A. GURNA [ed.], The

(27)

La conclusione di Midnight’s Children non è però totalmente negativa. Se è vero che la conferenza dei Figli della Mezzanotte, come l’India, non riesce a trovare una forma che permetta ai suoi membri di coesistere armoniosamente ed evitare la guerra civile, il pessimismo è compensato dal fatto che a tre fra i più potenti dei bambini, Saleem, Shiva e Parvati, si deve la presenza di un figlio chiamato simbolicamente Aadam. La loro unione ha un significato anche politico e sociale. Adottando il figlio di Shiva e Parvati, Saleem mostra implicitamente come l’intellettuale possa contribuire, ma non essere parte attiva nella procreazione della nuova generazione. I genitori adottivi del bambino (Saleem e Padma) provengono da due classi sociali diverse: la borghesia e il proletariato. L’unione di queste classi si configura come un aspetto positivo per il progresso e il benessere dell’India, mentre il gruppo di appartenenza di Saleem si è rivelato sterile. La popolazione autoctona, la classe lavoratrice che è stata oppressa e marginalizzata nonostante le sue radici affondino realmente in quel terreno – ovvero personaggi come Shiva, Parvati e Padma – è parte costitutiva e vitale dell’India. Benché la prima generazione dei Figli della Mezzanotte sia destinata alla distruzione, da questo grado zero nasce la speranza in un futuro migliore. Che il cognome del protagonista sia “Sinai” è inoltre significativo, in quanto Mosè vide la Terra Promessa dal Monte Sinai, ma gli fu detto che non sarebbe mai riuscito a raggiungerla: gli fu solo mostrata la via. Anche Saleem mostrerà la via che non può percorrere lui stesso, ma che forse sarà accessibile a un suo successore. Alla fine, egli si disintegra senza raggiungere la sua destinazione, letteralmente e metaforicamente, al pari della generazione a lui associata.55

D’altro canto, il nuovo Aadam sa quello che vuole e come ottenerlo; persino il suo silenzio (finché dura lo Stato di Emergenza) potrebbe essere letto come un segnale di forza. Non si dimentichi poi che, benché Saleem sia solo suo padre adottivo, i due hanno in comune un’origine mitica che guarda al dio Ganesh. Come spiega Rushdie:

The god Ganesh, having the head of an elephant, also has a very large nose, and it seemed to me that he was a proper mythological ancestor to place behind Saleem. […] Ganesh is the kind of patron deity of literature, and since Saleem is

Riferimenti

Documenti correlati

Difatti Stefanino possiede delle doti ammirabili e superori all’ordinario esse dimostrano pienamente l’assurda repulsione e l’odio verso la diversità nutriti da

Ripercorrendo la formazione di un giovane fobico, Ugazio ci offre l’esempio di una coppia composta da un uomo dinamico, indipendente, intraprendente, che avvia una società,

“Pertanto — scrive il GUP — la norma costituzionale, ponendo una stretta riserva di legge all’individuazione dei limiti da apporre al libero dispiegarsi del diritto

Questo tema nuovo è per ora affrontato utilizzando schemi tradizionali del romanzo, schemi che si dissolveranno in Zeno: narrazione in terza persona, anche se narratore

La necessità di una legge sul fine vita ha aspetti differenti in relazione a due situazioni: quella della persona cosciente, in grado di manifestare una

All’interno di questo studio il suddetto elenco diviene anche uno strumento esegetico ed ermeneutico poten- zialmente abile a disvelare l’identità e l’anima (o forse

Il ciclo di incontri dove la scienza incontra la religione Circoncisione Alimentazione Eutanasia Medicina di genere Trapianto.. Mercoledì 10 maggio - Ore 20:00 Centro Ebraico

It means that thanks to mechanization and automation human work has become less painful and stressing, it means that globally machines have not destroyed jobs for humans but