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Università di Pisa Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere Corso di Dottorato in Storia

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Università di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Dottorato in Storia

Il Caucaso nella storiografia greca di VI secolo d.C.

Procopio, Agazia, Menandro Protettore

Candidato: Tutor:

Niccolò Mario Franco Zambarbieri Prof. Giovanni Salmeri

(2)

2

I

NDICE

I

NDICE DELLE FIGURE

... 5

P

REMESSA

... 6

C

APITOLO

P

RIMO

.

P

ROCOPIO

... 9

1. La geografia ... 9

1.1 L’ecumene bipartita e le dimensioni del Ponto ... 11

1.2 Il Fasi: confine tra Europa e Asia... 15

1.3 La Lazica, confine tra mare e terra ... 20

1.4 La catena del Caucaso ... 26

1.5 I fiumi del Caucaso... 33

1.6 Una “guerra di posizione” in una terra di δυσχωρίαι ... 36

1.7 Le Porte Caspie: il passo di Derbent e la gola di Darial ... 40

2. I popoli dell’area caucasica ... 45

2.1 Tzani ... 50

2.1.1 Gli Tzani nelle fonti precedenti ... 50

2.1.2 La conquista della Tzanica nelle Novellae Iustiniani ... 53

2.1.3 La spedizione di Sittas nel De bello Persico ... 55

2.1.4 La descrizione degli Tzani nel De Aedificiis ... 62

2.2 Lazi ... 71

2.2.1 Breve storia dei rapporti con l’Impero (456 - 541) ... 72

2.2.2 Il passato mitico ... 77

2.2.3 Le città e le fortezze della Lazica ... 86

2.2.4 Il valore strategico della Lazica ... 92

2.2.4.1 Il controllo dei passi ... 93

2.2.4.2 La difesa avanzata e la minaccia persiana nel Ponto ... 97

2.2.4.3 Giovanni Lido e la strategia offensiva ... 101

2.2.5 La (presunta) povertà della Lazica ... 103

2.2.6 Il monopolio commerciale e la defezione “giustificata” ... 107

2.2.7 La monarchia... 113

2.2.7.1 Goubazes II ... 115

2.2.8 L’aristocrazia ... 122

2.2.9 L’apporto militare dei Lazi ... 125

2.2.10 I popoli κατήκοοι del Regno dei Lazi ... 128

(3)

3

2.2.11.1 Il martirio di Orenzio e dei suoi fratelli ... 136

2.3 Abasgi ... 139

2.3.1 Giustiniano, gli eunuchi e la conversione dell’Abasgia ... 142

2.3.2 La ribellione degli Abasgi ... 148

2.4 Apsili ... 151

2.5 Iberi ... 154

2.5.1 La rivolta di Gourgenes e la famiglia reale iberica ... 156

3. Il mondo nomadico ... 162

3.1 La “difesa comune” delle Porte Caspie ... 163

3.2 Le Porte Caspie in Procopio ... 168

3.3 Gli etnonimi tradizionali ... 173

3.4 Unni Kutriguri e Utiguri ... 176

3.5 Unni Eftaliti ... 179

3.6 Unni e Goti di Crimea ... 182

3.7 Alani ... 188

3.8 Unni Sabeiri ... 190

C

APITOLO

S

ECONDO

.

A

GAZIA

... 197

1. La geografia ... 197

1.1 L’ecumene ... 197

1.2 Le δυσχωρίαι del Caucaso ... 201

2. I popoli dell’area caucasica ... 204

2.1 Premessa: l’intento edificante delle Storie ... 206

2.2 Tzani ... 217

2.2.1 Teodoro e il contingente tzano in Lazica ... 217

2.2.2 La rivolta degli Tzani ... 221

2.3 Lazi ... 229

2.3.1 Sesostri e l’origine egizia dei Colchi ... 229

2.3.2 Il passato mitico ... 233

2.3.3 Le città e le fortezze della Lazica ... 242

2.3.4 L’importanza strategica della Lazica ... 245

2.3.5 La rappresentazione dei Lazi ... 246

2.3.6 Goubazes II ... 252

2.3.7 Tzathes II e le vesti del re dei Lazi ... 259

2.3.8 L’aristocrazia ... 266

2.3.9 L’apporto militare dei Lazi ... 268

2.3.10 La βουλή dei Lazi e il ruolo degli ἄριστοι nello Stato ... 270

2.3.11 Il μέγιστον θέαμα del diritto romano ... 275

(4)

4

2.3.12 L’aspetto religioso ... 288

2.3.12.1 Le usanze zoroastriane nelle Storie ... 291

2.4 Misimiani ... 298

2.4.1 Le fortezze della Misimia e il loro valore strategico ... 298

2.4.2 L’omicidio di Sotericus e la rappresentazione dei Misimiani ... 302

2.4.3 La spedizione romana in Misimia ... 306

3. Il mondo nomadico ... 312

3.1 Unni Kotriguri e Utiguri ... 313

3.2 Unni Sabeiri e Alani ... 315

C

APITOLO TERZO

.

M

ENANDRO

... 318

1. La geografia ... 318

2. I popoli dell’area caucasica ... 322

2.1 Lazi ... 324

2.1.1 La Lazica dopo Menandro ... 325

2.2 Suani ... 326

2.2.1 La Suania nelle fonti precedenti ... 327

2.2.2 La Suania nei frammenti di Menandro ... 330

2.2.3 La Suania dopo Menandro ... 337

2.3 La rivolta in Persarmenia e in Iberia ... 338

2.3.1 L’aspetto religioso ... 343

2.3.2 L’Iberia dopo Menandro ... 346

2.4 L’Albania Caucasica ... 347

3. Il mondo nomadico ... 349

3.1 Le vie per l’Asia Centrale ... 350

3.2 Alani ... 355

3.3 Unni Kotrageri e Utiguri ... 357

3.4 Unni Eftaliti ... 359

3.5 Unni Sabeiri e altre popolazioni ... 360

3.6 Avari ... 363 3.7 Turchi ... 367 3.7.1 L’ambasceria di Zemarco ... 371 3.7.2 L’ambasceria di Valentino ... 375

C

ONCLUSIONI

... 380

R

IFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

... 386

(5)

5

I

NDICE DELLE FIGURE

Fig. 1: La situazione politica del bacino mediterraneo nel 565 ... 11

Fig. 2: Mappa ionica con schematizzazione delle diverse possibilità di demarcazione del confine tra continenti ... 19

Fig. 3: Il Mar Nero all’epoca di Procopio ... 46

Fig. 4: I principali passi caucasici ... 94

Fig. 5: Costantinopoli e la zona degli stretti ... 109

Fig. 6: La regione caucasica nel VI secolo ... 130

(6)

6

P

REMESSA

Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire un’analisi della descrizione della regione caucasica e dei popoli del Caucaso nella storiografia greca di VI secolo d.C. Si tratta di un tema poco considerato nella bibliografia recente, nonostante la rilevanza che la regione rivestì, durante il periodo in questione, nello scontro l’Impero Romano e l’Impero Persiano. In questa trattazione, ho deciso di prendere in esame i testi di Procopio di Cesarea, Agazia di Mirina e Menandro Protettore, i quali, assieme a Teofilatto Simocatta, sono tradizionalmente considerati gli ultimi esponenti del genere storiografico classico1. In quanto principali storiografi del secolo, i tre autori forniscono

la maggiore quantità di materiale utile all’indagine, oltre a essere spesso l’unica fonte a disposizione. In alcuni casi, al fine di operare un utile confonto con i suddetti storiografi, ho preso in considerazione anche altri autori e documenti anteriori, coevi e posteriori al VI secolo d.C.

Lo studio esamina la descrizione delle regioni cis-caucasiche e trans-caucasiche, ad esclusione dell’Armenia, la trattazione sistematica delle cui vicende avrebbe richiesto un approfondimento tale da superare i limiti imposti al presente lavoro. Ciononostante, passi riguardanti la regione armena sono stati presi in considerazione laddove ritenuto opportuno. L’analisi si è concentrata sulle aree del Caucaso Occidentale, in virtù dello spazio maggiore che gli storiografi romani dedicano alle popolazioni alleate e alle regioni direttamente coinvolte negli scontri militari. Per fornire una migliore comprensione dell’oggetto principale della ricerca e degli autori esaminati, l’indagine si è spesso spinta oltre i limiti dell’area prettamente caucasica, coinvolgendo regioni quali la Tzanica, la Crimea e l’Asia Centrale.

Nell’organizzazione del lavoro, ho optato per una strutturazione “per autore”, suddividendo internamente ogni capitolo in paragrafi raggruppati nei seguenti blocchi: geografia, descrizione dei popoli sedentari cis-caucasici, descrizione dei popoli nomadi trans-caucasici (l’uso dei prefissi cis- e trans- vanno intesi da un punto di vista romanocentrico). La scelta è stata dettata dal desiderio di privilegiare la personalità

(7)

7

letteraria dei singoli autori rispetto alla raccolta delle mere informazioni geo-etnografiche. In molte occasioni, infatti, più che una migliore conoscenza della storia della regione, lo studio ha fornito elementi utili a una più profonda comprensione degli autori stessi e delle loro opere.

Il primo capitolo è dedicato a Procopio, autore che fornisce la maggiore quantità di materiale utile all’indagine. Dal momento che lo storico dimostra un interesse per le questioni geografiche che ha pochi eguali nella storiografia antica, nella prima parte del capitolo ho analizzato la rappresentazione dell’ecumene che emerge dalle sue opere. In seguito, mi sono concentrato sulla descrizione delle caratteristiche geografiche della regione caucasica. Nella seconda parte del capitolo, ho proceduto all’analisi dei passi riguardanti Tzani, Lazi, Abasgi, Apsili e Iberi, focalizzandomi sulle prime due popolazioni, delle quali Procopio tratta più diffusamente. Nella terza parte, lo studio verte su Unni Kotriguri e Utiguri, Eftaliti, Goti di Crimea, Alani e Unni Sabeiri; ho posto inoltre particolare attenzione alla questione della difesa delle Porte Caspie e degli altri valichi caucasici.

Il secondo capitolo è dedicato alle Storie di Agazia. Dopo un breve esame delle informazioni geografiche, di gran lunga più esigue di quelle di Procopio, nella seconda parte del capitolo ho inserito un’analisi preliminare della concezione storiografica dell’autore. Detta analisi si è rivelata di fondamentale importanza per comprendere appieno il racconto delle vicende del fronte caucasico. In seguito, ho considerato i passi riguardanti Tzani, Lazi e Misimiani, mentre nella terza parte del capitolo l’indagine si è concentrata su Unni Kotriguri e Utiguri, Sabeiri e Alani.

Il terzo capitolo è dedicato ai frammenti dell’opera di Menandro Protettore. Nella prima parte, ho esaminato il tragitto delle ambascerie romane dal Caucaso e dalla Crimea all’Asia Centrale. Nella seconda parte, dopo un’analisi delle scarne informazioni sui Lazi, mi sono concentrato sulla Suania, il cui controllo fu conteso dai due imperi durante le trattative di pace del 562. La seconda parte del capitolo si conclude con la trattazione delle rivolte in Persarmenia e Iberia e con un breve paragrafo sull’Albania Caucasica. Nella terza parte del capitolo, ho analizzato le potenzialità dello sfruttamento dei valichi caucasici a fini commerciali e diplomatici.

(8)

8

Mi sono in seguito rivolto ai passi riguardanti Alani, Unni Kotriguri, Utiguri, Eftaliti, Sabeiri e altre tribù unne. Infine, ho indagato la rappresentazione degli Avari e dei Turchi. Ho quindi tratto le conclusioni generali della ricerca svolta.

(9)

9

C

APITOLO

P

RIMO

.

P

ROCOPIO

1. La geografia

Per quest’uomo, il mondo intero non è sufficiente; è troppo poco per lui dominare su tutta l’umanità. Egli mira anche al cielo e fruga gli angoli più remoti al di là dell’Oceano, bramoso di impossessarsi di qualche altra terra abitata2.

Con queste parole, i capi della rivolta armena del 538/9 descrivono il desiderio di conquista di Giustiniano, nella speranza di convincere lo shah Cosroe a sostenere la loro causa. A seguito della “Pace Eterna” del 532 tra Impero Romano e Persiano, l’amministrazione dell’Armenia Interna era stata affidata a Simeone, ex-governatore della parte di Persarmenia in cui era situata la fortezza di Pharangion, passato poi con i Romani nelle fasi finali del conflitto3. Dopo il suo assassinio da parte di alcuni

cospiratori filo-persiani, l’imperatore affidò l’amministrazione provinciale ad Amazaspe, nipote del defunto Simeone. In seguito, un suo collaboratore di nome Acacio lo accusò di malversazione e di medismo: Giustiniano ne avallò l’omicidio e affidò allo stesso Acacio l’incarico di amministrare la provincia, ampliandone i confini e ribattezzandola Armenia Prima Magna4. Stando a Procopio, Acacio vessò la

popolazione e impose una tassa di quattro centenari che provocò la sollevazione degli abitanti. Un primo scontro con il magister militum Sittas si concluse con la vittoria dei rivoltosi e la morte dello stesso Sittas. Al successivo invio di un altro magister militum, Buze, gli Armeni chiesero aiuto allo shah, fornendogli un pretesto per l’invasione dei territori romani del 5405.

2 Procop. Bell.Pers. II 3, 43.

3 Sulle vicende riguardanti detta fortezza, cfr. Procop. Bell.Pers. I 22, 18; Bell.Goth. IV 13, 19. 4 Cfr. Novell.Iust. 31.

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Procopio costruisce, secondo un modello affermato nella storiografia classica, un discorso sull’imperialismo romano dal punto di vista delle sue vittime. Poco prima, infatti, lo shah aveva ricevuto una simile richiesta d’aiuto da parte di due emissari goti6.

Nel discorso degli Armeni, Procopio passa in rassegna i popoli e le regioni coinvolte nella renovatio imperii giustinianea: i popoli d’Occidente, i Lazi, gli Tzani, gli Unni del Chersoneso e la città di Bosporon, gli Etiopi, gli Omeriti, gli abitanti della Libia e dell’Italia7. Nel regno di Giustiniano, le armate romane tornano a calcare territori da

tempo perduti, ampliando notevolmente l’orizzonte dell’azione diplomatica e militare dell’Impero. Di conseguenza, l’opera di Procopio spazia dall’Italia alla Mesopotamia, dall’Etiopia al Caucaso, dal nord-Africa alla Crimea. Lo storico di Cesarea giunge a descrivere luoghi ancora più distanti, come le steppe dell’Asia Centrale, dove lo shah Perozes I cadde in battaglia contro gli Unni Eftaliti, e persino dal contorno mitico, come l’isola di Tule. Questa ampiezza di prospettive porta Procopio a esporre ai propri lettori le tradizionali speculazioni sulla partizione del mondo abitato e sulle sue dimensioni.

La geografia trova infatti amplissimo spazio nell’opera dello storico di Cesarea. Innanzitutto, i Bella sono rigidamente suddivisi per teatri di guerra, un tipo di organizzazione della materia che trova in Appiano un suo precedente8. Anche l’ultimo

libro, che pure contiene materiale eterogeneo, riproduce al suo interno la stessa divisione tra i vari fronti. Procopio poté inoltre vedere con i propri occhi molti dei luoghi da lui descritti, viaggiando al seguito di Belisario in qualità di suo adsessor. La sua esperienza personale contribuì senz’altro a far maturare in lui un interesse particolare per la geografia, tanto che nei Bella compaiono varie digressioni quasi puramente geografiche. Si può dunque concordare con chi ha affermato che “there is more geography in the Wars than there is in any other Roman historian before or after him”9. Inoltre il De Aedificiis, il panegirico che Procopio compose per Giustiniano, è una

6 Procop. Bell.Pers. II 2.

7 Procop. Bell.Pers. II 3, 38-42. Per un approfondimento sul discorso degli Armeni, e in

particolare sulla sottesa critica alla politica estera giustinianea, cfr. Kruse 2013.

8 Cesa 1982, 193-94, anche per le possibili implicazioni politiche di questa scelta. 9 Kaldellis 2013a, 4.

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11

sorta di periegesi dei territori imperiali sottoforma di rassegna dell’attività edilizia realizzata dall’imperatore10.

1.1 L’ecumene bipartita e le dimensioni del Ponto

All’inizio del primo libro De bello Vandalico, prima di un breve résumé delle vicende libiche tra il 395 e il 533, lo storico ritiene opportuno indicare quale fosse l’estensione dell’Impero Romano alla morte dell’imperatore Teodosio. In primis, egli fornisce una descrizione di massima dell’ecumene:

10 Nel De Aedificiis, Procopio spazia dalla capitale (libro I) alla frontiera orientale dell’Impero

(libro II), trattando poi della regione armeno-pontica (libro III), della penisola balcanica (libro IV), della penisola anatolica e degli altri domini asiatici (libro V) e infine dell’Egitto e della costa libica (libro VI). Viene invece del tutto omessa l’Italia.

Fig. 1: La situazione politica del bacino mediterraneo nel 565, anno della morte di Giustiniano.

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Il mondo è intorno circondato dall’Oceano, tutto o in gran parte (a questo proposito non abbiamo nozioni molto sicure)11 ed è diviso in due continenti separati da una specie d’insenatura formata dall’Oceano stesso, che si apre nella parte occidentale, dando origine a questo nostro mare, il quale comincia presso Gadira e si estende fino alla Palude Meotide. Di questi due continenti, quello a destra di chi naviga per detto mare in direzione della Palude Meotide si chiama Asia e comincia da Gadira e da una delle Colonne d’Ercole. Septem è il nome dato dai nativi alla fortezza, giacché là vi sorgono sette colli; infatti, “septem” significa “sette” in latino. Il continente opposto è detto Europa. In questo punto, lo stretto è largo 84 stadi e divide i due continenti, ma da quel punto in poi essi sono separati da un ampio tratto di mare fino all’Ellesponto. In quel punto si avvicinano di nuovo presso Sesto e Abido, e poi nuovamente a Bisanzio e Calcedonia fino alle rocce dette anticamente Cianee, un posto ancor oggi chiamato Hieron. In questi luoghi, i due continenti sono separati tra loro da una distanza di soli 10 stadi, e forse anche meno. La distanza tra una colonna d’Ercole e l’altra, andando lungo la costa e senza passare per il Golfo Ionico e il Ponto Eusino, ma attraversando lo stretto da Calcedonia a Bisanzio e da Otranto alla riva opposta, equivale a un viaggio di 285 giorni per un buon viaggiatore. Per quanto concerne le terre attorno al Ponto Eusino che si estendono da Bisanzio alla Palude Meotide, sarebbe impossibile dire qualcosa di preciso, giacché i barbari che vivono oltre il fiume Istro, che chiamano anche Danubio, rendono le coste inaccessibili ai Romani. Fanno eccezione quelle terre da Bisanzio alla foce del Danubio, per le quali occorrono 22 giorni di viaggio, i quali andrebbero aggiunti alle dimensioni dell’Europa da chiunque volesse cimentarsi nel calcolo. Sul lato asiatico, da Calcedonia al fiume Fasi, che scorre attraverso la terra dei Colchi e sfocia nel Ponto Eusino, il viaggio dura 40 giorni. E così, l’intero dominio romano, perlomeno secondo le distanze misurate lungo la costa, si estende per 347 giorni di viaggio se, come detto, si attraversa il Golfo Ionico, il quale si estende per circa 800 stadi da Otranto: l’attraversamento di quel mare richiede, infatti, non meno di 4 giorni. Questa, dunque, era la dimensione dell’Impero Romano nei tempi antichi12.

11 Cfr. Hdt. III 115; IV 45, 1.

12 Procop. Bell.Vand. I 1, 4-13. Si confronti la più sintetica descrizione dell’Europa “a forma di

isola” in Procop. Aed. IV 1, 12. Pekkanen (1964, 40 ss.) ha ritenuto che Procopio usasse come fonte una vera e propria carta geografica.

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13

Procopio considera l’ecumene diviso in due soli continenti, Asia ed Europa. Qui come altrove, lo storico afferma di considerare la Libia parte dell’Asia13, inserendosi con

convinzione nel solco di una visione del mondo che affondava le proprie radici nell’età arcaica14. Questa divisione del mondo è, in effetti, più antica rispetto a quella tripartita,

poiché poggia su uno schema simmetrico elementare, nel quale due continenti sono separati dal bacino Mediterraneo e del Mar Nero. Una linea orizzontale dallo stretto di Gadira taglia in due il Mediterraneo, passando poi attraverso il Bosforo e proseguendo per tutto il Ponto Eusino: a nord di questa linea si ha l’Europa, a sud l’Asia, di cui la Libia è semplicemente una parte.

Procopio fornisce anche una misurazione dell’estensione dell’Impero ai tempi di Teodosio, misurata secondo i giorni di navigazione necessari per percorrere le coste mediterranee e pontiche sotto controllo romano. Limitando l’analisi all’area pontica, Procopio parla di 22 giorni di navigazione da Costantinopoli al Danubio e di 40 giorni di navigazione per l’intera costa asiatica del Ponto, da Calcedonia alla foce del fiume Fasi15. Nel IV libro De bello Gothico, Procopio riporta nuova misure, così riassumibili16:

Da Calcedonia al Fasi 40 giorni di navigazione/52 giorni di cammino Da Petra all’Apsilia 550 stadi

Da Sebastopoli a Pitiunte 2 giorni di cammino Da Bosporon a Cherson 20 giorni di cammino Da Cherson al Danubio 10 giorni di cammino Da Bisanzio al Danubio 22 giorni di navigazione

13 Orosio afferma che vi era anche chi considerava la Libia parte dell’Europa (Oros. Hist. I 2, 85). 14 Procop. Bell.Goth. I 12, 1. Cfr. Bell.Goth. IV 6, 2; Aed. VI 1, 6-10. Si pensi ai due libri in cui è

divisa la Periegesi di Ecateo di Mileto, il primo dei quali dedicato all’Europa, il secondo all’Asia e alla Libia. Uno dei testi cardine della bipartizione dell’ecumene è il trattato ippocratico Sulle Arie, Acque e Luoghi, che contrappone Europa e Asia tanto a livello geografico che etnografico. Eratostene sostiene invece una bipartizione tra Europa e Asia fondata sulla divisione del mondo in fasce climatiche, ponendo il confine tra aree boreali e meridionali presso le Porte Caspie.

15 Per la misura riguardante l’Adriatico, cfr. Feissel 2002, 399-400. 16 Procop. Bell.Goth. IV 2, 22; 5, 29-33.

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Lo stesso Procopio fornisce la scala di equivalenza per leggere i dati: un giorno di viaggio equivale a 210 stadi, pari alla distanza tra Atene e Megara17. Gli studi di Feissel

hanno dimostrato che Procopio ha utilizzato l’equivalenza 1 stadio = 7 miglia, comune nella tarda antichità, e che buona parte delle sue misurazioni derivano dalla conversione in stadi di misure originariamente espresse in miglia. L’autore tende poi ad arrotondare il risultato, inserendo una voluta imprecisione per evitare l’impressione di pedanteria18. Inoltre, nonostante il riferimento alla distanza tra Atene e Megara sia

da ricondurre a una misurazione terrestre, Procopio sembra aver utilizzato la stessa scala metrologica anche per le distanze percorse via mare. In considerazione di ciò, è possibile proporre alcuni raffronti. Procopio indica due misure per la distanza da Calcedonia al Fasi. I 52 giorni di cammino indicati nel De bello Gothico derivano dalla misura erodotea di 11.000 stadi, ripresa e approssimata da Procopio secondo la sua scala di equivalenza19. Nella medesima scala, il dato alternativo di 40 giorni di

navigazione del De bello Vandalico corrisponde a 8.400 stadi. Eratostene, citato da Strabone, forniva una misura di 8.000 stadi20. È possibile che Procopio abbia ripetuto

l’operazione già svolta con Erodoto, prendendo la misura di Eratostene, apportando la sua scala di equivalenza e arrotondando il risultato ottenuto.

Infine, Procopio afferma di non essere in grado di indicare l’intera misura del Ponto, perché buona parte delle sue coste sono inaccessibili ai Romani. Inoltre, in polemica con gli autori precedenti, afferma che “anche tutti quelli che prima di me hanno tentato di darne un’accurata descrizione non sono riusciti a dire nulla di preciso”21. Procopio

arriva così a concludere che se da Calcedonia al Fasi vi sono 52 giorni di cammino “si può calcolare, non senza buone ragioni, che anche l’altra parte del Ponto non sia molto distante da queste dimensioni”. In effetti, sommando i dati che Procopio offre per la costa europea tra il De bello Vandalico e il De bello Gothico, si ottiene un’uguale distanza

17 Procop. Bell.Vand. I 1, 17. Per Erodoto erano 200 stadi (Hdt. IV 101, 3). 18 Feissel 2002, 384-85; 391-92; cfr. Hultsch 1971, 568-70 in partic. n. 2. 19 Hdt. IV 86.

20 Eratosth. fr. III B 62 Berger = Str. II 1, 39; cfr. Str. XII 3, 17. 21 Procop. Bell.Goth. IV 5, 32.

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di 52 giorni da Bosporon a Costantinopoli. A questi, vanno aggiunti i 550 stadi della costa della Lazica, una misura ottenuta probabilmente arrotondando un originale misurazione di 80 miglia, come rivela l’uso dell’avverbio μάλιστα22. Provando a

considerare le misure parziali fornite per il Ponto, si può affermare che il totale si avvicina alla misura di Eratostene (23.000 stadi) e a quella di Strabone (25.000 stadi)23,

ma è difficile essere più precisi. L’impressione è che Procopio abbia utilizzato sia fonti letterarie (come Erodoto e Strabone) per le distanze maggiori, come quelle della costa pontica asiatica, sia altre fonti, probabilmente legate all’ambito militare, con misurazioni in miglia.

1.2 Il Fasi: confine tra Europa e Asia

L’ecumene di Procopio si suddivide in due continenti, separati dal bacino pontico-mediterraneo: una linea congiunge lo stretto di Gadira a quello del Bosforo Tracico e continua tagliando il Ponto Eusino. Se i mari dividono inequivocabilmente Asia ed Europa, le opinioni degli antichi erano però in contrasto laddove si trattava di indicare come il confine proseguisse a oriente del Ponto Eusino. La maggior parte degli autori antichi aveva scelto di rintracciare un corso d’acqua che segnasse il limite dei due continenti, dividendosi in due diverse scuole di pensiero. Alcuni ritenevano che fosse il Tanais, l’attuale Don, a determinare dove finisse l’Europa e dove iniziasse l’Asia; altri invece indicavano il fiume Fasi (odierno Rioni) come confine24. Procopio dedica la parte

conclusiva dell’ampia digressione incipitaria del IV libro De bello Gothico alla questione:

A questo punto dell’esposizione, mi sembra opportuno parlare delle opinioni concernenti i confini di Asia ed Europa, questione dibattuta tra gli esperti di queste cose. Da un lato, alcuni affermano che questi due continenti sono separati dal fiume

22 Cfr. Feissel 2002, 393-97.

23 Cfr. Str. II 5, 22; Amm. XXII 8, 10. Polibio (IV 39, 1) contava 20.000 stadi. Esistevano però

misurazioni di gran lunga inferiori (cfr. Plin. Nat. IV 77).

24 Per una sintesi sulla visione dell’ecumene nella tradizione greco–romana (ed ebraica) dall’età

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Tanais, asserendo con decisione che il confine deve essere naturale e supportando la loro opinione col fatto che, mentre il mare procede da ovest a est, il fiume Tanais scorre tra i due continenti da nord a sud; allo stesso modo, affermano che il Nilo egizio procede nella direzione opposta, da sud a nord, e scorre tra Asia e Libia. Dall’altro lato, altri contestano l’opinione di costoro e ritengono il loro ragionamento non valido. Essi sostengono che questi due continenti sono divisi all’inizio dallo stretto di Gadira, che proviene dall’Oceano, e dal mare che si estende da quel punto in avanti, e che la terra a destra dello stretto e del mare sia chiamata Libia e Asia, mentre tutto quello che è a sinistra è chiamato Europa, all’incirca fino alla fine del Ponto Eusino. In quest’ipotesi, il Tanais sorge all’interno dei confini europei e sfocia nella Palude Meotide, che a sua volta scarica le sue acque nel Ponto Eusino non dove questo finisce, né a metà, bensì oltre la sua metà. E la terra a sinistra del Ponto Eusino è considerata parte dell’Asia. Al di là di ciò, il fiume Tanais sgorga dai cosiddetti Monti Ripei, che sono nella terra d’Europa, come affermano concordemente quelli che hanno scritto su queste questioni nei tempi antichi. L’Oceano è molto lontano da questi Monti Ripei, cosicché la terra al di là ed entrambe le sponde del fiume Tanais devono necessariamente essere europee. In quale punto poi il fiume Tanais comincerebbe a dividere i due continenti non è facile a dirsi. Se si deve dunque dire che un fiume divide i due continenti, quello dovrebbe di necessità essere il Fasi. Esso scorre, infatti, nella direzione opposta rispetto a quella dello stretto di Gadira, e così scorre tra i due continenti; ciò perché, mentre lo stretto, giungendo dall’Oceano per formare il mare, mantiene i due continenti sui due lati, il fiume Fasi scorre quasi alla fine del Ponto Eusino e si getta nel mezzo del crescente, continuando chiaramente la divisione della terra realizzata in precedenza dal mare. Queste dunque sono le argomentazioni proposte da coloro che si contrappongono quando disputano della questione. Io ora dimostrerò che non solamente l’argomentazione precedente, ma anche quella che ho appena riportato può vantare di essere un’opinione vetusta, supportata da alcuni uomini dei tempi antichi. Sono consapevole del fatto che, come norma generale, se gli uomini scoprono un argomento antico, non sono più intenzionati a devolvere se stessi alla fatica che comporta la ricerca della verità, né a imparare una teoria più recente riguardo al problema in esame, ma l’opinione più antica sembra loro plausibile e onorevole, mentre le opinioni dei

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contemporanei sono disprezzate e classificate come ridicole. Inoltre, per quanto riguarda la questione ora in esame, non si tratta di un qualche livello intellettuale o intelligibile di realtà, o qualcos’altro di oscuro, bensì di fiumi e di terre; queste sono cose che il tempo non è stato in grado di cambiare o di nascondere in qualche modo. Gli indizi sono semplici da ottenere e la sola vista fornisce la prova più soddisfacente, e penso che non vi sarà alcun ostacolo sulla strada di coloro che bramano scoprire la verità. Erodoto di Alicarnasso, dunque, nel quarto libro delle sue Storie, afferma che tutta la terra è unica ma si considera divisa in tre parti e tre denominazioni: Libia, Asia, Europa. Tra la Libia e l’Asia scorre l’egizio Nilo, mentre Asia ed Europa sono divise dal colco Fasi. Sapendo che alcuni ritenevano che fosse il Tanais ad assolvere questa funzione, egli menzionò in seguito anche questa opinione. Mi sembra appropriato inserire nella mia esposizione le parole esatte di Erodoto, che sono le seguenti: “né io sono in grado di congetturare il motivo per cui accade ciò, che la terra sia una e che le si attribuiscano tre nomi di donne. Le linee di demarcazione sono state stabilite presso il Nilo egizio e il Fasi colco. Ma altri chiamano in causa il fiume Tanais, che sfocia nella Palude Meotide e nello stretto Cimmerio”. Il poeta tragico Eschilo nel “Prometeo Liberato”, all’inizio della tragedia, chiama il fiume Fasi “il confine della terra d’Asia e d’Europa”25.

Esponendo l’ipotesi che sia il Tanais a fare da confine, Procopio riconosce che l’argomentazione principale consiste nella schematica specularità del suo corso rispetto a quello del Nilo. E poiché il fiume egizio assurge al ruolo di confine tra Asia e Libia, analogamente il Tanais può a buon diritto essere considerato confine tra Asia ed Europa. Nilo e Tanais figurano come due linee verticali che intersecano una linea orizzontale, rappresentata dalle acque del Mediterraneo e del Ponto che scorrono verso oriente, realizzando così una griglia su cui collocare le masse continentali26. Simili

corrispondenze erano alquanto frequenti nella geografia antica: si pensi a quella

25 Procop. Bell.Goth. IV 6, 1-15. La questione del confine euroasiatico è richiamata anche in Aed.

VI 1, 7-8. Per le citazioni, cfr. Hdt. IV 45; Aesch. TrGF 3, 104; 106.

26 Cfr. Hartog 1980. Un sostenitore della coppia Nilo-Tanais come marcatori del confine tra

continenti fu Strabone (Str. II 3, 5; II 4, 5; II 5, 26; XI 1, 1). In questa ipotesi, la linea di demarcazione passava per lo stretto di Kerch (Cfr. Hecat. FGH I F 212; Str. XI 2, 10).

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individuata tra Golfo Persico e Mar Caspio e tra Golfo Arabico e Ponto Eusino27. Ma

come si è visto, Procopio sostiene una concezione bipartita del mondo, negando quindi alla base l’argomentazione della simmetria Nilo/Tanais. Inoltre, il Tanais non collega la Meotide all’Oceano, ma nasce dai Monti Ripei28, i quali a loro volta sono a grande

distanza dalle rive dell’Oceano29. Nell’impossibilità di far proseguire la demarcazione

nel territorio retrostante, si deve necessariamente concludere che l’intero corso del Tanais si svolge pienamente in terra europea.

Nello schierarsi tra coloro che considerano il Fasi come confine, lo storico ripresenta nuovamente un’argomentazione fondata su un’immagine schematica del mondo, coerente con la bipartizione dell’ecumene da lui sostenuta30. Se il bacino

mediterraneo-pontico, come una linea orizzontale, separa i continenti, il Fasi ne è la naturale continuazione, giacché la sua foce si trova “alla fine del Ponto e a metà del crescente”, vale a dire la parte ricurva della costa lazica31. Il fatto che le sue acque scorrano in

27 Cfr. Str. II 5, 18; D.P. 51-55.

28 Cfr. Str. VII 3, 1; 3, 6. Plin. Nat. IV 78; IV 88. Mela I 115; Oros. Hist. I 2, 4. I Monti Ripei erano

talora chiamati Iperborei (Iul.Hon. Cosmogr. A 33; contra Mela III 36). Da questi monti sarebbero nati molti altri fiumi (Basil. Hom. 3, 6). Va notato che Procopio non cade nello stesso errore di coloro che collocano la sorgente del Tanais nel Caucaso (cfr. Str. II 4, 6; XI 2, 2 = Theophan. FGH 188 F 3; Amm. XXII 8, 27; D.P. 663-65; Itin. Alex. 35; Avien. Orb.Terr. 861), confondendolo talvolta con il Terek (Thphn.Conf. a.m. 6171, 356-57). L’errore deriva da una confusione tra Caucaso e Monti Ripei (cfr. Aesch. Prom. 717-27) oppure dalla “duplicazione del Caucaso” (cfr. Str. XI 7, 4; Arr. An. V 5, 5; vd. infra, cap. 1, 1.4).

29 Il Tanais, come anche il Nilo e il Fasi, erano anticamente considerati un collegamento diretto

con l’Oceano (cfr. Pind. Pyth. IV 251; Orph. Arg. 1036-86). Ciò avrebbe reso i margini del mondo intercomunicanti e, pertanto, aventi molti elementi in comune: cfr. Romm 1992; Braund 1994, 17-21; Nicolai 2016, 65. Si noti che alcuni ponevano il confine tra Asia ed Europa proprio presso i Monti Ripei (cfr. Ravenn. 20, 21-25 ed. Schnetz). Del resto, l’alto corso del Tanais era così sconosciuto al mondo greco (Str. XI 2, 2) che alcuni ritenevano invece che si trattasse di un ramo del fiume Arasse (Arist. Mete. 350a27; Ps-Skymn. 865-69; Basil. Hom. 3, 6; Avien. Orb.Terr. 29-32), mentre altri ancora credevano che le sue sorgenti fossero vicine a quelle del Danubio (Str. II 4, 6).

30 Vir.Seq. 148, citando tal Gallo, dice che era l’Hypanis, fiume scitico, a dividere Asia ed

Europa. Cfr. Vir.Seq. 151, dove invece tale ruolo è ricoperto dal tradizionale Tanais.

31 Cfr. Procop. Bell.Goth. IV 2, 1; 2, 21-22; 2, 27. L’uso del termine μηνοειδὴς riferito a una costa

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direzione opposta rispetto alla corrente marina rafforza ulteriormente il suo ruolo di confine: il Fasi dunque è “τὴν τῆς γῆς ἐκτομὴν ἀπὸ τῆς θαλάσσης διαφανῶς ἐκδεχόμενος”.

Insieme alle considerazioni prettamente geografiche, Procopio inserisce nel passo una polemica verso chi si limita a ripetere le affermazioni degli antichi, riconoscendovi un’indiscussa autorità. Ciò rientra in un contesto letterario di competizione con i predecessori: fin dalla prefazione dei Bella, Procopio mostra un atteggiamento critico verso chi si limitava a riporta le opinioni degli antichi, evitando di indagare da sé la verità32. Ciononostante, l’autore non si pone alcun problema nel citare due “antichi”

20; Aed. VI 3, 3; 4, 15). Al Ponto era riconosciuta la forma di un arco scitico (Str. II 5, 22; Plin. Nat. IV 76; Mela I 102; Val.Fl. IV 728; Manil. Astr. IV 755; Amm. XXII 8, 10; D.P. 156-62).

32 Procop. Bell.Pers I 1, 6-16.

Fig. 2: Mappa ionica con schematizzazione delle diverse possibilità di demarcazione del confine

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che avevano sostenuto la sua stessa opinione nella disputa sul confine tra Europa e Asia, vale a dire Erodoto ed Eschilo. Entrambe le citazioni sono presenti in Arriano, e ciò fa inevitabilmente pensare che Procopio le abbia copiate da lì33. Procopio aggiunge

però un punto: nel caso delle questioni in esame, limitarsi alle opinioni degli antichi è ancora più assurdo perché non si tratta di una ricerca “περὶ νοερῶν ἢ νοητῶν τινος ἢ ἀφανῶν ἄλλως”, ma di cose concrete, quali fiumi e terre. Il tempo non le può cambiare, la vista è la migliore delle prove e non c’è nessun ostacolo per chi voglia arrivare al “τὸ ἀληθὲς”. Con queste parole, Procopio intende rimarcare una differenza tra le discussioni geografiche e le speculazioni metafisiche e teologiche34. Queste ultime

occupavano buona parte del dibattito culturale del VI secolo, ma a Procopio interessavano poco. Lo storico di Cesarea combina dunque la tradizionale polemica letteraria diretta contro i predecessori a una critica contemporanea, rivolta contro chi dedica il proprio tempo e la propria intelligenza a speculare “περὶ νοερῶν ἢ νοητῶν”. Lo storico riesce in questo modo ad attualizzare discussioni che risalivano al V secolo a.C., inserendole nell’ambito di un messaggio polemico intrinsecamente legato alle vicende culturali del VI secolo d.C.

1.3 La Lazica, confine tra mare e terra

Procopio lega dunque il sostegno alla tesi del Fasi come confine tra Europa e Asia alla concezione bipartita dell’ecumene. Il Fasi, scorrendo in direzione opposta alle acque marine e sfociando nell’angustissimus Ponti angulus35, si configura come confine netto

tra mare e terra, tra mondo mediterraneo e oriente asiatico. Tuttavia, l’opinione più diffusa sulla direzione delle correnti del Ponto era diversa da quella di Procopio.

33 Arr. Peripl.M.Eux. 19, 1 (per Aesch. Prom. 729 ss.); An. III 30, 8-9 (per Hdt. IV 45, 2). Contra

Pekkannen 1964, 48. Per l’uso dell’intero “istmo” tra Ponto e Caspio come confine, cfr. Ps-Arist. Mu. 3; Str. I 2, 25; 2, 28; 4, 7; II 5, 28, D.P. 20-22.

34 Cfr. Kaldellis 2013a, 4-5.

35 Cfr. Mela I 108. Per la collocazione del Fasi “alla fine del Ponto” cfr. Str. XI 2, 16 = Nauck TGF2

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Perciò, dopo aver esposto la questione del confine euro-asiatico, lo storico introduce una nuova digressione sulle correnti marine che mette conto riportare:

A questo punto dirò anche che alcuni esperti di questi argomenti pensano che sia la Palude Meotide a creare il Ponto Eusino, e che la prima fuoriesca dal secondo in parte sulla destra e in parte sulla sinistra. Per questo motivo la Palude Meotide è chiamata “madre del Ponto Eusino”. Essi asseriscono ciò sulla base dell’osservazione compiuta presso un luogo chiamato Hieron, dove la corrente del Ponto Eusino scorre giù verso Bisanzio come se si trattasse di un fiume, e conseguentemente considerano che questo sia il confine del Ponto. Ma quelli che si oppongono a questa opinione chiariscono che tutto il mare è, ovviamente, uno soltanto, che nascendo dall’Oceano e senza alcun altro confine si estende fino alla terra dei Lazi. A meno che, dicono, qualcuno non consideri il semplice cambiamento di nome una differenza sostanziale, mentre in realtà accade semplicemente che, da un certo punto in avanti, il mare sia chiamato Ponto Eusino. Ma anche se la corrente scorre dal posto chiamato Hieron verso Bisanzio, ciò è irrilevante. I fenomeni che hanno luogo in tutti gli stretti sono inesplicabili, e nessuno è stato in grado di definirli. Fu questo problema che spinse Aristotele di Stagira, uomo estremamente saggio, ad andare a Chalkis in Eubea, dove studiò lo stretto che chiamano Euripo, nello sforzo di scoprire per mezzo di un’indagine minuziosa le ragioni fisiche del perché e del come la corrente dello stretto scorra certe volte da ovest e altre volte da est, e tutte le imbarcazioni debbano muoversi di conseguenza: se la corrente proviene da est e i marinai hanno iniziato a navigare con le loro barche seguendo la direzione della corrente, come sono soliti fare, e la corrente a un certo punto cambia direzione, come là sembra spesso accadere, immediatamente volgono le loro barche nella direzione dalla quale sono venuti, mentre altre barche salpano da ovest verso la direzione opposta, sebbene alla fine nessun vento abbia soffiato su di loro, ma vi sia calma piatta e totale assenza di vento. Tutto ciò lo Stagirita osservò e ponderò per lungo tempo, finché la preoccupazione non lo portò alla morte, con tutti quei pensieri ansiosi, e così raggiunse la fine della sua vita. Ma questo non è un caso isolato, perché anche nello stretto che separa l’Italia dalla Sicilia la natura fa strani scherzi. Sembra infatti che la corrente scorra nello stretto dal mare chiamato Adriatico, e ciò nonostante il moto generale del

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mare provenga dall’Oceano e da Gadira. Tuttavia ci sono anche numerosi mulinelli che appaiono all’improvviso per nessun motivo apparente e distruggono le navi. È per questo motivo che i poeti dicono che le navi sono trascinate sul fondo da Cariddi, quando capita di loro di finire in questo stretto. Alcuni pensano che gli strani fenomeni che capitano in tutti gli stretti siano causati dal fatto che due terre convergano; l’acqua, dicono, costretta in uno spazio limitato, è soggetta a certi movimenti strani e imprevedibili. Di conseguenza, se la corrente sembra scorrere dal luogo chiamato Hieron verso Bisanzio, nessuno potrebbe ragionevolmente affermare che sia il mare sia il Ponto Eusino terminino in quel punto. Questa visione non poggia su alcuna solida base di natura, ma qui ancora la ristrettezza del canale prevale. Infatti ciò non è tutto quello che accade, dal momento che i pescatori della città dicono che qui l’intera corrente non scorre in direzione di Bisanzio: mentre la corrente superficiale che noi vediamo scorre in questa direzione, le cosiddette acque abissali più profonde si muovono esattamente nella direzione opposta a quella della corrente visibile. Di conseguenza, quando vanno a caccia di pesci e gettano le loro reti dappertutto, sono sempre trasportati verso Hieron dalla forza della corrente. Ma in Lazica la terra blocca l’avanzata del mare su tutti i lati e ferma la sua corsa, e perciò segna il suo primo e unico confine in quel punto, avendo il demiurgo posto colà in modo chiaro i confini tra il mare e la terra. Quando il mare tocca la costa, esso non avanza oltre né si innalza di livello, sebbene riceva costantemente le acque di innumerevoli fiumi di straordinaria portata che vi si gettano da ogni lato; anzi, esso torna indietro e avanza di nuovo. E perciò, mentre stabilizza la propria misura, rimane nei limiti posti dalla terra come se temesse una qualche legge e, per via della necessità che impone, si controllasse con acribia, curandosi di non sembrar trasgredire in qualche modo quanto stabilito. Infatti tutte le altre coste del mare non gli si frappongono frontalmente, ma giacciono ai suoi lati. Ad ogni modo, riguardo queste questioni, lasciamo pure che ognuno si formi una propria opinione e dica ciò che meglio crede36.

Procopio ha qui inserito una digressione più scientifica che geografica. La tesi principale che egli attacca è quella che le acque del Ponto fluiscano da est a ovest,

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nascendo dalla Meotide e riversandosi nel Mediterraneo37. Lo storico allude

inizialmente alla nota di Plinio, secondo cui gli Sciti chiamavano la Meotide Temarunda, vale a dire “madre del mare”38. Quest’opinione era stata sostenuta, tra gli altri, da

Aristotele. Procopio chiama in causa direttamente lo Stagirita, riferendo la tradizione secondo la quale egli avrebbe studiato le correnti a Chalkis, in Eubea, dove morì nel 322. Fonti più tarde affermano addirittura che egli sarebbe annegato mentre studiava la questione. Procopio non sembra però essere a conoscenza del fatto che Aristotele avesse effettivamente sostenuto quella posizione che egli intende respingere: infatti, nei Meteorologika aveva affermato che l’acqua si muove dai mari meno profondi a quelli più profondi, passando cioè dalla Meotide al Ponto, dal Ponto all’Egeo, e infine da questo al Tirreno39. Allo stesso modo, Stratone di Lampsaco, aveva ritenuto non

soltanto che il Ponto Eusino fosse un mare poco profondo, ma anche che esso fosse inizialmente separato dal Mediterraneo e che si fosse in seguito aperto un varco attraverso il Bosforo e la Propontide40. Erano affermazioni simili quelle contro cui si

scaglia Procopio, affermando che Mediterraneo e Ponto erano un unico mare, differenti solo nel nome, e che le acque scorrono tutte ugualmente verso oriente41. Per confutare

questa tesi, Procopio si concentra sul tema del moto delle acque nello stretto del Bosforo Tracico, una questione di cui tanto lo storico quanto i lettori a lui più vicini potevano avere diretta esperienza. La sua conclusione è in fondo la stessa cui era

37 L’opinione di Procopio è condivisa da altri: Ampel. 7; Isid. Orig. XIII 16; Macr. Sat. VII 12, 84. 38 Plin. Nat. VI 20. Cfr. Mela I 113; II 17; D.P. 165-67. Plinio affermava anche l’imboccatura della

Meotide fosse presso la metà del Ponto (Plin. Nat. IV 76).

39 Arist. Mete. 354a12. In questo passo, Aristotele non sottolinea alcuna particolarità per gli

stretti, limitandosi ad affermare che lì le correnti risultavano più impetuose. Cfr. Plb. IV 39, 2-11; Arr. Peripl.M.Eux. 10. Contra Plin. Nat. I 3; II 219; IV 93; Iust. II 1, 19.

40 Str. I 4, 49-51.

41 Nella tradizione si riscontra talvolta una divisione in due parti del Ponto Eusino (cfr. D.P.

156-62), e la parte orientale assume denominazioni particolari come Mare Caucasico (A.R. IV 135), Mare Colchico (Str. XI 1, 6), Mare Cimmerico (Oros. Hist. I 2, 25; 36; 49; Iul.Hon. Cosmogr. A 28). Erodoto afferma che popolazioni differenti chiamavano il Ponto Mare del Sud (IV 13) o Mare del Nord (IV 37; VI 31) a seconda della loro collocazione rispetto alle sue coste. Per l’etimologia del nome “Eusino”, cfr. Apollod. F 157 Jacoby; Pind. Nem. IV 79; Pyth. IV 362; Dionys.Scyt. fr. 14 Rusten; Eust. in D.P. 146. Isidoro sostiene che il nome del mare derivasse dal fiume “Euxis” che nasceva dal Caucaso (Isid. Orig. XIII 21, 19; cfr. Cosmogr. A 7).

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giunto Strabone, il quale sosteneva che non si potesse rinvenire un principio unico che spiegasse il comportamento delle correnti negli stretti, e che ancor meno poteva considerarsi valido quello eratostenico (ma anche aristotelico) dei diversi livelli di profondità dei mari. Tra gli esempi citati da Strabone vi sono gli stessi dello storico di Cesarea: lo stretto di Sicilia, quello di Chalkis e quello di Bisanzio42. In merito a

quest’ultimo, Strabone affermava che l’acqua scorresse solamente dal Ponto alla Propontide, e che al massimo, secondo Ipparco, talvolta si fermasse del tutto. Procopio, pur riconoscendo l’esistenza di una corrente di superficie che scorre da Hieron, ovvero “presso lo sbocco del Ponto Eusino”43, verso Bisanzio, afferma che ve ne sia una

abissale che scorre verso la Propontide, e che questa sia la più impetuosa. L’esistenza di una doppia corrente nel Bosforo fu ipotizzata anche da Macrobio44.

Procopio si inserisce dunque nel solco del dibattito sulla tesi aristotelica in merito alla direzione delle correnti marine, concentrandosi sulla questione degli stretti perché essenziale per il suo fine. La testimonianza apparentemente raccolta “sul campo”, quella dei pescatori di Costantinopoli, viene presentata come decisiva. Si riconosce qui una riprova dell’atteggiamento critico di Procopio verso coloro che rifiutano l’indagine personale, limitandosi alle citazioni di vetuste auctoritates. Per un uomo che aveva esperito personalmente molte delle campagne belliche da lui narrate, quella dell’autopsia o perlomeno dell’indagine personale era (o pretendeva di essere) una questione metodologica centrale. L’intento di Procopio è, in ultima analisi, fornire argomenti a sostegno della propria rappresentazione dell’ecumene e del Fasi come confine tra Europa e Asia. Un’unica corrente d’acqua proveniente dall’Oceano fluisce dallo stretto di Gadira fino all’estremo fondo del Ponto, dove il fiume Fasi, che sfocia in direzione opposta, rappresenta il contrappunto dello stretto di Gadira. Questa specularità geografica era in fondo la stessa che sul piano mitico Eschilo aveva trasfigurato nel supplizio dei due fratelli Prometeo e Atlante, il primo incatenato al

42 Str. I 21, 55. Secondo Eratostene, la corrente nello stretto di Chalkis muta la propria corrente

fino a 7 volte in un giorno.

43 Procop. Anec. 25, 2.

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Caucaso, il secondo a sostenere nell’estremo occidente la colonna che allo stesso tempo separa e unisce cielo e terra45.

Lo sguardo di Procopio a questo punto cessa di essere limitato al solo fiume Fasi, ma si estende alla Lazica. Lì, la corrente dell’Oceano che alimenta il Mediterraneo e il Ponto trova il suo primo e unico limite, essendo la costa della Lazica l’unica che si frappone frontalmente (ἀπ'ἐναντίας) al mare. È come se la Divinità (δημιουργός) avesse deciso che proprio lì andasse posto un chiaro confine tra i mari nati dalla corrente oceanica e la terra. L’obbedienza della natura a una sorta di νόμος giustifica il fatto che il Ponto continui a mantenersi allo stesso livello, nonostante l’apporto di acqua dal Mediterraneo e dai molti fiumi che vi sfociano46. Questa affermazione di

“provvidenzialismo geografico”, in cui la divinità interviene per ordinare il mondo e porvi dei confini47, dona una rinnovata importanza alla Lazica. Da un lato, il fiume Fasi

continua la funzione di confine tra Asia ed Europa svolta dal Mediterraneo e dal Ponto; dall’altro, la Lazica segna il limite orientale del mondo lato sensu mediterraneo.

L’ampliamento delle conoscenze geografiche aveva ormai da secoli realmente trasformato in uno stagno il mondo racchiuso tra le Colonne d’Ercole e il Fasi48. Ma

l’antica Colchide e il suo fiume erano ancora in un certo senso alla fine del mondo, come lo erano stati nel Prometeo Incatenato eschileo49.

45 Aesch. Prom. 347-72 (Cfr. Griffith 1983, nota ad loc.). Lo stesso processo mentale aveva portato

a sostenere l’esistenza delle “colonne di Dioniso”, poste presso l’estremo recesso dell’Oriente (D.P. 623-26; 1164).

46Aristotele aveva affrontato la stessa questione in merito al Mar Caspio, giungendo alla

conclusione che questo mantenesse il medesimo livello nonostante l’apporto di acque fluviali a causa dell’esistenza di un passaggio sotterraneo che giungeva fino nel Ponto (Arist. Mete. 351a8 ss. Cfr. Itin.Alex. 35; Strab XI 7, 4; Plb. X 48, 5-8).

47 Cfr. Thphl.Sim II 1, 4. 48 Plat. Phaed. 109a.

49 Nel Prometeo Incatenato, Eschilo aveva definito il Caucaso “roccia alla fine del mondo” (Aesch.

Prom. 117). Lo scolio allo stesso verso afferma: ”ἐπὶ τὸ τελευταῖον μέρος τῆς γῆς […] ἐπειδὴ τέλος τῆς οἰκουμένης ὁ Καύκασος” (Sch.Prom. 117-18).

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1.4 La catena del Caucaso

La regione caucasica viene dunque presentata da Procopio come una zona marginale dell’ecumene, quale era da sempre riconosciuta. A caratterizzare questa ἐσχατιή era la sua imponente catena montuosa. La Καυκάσια ὄρη, alternativamente chiamato ὄρος Καυκάσιον, è così descritta da Procopio:

Oltre questo paese si estendono le montagne del Caucaso. Questa catena montuosa del Caucaso si innalza a una così grande altezza che le sue sommità non sono mai toccate dalla pioggia o dalla neve, poiché sono al di sopra delle nuvole. Dalla metà fino alla base sono invece perennemente coperte di neve. Da ciò se ne deduce che le sue pendici sono estremamente elevate, non essendo in alcun modo inferiori alle vette delle altre montagne. Ora gli speroni della catena del Caucaso, quelli verso nord e verso ovest, si estendono verso l’Illiria e la Tracia, mentre quelli verso est e sud giungono fino ai quei passi che conducono nella terra dei Persiani e dei Romani le tribù unne là insediate. Uno di questi passi è chiamato Tzour, mentre l’altro è stato chiamato fin dai tempi antichi Porte Caspie. Questa terra, che si estende dalle montagne del Caucaso fino alle Porte Caspie, è posseduta dagli Alani, un popolo indipendente, che nella maggior parte dei casi combatte assieme ai Persiani e marcia contro i Romani e altri nemici. Così dunque stanno le cose per quando riguarda le montagne del Caucaso50.

In queste righe, l’autore condensa buona parte degli elementi ricorrenti nella descrizione del Caucaso. Preliminarmente va sottolineata l’esistenza di due diverse forme del nome: τὸ Καυκάσιον, ὁ Καύκασος. Entrambe sono ampiamente attestate nella tradizione51. Nonostante la prima forma sia attestata anche al plurale52, i due

termini si riferiscono entrambi alla catena del Caucaso nella sua interezza, senza

50 Procop. Bell.Goth. IV 3, 1-4.

51 Contra St.Byz. Κ 135. Esisteva anche la forma Καύκασις (Hdt. I 203-4). 52 Procop. Bell.Pers. I 15, 16; II 15, 29; Bell.Goth. IV 2, 26; 3, 11-12; 11, 23; 11, 26.

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indicare una vetta specifica. Riguardo all’etimologia del nome invece, Procopio non fornisce alcuna indicazione53.

La prima caratteristica che Procopio sottolinea del Caucaso è la sua imponenza. Questo aspetto contribuiva, assieme alla sua stessa lontananza, ad alimentare l’esotismo della regione; per questo, l’elevata altezza della catena era costantemente ricordata nelle fonti antiche. Il Caucaso era un ὄρος ἀπέραντον, come recita uno scolio a Eschilo54. Tra le molte attestazioni, mi limito a riportarne un paio, provenienti da testi

meno comuni: nel suo commento alla sesta ecloga della Bucoliche, Servio afferma che Prometeo aveva insegnato per primo l’astrologia agli Assiri perché il Caucaso, sul quale era incatenato, era vicinus paene sideribus55. Un testo di natura epigrafica

testimonierebbe invece la proverbialità dell’imponenza del Caucaso: l’obelisco posto da Costanzo II al Circo Massimo nel 357 viene apostrofato mole caucasea56. Alcuni autori

antichi avevano anche cercato di determinarne l’altezza relativa. La conclusione più comune, condivisa da Erodoto e Aristotele, era che il Caucaso fosse la catena montuosa con le vette più elevate, nonché quella più estesa57. Arriano ne aveva invece paragonato

l’altezza a quella delle “Alpi Celtiche”58. V’erano infine stati tentativi di individuare le

cime più alte della catena: Strabone le aveva individuate a sud, presso Albani, Iberi,

53 Plinio affermava che gli Sciti chiamavano il Caucaso Croucasis, ovvero “bianco di neve“ (Plin.

Nat. VI 50; cfr. Sol. XLIX 6). La notizia è ripresa da Isidoro di Siviglia, con due differenze: Croucasis significherebbe candor oppure nix, mentre la stessa parola Caucaso significherebbe in una imprecisata lingua orientale candidus (Isid. Orig. XIV 8, 2).

54 Aesch. Schol.Prom. 717a.

55 Serv. Ecl. VI 42. Cfr. Mythogr. 1, 1; 2, 65. Prometeo era accreditato come inventore di tutte le

arti (cfr. Aesch. Prom. 441-504).

56 CIL VI 11673 = Carm.epigr. 279, 9. Per altri passi che sottolineano l’elevata altezza del Caucaso

cfr. Aesch. Prom. 719-21; 433; 1088; A.R. II 1246; Cic. Tusc. II 10; Sen. Phaedr. 1134; Val.Fl. V 155; D.P. 690-91, 1091; Hyg. Fab. 54; Macr. Somn. II 10, 3; Quint.Smirn. Posthom. VI 268-69; X 200.

57 Hdt. I 203, 1; Arist. Mete. 350a28, Expos.mund. 46 (nel testo il Caucaso viene confuso con il

monte licio Cragus). Vd. anche St.Byz. Κ 135: “τῶν κατὰ τὴν Ἀσίαν ὀρῶν μέγιστον”, sebbene egli lo identifichi con il Παροπάνισον (vd. infra, cap. 1, 1.4).

58 Arr. Peripl.M.Eux. 11, 5; cfr. Petr. 128, 205. Sidonio Apollinare aveva (iperbolicamente)

affermato che il Laesora, l’odierno Lozère nelle Cevenne, superasse in altezza il Caucaso (Sidon. Carm. XXIV 44-45).

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Colchi ed Eniochi59, mentre Arriano si era fatto additare dai nativi una cima di nome

Strobilos, presunto luogo della prigionia di Prometeo e verosimilmente distinguibile in altezza60. Ma nulla di tutto ciò si riscontra in Procopio, che si limita ad affermare che le

vette caucasiche si elevano al di sopra delle nuvole e delle precipitazioni atmosferiche61. Il fatto che le basi dei monti caucasici siano perennemente coperte di

neve significa che la loro altitudine non è inferiore alle più importanti cime degli altri sistemi montuosi.

Procopio passa poi a parlare dell’estensione del Caucaso. Prima di analizzare quanto egli afferma, è opportuno ricostruire brevemente gli orientamenti della tradizione precedente in merito alla questione. Per molti autori, col termine “Caucaso” si intendeva sostanzialmente la stessa catena ancor oggi così chiamata, grossomodo con i medesimi confini62. L’ampliamento delle conoscenze prodotto dalla spedizione di

Alessandro costrinse i geografi greci a introdurre nella mappa dell’ecumene anche le catene montuose centroasiatiche dell’Hindu-Kush, del Pamir e dell’Himalaya. Ciò diede luogo alla “duplicazione del Caucaso”, ovvero alla convinzione che l’Hindu-Kush, conosciuto con il nome di Paropamiso, fosse in realtà una continuazione della catena caucasica. La denominazione di “Caucaso” riferita all’Hindu-Kush fu assai diffusa nella letteratura antica: nelle opere di Arriano, di Curzio Rufo e nell’Itinerarium Alexandri, derivate dalla tradizione alessandrografica, ciò avviene con regolarità63. Lo

stesso accade in opere in cui è presente un’ambientazione indiana, come la Vita di Apollonio di Filostrato e le Dionisiache di Nonno di Panopoli64. Ma sono moltissime le

59 Str. XI 5, 6.

60 Arr. Peripl.M.Eux. 11, 5. 61 Cfr. Dam. In Phd. 510.

62 Per es. Cassio Dione riteneva si estendesse dal Ponto al Caspio (XXXVII 5, 1); altri,

dall’Armenia alla Colchide (A.R. Schol. II 1211).

63 Cfr. Arr. An. IV 22, 4; V 4, 1; et al.; cfr. Arr. Ind. V 10; Phot. Bibl. 82, 5; Curt. IV 5, 5; VII 3, 19-21;

4, 22; VIII 9 , 3; Itin. Alex. 33; 46. Per la città di “Alessandria nel Caucaso” cfr. Arr. An. III 28, 4; IV 22, 4; V 1, 5; Curt. VII 3, 23; D.S. XVII 83.

64 Philostr. V.A. II 3 et al.; Nonn. Dyon. XXI 201; 312; XXIV 28-29 et al. In questo modo, anche

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fonti antiche che chiamano “Caucaso” le catene montuose dell’Asia centrale65. Contro

la “duplicazione del Caucaso” si schierò invece Strabone, riconoscendovi una falsificazione geografica a scopo celebrativo, similmente a quanto già sostenuto da Eratostene66; l’identificazione dell’Hindu-Kush con il Caucaso permise infatti di

affermare che Alessandro avesse raggiunto l’altro versante dell’imponente catena. Lo spostamento verso oriente del Caucaso, “idealtipo della montagna/confine”, contribuì grandemente alla composizione di un discorso celebrativo sul sovrano macedone; ma si trattava altresì della “espressione emotiva di una nuova percezione dello spazio, del superamento di un antico limite e della scoperta di un’altra e più lontana barriera”67.

Per poter parlare di un “Caucaso Indiano” era necessario rintracciare una connessione con il “vero” Caucaso. Si diffuse allora la concezione che l’Asia fosse attraversata da un’unica, ininterrotta catena montuosa che dalle propaggini occidentali del Tauro anatolico giungeva fino all’India e all’Oceano. Questa catena divenne per Eratostene l’asse di riferimento che prolungava in Asia la funzione separatrice del

65 Ptol. Geog. VI 12, 1; 12, 4; 18, 1; Plb. X 48, 4; XI 34, 11; Plin. Nat. V 97-98; VI 21; 62; 71; 78; 92; XII

26; XXXVII 110; Iust. XII 5, 9; XIII 4 , 21; Val. Max. 3, 3 ext. 6; Cic. Tusc. II 52; V 77; D.S. XVIII 6, 1; D.P. 714; 1134 (cfr. Eust. in D.P. 1153); Plu. Fort.Alex. 328D; Dexipp. fr. 1a (=Phot. Bibl. 82); Sil. 12, 459; Sol. LIV 2; Lact. Inst. V 11, 4; Avien. Arat. XXIII 6, 70; Avien. orb. terr. 1279; Sidon. Epist. VIII 3, 4; Iul. Hon. Cosmogr. A 7; Vir. Seq. 155; Oros. Hist. I 2, 13-17; 36; 45-47; Isid. Orig. XIV 3, 5. St.Byz. Κ 135; Mela I 81; III 61. Plinio e Orosio duplicano anche il Tauro: Orosio in particolare chiama Tauro i Monti Paropanisadae, mentre il secondo Caucaso sarebbe ancora più a oriente. Aristotele e Dionisi Periegete testimoniano la presenza di un secondo Monte Parnaso in Battriana (Arist. Mete 350a19; D.P. 736-37).

66 Cfr. Str. XI 5, 5 (= Clitarch. FGH 137 F 16); XV 1, 11 (= Megasth. FGH 715 F 3); XI 6, 4. Cfr.

Clitarch. FGH 137 F 6, 4; 8, 1; Megasth. FGH 715 F 1, 13; 2, 9; 21. Per Eratostene, cfr. Arr. An. V 3, 3; 5, 2-4 (= Eratost. fr. III A 5 Berger).

67 Giardina 1996, 85-88. Un analogo spostamento verso oriente sarebbe toccato al Tanais. Plinio

afferma che Alessandro lo confuse con lo Iaxartes (odierno Syr Darya, un cui antico ramo sfociava nel mar Caspio) per via del fatto che gli Sciti chiamavano entrambi i fiumi Silis (Plin. Nat. VI 20; 49; cfr. Str. XI 6, 1; Plu. Alex. 44-45; Curt. IV 5, 5 et al.). Non sorprende che, come accadde per il Caucaso, anche il Tanais venne duplicato (Arr. An. III 30, 7; V 25, 5; Itin.Alex. 35) e che sia Eratostene sia Strabone si schierarono contro (Str. XI 7, 3 = Eratost. Fr. III B 67 Berger; XI 7, 4 = Policl. FGH 128 F 7; Eratost. fr. II C 23 Berger). Si tratta del “più colossale errore odologico dell’antichità” (Janni 1984, 153), cui forse avrebbe potuto porre rimedio l’esplorazione del Caspio progettata da Alessandro, mai realizzata per la sopraggiunta morte del sovrano (Arr. An. VII 16, 1-2). Per l’origine del nome “Tanais” cfr. Isid. Orig. XII 21, 24; Ps-Plu. Fluv. 14.

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Mediterraneo, lo stesso ruolo che Procopio aveva riconosciuto al fiume Fasi68. Il

Caucaso Indiano fu collocato da Eratostene sullo stesso parallelo di Rodi, della Catena del Tauro e delle Porte Caspie69, dividendo l’Asia in un klima meridionale e in un klima

settentrionale70. In questo schema, il vero Caucaso era connesso alla catena anatolica e

armena del Tauro, a sua volta parte della lunga catena asiatica71. Strabone, che pur

aveva negato l’unità coi monti dell’India, affermava che il Caucaso era unito al Tauro per mezzo del Padryadres e dei Monti dei Moschoi, posti a cavallo tra Armenia, Iberia e Albania72. Plinio giunse a chiamare Tauro Caucasio i monti al confine settentrionale

della Media73. La connessione con la catena del Tauro non era l’unica possibile.

Filostrato e Curzio Rufo ritennero che il Caucaso si prolungasse verso meridione in una dorsale montuosa che giungeva al Golfo Persico, fungendo da difesa naturale della Persia74. Altri invece, come Arriano, difendevano l’ipotesi di un effettivo collegamento

diretto tra i due Caucasi, quello indiano e quello “scitico”75. Infine, riguardo alla

denominazione dell’intera catena asiatica, non mancava chi si spingeva a chiamare “Caucaso” l’intera catena montuosa dalla Panfilia all’Oceano Orientale76.

68 Si noti che venne individuato in fiume di nome Fasi anche in India (Ptol. Geog. VII 4, 3; 4, 7-8). 69 Cfr. Str. II 1, 33 = Eratost. fr. III A 3 Berger; Str. II 5, 39. Secondo Agatemero (I 1, 4) fu invece

Dicearco il primo a tracciare un διάϕραγμα dalle Colonne d’Ercole al Monte Imeo per dividere il mondo (cfr. Prontera 2012, 129-30). Sebbene Arriano, un autore che dichiara di aver utilizzato le opere perdute di Aristobulo e Tolomeo, considera il Caucaso parte di un’unica catena asiatica (Arr. An. V 6, 3 = Megasth. FGH 715 F 2), è però probabile che questa concezione non risalga né ai bematisti al seguito di Alessandro né ad Aristobulo. Cfr. Prontera 2011, 167-82.

70 Prontera 2012, 130 ss.; Prontera 2016, 133.

71 Cfr. D.S. XVIII 5, 2; Cic. Tusc. II 51; div. I 36; Plin. Nat. V 97-99.

72 Str. XI 2, 15; 12, 4. Cfr. Curt. VII 3, 19-21. Sui Monti dei Moschi in Procopio, vd. infra, cap. 1,

2.5.

73 Plin. Nat. VI 137. Cfr. Mart.Cap. VI 700.

74 Curt. V 4, 5-6; Philostr. V.A. II 2; III 4; VIII 7. La catena in questione è quella dei monti Zagros

Anche Plinio (Nat. VI 134) parla di un ramo del Caucaso chiamato “Monte Cambalido”, da collocare nella catena degli Zagros. Mette conto evidenziare che in realtà Filostrato e Curzio Rufo confondono il Golfo Persico con il Mar Rosso: del resto, Eschilo aveva erroneamente collocato l’Arabia nei pressi del Caucaso (Aesch. Prom. 420-24; vd. Nicolai 2016).

75 Arr. An. V 5, 3-4; VIII 10, 6.

76 Plin. Nat. VI 60; Philostr. II 2; Oros. Hist. I 2, 14-20; Isid. Orig. XIV 8, 3. L’opinione più diffusa

era però quella secondo cui le diverse parti della catena assumevano denominazioni differenti derivate dalle popolazioni che vi risiedevano (cfr. Arr. An. III 28, 5; Ind. II 2-4 = Eratost. fr. III A

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