Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di laurea magistrale a ciclo unico in
giurisprudenza
Tesi di laurea
I PATTI SUCCESSORI
NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
PRIVATO
CANDIDATO
RELATORE
Andrea Ilaria Dini
Prof. Simone Marinai
Indice
INTRODUZIONE
CAPITOLO I
I patti successori nell’ordinamento italiano: il
difficile rapporto tra divieto e riforme.
1.
Il divieto dei patti successori nell'ordinamento italiano
2.
(Dis-)omogeneità del precetto normativo
3.
I patti successori istitutivi
4.
(segue) Il patto successorio istitutivo obbligatorio
5.
I patti successori dispositivi
6.
I patti successori rinunciativi
7.
Il patto di famiglia
CAPITOLO II
I patti successori nel diritto internazionale privato
italiano
1.
Premesse: l’omessa disciplina delle successioni
anticipate
2.
Profili di diritto internazionale privato della lex
successionis nell'ordinamento italiano
3.
Il divieto dei patti successori nel diritto internazionale
privato italiano
CAPITOLO III
I patti successori ed il Regolamento UE n. 650/2012
1.
Il divieto dei patti successori negli altri ordinamenti: il
panorama europeo prima dell'entrata in vigore del
Regolamento UE n. 650/2012
contrattuali
3.
L'adozione del Regolamento UE n. 650/2012
4.
Osservazioni preliminari sulla disciplina introdotta dal
Regolamento
5.
La qualificazione dei patti nella disciplina del nuovo
Regolamento
6.
L’individuazione della legge applicabile ai patti
successori
7.
Aspetti disciplinati dalla legge applicabile ai patti
successori
8.
Validità formale dei patti successori
9.
Il regime transitorio sull’applicabilità del
Regolamento ai patti successori
CONCLUSIONI
Bibliografia
Introduzione
Nell'ultimo ventennio si è delineato un intento comune nel panorama
europeo, che mira ad un'uniformazione degli aspetti di diritto
internazionale privato in materia successoria, preso atto dei vani
tentativi di uniformare il diritto successorio sostanziale. Tale sforzo
non risponde ad una generica esigenza di omogeneità delle discipline
giuridiche, ma ad una necessità, definibile impellente, emersa in molti
degli ordinamenti giuridici facenti parte dell'Unione Europea. A causa
delle molteplici differenze tra le discipline dei paesi membri,
conseguenza dell'inscindibile legame del diritto successorio con fattori
sociali, culturali ed economici
1, tale materia è stata, infatti, per lungo
tempo trascurata dalle analisi comparatistiche, nonché definita
<<casse-tête pour le spécialiste du droit international privé>>
2.
Nel tentativo di fotografare il panorama europeo odierno, cercando di
delineare i contorni in materia di diritto successorio transfrontaliero, la
presente indagine isola la disciplina dei patti successori, disciplina
1 L. M. FRIEDMAN,. The Law of Succession in Social Perspective, in Death,
Taxes, and Family Property ( di L. M. Friedman e E. C. Halbach), West Publ. Co.,
St. Paul, 1977: ‘’economia, demografia, struttura sociale dell’ordinamento considerato si riflettono nelle regole adottate o da adottare”.
2 A. BONOMI , Successions internationales: conflicts de lois et de juridictions, in
Recueil des Cours de l’Académie de droit international de La Haye, 2010, tomo
350, p. 94. Le differenze in ambito internazionalprivatistico riguardavano molteplici aspetti, dalla legge applicabile alla scelta dei criteri di collegamento e dei titoli di giurisdizione, passando per l'ammissibilità della professio iuris e l'applicazione della lex successionis avente ad oggetto la trasmissibilità ereditaria o la pianificazione di un'eredità anticipata.
caratterizzata dalla disomogeneità di visione e di strumenti preposti
riscontrabile nel diritto interno degli Stati membri, di cui si pronostica
l'armonizzazione, almeno sotto il profilo internazionalprivatistico, tale
da rispondere efficacemente alle mutate esigenze socio-economiche
dell'Unione Europea.
Il radicato protezionismo delle singole culture nazionali avrebbe
dovuto incentivare un più celere intervento di armonizzazione della
materia successoria
3, evitando così il rischio puntualmente verificatosi
3 Già nel 1961 all'interno della Conferenza dell'Aia sul Diritto Privato Internazionale, con la Convention on the conflicts of laws relating to the form of
testamentary disposition, si istituirono sei criteri alternativi di collegamento con
lo scopo di salvaguardare l'unità della successione, contemporaneamente infatti veniva imposto agli Stati firmatari di applicare il diritto “dichiarato determinante” secondo i criteri sanciti dalla Convenzione stessa, salvo che tale diritto non si rivelasse contrario all'ordine pubblico. Il coordinamento ottenuto con la Convenzione si è rivelato talmente efficace, che dai trenta Paesi firmatari, oggi è in vigore in quarantuno. All'interno della stessa Conferenza è stata adottata successivamente, nel 1973, la Convention concerning the international
administration of the estates of deceased persons, la quale istituiva un “certificato
internazionale”, che tutti gli Stati firmatari si impegnavano a riconoscere, risolvendo in questo modo ogni possibile conflitto fra ordinamenti concorrenti sulla stessa successione. Il certificato altro non era che un documento ufficiale, con il quale venivano designati i soggetti incaricati ad amministrare la massa ereditaria mobiliare, rilasciato dalla “competent authority in the State of the
habitual residence of the deceased”. Questo secondo tentativo di concertazione
non riscosse lo stesso successo del precedente, rischiando oltretutto di non raggiungere il numero minimo, fissato a tre, di ratifiche necessarie per l'entrata in vigore (raggiunto solo successivamente alla scissione della Cecoslovacchia in Repubblica Ceca e Slovacchia). Modello per il suddetto Regolamento è stata la
Convenzione dell'Aja sulla legge applicabile alle successioni per causa di morte
adottata il 1° agosto 1989, e mai entrata in vigore (firmata da Olanda, Argentina, Lussemburgo e Svizzera, ma ratificata solo dalla prima di esse). Negli stessi anni anche il Consiglio Europeo cercò di affrontare tali tematiche in modo più specifico, senza ottenere però risultati migliori: la Convenzione di Basilea
sull'istituzione di un sistema di iscrizione dei testamenti, firmata il 16 maggio
1972, fu ratificata da undici membri del Consiglio d'Europa. Alla ratifica tuttavia non seguì l'istituzione dei registri che avrebbero dovuto facilitare la reperibilità delle disposizioni successorie esistenti. Seguì la Raccomandazione della Commissione europea 94/1069/CE, pubblica in G.U.C.E. 31 Dicembre 1994, n. L 385, in ambito di trasmissione generazionale delle piccole e medie imprese; la Commissione si è ulteriormente pronunciata nel 1998, Comunicazione della Commissione europea COM 98/C 93/02, in G.U.C.E. 28 marzo 1998, promuovendo il ridimensionamento, qualora sia impossibile la rimozione, del divieto dei patti successori e l'introduzione di forme di devoluzione pattizie speciali, in grado di migliorare la gestione del patrimonio familiare all'interno dei propri sistemi giuridici.
che, nelle more di una disciplina comunitaria
4, si importassero in
alcuni ordinamenti discipline estere potenzialmente più efficaci nel
rispondere alla nuova realtà sociale, ma decontestualizzate rispetto al
nuovo ordinamento di destinazione, e che dal punto di vista
conflittuale potessero aumentare esponenzialmente i casi di ricorso alle
Corti per procedure di delibazione
5.
Il mutamento delle caratteristiche culturali ed economiche della società
europea e l'incalzante fenomeno della globalizzazione hanno reso
infatti impossibile ignorare l'esigenza di far convergere le aporie
createsi tra i diversi modelli nazionali di diritto sostanziale e di
uniformare i criteri applicativi del diritto internazionale privato
6, in
particolare, al fine della presente indagine, per quanto concerne il
regime successorio.
Le istituzioni europee hanno pertanto intrapreso una linea politica ben
definita: l'integrazione dei singoli mercati e la creazione di uno spazio
comune di libertà sicurezza e giustizia, abbattendo le barriere nazionali
ostative la libera circolazione di capitali, beni e persone, e l'esercizio di
diritti fondamentali garantiti dai Trattati e dalle Convenzioni
internazionali. Per far fronte a tali esigenze, le istituzioni si sono
concentrate sull'adozione di soluzioni che, in merito alle successioni
con implicazioni transfrontaliere, facilitassero la summenzionata libera
circolazione di capitali, beni e persone, e che garantissero l'effettivo
esercizio dei diritti, ammettendo istituti di successione anticipata, tali
da rispettare tanto la volontà del disponente quanto i diritti degli altri
4 L'utilizzo dell'aggettivo “comunitaria” non è da ritenersi del tutto improprio in questa sede, in quanto i primi interventi a livello europeo in materia successoria sono infatti da attribuirsi alla Comunità Europea.
5
A. DAVI - A. ZANOBETTI PAGNETTI, Il nuovo diritto internazionale privatodelle successioni, Torino, 2014.
6 S. BERRE, Vers un droit mediterranéer des successions: symbolyque d’un
typique, in Dalloz, 2010; F. P. TRAISCI, Il divieto di patti successori nella
soggetti implicati nella vicenda successoria
7.
Nel corso dell’indagine verrà evidenziato come, attestata
l'impossibilità concreta di realizzare, in ambito successorio e familiare,
un'uniformazione di diritto sostanziale, il motore propulsore per la
creazione del ricercato spazio giuridico, in materia civile, all'interno
dell'Unione sia il diritto internazionale privato: gli interventi in tale
materia conseguono il duplice vantaggio di una maggior efficacia e di
poter essere applicata <<anche ove non sia quella di uno Stato
membro>>
8, ossia alle vicende successorie i cui confini non rientrano
nell’Unione, ma richiamano leggi di Stati terzi.
L'impegno profuso oltralpe in materia successoria si è tradotto, così,
nel Regolamento UE n. 650/2012
9, che ha introdotto un regime
uniforme di diritto internazionale privato
10, cui subordinare gli effetti
prodotti dalle vicende successorie, per risanare il gap giurisdizionale
tra jus e forum. Data la portata innovativa rispetto alle discipline
vigenti negli Stati membri aderenti, il legislatore europeo ha previsto
una vacatio legis di trentasei mesi dall'entrata in vigore del
regolamento
11, auspicandosi che il regolamento contribuisca
7 Cfr. Considerando (6) della Proposta di Regolamento del 14.09.2009: <<Occorre
contribuire al corretto funzionamento del mercato interno rimuovendo gli ostacoli alla libera circolazione di persone che attualmente incontrano difficoltà nell'esercizio dei loro diritti nell'ambito di una successione internazionale. Nello spazio europeo di giustizia, i cittadini devono poter organizzare in anticipo la propria successione. I diritti degli eredi e legatari, degli altri congiunti del defunto nonché dei creditori della successione devono essere garantiti in maniera efficace>>.
8 Ex art. 20 del Regolamento UE n. 650/2012.
9 Regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012 , relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e
all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo, in G.U.U.E. L 201 del 27 luglio 2012, p. 107.
10 Rimangono comunque esclusi da tale progetto di unificazione Regno Unito, Irlanda e Danimarca (i primi due Stati in quanto non hanno esercitato il diritto loro riservato dell'opting in; la Danimarca in quanto non partecipa all'adozione delle misure di cui al Capo 3, Titolo V, TFUE, “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”).
concretamente a delineare <<il modo in cui la vita giuridica e
materiale dell'Unione intende raccordarsi al traffico giuridico che si
svolge anche al di fuori>>
12dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia
dell'Unione.
L'intento sotteso all'estensione della disciplina europea alle fattispecie
di “successione anticipata” propriamente qualificabili come patti
successori tende a ridurre l'incertezza circa l'efficacia transnazionale di
tali strumenti, e conseguentemente agevolarne l'utilizzo, tramite un
rafforzamento della facoltà, in capo ad ogni persona fisica, di poter
pianificare la propria successione, nonché ad evitare che eventuali
diritti nascenti da patti successori possano essere pregiudicati da norme
di applicazione necessaria o da principi di ordine pubblico della lex
fori.
L'accentuata disomogeneità dei regimi successori nazionali ha reso
tuttavia particolarmente delicata questa operazione, non solo in merito
all'operatività delle norme contenute nel Regolamento, ma già in
merito alla qualificazione delle fattispecie oggetto dell'applicazione di
tali norme, soprattutto in quegli ordinamenti di matrice romanistica,
come quello italiano (ma anche quelli belga, lussemburghese,
portoghese, greco, di diritto comune spagnolo e di altri Paesi
conflitto nazionali continueranno ad applicarsi per le successioni apertesi antecedentemente a tale data, mentre dovranno essere disapplicati per le successioni successive in favore delle norme di coordinamento previste dal regolamento. In particolare riguardo all'ordinamento italiano, saranno disapplicate le norme di diritto internazionale privato contenute nella legge del 31 maggio 1995, n. 218 in merito alla competenza giurisdizionale e alla designazione della legge applicabile in materia successoria, rimanendo invece applicabili per quanto concerne l'efficacia delle sentenze, provvedimenti di volontaria giurisdizione, atti pubblici e transazioni giudiziarie stranieri provenienti da paesi diversi dagli Stati membri. Cfr. D. DAMASCELLI, Diritto internazionale privato delle successioni
a causa i morte, in F. POCAR, L'Italia e la vita giuridica internazionale, Milano,
2013.
12 P. FRANZINA, Ragioni, valori e collocazione sistematica della disciplina
internazionalprivatistica europea delle successioni mortis causa, in P.
FRANZINA – A. LEANDRO, Il diritto internazionale privato europeo delle
dell'Europa orientale) in cui la disciplina dei patti successori risulta
incompatibile con la libertà di disporre del testatore e, soprattutto, con
le esigenze di tutela degli eredi necessari, facilmente eludibili
13.
Al fine espositivo, è parso opportuno strutturare la presente indagine
contestualizzando, innanzitutto, i confini normativi del diritto
sostanziale italiano in merito alle forme di anticipazione successoria, in
modo da poter definire le posizioni e gli orientamenti assunti dal nostro
ordinamento in proposito. In particolar modo, sono stati evidenziati i
principi cardine su cui si impernia il diritto successorio, la definizione
delle fattispecie di successione anticipata, la natura del divieto, ancora
in auge, dei patti successori ed i margini di un’eventuale riforma in
linea con gli orientamenti dell’Unione Europea. Rilevata una
sostanziale “ingessatura” del diritto successorio, il secondo capitolo si
dedica al profilo internazionale privato della disciplina dei patti
successori, ben più malleabile del diritto sostanziale interno, nonché
rilevante in quanto bacino d’accoglienza della normativa europea.
Infine, nel terzo capitolo, l’elaborato si occupa di circoscrivere, seppur
sommariamente, il panorama con cui tale ordinamento deve
confrontarsi, nel tentativo di dirimere situazioni di conflitto in materia
di successioni. Si pone l’attenzione sull’intento, ad opera delle
istituzioni europee, di sostituire il clima di incertezza, dato dai criteri
applicativi vigenti antecedentemente al Regolamento europeo, con un
sistema di diritto internazionalprivatistico comune, dettato dalla nuova
normativa europea, garante di valori condivisi in ambito
transfrontaliero quali l'uguaglianza e la libera circolazione di persone,
beni, capitali e servizi.
13 B. BAREL, La disciplina dei patti successori, in P. FRANZINA – A. LEANDRO,
Il diritto internazionale privato europeo delle successioni mortis causa, Milano,
2013, p. 105. In particolar modo si fa riferimento agli art. 25, 26 e 27 del Regolamento n. 650/2012, aventi ad oggetto l'ammissibilità, la validità formale, la validità sostanziale e l'efficacia fra le parti del patto successorio, così qualificato ai sensi dell'art. 3, par. 1, lettera b) dello stesso Regolamento.
Capitolo I
I PATTI SUCCESSORI IN ITALIA:
IL DIFFICILE RAPPORTO TRA DIVIETO E
RIFORME
1. Il divieto dei patti successori nell'ordinamento
italiano
L'ordinamento italiano si contraddistingue rispetto a tutti gli altri
ordinamenti europei per la sua rigida posizione di intransigenza nei
confronti di forme di delazione ereditarie diverse da quelle
comunemente conosciute ed applicate, legge o testamento, ai sensi
dell'art 457 c.c.
14. Salvo la diffusione dei fenomeni “para-successori”
15e l'introduzione del patto di famiglia
16, sintomo della crisi del sistema
ereditario vigente, è preclusa all'autonomia dispositiva del soggetto
ogni tipo di convenzione, sia essa istitutiva, dispositiva od abdicativa
17,
14 c.1: “ L'eredità si devolve per legge o per testamento”.
15 M. IEVA, I fenomeni c.d. Parasuccessori, in P. RESCIGNO (a cura di),
Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, p. 53; F. RUSCELLO, Successione
mortis causa e fenomeni “parasuccessori”, in Vita Not., 1998, p. 70.
16 Legge del 14 febbraio 2006, n. 55, in GU del 1° marzo 2006, Le modifiche al
codice civile in materia di patto di famiglia.
17 Ex art. 458, c.c.: “ […] è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione (patti istitutivi). E' del pari nullo ogni atto col quale taluno
in ossequio al brocardo latino hereditas viventis non datur. Per meglio
comprendere l'orientamento adottato, nonché il regime disciplinare in
cui le nuove regolamentazioni europee si inseriscono, occorre
individuare la ratio del divieto dei patti successori e le scelte
legislative che ne hanno accompagnato la persistenza nell'ordinamento.
Le origini storiche del divieto di patti successori vengono
impropriamente attribuite al diritto romano classico, sebbene parte
della dottrina
18abbia riscontrato l'inesistenza di un vero e proprio
divieto, in quanto inesistente era una generale ed unitaria figura di
patto successorio, creazione giuridica moderna
19. Ciò che, invece,
poteva essere riscontrato nello ius romano era una rigida chiusura nei
confronti di nuovi istituti di natura pattizia capaci di minare i cardini
<<
gelosamente protetti
>>20di un popolo
<<la cui civiltà si fondava pur
in una severa disciplina, sulla libertà individuale e sulla proprietà
privata
>>21. Per tutta l'età classica, infatti, il divieto di istituti che
anticipassero gli effetti successori convivevano con altri atti bilaterali
irrevocabili mortis causa, come ad esempio la mancipatio familiae
mortis causa e la donatio mortis causa
22, fattispecie <<inconciliabili
dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta(patti dispositivi o pacta corvina) , o rinunzia ai medesimi (rinunciativi o abdicativi)”.
18 M.V. DE GIORGI, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976, p. 19; F. CICCAGLIONE, Successione (voce), Diritto Intermedio, in Digesto Italiano, vol. XXII, pare terza, Torino, 1889-1897, p. 268 e ss.
19 A. CICU, Il testamento, Milano, 1959, pp 21 e ss., in cui viene posta in evidenza come, antecedentemente all'età classica, non esistesse una categoria generale di patto successorio, corrispondente ad un unico divieto, quanto piuttosto una pluralità di divieti relativi alle molteplici figure di patto successorio derivanti dal
droit coutumier.
20 M.V. DE GIORGI, I patti sulle successioni future, cit., p. 21.
21 V. VISMARA, Storia dei patti successori, Milano, 1941, p. 109. L'Autore aveva sottolineato (p. 63) come all'“esistenza di un divieto formale di patti successori si perviene invece ove si consideri storicamente lo svolgimento degli atti a causa di morte in Roma [..], (dove, ad ogni modo) la pretesa avversione e ripugnanza del diritto romano per i patti successori non esiste mai.”. Cfr. inoltre M. V. DE GIORGI, I Patti sulle successioni future, cit., p. 19, in guisa de “l'estraneità al sistema della stessa possibilità di simili disposizioni”.
22 M.V. DE GIORGI, I patti sulle successioni future, cit., p. 25; A. PALAZZO,
con un atteggiamento di avversione verso i patti successori>>
23generalmente intesi.
I patti successori, come unica categoria, trovano, in vero, le proprie
origini nel diritto dei popoli germanici, ignari dell'istituto
testamentario, in sostituzione del quale applicarono una molteplicità di
contratti
24, a noi tramandati grazie alla divulgazione pia causa ad opera
della Chiesa
25.
Furono due gli errori di fondo commessi dalla prima dottrina che
indussero a riconoscere un'origine romano-classica dell'istituto: in
primo luogo, considerare i successivi diritti, bizantino e medievale,
come “fotocopia” del diritto romano e dedurne, pertanto, la diretta
discendenza da esso del divieto considerato; in secondo luogo, risultò
fuorviante considerare le diverse tipologie di patti successori come
accezioni della medesima categoria, quando essa invece non
rappresentava altro che una
<<congerie di operazioni negoziali
>>26relativa disciplina.
23 M.V. DE GIORGI, I patti sulle successioni future, cit., p.26.
24 L'attuale liceità dei patti successori da parte degli ordinamenti dell'Europa Occidentale deriva dall'innesto di elementi giuridico-culturali delle popolazioni germaniche che occuparono le province dell'Impero Romano d'Occidente, le quali ammettevano solo l'applicazione di fattispecie adattate di donazione mortis causa aventi ad oggetto solamente beni mobili, in modo da non violare i diritti di familiari o degli altri componenti la consociazione economica in caso di mancanza di parenti, allo scpo di nominare un erede limitatamente alla quota in questione. Cfr. F. CICCAGLIONE, Successione (voce), Diritto Intermedio, cit., p. 280. Esemplificativa, ad ogni modo, la donatio ob obitum, secondo la quale la donazione era subordinata alla condizione di premorienza del donante. L'adempimento richiesto a quest'ultimo consisteva nel non disporre in modo diverso, o a beneficio di terzi, dei beni oggetto della donazione. L'eventuale inadempimento era tutelato con l'azione del beneficiario contro il donante ed i suoi familiari. Cfr. VISMARA, Storia dei patti successori, Milano, 1941, p 189. 25 C. GIARDINA, Successioni (voce), in Noviss. Digest. It., XVIII, Torino, 1971, p
736, secondo cui la Chiesa si serviva dei suddetti istituti per infondere nel credente la convinzione che disponendo delle proprie sostanze si potesse provvedere alla salute dell'anima. Al profilo strettamente spirituale si affiancò anche la necessità di qualificare e legittimare lasciti a favore della chiesa, che non potevano prescindere dal consenso dei eredi, il quale ad ogni modo non poteva essere rifiutato secondo quanto previsto dalla stessa legge divina.
26 F. P. TRAISCI, Il divieto di patti successori nella prospettiva di un diritto
distinte. Tale eterogeneità fu evidenziata dall'aspetto decisamente
frammentato, nonché dispersivo, che assunse la disciplina relativa al
divieto nella codificazione del 1865, nella quale ad ogni profilo
contrario ai patti successori fu dedicata una propria disposizione
27.
L'introduzione del divieto come impedimento al legame fra la “libera
ed incoercibile volontà” del testatore e l'impossibilità di rinunciare a
quello che non è ancora un diritto, né un'aspettativa legittima del futuro
erede, anche in forza di un contratto fra coniugi, fu notevolmente
innovativo rispetto al Code Napoléon
28ed agli altri ordinamenti
dell'Europa Occidentale
29.
Fin dalle prime codificazioni le disparità in merito alla disciplina
legislativa palesavano in veste formale le diverse tradizioni giuridiche,
romana o germanica, oltre alla diversa concezione, patrimoniale o
familiare, su cui si fondava l'ordinamento. Per quanto possa sembrare
superflua, la collocazione sistematica della normativa successoria
rivela la scelta di impostazione che ogni ordinamento ha compiuto
equilibrando l'affaire ereditario fra diritto di famiglia e diritto di
proprietà. Quest'ultima, infatti, si muove sul labile confine tra il diritto
27
Cfr. codificazione del 1865: ad esempio, ex art. 1118, erano vietate la cessione, la rinuncia e qualunque accordo con terzi in merito ad un'eredità futura; ex art. 1460, era vietata la vendita dei diritti derivanti da una successione non ancora aperta, al contempo, in diversa disposizione, ex art. 954, ne era preclusa qualunque rinuncia, anche in virtù di un contratto matrimoniale, ex art. 1380.28 Nel Code, ai sensi dell'art. 1082, prima della successiva riforma, erano ammessi patti istitutivi e rinunciativi, purché contenuti in un contratto di matrimonio: “Les père et mère, les autres ascendants, les parents collatéraux des époux, et même les étrangers, pourront, par contrat de mariage, disposer de tout ou partie des biens qu'ils laisseront au jour de leur décès, tant au profit desdits époux, qu'au profit des enfants à naître de leur mariage, dans le cas où le donateur survivrait à l'époux donataire.
Pareille donation, quoique faite au profit seulement des époux ou de l'un d'eux, sera toujours, dans ledit cas de survie du donateur, présumée faite au profit des enfants et descendants à naître du mariage.”.
29 Il BGB ne prevede ancora oggi una specifica regolamentazione, permeata su elementi culturali e giuridici antichi, propri delle popolazioni germaniche, che modificarono istituti tipici del diritto romano, fra cui la donazione mortis causa, per ovviare il principio di intrasmissibilità del patrimonio in favore dell'interesse familiare.
di poter
<<godere e disporre in modo pieno ed esclusivo
>>30dei propri
beni e il diritto dei soggetti legittimari di ricevere la quota di
patrimonio coperta dalla réserve
31, facendo prevalere, appunto, talvolta
l'interesse individuale sotteso all'istituto testamentario, talaltra
l'interesse della famiglia.
Nel primo codice civile italiano – come noto – si riprende quasi
integralmente la disciplina sulla proprietà dettata dal Code Napoléon,
incentrando il sistema sulla garanzia di poter godere e disporre dei
propri beni da parte del proprietario, in modo potenzialmente
illimitato. Su tali basi si posa la preminenza della successione
testamentaria rispetto a quella ex lege, spostando “l'ago della bilancia”
a favore dell'interesse individuale patrimoniale del de cuius. L'opera di
alcuni civilisti invertì nella codificazione successiva l'ordine formale,
ponendo l'attenzione sul
<<fondamento giuridico-politico della
successione legittima, ossia l'interesse superiore della famiglia
>>32: in
base a tale ragione si decise di subordinare la successione
testamentaria alla successione legittima, che ne delimitava pertanto i
confini di efficacia.
Qualunque fosse l'orientamento adottato, il divieto dei patti successori
trovava ragion d'essere nella marcata preminenza della libertà
testamentaria riconosciuta al testatore, prescindendo dal rapporto con
30 Art. 832 c.c, già art. 436 c.c. del 1865: "La proprietà è il diritto di godere e
disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti".
31 Cfr. Relazione della Commissione del Senato sul progetto del Codice Civile del
Regno d'Italia, in S. GIANZANA, Codice civile preceduto dalle relazioni ministeriali e senatorie, dalle discussioni parlamentari, e dai verbali della Commissione coordinatrice, Torino, 1887, p. 286. L'importanza della posizione
sistematica all'interno del Codice è di immediata comprensione comparando il Codice Napoleonico, che inserisce la disciplina della successione testamentaria all'interno di quella della donazione, ed il Codice Civile che istituì una sessione indipendente delle successioni, comprendendo tanto la successione legittima quanto la testamentaria. La diversa collocazione palesa la diversa interpretazione della réserve: limite alla successione legittima nel diritto napoleonico ed al contrario limite alla libertà di testare nella disciplina italiana.
la successione legittima: in un ordinamento in cui l'atto di ultima
volontà deve essere mutabile e revocabile fino
<<all'estremo momento
della vita
>>33del testatore, parrebbe inconciliabile ogni negozio
giuridico che renda irrevocabile una disposizione patrimoniale dei
propri beni per il periodo in vita dell'autore fino a protrarne gli effetti
anche successivamente la morte
34.
Proprio per tale motivo, i patti successori furono considerati contrari
all'ordine pubblico ed ai principi etici di interesse fondamentale. Non
sembrava possibile, infatti, concepire un'autolimitazione che potesse
potenzialmente alterare la proporzionalità garantita dal testamento –
almeno per la quota legittima – come pure, appariva un'immoralità
intrinseca scaturente dal pericolo di votum corvinum, ossia la
presunzione che l'interesse patrimoniale facesse desiderare la morte
della controparte. Tale minaccia, però, non fu ritenuta essere in grado
di giustificare l'intransigente rigidità nei confronti del divieto
35,
soprattutto alla luce della contestuale liceità di altri istituti giuridici che
nascondevano potenzialmente lo stesso pericolo sopra richiamato, fra i
quali la rendita vitalizia, le assicurazioni sulla vita, le donazioni con
esecuzione differita dal momento della morte.
Argomentazioni più convincenti risultarono essere, invece, gli effetti
lesivi della costituzione contrattuale di erede prodotti da una posizione
maggiormente permissiva e flessibile, che
<<rende incerta la proprietà,
scema il credito immobiliare e altererebbe grandemente l'economia del
33 G. CAPOZZI, Successioni e Donazioni, Giuffrè Editore, 2009, p. 741, “[...]l'atto di ultima volontà è, fino alla morte del suo autore, un semplice progetto ovvero un atto in via di formazione che presuppone la persverantia in voluntate e, come tale, da ritenere non compiuto finché la morte, con la conferma implicita del volere fino all'estremo momento della vita, non vi ponga il suggello della definitività.”.
34 L'ammissibilità dei negozi mortis causa è sottoposta, secondo la dottrina maggioritaria, ad un doppio stadio di efficacia: è un negozio perfetto e giuridicamente rilevante fin dalla predisposizione da parte dell'autore, ma limitatamente ad esso; assume, invece, rilevanza ed efficacia giuridica nei confronti di terzi con la morte del suo autore.
sistema ipotecario e della trascrizione
>>36,
anche se tali inconvenienti
potevano essere fronteggiati, come prontamente osservato, con un
apposito registro di trascrizione dei patti successori stipulati,
permettendone così una realizzazione efficace e non elusiva. A tal
riguardo risulta necessario evidenziare l'esistenza di un ordinamento di
civil law, quello tedesco, in cui la successione può essere disciplinata
da contratti, senza che ciò generi incertezza sulla proprietà dei beni e
sugli effetti all'apertura della successione né tantomeno tale possibillità
viene considerata contraria ai boni mores
37, poiché tutto è regolato da
un rigido regime di trascrizione.
La comparazione diacronica – come anche quella di altri ordinamenti
contemporanei – si è resa utile per mostrare il percorso che ha portato
all'elaborazione della nostra attuale disciplina, nonché per illustrare il
background su cui interverranno futuri progetti di riforma
38.
2. (Dis-)omogeneità del precetto normativo
Come sopra anticipato, la vigente codificazione inserisce il divieto dei
patti successori all'interno di un'unica norma, l'art. 458 c.c.,
precludendo in generale la validità a
<<tutte le convenzioni che hanno
36 Cfr. Relazione sul progetto del terzo libro del codice civile presentato dal Ministro Guardasigilli Pisanelli, n. 137, in S. GIANZANA, Codice civile preceduto dalle relazioni ministeriali e senatorie, cit., p. 291.
37 Come evidenziato dalla pronuncia del Tribunale di Bolzano, 8 marzo 1969: “il patto successorio, nullo secondo il nostro ordinamento, e valido secondo l'ordinamento germanico, non è contrario all'ordine pubblico ed al buon costume nel nostro Stato”, Foro it., 1969, Successione, pp. 34 e ss.
38 R. LENZI, Il problema dei patti successori fra diritto vigente e prospettive di
per oggetto una eredità futura
>>39. La scelta di limitare con un solo
disposto normativo
40la libertà di disporre dei beni che costituiranno
oggetto della propria massa ereditaria, palesa l'intento legislativo di
voler uniformare il divieto dei patti successori, attribuendo ad esso
caratteristiche di generalità, astrattezza e assolutezza.
L'imperatività di tale divieto è stata mitigata dagli orientamenti assunti
dalla giurisprudenza e dalla prassi notarile, che hanno contribuito ad
una generale disapplicazione del divieto, ampliando il novero delle
figure derogatorie utilizzate ed ostacolando la creazione di una
categoria omogenea di patti successori. Al contrario, la dottrina
41si è
notevolmente prodigata nella giustificazione dell'assolutezza del
divieto, controbilanciando parzialmente i due fenomeni verificatisi per
l'assenza di requisiti univoci e chiari: la creazione ad opera della prassi
notarile di forme di delazione alternative con effetto post mortem, da
un parte; la scarsa applicazione del divieto ad opera della
giurisprudenza
42, in virtù di tutelare il legittimo affidamento delle parti
riposto nello strumento di natura volontaristica prescelto, dall'altra.
In tale contesto venne forzata la formulazione di requisiti che
generalizzassero la norma, tali da facilitare l'immediata distinzione fra
39 Ai sensi dell'art 458, c.1, c.c.
40 È necessario sottolineare che l'unicità della norma riguarda l'inserimento all'interno di una sola disposizione di un divieto generalizzato nei confronti di ogni forma contrattualistica al fine successorio. Non si vuole qui asserire che il codice dedichi una sola norma al divieto in questione: esso viene consolidato sotto altri aspetti anche nei seguenti artt. 557; 561; 563; 589; 590; 653; 1412; 1421, ss; 1929; 2355 bis; 2469. Cfr. A. ZOPPINI, Contributo allo studio delle
disposizioni testamentarie “in forma indiretta”, in Studi in onore di Pietro Rescigno, Diritto Privato, Milano, 1998, p. 919.
41 Cfr. M. IEVA, I fenomeni parasuccessori, in Riv. Not., 1988, I, pp. 1139 ss; R. LENZI, Il problema dei atti successori fra diritto vigente e prospettive di riforma, in Riv. Not., 1988, I, pag 1121 e ss.
42 La giurisprudenza si è trovata di fronte alla scelta legislativa di salvare il divieto di ogni patto successorio, secondo un'interpretazione strettamente letterale, o di tutelare gli interessi in gioco casisticamente. Come è possibile confrontare in F. GAZZONI, Patti successori: conferma di un erosione, 2001, II, pp. 232, il quale sottolinea come “il divieto non sia molto sentito e che ormai, salvo qualche ipotesi eccezionale, resti largamente disapplicato”.
un contratto valido ed un patto nullo. In via giurisprudenziale
43vennero elaborati gli elementi essenziali – necessari soprattutto in una
visione internazionalprivatistica – da accertare affinché il divieto
potesse essere applicato:
-
il vinculum iuris avente ad oggetto una successione non ancora
aperta;
-
i beni ed i diritti, oggetto della convenzione, appartenenti alla
futura massa ereditaria;
-
irrevocabilità del negozio;
-
assunzione della qualità di futuro avente diritto sulla
successione da parte del soggetto beneficiario risultante dal
negozio;
-
il trasferimento a titolo di eredità o di legato (mortis causa).
Appare evidente come solo i primi due requisiti valgano per “ogni
convenzione”, ossia la stipula di un accordo antecedente all'apertura
della successione e che tale accordo abbia ad oggetto un bene parte
della futura successione; mentre i restanti sono riferibili a ciascuna
fattispecie presa singolarmente: ai soli patti istitutivi la caratteristica di
negozio mortis causa; ai soli patti dispositivi e rinunciativi
l'irrevocabilità negoziale.
43 M.V. DE GIORGI, Atto <<mortis causa>> e patti successori, in Patto
successorio, in En. del Diritto, XXXII, 1982, in particolare nota n. 7. Per i
riferimenti giurisprudenziali si rimanda alla sentenza n. 2404, del 22 luglio 1971, in Giust. Civ. 1971, I, 1536, ed alla più recente sentenza n. 1683, del 16 febbraio 1995, in Vita Not. 1996, p. 260, in cui, in merito ad una vicenda ove l'accordo oggetto di giudizio avrebbe potuto assumere i profili di patto successorio dispositivo essendosi concluso senza l'intervento del de cuius, i requisiti <<per
stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all'art. 458 c.c.>> venivano così sintetizzati: “a) che la convenzione sia
stipulata prima dell'apertura della successione; b) che il bene oggetto del patto faccia parte dell'eredità futura; c) che l'acquisto avvenga successioni causa e non ad altro titolo”. Gli altri requisiti sono stati evidenziati dagli stessi autori sopra citati.
Il titolo di acquisto mortis causa costitusce la più profonda differenza
fra i patti successori istitutivi, dispositivi ed abdicativi, in quanto va ad
incidere sulla validità dei negozi stessi. Per i patti istitutivi, infatti, la
morte di una delle parti è la causa dell'atto, inficia pertanto la validità
dello stesso, comportandone la nullità. Tuttavia sono stati introdotte,
per via pretoria, alcune deroghe.
La Corte di Cassazione, con giurisprudenza costante, ha infatti
affermato che, non necessariamente ogni clausola che subordina la
produzione degli effetti del contratto al verificarsi dell'evento morte di
una delle parti è una disposizione mortis causa, di conseguenza nulla.
Si è posto dunque il problema dell'individuazione delle deroghe legali
al divieto, che ne aumenta la problematicità applicativa in sede
giurisprudenziale, dove non si è rinvenuto un criterio capace di
delimitare con certezza la categoria degli atti mortis causa
44. Tali
incertezze applicative hanno portato così al salvataggio della forma
contrattuale in esame, con conseguente disapplicazione del divieto e
costituiscono terreno fertile per una futura riforma
45.
Di diversa natura sono invece i patti dispositivi e rinunciativi,
annoverati nella stessa disposizione normativa, ma qualificabili come
negozi inter vivos, la cui stipulazione verte non sulla propria
successione, ma su una successione altrui non ancora aperta:
rispettivamente con i primi si dispone di diritti che da essa possono
derivare, con i patti abdicativi invece vi si rinuncia.
Il divieto è da ritenersi applicabile ad ogni costituzione, modificazione,
trasmissione o estinzione di beni e diritti relativi ad una successione
44 Cass. 29 maggio 1972, n. 1702, in Giur. it..; Cass. 5 maggio 1956, n. 1427, in Giust. civ., 1957, I, 1247; Cass. 4 agosto 1951, n. 2372, in Giur. compl. cass. civ., 1952, II, 1, 547. Sul punto cfr. L. FERRI, Successioni in generale, in SCIALOJA-BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile, Libro secondo Delle successioni, Bologna-Roma, 1966.
45 Si rinvia al capitolo successivo per una più dettagliata esposizione della diversa impostazione legislativa rispetto al divieto dei patti successori, con particolar riferimento ai patti successori istitutivi.
non ancora aperta, eventualmente vincolata alla futura disposizione
testamentaria in qualità di adempimento o presupposto
46. Se si
condivide questo orientamento dottrinale
47non si può quindi fare a
meno di analizzare le singole tipologie, in modo da poter mettere in
luce quelle ragioni che giustificano, nel diritto vivente, le restrizioni
all'operatività di un divieto che, nella lettera della legge, appare
assoluto e generalizzato.
In ogni caso, che sia in presenza di un'istituzione di erede, oppure di
una rinunzia a, o disposizione di, un'eredità di persona vivente, i
distinti comportamenti rinvengono il loro nesso funzionale nell'oggetto
considerato, ossia i beni della massa ereditaria di un soggetto non
ancora defunto al momento dell'accordo. Tale “minimo comune
denominatore” però non sembra essere sufficiente per
un'identificazione certa dei comportamenti ammessi dalla normativa
vigente, né per giustificare la costrizione dell'autonomia privata del
soggetto.
Per una più chiara demarcazione dei confini entro cui applicare le
norme di conflitto di diritto internazionale privato dedicate alle
successioni, piuttosto che non quelle dedicate alla disciplina delle
obbligazioni contrattuali
48, risulta pertanto necessaria un'analisi di ogni
tipologia di patto successorio.
46 M.V. DE GIORGI, Patto successorio (voce), cit., in particolare par. III, la quale ha tentato di definir in modo ampio ed esaustivo il patto successorio, in modo tale da poter comprendere ogni fattispecie tipizzata ed espressamente vietata.
47 C. CACCAVALLE, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi
tutelati, in Quad. Fond. Not., Napoli, 2006.
48 La disciplina è contenuta nel Regolamento “Roma I”, Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla
3. I patti successori istitutivi
“E' nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria
successione”
Il patto successorio istitutivo, fattispecie ibrida tra l'istituto successorio
del testamento e il tipico negozio contrattuale, è un negozio bilaterale
avente ad oggetto l'istituzione di erede o legato. Il poter predisporre
della propria massa ereditaria con un istituto giuridico di natura
volontaristica, quale il contratto, è apparso fin dalle prime tesi in
materia contrario all'ordine pubblico e al buon costume, essendo
costituzionalmente ammesse come forme di devoluzione soltanto la
legge e il testamento
49. Solo quest'ultimo, di fatti, garantirebbe il
formarsi libero e spontaneo della volontà di disporre dei propri beni
per il periodo successivo alla propria morte, potendo in ogni momento,
per tutta la durata della propria vita, revocare quanto disposto mortis
causa.
In merito alla contrarietà del pato successorio al buon costume si è già
ampiamente espressa la giurisprudenza, che sin dal 1953
50ha osservato
come la nullità dei patti successori non derivi da
<<causa turpe o
immorale
>>51, quanto piuttosto da una pretesa lesività della libertà di
49 Ai sensi dell'art. 42, ultimo comma della Costituzione: <<La legge stabilisce lenorme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.>>. Cfr. G. CAPOZZI, Successioni e Donazioni, cit.
50 Corte appello di Venezia 3 settembre 1953, in G. Andreoli, Corti di Brescia e
Venezia, 1953, p. 543.
51 Ricondurre l'immoralità al votum corvinum avrebbe reso illeciti altri negozi, quali, ad esempio, l'assicurazione sulla vita o la costituzione di rendita vitalizia, ritenuti invece leciti dal nostro legislatore. A tal riguardo L. COVIELLO, Diritto
successorio, Bari, 1962, p. 250, secondo il quale alla compressione della libertà
testamentaria, quale effetto collaterale dell'abolizione o circoscrizione del divieto in questione, corrisponde un proporzionale ampliamento dell'autonomia
testare. La norma, tuttavia, accogliendo un’interpretazione estensiva,
deve essere intesa nel senso di un
<<rinvio alla volontà del privato,
[che] non urtando contro provvedimenti di natura costituzionale
>>52ben
può ricorrere a forme contrattuali alternative. In tale ottica testamento e
contratto successorio non sono
<<due diverse cause di chiamata, ma
due forme fenomeniche d'una medesima causa di chiamata
>>53.
L'apertura mostrata dall'interpretazione estensiva ora esposta, non può
esimersi dal dover superare il carattere fondamentale dell'istituto
testamentario, ossia la revocabilità dell'atto mortis causa, garante di
una volontà spontanea e libera, incondizionata da fattori esterni
54, ben
diversa dall'immediata vincolatività e irrevocabilità, salvo contrario
consenso delle parti contraenti, proprie del negozio contrattuale. A tale
proposito sono state avanzate autorevoli tesi in merito alla
riconduzione del contratto successorio alla disciplina contrattualistica
generale di ispirazione tedesca
55, che propongono di elaborare una
contrattuale, oltre alla garanzia dell'unitarietà della vicenda successoria, senza che la frammentazione in molteplici fasi e meccanismi leda l'equilibrio patrimoniale e l'interesse delle categorie dei soggetti giuridicamente tutelati (erede o legatario). 52 P. RESCIGNO, Le successioni a titolo universale e particolare, in Successioni e
Donazioni, vol. I, Padova, 1994, p. 5; in tal senso vd. anche R. LENZI, Il problema dei patti successori tra diritto vigente e prospettive di riforma, cit., p.
1129, secondo il quale un esplicito richiamo costituzionale alla forma testamentaria aprirebbe, e non precluderebbe, <<la via all'eventuale introduzione
di ulteriori e più adeguati strumenti di circolazione mortis causa dei beni>>.
53 B. WINDSCHEID, Pandecktrecht, § 529, in traduzione C. FADDA - P. E. BENSA – P. BONFANTE – F. MAROI, Diritto delle Pandette, vol. III, Torino, 1930, p. 104, nota 3.
54 La tesi che le forme di delazione contrattuale contrastino con il principio fondamentale di <<piena libertà di disporre dei propri beni fino al momento della [propria] morte>> è stato più volte riportato anche dalla giurisprudenza: Cass. 4 luglio 1983, n. 4827.
55 C. CACCAVALE, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, cit., p. 37, secondo cui il problema relativo ai patti successori istitutivi potrebbe essere arginato, come avviene con la disciplina dell'erbvertrag tedesco, attribuendo al patto successorio la disciplina testamentaria, anziché quella contrattuale, garantendone pertanto la revocabilità e rimandando la quantificazione del lascito non al momento della stipula del patto, ma bensì al momento di apertura della successione. La dottrina contraria, invece, pone in evidenza come la revocabilità del patto non sarebbe in grado di tutelare la
<<riservatezza dell'ereditando, esponendolo a possibili pressioni indebite da parte
dei contraenti beneficiari del patto>>: cfr. F. P. TRAISCI, Il divieto di patti
figura ad hoc nella quale sia ammessa ex lege la revocabilità del
vincolo contrattuale e la determinazione dei beni oggetto del lascito da
parte del disponente, al quale
<<rimane il potere di disporre in vita dei
propri beni, al limite di tutti i suoi beni
>>56. Soprassedere sulla
irrevocabilità del contratto, come rilevato dalla tesi opposta
57, non è
però possibile, in quanto elemento essenziale; inoltre, non sarebbe
comunque tutelativa dell'interesse alla riservatezza dell'ereditando
nell'esprimere il proprio volere, ormai palese e dunque suscettibile di
interferenze esterne indebite da parte di potenziali beneficiari.
L'ipotetica nuova disciplina dovrebbe pertanto garantire tanto la liceità
e la stabilità degli effetti mediante la natura irrevocabile del negozio
contrattuale, quanto la libertà dispositiva del futuro de cuius attraverso
azioni ad hoc tutelative. Ad ogni modo, pare doveroso puntualizzare
come il solo carattere di irrevocabilità non sia in grado di garantire la
stabilità degli effetti del negozio contrattuale mortis causa, in quanto,
analogicamente alla donazione, istituto irrevocabile anticipatorio la
successione, la stabilità degli effetti è subordinata alle azioni poste a
tutela dei soggetti legittimari.
Se risulta difficile incardinare il patto successorio all'interno
dell'istituto contrattuale, ancora più complesso risulterebbe assimilarlo
alla disciplina testamentaria. Tale intento si mostrerebbe impossibile
non solo per il fondamentale interesse individualistico sotteso al
testamento
58, ma soprattutto per la rilevanza etica della morte
nota 59. Per il contratto ereditario nel diritto tedesco si rimanda inoltre alla dottrina nazionale di M.V. DE GIORGI,, I patti sulle successioni future, cit., p. 201, e A. FUSARO, Uno sguardo comparatistico sui patti successori e sulla
distribuzione negoziata della ricchezza d’impresa, in Ricerche giuridiche, vol. II,
Venezia, 2013, p. 353.
56 M. CALOGERO, Disposizioni generali sulle successioni, in P. SCHLESINGER – F. D. BUSNELLI, Codice civile commentato, Milano, 2006, p.115.
57 C. CECERE, Patto Successorio, in Digesto IV (aggiornamento), Torino, 2003, p. 1002.
58 D.A D'ALOIA, Regolamentazione convenzionale della successione, Napoli, 2012, p. 125, secondo il quale il negozio testamentario è composto esclusivamente da precetti diretti a regolare la successione di un singolo
all'interno della realtà sociale. Il legislatore, anche in seguito alla legge
n. 55/2006
59, ha deciso di non abrogare il divieto in virtù proprio del
significato ontologico che esso porta con sé
60, ossia l'irridicubilità della
vicenda successoria ad un mero regolamento patrimoniale di interessi.
Si vuole fermamente evitare che all'interno dell'atto di destinazione
post mortem dei propri diritti sia inserita una pianificazione di vicende
extra-successorie indipendenti dalla morte stessa, bensì frutto di un
rapporto di sola convenienza. La predisposizione giuridica in un unico
contesto di vicende successorie ed extra-successorie non solo è vietata
in virtù della norma in oggetto, ma risulta essere problematica anche
dal punto di vista dei vizi di validità ed efficacia di queste, che
andrebbero ad invalidare l'intero patto, poiché una scissione
contrasterebbe con l'operazione negoziale scelta dalle parti che hanno
deliberatamente deciso di collegarle funzionalmente
61.
Il ruolo che l'evento morte assume all'interno dell'atto demarca il
confine che intercorre tra atto mortis causa vietato ed atto post mortem
lecito: sono infatti vietati tutti quegli atti che regolano anticipatamente
la vicenda successoria, situazione precaria dal punto di vista oggettivo
e soggettivo, anche mediante uno strumento stabile e vincolante quale
il contratto, ad eccezione di quei soli atti in cui si rinvia all'evento
morte al fine di individuare il termine temporale
62di efficacia. L'evento
individuo, soddisfacendo un suo bisogno individuale connesso con un evento fondamentale della sua persona: l'interesse a regolare la sorte del suo patrimonio per il tempo successivo alla sua morte.
59 Legge del 14 febbraio 2006, n. 55, recante modifiche al codice civile in materia
di patto di famiglia.
60 F. LUCARELLI, Solidarietà ed autonomia privata, Napoli, 1970, pp 289-290, con cui si intende la mera regolamentazione della successione del futuro de cuius ad opera dell'ereditando accettante, prescindendo da un giudizio sugli interessi perseguiti.
61 V. ROPPO, Il contratto, II ed., in G. IUDICA- P. ZATTI, Trattato di diritto
privato, Milano, 2011, p. 9, secondo cui << il titolare del valore può disporre, ma
non per farne uno scambio economico>>. Se le parti volessero, infatti, scindere la
regolamentazione successoria da quella extra-successoria perfezionerebbero due negozi giuridici distinti, il testamento per le prime, un contratto bilaterale per le altre.
della morte negli atti post mortem non si esaurisce al solo elemento
accidentale di sospensione o limitazione degli effetti del negozio nel
tempo, ne acquista piuttosto
<<valore di coefficiente causale, in quanto
è già l'oggetto stesso del negozio che viene a porsi al di là della vita del
suo autore
63>>
. La linea di demarcazione che divide gli atti mortis
causa e gli atti post mortem, rilevante ai fini di certezza
nell'applicabilità del divieto in questione, insiste essenzialmente
sull'assenza di effetti traslativi immediati e sulla precarietà della
disposizione, elementi distinti ma combinabili in sede di valutazione.
Più precisamente, vengono definiti mortis causa gli atti che regolano
situazioni giuridico-soggettive createsi in via originaria con la morte
del soggetto, ovvero che da quest'ultima traggono la loro
qualificazione, escludendo pertanto dalla categoria tutti gli atti con
effetti traslativi immediati
64. Non apparendo sufficiente il criterio
dell'attualità degli effetti traslativi del negozio, altra parte della dottrina
ha preferito porre l'attenzione sull'elemento residuale. La
determinazione soggettiva ed oggettiva dei rapporti contenuti nel
negozio si trova subordinata all'evento della morte del disponente,
parte II, p 217: non possono essere ricondotti sotto il regime del divieto i negozi ad effetti traslativi immediati, anche se anticipatori della futura distribuzione patrimoniale successoria.
63 G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una
teoria dell'atto di ultima volontà, in Ed. Scient., 2010, p. 44, il quale, nel definire
atti post mortem come atti in cui la morte è solo l'occasione per l'attuazione degli effetti, distingue due tipologie di atto post mortem in funzione dell'evento morte condividendo la tesi esposta dal C. CACCAVALE, Patti successori: il sottile
confine fra nullità e validità negoziale, in Riv. Not., 1995, p. 552 in nota a
sentenza della Suprema Corte del 16 febbraio 1995, n. 1683.
64 Il criterio appena enunciato non sembra sufficiente ed univoco ai fini della definizione della categoria di atti mortis causa, anzi appare ben più esaustivo nel rispondere alle sole esigenze definitorie di atto inter vivos: infatti non tutti gli atti ad effetti traslativi differiti sono mortis causa, una tale definizione escluderebbe l'esistenza dei negozi post mortem, il cui rapporto, già costituitosi, avrebbe nell'evento morte unicamente il momento produttivo degli effetti. Cfr. M.
VIGNALE, Il patto successorio, la donatio mortis causa e la conversione dei
negozi illeciti, in Dir. e giur., 1962, p. 304, che individua << tre requisiti: a) deve
essere in qualche modo collegata alla morte del disponente; b) non deve determinare l'acquisto immediato ed attuale di un diritto, né di altri effetti, neppure preliminari, ma solo un'aspettativa di fatto; c) deve essere destinata a produrre effetti solo in caso di premorienza del disponente al destinatario>>.
potendo essere solo in favore di un soggetto sopravvissuto alla
premorienza del disponente, trovando così nuovi titolari di posizioni
giuridiche rimaste senza un centro di imputazione soggettiva, e
potendo di fatti rientrare nell'oggetto del negozio solo id quod
superest, e non un bene già individuato in precedenza
65. Il negozio
mortis causa viene definito pertanto all'interno dei confini della
precarietà soggettiva ed oggettiva, non potendosi qualificare nessun
rapporto – né circa la consistenza oggetto dell'atto, né riguardo al
destinatario del bene – unicamente in un momento successivo alla
morte.
I criteri fino ad ora enunciati sembrano essere di facile applicazione,
ma la giurisprudenza ha optato per una diffusione capillare del criterio
comunemente definito “volontaristico”, legato appunto alla volontà
delle parti circa la rilevanza effettiva dell'evento morte in sede di
negoziazione. Nella prassi, anche tale criterio è stato surclassato da
criteri estemporanei che tenessero conto degli interessi realmente
rappresentati, per evitare l'estrema e non voluta conseguenza del
modus operandi volontaristico, che avrebbe compreso nel divieto
quelle donazioni e quegli atti di compravendita, la cui ratio è
collegabile ad un'attribuzione patrimoniale in funzione della morte del
disponente
66.
65 G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una
teoria dell'atto di ultima volontà, cit., p. 40; P. RESCIGNO, La successione a titolo universale e particolare, cit., p. 16.
66 M. IEVA, I fenomeni parasuccesssori, in in P. RESCIGNO (a cura di),
Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, p. 57, << considerato che il risultato
ultimo che viene raggiunto dal beneficiante che pone in essere un regolamento negoziale alternativo al testamento è sempre quello di costituire o trasmettere in capo al beneficiato la titolarità di un diritto reale o di un credito esattamente come potrebbe fare con un testamento>>, il criterio volontaristico non è in grado di
individuare con assoluta certezza comportamenti leciti, distinguibili da negozi illeciti in violazione od elusione del divieto dei patti successori. Non deve confondersi infatti la necessaria applicazione di tale criterio per una valutazione circa la illiceità rispetto agli artt. 1344 e 1345 c.c., ma che esula dalla nostra sfera di indagine.
Le implicazioni delle teorie in esame in merito alla portata applicativa
dell'art. 458 c.c., che comportano la nullità dei negozi mortis causa, e
dei patti istitutivi in primis, e che preservano la validità degli atti con
effetti post mortem, permettono di escludere dal novero dei patti
successori istitutivi una serie di atti con funzione alternativa al
testamento
67, ritenuti pertanto validi. Alla esposta apertura nei
confronti dell'autonomia negoziale da parte dell'ordinamento italiano,
seppure in presenza della
<<comminatoria di nullità di cui all'art. 458
cod. civ.
>>68, corrisponde una diversa prospettiva europea, quella del
Regolamento n. 650/2012 che qualifica i patti successori per definirne
il proprio ambito di applicazione. I patti successori definiti dal
Regolamento comprendono, infatti, i soli patti successori istitutivi,
aventi dunque ad oggetto la trasmissione, a titolo di eredità o legato, di
beni e/o diritti facenti parte della successione non ancora aperta di una
delle parti contraenti, che è priva di ius poenitendi, escludendo
conseguentemente l'applicazione della stessa disciplina ai patti
successori dispositivi e rinunciativi
69, che verranno trattati nei seguenti
paragrafi.
67 Tra i quali ad esempio il mandato post mortem, il contratto a favore di terzo con effetti post mortem e la donazione si moriar. Cfr. D.A D'ALOIA,
Regolamentazione convenzionale della successione, cit..
68 Cass., 16 febbraio 1995, n. 1683, in Vita not., 1996, p. 260, in sede di valutazione se una determinata pattuizione ricadesse nel regime di nullità dei atti successori prevista dall'ordinamento.
69
B. BAREL, La disciplina dei patti successori, in P. FRANZINA – A. LEANDRO,Il diritto internazionale privato europeo delle successioni mortis causa, Milano,
4. (segue) Il patto successorio istitutivo obbligatorio
Prima di procedere alla trattazione delle altre forme contrattuali, è
opportuno soffermarsi su un particolare patto successorio istitutivo, il
“patto successorio obbligatorio”
70. I patti istitutivi fin ad adesso
considerati comprendono ogni operazione negoziale con cui
<<una
persona contrae con altra il lascito di tutto o parte del proprio
patrimonio
71>>
, ma per rientrare nei criteri di generalità ed astrattezza
propri del patto istitutivo devono sussistere dei requisiti di validità,
escludendo dunque dai comportamenti riconducibili a fattispecie di
patto successorio la sola promessa verbale del de cuius di testare in
favore di un soggetto. Tale assunto risulta pacifico tanto per la
dottrina
72, quanto per la giurisprudenza
73, le quali concordano
nell'escludere da ogni considerazione le manifestazioni prive dei
70 M.V. DE GIORGI, I patti sulle successioni future, cit.; F. P. TRAISCI, Il divieto
di patti successori nella prospettiva di un diritto europeo delle successioni, cit., p.
64.
71 G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una
teoria dell'atto di ultima volontà, cit., p. 43.
72 M.V. DE GIORGI, I patti sulle successioni future, cit., p. 62; C. GIANNATASIO,
Delle successioni, T. I, libro II, Torino, 1971, p. 22.
73 Numerose sono le sentenze che si sono pronunciate a sostegno di tele assunto, per le quali si rinvia a F. P. TRAISCI, Il divieto di patti successori nella prospettiva
di un diritto europeo delle successioni, cit., p. 64, in particolare nota n. 71.
Appare opportuno porre l'attenzione su tre sentenze ivi richiamate, che evidenziano la “pacificità” della questione nel tempo, a prescinde in tal caso dalle mutate esigenze sociali che si sono evolute dal 1956 ad oggi: la Cassazione, con sent. 1527 del 5 maggio 1956 ha escluso l'esistenza di patto successorio nel caso in cui vi sia stata la sola speranza di ricevere il lascito totale o parziale, in favore proprio o dei propri familiari, in cambio di prestazioni spontanee o gratuite dei propri servigi (vd. Giust. Civ. 1956, I, p. 1247 e ss); Cass. 3 novembre 1979, sent. n. 5693, la quale esclude l'esistenza di patto successorio nel caso di vincoli meramente affettivi e morali, privi di una convenzione corrispondente ad i requisiti formali richiesti dalla disciplina contrattualistica generale; Cass. 9 marzo 2000, sent. 5870, in perfetta conformità alle precedenti pronunce, ha escluso dalla fattispecie concreta l'esistenza di un patto successorio con la sola manifestazione verbale di devolvere la propria successione in favore di un determinato soggetto senza aver posto in essere alcuna convenzione con esso.