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1. La ceramica a vernice nera nel Mediterraneo……...4

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione……….………2

1. La ceramica a vernice nera nel Mediterraneo……...4

Ceramica “Campana”: definizione e problematiche..………4

Produzioni a vernice nera anteriori al 200 a.C………4

Produzioni a vernice nera dopo il 200 a.C…….……….………..7

La Campana B………9

2. La Val d’Elsa: territorio d’influenza volterrana……….…12

Bronzo finale ed inizio dell’età del Ferro……….………..13

L’avanzata età del Ferro e le prime fasi dell’età Orientalizzante………..14

L’Orientalizzante recente e l’inizio dell’età arcaica……….………..17

La tarda età arcaica e l’età classica………..………….21

Il periodo ellenistico……….26

3. Le importazioni dalla Grecia e l’influenza sulle produzioni locali………….37

4. Catalogo………..………....44

Conclusioni……….…….91

Bibliografia……….……….95

(2)

2

Introduzione

Scopo di questa tesi è lo studio di materiali appartenenti alle classi denominate ceramica a vernice nera e sovradipinta, rinvenuti in un sito della Val d’Elsa, al fine di verificare se e quanto essi avessero subito l’influenza di modelli greci. È infatti ampiamente noto quanto le importazioni di ceramica a vernice nera dalla Grecia abbiano dato inizio a tutta una serie di produzioni locali in varie aree del Mediterraneo.

Come verrà ampiamente descritto in questo lavoro l’influenza, la recezione o anche più semplicemente i contatti diretti o indiretti con il mondo greco dell'Etruria settentrionale siano stati determinanti anche nello sviluppo della cultura materiale di un sito indubbiamente periferico della Val d'Elsa. Questo dato ci permette innanzi tutto di dedurre quanto questa penetrazione dall'esterno potesse essere capillare.

I materiali provengono da un sito nelle vicinanze dell’odierno paese di Linari (255 m s.l.m.), nel comune di Barberino val d’Elsa.

Occorre precisare fin da subito, anche se verrà più volte ribadito nel corso della trattazione, che la località in questione non è stata oggetto di indagini stratigrafiche, ma che tutti i ritrovamenti sono sporadici e sono avvenuti in maniera casuale nel corso degli anni.

Per questo motivo non sarà possibile dare indicazioni precise delle caratteristiche di questo sito, ma verranno avanzate soltanto delle ipotesi proprio basandoci sui materiali in questione.

Per far fronte alla carenza di dati precisi desumibili da uno scavo stratigrafico si è ritenuto opportuno procedere in tre fasi.

Innanzi tutto è stato chiarito come si configuri la produzione di ceramica a vernice nera in tutta l’area del Mediterraneo tra IV e I secolo a.C.

Per farlo ci si è basati sull’ampia bibliografia disponibile per questa classe ceramica, cercando di tracciare prima una linea cronologica di sviluppo e poi una storia degli studi che ci aiutasse a capire cosa significhi oggi parlare di produzioni a vernice nera.

Successivamente, per comprendere il contesto di cui ci si sta occupando, è stata svolta una analisi diacronica dello sviluppo sia degli insediamenti che delle necropoli in tutto il comparto valdelsano, così da stabilire delle linee guida che ci aiutassero ad orientarci nella comprensione del caso singolo del sito di Linari.

Infine si è ritenuto opportuno trattare i rapporti tra l’area etrusco settentrionale e la Grecia, in modo da poter raggiungere il fine ultimo di questa indagine: comprendere quanto le produzioni greche in generale, ma soprattutto quella della vernice nera attica, abbiano influenzato le caratteristiche di centri ritenuti comunemente periferici come questo. Si è inoltre cercato di capire per quali vettori devono essere arrivati in questo areale influssi ellenici. È emerso che la maggior parte dei modelli deve essere stata veicolata dall’Italia meridionale, attraverso rotte marittime. Minori testimonianze invece possono essere individuate per importazioni dagli empori adriatici di Spina e Adria.

Conclusa questa parte bibliografica la ricerca è stata indirizzata sull’indagine sui materiali, attraverso

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3 quello dell’impasto, sia da quello morfologico. Trovati tutti i possibili confronti si è proceduto sulla base di essi ad una datazione. Infine, nelle conclusioni, sono stati interpretati i dati raccolti.

Occorre precisare infine che le indagini sono state svolte soltanto su base autoptica e non con l’ausilio di indagini minerografiche e petrografiche.

L’odierno insediamento di Linari. Scala 1:200 m

La posizione di Linari rispetto ai centri circostanti e a Volterra. Scala 1: 2000 m

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Capitolo 1

La ceramica a vernice nera nel Mediterraneo.

Ceramica “Campana”: definizione e problematiche.

La definizione “ceramica campana” viene correntemente utilizzata per indicare un gruppo di produzioni a vernice nera diffuse tra IV e I secolo a.C. in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo.

Tale espressione, utilizzata da N. Lamboglia sia nella pubblicazione dei frammenti ceramici a vernice nera rinvenuti negli scavi di Albintimilium

1

(1950) sia poi nella sua Classificazione preliminare del 1952

2

(contributo fondamentale per lo studio di questa classe ceramica, poiché fornisce una prima classificazione tipologica), è puramente convenzionale, in quanto ceramica a vernice nera fu prodotta, con caratteristiche che variano da sito a sito, non solo in Campania

3

(anche se in questa regione va situata la produzione più nota e più abbondantemente commercializzata, quella della Campana A), ma anche nel Lazio, in Etruria, in Abruzzo, in Puglia, in Sicilia e in molti altri centri

4

. Come ha sottolineato Morel

5

(al quale dobbiamo l’analisi più completa e dettagliata su questa classe ceramica), nelle produzioni italiche a vernice nera si individua una vera e propria spaccatura intorno al 200 a.C., che interessa i sistemi produttivi, le caratteristiche tecniche, la diffusione commerciale, e che consente di delineare un’evoluzione della produzione ceramica in Italia. Tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. infatti, si assiste alla fine di alcune produzioni, localizzabili nel Lazio, in Etruria e in Campania, di carattere fortemente artigianale, le cui caratteristiche erano la limitata diffusione al di fuori dell’area di produzione, le caratteristiche tecniche e decorative piuttosto accurate, le forme tipologicamente eterogenee (con una coesistenza di forme aperte e chiuse o semichiuse), che si ispiravano a tradizioni diverse e imitavano spesso prototipi metallici; il ruolo degli artigiani responsabili di queste produzioni ci è testimoniato dalla presenza (non massiccia, ma comunque interessante) di bolli o di firme di vasai graffite o dipinte prima della cottura. Tutti questi prodotti vengono quasi improvvisamente sostituiti sui grandi mercati dai tre gruppi più cospicui all’interno della classe della vernice nera, cioè la Campana A, la Campana B (e altre apparentate, le cosiddette produzioni B-oidi) e la Campana C.

Produzioni a vernice nera anteriori al 200 a.C.

Tutte le produzioni ceramiche a vernice nera che si sviluppano in Italia precedentemente agli inizi del II sec. a.C. sono in maggiore o minor misura influenzate dalla ceramica attica a vernice nera

1 Lamboglia 1950, pag. 38.

2 Lamboglia 1952b, pag. 206.

3 Frontini 1998.

4 Guerrini, Mancini 2007, pagg. 199-203.

5 Morel 1980, pagg. 85-122.

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5 (definita talvolta impropriamente “precampana”) prodotta nella Grecia continentale già dal V sec.

a.C. e ampiamente commercializzata nel Mediterraneo nel corso del IV e III sec. a.C..

6

Si tratta di una produzione di buona qualità, realizzata con una argilla rossa molto depurata (la stessa usata per la produzione dei vasi attici a figure nere e a figure rosse); la vernice, distribuita a pennello, è molto lucida, compatta e oleosa al tatto; non presenta generalmente una decorazione dipinta e le forme sono complesse, spesso di ispirazione toreutica.

Intorno al 360 a.C. si sviluppa in Puglia, nella zona di Taranto, la produzione della ceramica di Gnathia

7

(cosiddetta dal sito in cui ne è stato rinvenuto un primo lotto cospicuo e dove è stata ipoteticamente individuata una serie di officine): si tratta di vasi di fattura piuttosto accurata, con una prevalenza di forme chiuse e profonde, spesso di tipo locale, caratterizzate da una decorazione sovradipinta in bianco, giallo e rosso che riproduce spesso semplici motivi vegetali, ma che nei migliori esemplari arriva a riprodurre scene spesso allusive alle tematiche dionisiache. La produzione giunge fino al 260 a.C. circa, e risulta piuttosto diffusa nel Mediterraneo (oltre che in Puglia, troviamo esemplari nel Lazio, in Corsica, in Spagna, in Africa settentrionale) ma con un numero di esemplari piuttosto esiguo.

È sicuramente ispirata alla produzione attica a vernice nera la ceramica capuana (definita anche

“protocampana”) prodotta a Capua e nei suoi dintorni in un periodo compreso tra 350 e 250 a.C.

circa e assai poco diffusa al di fuori della Campania. Caratterizzata dall’uso di una vernice di un nero dai riflessi che tendono al verde, e dai fondi esterni riservati e ricoperti da una ingubbiatura rosata applicata a pennello, presenta una decorazione realizzata a impressione, che ripete alcuni motivi caratteristici (gorgoneia, meandri, archi di cerchio ecc.).

In Campania dobbiamo localizzare un’altra produzione ceramica, quella di Teano, databile tra la fine del IV sec. e il 268 a.C. (data di fondazione della colonia latina di Teanum Sidicinum): si tratta soprattutto di forme aperte realizzate in argilla giallastra e ricoperte da vernice nera con riflessi metallici; i fondi sono ricoperti da una ingubbiatura rosata; la decorazione è realizzata a impressione e presenta talvolta particolari sovradipinti in bianco. L’aspetto forse più caratteristico di questa produzione, poco diffusa al di fuori della Campania, risiede nella presenza di firme di vasai graffite in lingua osca, particolare che ci consente di datarla anteriormente alla deduzione della colonia latina (nonostante l’area fosse già fortemente romanizzata).

L’insieme di ceramiche a vernice nera di più ampia diffusione prima del boom commerciale della Campana A è quello prodotto dall’Atelier des Petites Estampilles

8

, localizzabile quasi sicuramente a Roma

9

(con alcune succursali a Tivoli, Segni, Lucus Feroniae, Caere e forse Populonia, Talamone e

6 Morel 1983, pagg. 66-74 e Morel 1990b, pagg. 401-402.

7 Forti 1965, pag. 23.

8 Morel 1969, pagg. 59-117.

9 Coarelli, Morel, Torelli 1973, pagg. 258-311.

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6 Vulci) e databile tra il 310 e il 270/265 a.C. circa. Così definita dalla frequente presenza di una decorazione realizzata tramite piccole stampiglie di tipo eterogeneo (motivi vegetali, ma anche piccoli animali, testine umane, lettere...), è una produzione piuttosto raffinata, dall’alto livello di standardizzazione, realizzata con un’argilla a pasta nocciola con sfumature rossastre; la vernice, data a immersione, è spessa, nerissima e lucida, oleosa al tatto. Le forme più caratteristiche sono la coppetta, la patera con orlo svasato e l’oinochoe. I vasi a Petites Estampilles sono particolarmente diffusi nell’Italia centrale, ma conoscono anche una diffusione trans mediterranea verso la Corsica, la Sardegna, la Sicilia occidentale e le coste settentrionali dell’Africa. Alle medesime officine va attribuita anche la produzione dei pocola deorum

10

, soprattutto piatti (ma sono attestate anche alcune forme chiuse) caratterizzati da decorazioni sovradipinte in bianco e altri colori (in qualche modo ricollegabili alle decorazioni dei vasi di Gnathia) con iscrizioni che riportano il nome di varie divinità del pantheon laziale al genitivo seguite dall’espressione pocolom (= vaso, contenitore). Tali manufatti devono aver avuto una funzione cultuale e/o funeraria; si è supposto che potessero essere una sorta di souvenirs da acquistare dopo la visita ad alcuni santuari.

Da localizzare in ambito laziale, e più probabilmente urbano (soprattutto a causa della frequenza dei ritrovamenti a Roma e nel suburbio) è anche la produzione delle Heraklesschalen

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(= coppe con Eracle), databile tra il 240 e il 220 a.C.: si tratta di piatti, anch’essi forse di uso cultuale, dai bordi ispessiti e caratterizzati dalla presenza di un bollo centrale recante una raffigurazione di Eracle: si tratta di una produzione molto ristretta, non diffusa al di fuori del Lazio.

Contemporaneamente si sviluppano diverse importanti produzioni a vernice nera in alcune officine dell’Etruria, già attive dalla fine del IV–inizi III sec. a.C. I prodotti si contraddistinguono per grande qualità e raffinatezza; l’argilla utilizzata è chiara e ben depurata, la vernice è nera talvolta con riflessi metallici, spessa e lucida; le forme, sia aperte che chiuse, sono di ispirazione toreutica, in linea con la tradizione etrusca che già per la produzione del bucchero si era ispirata a prototipi metallici. La produzione più importante tra quelle “etrusche” è quella della Volterrana D

12

, alla cui officina va riportata anche la produzione di Malacena (così chiamata dal nome della località, nei pressi di Monteriggioni, dove fu ritrovato il primo cospicuo lotto di questo tipo di vasi nella tomba dei Calini Sepus

13

), di qualità eccezionale, che arriva probabilmente fino agli inizi del II a.C. La produzione della volterrana subisce una forte contrazione nel volume delle esportazioni a partire dagli inizi del II secolo a.C.; le aree che ne importavano le maggiori quantità cercarono di sostituirla con produzioni locali fortemente ispirate alle caratteristiche della ceramica di Volterra. Questo è ad esempio il caso di Roselle

14

, dove si sviluppa una produzione locale che giunge almeno fino agli inizi del I secolo a.C.,

10 Moreno 1965, pagg. 254-256.

11 Bernardini 1986, pagg. 78-82.

12 Pasquinucci 1972.

13 Bianchi Bandinelli 1928, pag. 133.

14 Michelucci et al. 1974, pagg. 99-110.

(7)

7 con una diffusione commerciale ristretta all’ambito locale.

Tra le altre produzioni interessanti localizzabili in Etruria va almeno ricordata quella delle anses en oreilles

15

(così chiamata dalle caratteristiche anse a orecchiette presenti in molti dei prodotti), attribuibile con probabilità a officine della zona di Bolsena attive nel II sec. a.C., che tengono comunque anch’esse presente l’esempio delle officine volterrane.

Sicuramente ispirata alle produzioni etrusche è anche la ceramica calena a vernice nera, prodotta in officine localizzabili sicuramente a Cales

16

(oggi Calvi Risorta, nella Campania settentrionale) grazie alla presenza di firme di vasai che ci conservano sia il luogo di produzione (la città, ma talvolta anche il quartiere) sia il nome e la posizione sociale del vasaio stesso (si tratta quindi di testimonianze estremamente importanti). Questa produzione, databile tra la seconda metà del IV sec. a.C. e il 180 a.C. circa, risulta chiaramente ispirata al vasellame metallico sia nelle forme che nell’utilizzo di una vernice nero-bluastra con riflessi argentati; anche la decorazione, realizzata ad impressione con motivi complessi, è di derivazione metallica. Tra le forme più caratteristiche occorre ricordare i gutti, spesso decorati con particolari medaglioni a rilievo, e le patere ombelicate, le quali, però, sembrano legate a specifiche esigenze cultuali del mondo etrusco: anche per questo motivo, oltre che per le evidenti affinità stilistiche e per la frequenza dei rinvenimenti di ceramica calena in Etruria, si è pensato a una produzione avviata in Campania da maestranze etrusche e destinata prevalentemente al mercato dell’Etruria.

Produzioni a vernice nera dopo il 200 a.C. circa

È con la Campana A, intorno al 200 a.C., che si assiste a una vera e propria svolta nella produzione e nella diffusione della ceramica a vernice nera. Questa produzione era iniziata a Ischia (sfruttando l’argilla a pasta rossa presente sull’isola) ed aveva conosciuto una forte notorietà dal IV/III a.C. Con l’istituzione del portorium di Pozzuoli (199 a.C.) e con la fondazione della colonia di Puteoli (194 a.C.) diventa oggetto di una commercializzazione sempre più massiccia. Sono state individuate due officine di Campana A a Napoli, in pieno centro storico (una sotto Corso Umberto, l’altra presso Vico S. Marcellino, a poche centinaia di metri dalla precedente)

17

, a dimostrazione del fatto che gli ateliers produttivi dovevano situarsi nel pieno centro di una città importante, nei pressi di un grande porto. Purtroppo sono stati rinvenuti solo scarti di fornace e non installazioni, per cui sappiamo ben poco su come era organizzata la produzione: ma si trattava senz’altro di una produzione standardizzata, destinata ad un consumo di massa e ad una intensa commercializzazione, che sfruttava i carichi di derrate alimentari che partivano da Pozzuoli. Siamo infatti nel periodo d’oro della produzione agricola della Campania felix, e non è un caso che in ben quattro importanti relitti

15 Goudineau 1968, pagg. 98-101.

16 Pedroni 1990, pagg. 56-63 e Pedroni 2001 pagg. 35-49.

17 Johannowsky 1960, pag. 480 e Laforgia 1988, 362-366.

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8 di età tardo-repubblicana (relitto di Albenga in Liguria

18

, di Giannutri in Toscana

19

, del Grand Congloué presso Marsiglia

20

e dell’Estartit presso Gerona

21

) quantità considerevoli di Campana A siano state ritrovate in associazione con anfore Dressel 1, che esportano in questo periodo vino campano; in almeno due casi poi, le navi trasportavano anche macine di pietra lavica e altra merce d’accompagno. La Campana A si avvaleva quindi di una diffusione di tipo “parassitario” che rendeva il costo di trasporto praticamente nullo; per meglio sfruttare questa possibilità, le officine privilegiavano la produzione di forme aperte, facilmente impilabili e che quindi occupavano meno spazio nei carichi. Certo si doveva trattare di una merce assai poco costosa, fatto che contribuisce a spiegare la straordinaria diffusione di questa ceramica, che non ha alcuna qualità particolare (anzi, è piuttosto mediocre), ma che si ritrova su tutte le coste del Mediterraneo occidentale, da cui poi poteva diffondersi verso l’entroterra. La Campana A è una produzione estremamente standardizzata, che doveva essere di facile e rapido realizzo: l’argilla, a pasta rossa (facilmente riconoscibile), presenta un aspetto costante; la vernice veniva data a immersione (procedimento, questo, più rapido rispetto al pennello); le forme sono realizzate tutte al tornio mediante semplici procedimenti, ma non sono mai rifinite al tornio, e compongono un repertorio ripetitivo e quasi privo di innovazioni. Le decorazioni, quando ce ne sono, presentano solo due motivi caratteristici:

quattro palmette o foglie disposte a croce circondate da un cerchio di striature, oppure una rosetta centrale senza altri elementi. Occorre ricordare, infine, l’assoluto anonimato di questa ceramica, sulla quale non sono mai presenti bolli o firme di alcun genere. Tutto questo fa pensare a una produzione affidata a manodopera servile non specializzata (siamo ben lontani dagli abili artigiani che producono le ceramiche a vernice nera descritte nel paragrafo precedente), che doveva lavorare la materia prima che veniva fornita dai proprietari delle officine seguendo dei modelli prestabiliti;

l’originalità e l’innovazione non dovevano essere favorite poiché rallentavano i processi produttivi.

Nel corso del I sec. a.C. la produzione e la diffusione della Campana A cominciano a entrare in crisi, probabilmente in concomitanza con il boom economico che in questo periodo conosce la cosiddetta Campana B

22

: una produzione localizzabile in Etruria (ateliers di Volterra, Arezzo, Bolsena) che nasce già nel corso del II secolo come evoluzione dei gruppi Malacena e delle anses en oreilles. La Campana B presenta molte caratteristiche in comune con la Campana A, ma si distingue per l’utilizzo di una argilla molto depurata, calcarea (con presenza di calcite come degrassante) e di colore chiaro, e per una vernice nero-bluastra con riflessi metallici; le forme sono standardizzate e poco numerose, ma presentano maggiore raffinatezza, e sono spesso di ispirazione toreutica; le decorazioni sono semplici e poco variate, ma nel corso del I secolo appaiono bolli di vasaio su alcuni tipi.

18 Lamboglia 1952a, pag. 132, Parker 1992, pagg. 49-50.

19 Lamboglia 1965, pag. 231, Parker 1992, pagg. 359-360.

20 Benoit 1961, pag. 56, Parker 1992, pagg. 200-201.

21 Barbera Farras 1975, Parker 1992, pagg. 217-218.

22 Morel 1980, pagg. 85-122, Morel 1998, pagg. 9-22.

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9 A questa produzione principale ne sono stata accostate altre dette in letteratura produzioni B-oidi tra le quali va ricordata almeno quella calena.

Occorre infine ricordare la Campana C

23

, una produzione a pasta grigia con vernice nera opaca e facilmente scrostabile localizzabile nella Sicilia orientale (forse a Siracusa) tra 150 e 50 a.C. circa.

Nonostante la qualità veramente scadente e la poca varietà di forme, conobbe anch’essa una discreta diffusione, soprattutto verso la Spagna e le coste settentrionali dell’Africa. Accanto a queste produzioni maggiori continua l’attività, in tono assai minore, di numerose piccole officine, i cui prodotti, a diffusione esclusivamente locale, mostrano il medesimo scadimento qualitativo e lo stesso impoverimento formale e decorativo. Questi centri, nei quali frequentemente, oltre a ceramica a vernice nera si producono anche altri classi ceramiche (pareti sottili, ceramica comune, anfore e laterizi), si rivolgono evidentemente a una clientela di poche pretese e di modeste possibilità economiche ed imitano le stesse procedure di standardizzazione e semplificazione del processo produttivo che caratterizzano la Campana A. Tra questi centri, è sufficiente ricordare la manifattura della Marcianella presso Chiusi

24

(scavata dal 1987 al 1991 dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Siena) in cui sono stati individuati almeno sette forni, di dimensioni diverse, attivi complessivamente in un periodo compreso tra la fine del III secolo a.C. e la fine del successivo, e interessati da una produzione di ceramica a vernice nera, ma anche di pareti sottili, di anfore, di ceramica comune, di rozza terracotta e di laterizi. La ceramica a vernice nera della Marcianella appare di qualità mediocre, ed è interessata da un ulteriore scadimento qualitativo dalla metà circa del II secolo a.C., con un esaurirsi della produzione intorno alla fine del secolo. Purtroppo non è chiaro quanto ampio fosse il bacino di utenza di tale produzione. In conclusione, le ceramiche a vernice nera prodotte nel II–I sec. a.C. costituiscono l’insieme di ceramiche semifini prodotte in Italia che risultano maggiormente diffuse nel Mediterraneo prima della produzione della sigillata italica (che ne segna la fine), e sono per noi un elemento importante per comprendere le forme di produzione e di commercializzazione all’epoca in cui il sistema di produzione schiavistico vive il suo periodo di massimo sfruttamento.

La Campana B

Ritengo opportuno dedicare un approfondimento ulteriore all’inquadramento del gruppo ceramico noto come Campana B, poiché i materiali oggetto d’analisi di questa tesi sono ascrivibili ad essa.

La definizione di Campana B viene usata per la prima volta da Lamboglia nel 1952, per una produzione di ispirazione toreutica a vernice nera o nero-bluastra di buona qualità con impasto a pasta chiara depurata. Fin da subito ne ipotizza la produzione di ambito etrusco e la suddivide in

23 Morel 1990a, pagg. 143-146.

24 Pucci et al. 2003.

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10 due gruppi: uno presente ad Arezzo e Firenze ed uno a diffusione mediterranea

25

. A questa prima definizione seguono tutta una serie di studi, ad opera di altri studiosi ma anche dello stesso Lamboglia, che rafforzano l’ipotesi di una produzione etrusco-costiera di questo gruppo ceramico

26

. L’idea di una possibile origine etrusca della Campana B fu ripresa e sostenuta da Jean-Paul Morel

27

, che attuò una distinzione tra Campana B “veramente etrusca” e ceramica “Bioide”, entrambe diffuse a livello mediterraneo ma con vettori preferenziali diversi. Il secondo tipo nascerebbe in Campania per imitazione della produzione etrusca e risulta essere molto diffuso soprattutto in Gallia

28

.

Contemporaneamente gli studi condotti in Etruria settentrionale ed in altri siti con presenza di “vera Campana B” hanno mostrato come questo tipo di produzione fosse complesso ed articolato. Innanzi tutto vengono individuati due poli produttivi nettamente distinti: Volterra

29

ed Arezzo

30

, con prodotti a vernice bluastra per il primo polo e nera per il secondo. Vengono inoltre distinti più tipi all’interno di ciascuna produzione, con vari livelli di standardizzazione e di qualità (ad esempio nella produzione volterrana vengono individuati tre tipi: D, E e F, con qualità decrescente

31

). Entrambe le tipologie sembrano avere radici nella produzione etrusca a vernice nera di imitazione toreutica che inizia col IV secolo, ma avranno una progressiva standardizzazione tra la fine del III e l’inizio del II secolo, divenendo quella produzione che chiamiamo Campana B.

Con la pubblicazione delle ceramiche di Luni

32

si ebbe una presa di coscienza molto importante: si evidenziarono per la prima volta due sottogruppi di Campana B sulla base di caratteristiche tecniche e repertorio formale, indicati rispettivamente come B e B1. Le analisi mineropetrografiche mostrarono che il sottogruppo B era stato prodotto in ambito laziale. Da qui si pensò di far coincidere questo gruppo con il gruppo “Bioide” individuato da Morel, ovvero con la pseudo Campana B

33

.

Va in effetti evidenziato come molte pubblicazioni di dati di scavo in località note come ricettori di questo tipo ceramico (penisola Iberica e africa settentrionale) ipotizzino una produzione locale ad

25 Lamboglia 1952b, pag. 206.

26 Lamboglia 1960, pag. 294, Lamboglia 1961, pag. 150.

27 Morel 1963, pagg. 16-17 e 35, Morel 1965b, pag. 235, Morel 1968, pagg. 60-61, Morel 1978, pag. 160 e Morel, Picon 1994, pagg 23-46.

28 Morel 1965a, pag. 81.

29 Pasquinucci 1972.

30 Morel 1980, pagg. 103-104 e Morel 1981, pag. 46.

31 Pasquinucci 1972.

32 Cavalieri-Manasse 1977, pagg. 80-81.

33 Morel 1965a, pag. 81.

(11)

11 imitazione della Campana B, ad esempio ad Ippona

34

, Thamusida

35

, Ampurias

36

. Altro centro per cui Morel ha identificato una forte influenza è senza dubbio Cartagine. Sia in questa città che nella sua area d’influenza culturale ed economica, appaiono infatti nel corso del III secolo produzioni di qualità anche eccellente che ricordano esemplari noti in Campana B, ma che sono di indubbia produzione locale

37

.

Per quanto riguarda la Gallia invece, centri della Provenza e della Languedoc orientale mostrano come queste zone attingessero per le importazioni di forme di tipo B soprattutto al bacino campano

38

, che come abbiamo visto, vede in Cales un centro importantissimo di imitazione della produzione Campana B

39

.

Proprio la pubblicazione dei materiali di Cales ad opera di Pedroni fu molto importante per la storia degli studi di tutta la Campana B. Nel suo secondo volume sulla ceramica calena

40

egli riesce a ricollegare il gruppo “Byrsa 661” di Morel

41

al gruppo caleno con stampiglie a cuoricino, completando così l’evoluzione cronologica di tutta la ceramica calena, dagli esemplari più antichi con ceramica a rilievo a quelli più recenti definiti Bioidi (noti soprattutto da centri della Gallia e databili tra III e I secolo a.C.). Riuscì inoltre a stabilire un’unica origine calena per il motivo a losanga, fatta eccezione per il tipo “marocchino D” a pasta grigia

42

e fu il primo a criticare la terminologia divenuta ormai canonica parlando di Campana B. Egli infatti mise in discussione la distinzione tra Campana B e Campana Bioide, attribuendo questo secondo gruppo interamente ad uno sviluppo autonomo della produzione calena, sempre però partendo da una ispirazione toreutica. A suffragio di questa sua ipotesi andarono gli studi di Escrivà, Marìn e Ribera

43

che, confrontando la ceramica calena e quella rinvenuta a Valencia databile al II secolo, identificarono proprio come prodotti in questa località molti esemplari di buona fattura, tra cui uno, il cratere F 7453 molto noto e generalmente ritenuto di produzione etrusca. Studi come questo permisero di togliere ogni dubbio sulla origine calena delle cosiddette produzioni Bioidi. Ulteriore conferma a questa ipotesi fu data dagli studi archeometrici su esemplari proveniente da Cosa, dalla Gallia e dalla Penisola Iberica di

34 Morel 1962-65, pagg. 120-121.

35 Morel 1965a, pag. 82.

36 Sanmartì-Grego 1978, pag. 125.

37 Morel 1986, pag. 43.

38 Arcelin e Chabot 1980, pag. 187.

39 Pedroni 1986, Pedroni 2001 e Johannowsky 1961.

40 Pedroni 1990.

41 Morel 1986, pagg. 31-34.

42 Morel 1968, pag. 65.

43 Escrivà – Marin – Ribera 1992.

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12 Morel e Picon

44

, da cui emersero tre gruppi: uno sicuramente caleno per molti prodotti che erano stati precedentemente nominati Bioidi in Gallia, uno sicuramente etrusco per molti prodotti provenienti da vari siti legati a Cosa e precedentemente nominati come B “veramente etrusco” e uno riconducibile all’area di Cales-Teano per molti prodotti precedentemente nominati Bioidi nella Penisola Iberica. Oltre a questi ci sarebbe un quarto gruppo non ben delineato di produzione etrusca.

A questo punto quindi si distinguevano due tipi di produzione all’interno della Campana B: uno etrusco e l’altro fuori dall’Etruria, che veniva ancora definito Bioide e che era percepito come un gruppo variegato di produzioni ancora non ben distinte l’una dall’altra

45

.

Nel convegno di Archeometria tenutosi a Milano nel 1998 si può vedere ancora questa distinzione tra B e Bioidi, anche ad opera di Pasquinucci e Capelli

46

, che, in una serie di studi riguardanti gli agri Pisanus e Volaterranus, distinguono tra un gruppo B e un gruppo Bioide di produzione campano- laziale, con repertori di forme molto simili. Nello stesso convegno fu importante il contributo di Palermo

47

, che, partendo da studi svolti in Etruria, dimostrò come Campana B, produzione aretina e tipo D volterrano (il più pregiato, di cui fa parte la ceramica di Malacena

48

) presentassero forti similitudini a partire dal II secolo, momento in cui queste produzioni rinnovano il loro repertorio morfologico.

Un’altra importante ipotesi che deve essere citata è quella portata avanti da Stanco

49

. Egli si occupò sia di Campana B in generale sia della sua produzione romana, traendo due conclusioni: la Campana B era prodotta secondo lui parallelamente a Bolsena, Volterra e Arezzo, mentre la Campana B prodotta a Roma era una derivazione dell’Atelier des Petites Estampilles. Infine, occupandosi di produzioni Bioidi, le classificò in un primo momento

50

come produzioni di imitazione della Campana B di scarso livello, da collocarsi tra Campania settentrionale, Lazio ed Etruria, e più tardi

51

distinse anche le “Bioidi romane”: produzioni legate alla Campana B romana ma di qualità inferiore ad opera di officine minori.

Come punto di arrivo va ricordata la tavola rotonda svoltasi ad Ampurias nel 2000, in cui furono uniti studi svolti nei centri produttori e nei centri ricettori. Per quanto concerne l’Etruria, lo studio della fascia settentrionale costiera ha confermato per il II secolo la presenza di una produzione di ottima

44 Morel – Picon 1994.

45 Cibecchini, Principal 2004, pagg. 163-164.

46 Pasquinucci et. al. 1998.

47 Palermo 1998.

48 Pasquinucci 1972.

49 Stanco 1994, pagg. 31-34 e Stanco 1999, pag. 15.

50 Stanco 1994, pagg. 32-33.

51 Stanco 1999, pagg. 15-22.

(13)

13 qualità da localizzare principalmente nei centri di Volterra e Arezzo, affiancata ad un gruppo di produzione campana a pasta chiara con lo stesso repertorio di forme, con l’aggiunta di Lamboglia 1

52

. In Campania settentrionale è confermato il primato di Cales

53

, con una sistemazione cronologica precisa. Il confronto tra centri produttori e centri ricettori ha permesso di ridimensionare la Campana B etrusca nella sua pretesa di universalità (poiché pressoché assente nei contesti più occidentali) ed ha inoltre permesso di associare tutte le produzioni Bioidi al gruppo caleno, svuotando così di significato il termine Bioide, che presupponeva una subordinazione qualitativa ed ideologica alla Campana B.

52 Bianchini et al. 2000.

53 Pedroni 2000.

(14)

14

Capitolo 2

La Val d’Elsa: territorio d’influenza volterrana

Il sito da cui provengono i materiali da me trattati, come ho specificato nell’introduzione, è noto soltanto per ritrovamenti fortuiti e non è stato oggetto di una indagine dettagliata. Per questo motivo ho ritenuto opportuno analizzare anche a livello diacronico il popolamento di tutta la Val d’Elsa, considerando il popolamento e le sue caratteristiche nella loro globalità, evitando di concentrarmi su situazioni singole che avrebbero risposto in maniera frammentaria alle necessità della trattazione. Un’analisi di tutto il territorio infatti può aiutare a comprendere meglio come si possa ipotizzare in questo sito una produzione locale così legata a quella volterrana, come apparirà più chiaro anche dal catalogo dei materiali.

Bronzo finale (periodo 1) ed inizio dell’età del Ferro (periodo 2a)

Nel periodo 1 nei territori che si estendono tra Volterra e Chiusi, ricchi di corsi d’acqua come l’Elsa, non si possono riconoscere tendenze univoche e chiare nelle forme di popolamento. Ci troviamo infatti davanti a capanne raggruppate in piccoli nuclei e distribuite in maniera eterogenea.

Solo in alcuni territori lungo la valle dell’Arbia si può identificare un popolamento che tende ad insediarsi sulle alture in prossimità di confluenze di corsi d’acqua

54

probabilmente per la migliore lavorabilità del terreno. Sembra azzardato anche ipotizzare che i siti sulle alture fossero volti a cercare aree naturalmente difese come accade in Etruria meridionale, viste le scarse corrispondenze coi siti noti in seguito per l’età arcaica ed ellenistica. Anche nell’ambito funerario e a livello di cultura materiale le informazioni a nostra disposizione sono scarse e frammentarie, lasciando intuire una frequentazione più spostata nell’ambito senese che nel comparto valdelsano.

Anche per il periodo 2a non si assiste a variazioni sostanziali rispetto al quadro già delineato, con la forse unica eccezione del sito di Lucciana (Casole d’Elsa), la cui cronologia però deve essere ancora precisata.

54 Cenni 2007, pag. 319.

(15)

15 L’avanzata età del Ferro (2b) e le prime fasi dell’età Orientalizzante (3a-b)

Distribuzione dei siti nei periodi 2b e 355

Per il periodo 2b le notizie sono ancora scarse ma si può osservare come inizino a delinearsi alcuni

55 Acconcia 2012, pag. 166, fig. 5.5.

(16)

16 insediamenti nel comparto valdelsano. Si registrano infatti ritrovamenti (seppur non documentati puntualmente) dal sito di Boscone, presso Barberino Val d’Elsa, e dall’area urbana di Poggibonsi, per i quali sarebbe attestata una frequentazione fino all’età ellenistica. Il dato più tangibile è l’uso di alcuni piccoli nuclei funerari caratterizzati da cultura materiale e ideologia funeraria strettamente legate a Volterra

56

. Sono state rinvenute infatti piccole tombe a pozzetto o a fossa databili tra la metà dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C. a Vada (Poggibonsi), a Poggio Luco (sempre nel territorio di Poggibonsi) e Le Gabbra (Casole d’Elsa). Oltre a questi rinvenimenti noti in modo più dettagliato sono emersi anche materiali sporadici che segnerebbero fasi d’inizio di contesti funerari ampiamente utilizzati in seguito quali La Zuffola, Monte Petri, S. Appiano e S. Martino ai Colli. Per tutti i siti elencati si può vedere una cultura materiale che fa capo a Volterra, mostrando come con l’avanzato Ferro inizi a delinearsi chiaramente la frequentazione dell’area da parte di nuclei gentilizi provenienti da questo centro

57

.

Nella fase immediatamente successiva, tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C. (periodo 3a) si assiste ad un ulteriore incremento delle testimonianze funerarie. A Nerbona (Colle Val d’Elsa) ad esempio è attestato il rinvenimento di una tomba a pozzetto con corredo costituito soltanto da fibula e armilla.

Importante per questa fase è lo studio incrociato di un abitato (Campassini) con quello di una necropoli (Casone). Ci troviamo nell’area di Monteriggioni, in una zona alla confluenza dell’Elsa con lo Staggia. La localizzazione di questi siti potrebbe quindi far pensare ad un avamposto di controllo delle vie di percorrenza tra l’Elsa e l’Ombrone. Per la prima fase di Campassini (periodo 3a) si vede un nucleo ancora non ben definito, con unità abitative sparse affiancate a tombe coeve

58

. Con il secondo e terzo quarto del VII secolo (periodo 3b) per l’abitato si delinea un riassetto generale e l’allestimento di un’area artigianale per la produzione metallurgica con strutture di servizio onerose quali un cisterna

59

.

È possibile quindi ipotizzare un abitato con strutturazione più complessa rispetto a un semplice insediamento capannicolo, con aree distinte per produzione di ceramica e metalli e abitazioni

60

. Nell’ultima fase del sito (fine VII secolo a. C., periodo 4a) le informazioni sono più scarse per l’abbandono di quest’area o comunque lo spostamento in un’altra area prossima ad essa.

La necropoli del Casone, con il suo utilizzo iniziato con la prima metà del VII, si configura come l’area funeraria di Campassini, a seguito della sua strutturazione come centro ben definito. I materiali rinvenuti rimandano alla sfera volterrana (trovano confronti con materiali coevi di Volterra, con

56 Fiumi 1961, pag. 263.

57 Acconcia 2012, p. 165.

58 Bartoloni 2004, pagg. 16-17.

59 Bartoloni 2004, pagg. 19-21.

60 Acconcia 2006.

(17)

17 attardamenti tipici della periferia rispetto al centro, probabilmente dovuti anche alla volontà di riflettere un forte tradizionalismo), ribadendo ancora una volta l’influenza di questo centro sull’area che dalla Val d’Elsa si estende fino alle valli di Ombrone e Merse, a volontà di controllo della viabilità interna. Questo controllo veniva svolto da gruppi inviati dalla città attraverso piccoli insediamenti disposti in modo capillare (spesso con continuità d’uso fino all’età ellenistica)

61

. Nella storia degli studi è stato ipotizzato che le necropoli fossero espressione dell’autonomia rispetto a Volterra di gruppi periferici di un popolamento, che tendeva a imporre il suo controllo tra la valle del Cecina e quella che attraverso l’Elsa raggiungeva Chianti e agro fiorentino, eludendo appunto l’influenza del centro maggiore

62

. Questa prospettiva è dovuta alle differenze tra le caratteristiche sviluppate a Volterra e nel suo territorio: i gruppi gentilizi di queste aree tendono infatti a sviluppare in maniera autonoma i modelli recepiti dalla “madrepatria”, come si può osservare dalle necropoli. Se è vero infatti che esse rispecchiano la cultura materiale volterrana è altresì importante notare come si possano individuare elementi che rimandano a Chiusi e ad altri centri sia costieri che interni

63

. Si può quindi ipotizzare che per i periodi 2b e 3 Volterra attui una serie di esplorazioni volte ad ottenere il controllo di queste aree, ma che all’interno di esse si abbiano anche sviluppi autonomi dovuti all’influenza di Chiusi e di altri centri con cui questo comparto viene a contatto.

61 Cianferoni 2002, pag. 122.

62 Cianferoni 2002, pagg. 92-93.

63 Cianferoni 2002, pag. 90, Camporeale 2010, pag. 67.

(18)

18 L’orientalizzante recente (4a) e l’inizio dell’età arcaica (4b)

Nei periodi 4 a e b si assiste in generale a quattro fenomeni:

- Il generale incremento di tutte le categorie insediative - Lo sviluppo della categoria della residenza gentilizia

- Lo sviluppo di un popolamento “rurale” distribuito in maniera capillare e di tutta una serie di piccoli insediamenti di altura

- L’aumento del numero delle sepolture gentilizie caratterizzate da nuove tipologie architettoniche e da ricchi corredi funerari.

Siti valdelsani nel periodo 464

64 Acconcia 2012, pag. 178, fig. 6.5.

(19)

19 Insediamenti di medie dimensioni.

Si assiste a un incremento degli insediamenti di media estensione posti in posizioni favorevoli al controllo delle vie di comunicazione e caratterizzati da una certa complessità interna. Ad esempio ha continuità d’uso Boscone (con la sua necropoli di S. Martino ai Colli), testimoniando ancora una volta una enclave di popolamento emanata da Volterra, che potrebbe segnare il controllo della fascia territoriale direttamente gravitante sulla città, nell’ambito della quale i contatti con le comunità periferiche si mantenevano più stabili e intensi

65

.

Nasce anche l’insediamento di Quartaia, indagato tramite scavo. Esso ha restituito un cospicuo numero di fornaci da ceramica, attribuibili a un quartiere artigianale esteso

66

.

Residenze gentilizie.

A Pugiano è stato recentemente scavato un complesso monumentale caratterizzato da terrazzamenti, associati a fornaci per la ceramica e a molti materiali di pregio (anche d’importazione). Pur mancando elementi che delineino con certezza una struttura gentilizia si può ipotizzare la presenza di tale edificio sulla base proprio dei materiali di pregio

67

.

Siti rurali.

Questo tipo di popolamento, distribuito in modo capillare, è stato ipotizzato sulla base delle indagini di survey

68

. Si sono infatti evidenziati siti di limitata estensione con presenza di materiali edilizi e ceramica associata a buccheri neri e grigi abbastanza rari. Questi siti sono stati identificati come fattorie funzionali allo sfruttamento delle risorse agricole. La datazione indicata per questi centri può essere compresa sulla base dei materiali tra la fine del VII e tutto il VI secolo a.C. Nella maggior parte dei siti vediamo una o due sole strutture abitative, associate a strutture rurali di servizio ed occupate da piccoli gruppi a carattere familiare.

Questo tipo di occupazione capillare del territorio suggerisce un deciso incremento demografico, noto in questo periodo anche per le città dell’Etruria meridionale che segna una spinta all’occupazione e allo sfruttamento di tutte le ricchezze presenti sul territorio, per coprire esigenze di produttività sempre più ampie

69

.

Luoghi di culto e stipi votive: prime attestazioni.

Come si è visto, finora non si è trattato della presenza di possibili aree di culto. Da questo momento

65 Acconcia 2012, pag. 177.

66 Acconcia 2012, pag. 177.

67 Acconcia 2012, pag. 185.

68 Acconcia 2012, pag. 188.

69 Acconcia 2012, pag. 188.

(20)

20 invece il sacro inizia ad essere visibile dalle testimonianze materiali. Ad esempio in località Colle Val d’Elsa è stato rinvenuto un bronzetto proveniente proprio dall’area urbana

70

.

Testimonianze relative all’ambito funerario.

L’incremento e il consolidamento delle emergenze funerarie si accompagna dall’Orientalizzante recente alla diffusione di nuove tipologie architettoniche, mutuate da altre zone dell’Etruria, e dalla commistione tra incinerazione e inumazione anche nella stessa tomba a camera. Proprio la tomba a camera è il tipo più diffuso in questo periodo, in linea con l’affermarsi dell’ideale gentilizio in queste zone. Dalla fine del VII secolo a.C. in area valdelsana si diffondono ipogei a pianta complessa, forniti di camere aperte su ambienti centrali

71

. In generale nelle sepolture si nota un arricchimento dei corredi, che dimostra anche un nuovo modello di circolazione delle merci di lusso.

Le principali necropoli in questo periodo rimangono S. Martino ai Colli (che testimonia anche la continuità d’uso del contiguo sito insediativo del Boscone) e quella del Casone. Oltre a queste ne sorgono di nuove, e per la maggior parte di esse si avrà continuità d’uso fino almeno all’età ellenistica.

72

In generale nel comparto esaminato si assiste a una proliferazione anche di necropoli minori, a conferma del popolamento capillare e dell’incremento demografico di cui sopra.

L’artigianato artistico come indicatore di assetti territoriali: produzioni di pregio.

In età Orientalizzante si può usare come indicatore il bucchero, attestato in quest’areale soprattutto come indicatore di status, spesso “dono” tra gli aristocratici, accompagnato spesso anche da iscrizioni che ce lo possono confermare

73

. Le principali testimonianze di questo tipo di materiali si hanno dalle necropoli. Oltre a una fitta rete di contatti tra gli aristocratici, grazie al bucchero e alle forme che vediamo possiamo intuire che esistevano delle produzioni locali come si può evincere dalle importazioni

74

(ad esempio la kotyle con vasca emisferica e anse traforate, nota nelle tombe A e B del Poggione e dal tumulo III di Cerveteri).

Altro tipo di reperti utile per definire i rapporti commerciali sono le produzioni di avorio e osso. Ad esempio a S. Martino ai Colli sono state rinvenute placchette in avorio che permettono di ipotizzare una influenza vulcente veicolata tramite Chiusi.

75

In conclusione quindi nel periodo 4 si delinea l’evidente affermazione delle aristocrazie, pur con un

70 Acconcia 2012, pag. 195.

71 Cianferoni, 2002, pag. 102. L'autrice nota anche la similitudine con l’ambiente chiusino per le tombe “a crociera”.

72 Acconcia 2012, pag. 198.

73 Maggiani, Paolucci 2009.

74 Acconcia 2012, pag. 201.

75 Acconcia 2012, pag. 207.

(21)

21 leggero ritardo rispetto all’Etruria meridionale, probabilmente dovuto ad un’inerzia più accentuata nella trasformazione delle comunità insediate nei centri maggiori e nei comparti periferici e a un approccio meno dinamico alle risorse del territorio.

Proprio basandoci su questa ideologia gentilizia possiamo spiegare meglio il tipo di insediamento territoriale che abbiamo descritto: esso dipende dal desiderio e dalle strategie di autorappresentazione dei ceti aristocratici. Infatti tutti i siti, per quanto diversi tra loro, hanno caratteri ricorrenti: posizione favorevole al controllo, gestione del potere politico e religioso uniti a produzioni anche artigianali destinate all’autoconsumo e alle esportazioni.

Le singole unità gentilizie tendono, come si è visto, a sviluppare un approccio autonomo alla

gestione della terra e ai fenomeni produttivi, creando ostacolo all’identificazione puntuale delle

aree da cui queste unità provenivano, con difficoltà anche nella comprensione dei rapporti con il

centro principale. In ogni caso per questo comparto pare innegabile la volontà di Volterra di

acquisire nuove aree coltivabili e di garantirsi l’accesso alle risorse minerarie e alle vie di percorrenza

commerciali. Ciò nonostante non sembra che la spinta provenga in tutto e per tutto dal centro

principale, ma anzi pare più probabile ipotizzare che siano le singole unità gentilizie a proiettarsi in

modo relativamente autonomo a controllo del territorio.

(22)

22 La tarda età arcaica (periodo 5a) e l’età classica (periodo 5b – c).

Questa fase mostra un sensibile decremento delle attestazioni note, associato ad una forte continuità nell’occupazione dei siti delle fasi precedenti

76

. Si può verificare tale fenomeno da tutte le tipologie di siti esaminati, ma una maggiore quantità di risposte si possono ottenere grazie all’ambito funerario, poiché si tende a datare meglio la cultura materiale evidenziata in questa tipologia.

Siti valdelsani nel periodo 577

76 De Marinis 1977, pagg. 109-112 e Ciacci 1979, pag. 25.

77 Acconcia 2012, pag. 219, fig. 7.4.

(23)

23 Gli abitati.

La riduzione del popolamento è verificabile soprattutto guardando agli abitati di media estensione, con continuità nei siti precedenti (come Poggibonsi e Quartaia), ma con caratteri più dubbi e meno leggibili, oltre che con una minore presenza di evidenze archeologiche

78

.

In questo periodo e fino all’età ellenistica sono usati pochissimi abitati di altura, con una cesura intorno alla fine del IV secolo, ancora poco leggibile sulla base dei soli dati di survey.

I siti che registrano una maggiore flessione sono però i siti rurali

79

: solo 22 siti mostrano una continuità d’uso rispetto al periodo precedente (e 4 di essi sarebbero identificabili come villaggi), per ridursi ancora con il progressivo avvicinamento dell’età ellenistica. In termini quantitativi i siti rurali sviluppatisi dalla fine del VII secolo a.C. subiscono una riduzione pari all’86.2% delle presenze, mentre quelli sorti dalla fine del VI a.C. rappresentano appena il 2,3% di quelli del periodo precedente e il 14% di quelli attestati tra il periodo 5a e il periodo 5c

80

.

Luoghi di culto.

Anche per i luoghi di culto la fase in esame rappresenta un periodo scarsamente dinamico, con continuità d’uso soltanto di pochi dei siti precedenti

81

.

I contesti funerari.

Nelle emergenze a carattere funerario si registra, come per le altre tipologie di siti, una riduzione delle attestazioni e anche qui i siti noti sono in buona parte già utilizzati dall’età del Ferro o dall’Orientalizzante. Questo quadro delinea la persistenza di alcuni gruppi insediati sul territorio, con lo scopo di bilanciare le spinte centripete espresse dai centri principali (nel nostro caso Volterra), che si identificano nella continuità di uso delle aree funerarie, fungendo da catalizzatori per i discendenti di lignaggi gentilizi o di comunità più complesse.

Nel comparto valdelsano prosegue l’uso di molte delle aree più rilevanti per estensione e caratteri delle sepolture, senza cesure vere e proprie almeno fino al periodo ellenistico. Ad esempio nella necropoli del Casone si vede il riutilizzo della tomba 16 con il rinvenimento di un cippo a colonnetta, così come un’altra tomba rinvenuta nel 1984 ha restituito un cippo a clava e uno a cipolla

82

. Dal campo di Malacena è nota una tomba a pianta rettangolare di nuovo impianto, che ha restituito anch’essa tre cippi a clava, quattro a cipolla e materiali databili tra la seconda metà del V e gli inizi

78 Acconcia 2012, pag. 216.

79 Valenti 1995, pag. 396.

80 Acconcia 2012, pag. 217.

81 Acconcia 2012, pag. 218.

82 De Marinis 1977, pagg. 51-53 e Cianferoni 2002, pag. 107.

(24)

24 del IV secolo a.C.

83

Nell’area gravitante attorno al Casone si deve ricordare la tomba in proprietà Griccioli 1 presso Campassini, con continuità di utilizzo tra fine VI e inizi V secolo a.C., momento a cui si data la stele a ferro di cavallo iscritta.

Nella zona di Colle Val d’Elsa, in località Dometaie, i due nuclei di età arcaica sono riutilizzati per successive deposizioni (tombe 1 e 10), affiancati a tombe di nuova costruzione (tombe 7 e 17). In entrambi i casi sono stati ritrovati ricchi materiali di corredo

84

.

Nella stessa zona, in località Ville, si assiste al riutilizzo della tomba 1 alla fine del VI secolo a.C., come attesta la presenza di ceramica attica a figure nere, e della tomba 8, con un corredo comprendente una kylix attica a occhioni databile a fine VI secolo a.C.

Nota solo da recuperi sporadici la necropoli di Morticce di Mensanello

85

, ancora nella zona di Colle Val d’Elsa, sembra mostrare simili caratteri di continuità, così come l’area di Libbiano

86

presso San Gimignano.

Note in questo periodo anche le tombe a pianta rettangolare articolate in due celle, in località Poggiolo presso Casole d’Elsa

87

.

La tipologia funeraria predominante, come si evince dalle tombe del Casone, è quella del tipo a tramezzo, con pilastri trapezoidali posti al centro della camera principale

88

, oppure (come si capisce dagli altri esempi) il modello a pianta cruciforme elaborato in questo periodo a Chiusi, a sottolineare ancora una volta la fitta rete di contatti e scambi culturali che ha influenzato le varie componenti di questo comparto.

È altresì interessante notare come dal complesso di emergenze funerarie note la prevalenza si possa attribuire a tombe con camera a pianta complessa. In questo senso, si potrebbe affermare come il sepolcro gentilizio con tratti monumentali assuma la funzione di identificativo del lignaggio gentilizio, oltre che di polarizzatore della discendenza, come testimoniano i lunghi riutilizzi, soprattutto nelle zone con nuclei di popolamento non assorbiti dai centri maggiori

89

.

Stele e cippi funerari per la lettura della politica territoriale.

Si è accennata l’ipotesi che la contrazione del popolamento dei territori periferici, letta in relazione

83 De Marinis 1977, pag. 53, Bruni 1997, pag. 152 e Bonamici 1991, pag. 804.

84 Acconcia 2012, pag. 218.

85 Acconcia 2012, pag. 218.

86 Merli 1991, pag. 32.

87 Acconcia 2012, pag. 218.

88 Cianferoni 2002, pag. 105.

89 Acconcia 2012, pag. 224.

(25)

25 allo sviluppo e al potenziamento delle strutture urbane, segnali un processo di affermazione di nuovi assetti per le comunità residenti nei centri principali. Questo fenomeno determina dalla fine del VI secolo anche una centralizzazione delle correnti di traffico delle merci pregiate dalle strutture produttive nelle aree urbane, attirando gli artigiani provenienti da altri comparti regionali, che introducono nuovi modelli nel repertorio iconografico.

Dall’avanzato VI secolo a.C. la scultura funeraria sembra la classe che in maniera più chiara corrisponde alla volontà di autorappresentazione dei committenti come membri di classi emergenti, connotate dall’appartenenza a specifiche compagini territoriali.

Le officine urbane (di Volterra, Pisa, Fiesole, Chiusi) producono questo tipo di monumenti, diffondendoli ovviamente anche nelle loro aree di influenza o comunque fornendo ad esse i modelli per manufatti poi realizzati da botteghe locali, creando un forte legame ideologico tra centro e periferia. La fioritura di scultura a rilievo, associata spesso ad iscrizioni, è d’altronde stata individuata come un carattere tipico dell’Etruria settentrionale, con diffusione sia verso l’area costiera che verso l’Etruria padana.

90

Essendo il comparto valdelsano fortemente influenzato dall’ideologia volterrana, esso non poteva che raccogliere gli schemi iconografici di questa città. Da questo legame con Volterra nascono stele a ferro di cavallo di produzione locale, a ricordo di quelle centinate tipiche proprio di questo centro.

Si ricordano ad esempio:

- Un frammento di stele a ferro di cavallo in travertino rinvenuta a Morticce di Mensanello (Colle Val d’Elsa) con iscrizione

91

- Una stele a ferro di cavallo rinvenuta presso Canonica (Colle Val d’Elsa), oggi dispersa

92

- Una stele trapeziodale frammentaria dal Poggiolo (Casole d’Elsa)

- Una stele a ferro di cavallo in travertino mancante della parte superiore rinvenuta in località Campassini (Monteriggioni).

93

90 Pallottino 1963, pag. 147.

91 Martelli 1976, pag. 72 e Ciacci 2004, pagg. 190-192.

92 Ciacci 2004, pagg. 202-203.

93 Ciacci 2004, pagg. 187-190.

(26)

26

Le iscrizioni sulle stele aniconiche94

Pur mancando la maggior parte degli esemplari di una registrazione puntuale dell’originaria provenienza, la loro pertinenza all’ambito funerario pare indubitabile.

95

Sembra quindi possibile definire questi materiali come segnacoli pertinenti a sepolture aristocratiche localizzate nell’ambito di contesti funerari urbani ma anche nell’ambito di sepolture del contado.

Inoltre le “stele a ferro di cavallo” costituiscono probabilmente, per la fase presa in esame, una delle classi che consentono di delineare un percorso di diffusione legato alle radici “politiche” dei committenti. L’omogeneità dei caratteri morfologici, nonché la loro localizzazione, ne fanno ideali indicatori di linee di tradizione legate al centro di Volterra, nell’ambito del quale la classe viene ideata

96

.

Per un orizzonte cronologico più ampio si possono proporre considerazioni analoghe per i cippi a colonnetta, distinti in più gruppi e diffusi in vari comparti dell’Etruria settentrionale. Le più recenti acquisizioni circa la formazione urbana di Pisa e del suo territorio hanno consentito di integrare le prime analisi della classe e delineare i caratteri di una lavorazione del marmo apuano gestita proprio da tale centro, che tra II metà del VI e inizio II secolo a.C. avrebbe prodotto, oltre a monumenti di più alto livello, cippi a colonnetta. Da Pisa infatti sarebbero stati esportati esemplari in marmo, che avrebbero dato avvio a produzioni localizzate di lunga durata anche in Val d’Elsa, così come avvenne per la Val d’Era e il Valdarno con propaggini fino in Versilia e a Populonia

97

. Dal comparto valdelsano

94 Acconcia 2012, pag. 227.

95 Acconcia 2012, pagg. 226-227. La stele di Morticce di Mensanello proviene da un sito caratterizzato da numerose evidenze funerarie, così come quella di Canonica. La stele di Campassini invece è stata rinvenuta nella terra di riempimento di una tomba a camera.

96 Cristofani 1978, pag. 141.

97 Bonamici 1991, pag. 769 e 802-803.

(27)

27 sono noti alcuni esemplari in travertino e marmo databili tra fine VI e inizi IV secolo a.C. Sembra quindi ancora una volta dimostrato come l’area in esame recepisca spunti in primis volterrani, allineandosi ad essi per l’uso di segnacoli funerari in pietra. Però, mentre nell’ambito urbano si nota uniformità nella scelta dei tipi di riferimento, associati a materiali particolarmente pregiati, in ambito periferico si conoscono solo due cippi in marmo dalla tomba scoperta nel 1984 al Casone.

Per essi si è quindi ipotizzata una importazione diretta da Volterra, mentre per gli altri vari esemplari meno pregiati rinvenuti nella zona si è supposta una produzione locale ad imitazione dei modelli provenienti dal centro principale.

Questa ipotesi conferma quanto supposto anche per le “stele a ferro di cavallo” iscritte ma

aniconiche rinvenute in questo comparto: esse sarebbero state prodotte da botteghe locali legate

alle emanazioni degli ateliers cittadini, con un grado di rielaborazione che fa sì che si assista di fatto

a una produzione unica.

(28)

28 Il periodo ellenistico (6a-b)

Il dato che con maggiore evidenza caratterizza lo sviluppo del territorio in esame nel periodo ellenistico è il netto incremento dei siti, che ribalta la tendenza verificata per l’età tardo arcaica e classica, superando anche il numero delle attestazioni note per l’Orientalizzante recente. Rispetto ai periodi precedenti, però si fa meno incisivo il confronto con le forme di organizzazione dell’Etruria meridionale. Qui infatti, il progredire della conquista romana determinò mutamenti radicali nell’assetto dei territori e della comunità. Al contrario, i territori oggetto del presente lavoro, gravitando nell’area di influenza di centri che non subirono violentemente il processo di conquista, conservarono nelle linee generali l’assetto di periodi precedenti, così come dei regimi di proprietà della terra.

Siti valdelsani nel periodo 698

98 Acconcia 2012, pag. 244, fig. 8.6.

(29)

29 Centri minori e insediamenti di media estensione.

Le emergenze riferibili a queste categorie insediative continuano ad essere poco frequentate e caratterizzate da scarsa leggibilità, pur essendo possibile riconoscere un fenomeno di progressiva stabilizzazione per alcune di esse, poi scelte come sedi permanenti fino all’età moderna. Il modello valdelsano di organizzazione del territorio per “borghi” in posizione naturalmente difesa e segnalati da concentrazioni di emergenze a carattere funerario sembra adottato anche in età ellenistica. Ad esempio è caratterizzato da continuità di abitato il sito di Boscone (Barberino Val d’Elsa).

99

Abitati fortificati di altura.

Questo tipo di abitati mostra invece una maggiore leggibilità rispetto alle fasi precedenti, grazie al rinvenimento di stratigrafie in giacitura primaria, riferibili a strutture produttive o abitative, e alla presenza di opere difensive. Anche se non assolutamente certa è ipotizzabile ad esempio la continuità di frequentazione dell’altura di Poggio di Caio (Casole d’Elsa), grazie al rinvenimento alla base del poggio di tombe di età ellenistica, mentre certa è la frequentazione per vari centri più spostati verso l’area senese, anch’essa di influenza volterrana

100

.

L’assetto territoriale che si delinea può quindi far intuire se non oppida corrispondenti al passaggio puntuale di confini, almeno un forte desiderio di controllo da parte dei centri maggiori dell’Etruria settentrionale, nel nostro caso Volterra. Essa utilizzava infatti questi centri (spesso posti a margine della sua area d’influenza) come punti di controllo a distanza sull’agro e sulle strutture produttive che lo occupavano.

Siti rurali.

La categoria insediativa che restituisce il tasso più elevato di incremento per l’età ellenistica è quella dei siti rurali, in questa come in altre zone dell’Etruria settentrionale (vedi ad esempio i dati per la valle del Bruna

101

). I dati su cui ci si basa per queste indagini sono principalmente desunti da indagini a carattere di survey

102

.

99 Acconcia 2012, pag. 249.

100 Acconcia 2012, pagg. 250-251.

101 Dallai – Farinelli 1998, pag. 56.

102 Torelli 1981, pag. 423.

(30)

30 La capillarità e l’intensità del processo di formazione del tessuto rurale suggerisce una pianificazione finalizzata a rispondere alle esigenze di corpi civici incrementati nel numero e nelle aspettative, promossa dai centri principali. La spinta di Volterra è ancora una volta ampiamente leggibile sulla base della cultura materiale. Il popolamento della Val d’Elsa suggerisce una serie di piccole fattorie gestite da singoli nuclei familiari, distribuite in maniera omogenea nell’agro, senza specifici addensamenti rispetto a nuclei gentilizi

103

.

Emergenze funerarie.

La tipologia funeraria più diffusa sembra essere quella a camera singola preceduta da un dromos, a pianta circolare, quadrangolare o rettangolare, anche se non mancano tipologie più singolari come quella con pianta a ferro di cavallo. Elemento ricorrente sono le dimensioni spesso piuttosto contenute, pur essendo attestato il riutilizzo di ipogei monumentali a pianta complessa di età arcaica o classica (per esempio si è fatta questa ipotesi per Mucellena, presso Casole d’Elsa)

104

.

Dal punto di vista numerico in questa fase si registra un fortissimo incremento nella quantità di tombe note, siano esse riutilizzate o costruite ex novo. I riutilizzi sono in realtà una minoranza (12 su un totale di 51), ma importante è notare come anche le strutture di nuova costruzione si concentrino intorno a sepolture monumentali più antiche, quasi a voler sottolineare una “memoria gentilizia”, facendoci intuire chiaramente una tendenza alla conservazione almeno sul piano ideologico. A questo proposito mi pare opportuno citare gli esempi di Poggio a Issi e Libbiano, entrambe località in cui le nuove sepolture si sviluppano intorno a tumuli di età arcaica. Le necropoli

103 Acconcia 2012, pag. 264.

104 Acconcia 2012, pag. 265.

Val d'Elsa e Val di Rosia 0

2 4 6 8 10 12 14 16 18

Incidenza dei siti rurali

Periodo 5 Periodi 6a e 6b Colonna1

(31)

31 di Dometaie e Le Ville (Colle Val d’Elsa), sono caratterizzate da piccole tombe a camera di periodo ellenistico, addossate a ipogei monumentali a pianta complessa ascrivibili a fasi precedenti. Analoga situazione sembra presentarsi nella necropoli di S. Martino ai Colli (Barberino Val d’Elsa), nella quale la continuità d’uso risale addirittura all’età del Ferro.

La necropoli di Le Ville105

105 Acconcia 2012, pag. 197, fig. 6.12.

Val d'Elsa 0

10 20 30 40 50 60

Le emergenze funerarie in Val d'Elsa

emergenze funerarie per il periodo 6

emergenze funerarie a continuità di frequentazione da periodi precedenti Colonna1

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