217 CONCLUSIONE
Uno degli intenti principali che ci eravamo prefissi iniziando questo lavoro era quello di fornire una visione d’insieme del pensiero filosofico di Leopardi, una visione che fosse in qualche modo rigorosa e onnicomprensiva dei vari aspetti in cui tale pensiero si articola, senza essere con ciò dogmatica.
Tuttavia, se non voleva ridursi a un semplice repertorio tematico, la nostra ricostruzione ha comunque dovuto privilegiare alcuni aspetti o prospettive piuttosto che altri, operando, rispetto alla vastità dell’opera che aveva di fronte, una serie di scelte teoriche, dettate soprattutto dall’interesse di natura filosofica che ci orientava.
Siamo effettivamente riusciti, come ci eravamo proposti, a fare del desiderio e dell’assuefazione le due coordinate di un unico piano entro cui comprendere tutto l’esistente? A prima vista, potrebbe sembrare che l’assuefazione e la conformabilità si siano rivelate ben più estese del desiderio: se delle prime due abbiamo potuto seguito le tracce fin nella natura inanimata, sembra che il desiderio si sia rivelato essere solamente una tendenza propria degli esseri viventi. In realtà, sebbene la nostra trattazione si sia soffermata in modo più dettagliato soprattutto sulle particolari modificazioni che il desiderio conosce nell’uomo, differenziandolo dall’animale, tuttavia, come abbiamo avuto occasione di osservare, sembra che un illimitato desiderio del piacere, irriducibile a una semplice tendenza autoconservativa, percorra tutta la natura, se è vero quel che afferma Leopardi, e cioè che essa tende alla vita intesa nel suo senso più pieno e più proprio, vale a dire come esplicazione della massima potenza vitale: «S’ella non procurasse la vita con ogni sua forza possibile, s’ella non amasse la vita quanto più si può amare, e se la vita non fosse tanto più cara alla natura, quanto maggiore e più intensa e in maggior grado, la natura non amerebbe se stessa»
1. In questo senso, ci sembra che tutto quello che abbiamo detto per l’assuefazione e per la conformabilità possa valere anche per il desiderio, dal momento che per Leopardi vita e desiderio sono tutt’uno e che la vita si estende fin dove arriva conformabilità.
1 Zib. 3814, 31 ottobre 1823.
218 Ora che siamo giunti alla conclusione del nostro lavoro, ci sembra che disponiamo di tutti gli elementi per tornare su una questione a cui accennavamo all’inizio, dicendo che sarebbe stato possibile chiarirla solo alla fine, una volta delineata in modo più dettagliato la concezione della natura che le fa come da correlato o da sfondo. Si tratta appunto della questione del rapporto tra poesia e filosofia.
Secondo il D’Alembert del Discours préliminaire all’Encyclopédie, il geometra e il metafisico si servono dell’immaginazione non meno del poeta:
«L’immaginazione, in un geometra che crea, non è meno attiva di quanto non lo sia in un poeta che inventa» e «tra tutti i grandi dell’antichità, Archimede è forse quello che più d’ogni altro merita di esser posto accanto a Omero»
2. Tra il geometra e il poeta – precisa D’Alembert – c’è sì una differenza di indole o di attitudine (se l’uno «spoglia e analizza» il suo oggetto, l’altro, al contrario, lo «compone e abbellisce»), ma non di pratica: entrambi si servono al pari grado dell’immaginazione e la loro attività non consiste essenzialmente in altro che nella «creazione». Qualcosa di molto simile, come abbiamo visto, sembra dire anche Leopardi a proposito del filosofo e del poeta, ad esempio quando riconosce che l’immaginazione contribuisce alla filosofia non meno che alla poesia e che forse, proprio per questo, «il gran poeta in diverse circostanze avria potuto essere un gran filosofo *…+ e viceversa il filosofo, gran poeta»
3. La profonda ammirazione di Leopardi per Platone, al di là delle riserve verso il suo «sistema delle idee»
4, dipende precisamente dal fatto che egli ha saputo, data l’eccellenza e la forza della sua immaginazione, essere entrambe le cose insieme. Platone, afferma Leopardi, non è stato solo capace di «concepire un sistema il quale abbracciasse tutta l’esistenza, e rendesse ragione di tutta la natura», ma è stato al tempo stesso, e proprio per la necessità di dare adeguata espressione alla novità del suo pensiero, «nel suo stile nelle sue invenzioni ec. così poeta come tutti sanno»
5.
Tuttavia, a differenza di D’Alembert, l’immaginazione che accomuna il poeta e il filosofo non è intesa da Leopardi solo, e più genericamente, come
2 D’ALEMBERT, Discorso preliminare, cit., pp. 42-3.
3 Zib. 1650, 7 settembre 1821.
4 Zib. 2709, 21 maggio 1823.
5 Zib. 3245, 23 agosto 1823. Ma cfr. anche Zib. 641-2 (10 febbraio 1821), e 3235-7 (22 agosto 1823).
219 semplice «facoltà creatrice»
6, ma anche, e più specificamente, come «facoltà» o
«vena delle similitudini», cioè come capacità di scoprire nessi o somiglianze tra le cose a prima vista più distanti e disparate, di stabilire tra queste ultime le relazioni più impensate
7. Questa facoltà, così intesa, si rivela essere una vera e propria potenza conoscitiva, se è vero, come afferma Leopardi, che
«pensare» vuol dire propriamente «avere un sistema», vale a dire stabilire rapporti tra le idee, e se è vero che la natura (come avevamo accennato all’inizio e come crediamo di aver mostrato nel corso del nostro lavoro) non consiste in altro che in un «sistema di relazioni», al punto che la conoscenza della natura non potrebbe essere meglio definita che come «scienza dei rapporti»
8. Sembra allora che poesia e filosofia, facendo leva su questa comune «facoltà di scoprire i rapporti delle cose, anche i menomi, e più lontani»
9, si presentino come due maniere del tutto privilegiate di pensare e di conoscere: quante più relazioni un sistema di pensiero è in grado di stabilire e di tenere insieme, e quanto più queste relazioni sono, letteralmente,
“impensate”, tanto più e tanto meglio si conosce la natura. Il filosofo che vuole avvicinarsi alla conoscenza della natura non deve quindi (come si è spesso tentati di interpretare le riflessioni di Leopardi a questo riguardo) imitare il poeta, quanto piuttosto esercitare quella facoltà che ha in comune con il poeta e che è tutt’uno con il «colpo d’occhio» o con la «vista dall’alto». Per Leopardi poesia e filosofia corrispondono quindi a due diverse maniere di pensare e di conoscere lo stesso oggetto, vale a dire la natura, le quali si trovano esattamente sullo stesso piano
10.
Queste due maniere di conoscere e di pensare sono entrambe presenti in Leopardi (per il quale si sarebbe quindi tentati di dire quello che lui stesso disse a proposito di Platone), ma non è detto che si realizzino rispettivamente nello Zibaldone e nei Canti. Leopardi, a cui capita di pensare in modo poetico nello Zibaldone, non manca nei Canti di pensare talvolta in modo filosofico, com’è il caso ad esempio dell’Epistola al Conte Carlo Pepoli. Per quanto diverse,
6 D’ALEMBERT, Discorso preliminare, cit., p. 41.
7 Cfr. Zib. 1650.
8 Zib. 1836, 4 ottobre 1821.
9 Zib. 1650.
10 «La poesia e la filosofia sono entrambe del pari, quasi le sommità dell’umano spirito, le più nobili e le più difficili facoltà a cui possa applicarsi l’ingegno umano» (Zib. 3383, 8 settembre 1823).