• Non ci sono risultati.

Conferenze tenutesi in Milano presso la Societa d'esplorazione commerciale in Africa, pubblicate e illustrate per cura della stessa. I ghiacci polari

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Conferenze tenutesi in Milano presso la Societa d'esplorazione commerciale in Africa, pubblicate e illustrate per cura della stessa. I ghiacci polari"

Copied!
176
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)

---I GH---IACC---I POLAR---I

Sunto

d.elle d.ue Conferenze

TE:-IUTE DAL

P "01". CaT_ A N T O N I O S T O P P A N I DIRETTORE DEI. MUSIlO CIVICO DI STORIA NA.TURALE

~[.ol1lhl'l) del Comitalo della l'oeieta d'Esplorazione Commerciale in \erica

~'!.!I"""'-CONFERENZA

I.

(14

Gennaio :1883).

Ennrme sl'l','[lof'Lione Ira le due ghiaccie polari - Parallelo tra il mar polare

ar-tico " \' antarar-tico - Le nevi perpetue non discendono in nessun punto al li"elln dd mare - Il mar glaciale in senso proprio non esiste - Origine ter-reqre rlel1a ghiaccia marina - Un mar polare artico e un continente an-(artico.

Uno dei pregiudizi che banno più ritardato i progressi ,Iella scienza dal lato delle questioni, tanto interessanti per la fisica terrestre e per la geologia, che riguardano la clima-tologia tellurica, è quello che ogni quantità positiva o nega-tiva, oglli incremento o diminuzione nell'ordine dei fenomeni glaciali, non potesse spiegarsi altrimenti che coll' ammettere un aumento od t\na diminuzione di temperatura sulla super-ficie del gloho. Se alcuno di questi miei gentili uditori ha tpnuto dietro, per avventura, alle mie pubblicazioni (i), sa (I) Vedi specialmente L' éra neozoica, ossia descrizione dei terreni ~laciali e dei loro equivalenti in Italia. Un VoI. in grand'SO, con 22 ta-vole lìtogl'uCate, ;9 incisionl nel testo ed una Carta degli antichi g/iiac-riai dell'A.lta Italia cromolitografata in 2 grandi rogli. - Milano 1881 - L. 25.

JO

\NVENTAR\O

~([ ~

+et

(4)

- 4

-quanto mi sia bracciato, fino al ridicolo, a combattere quo-sta falsa idea, perché si facesie strada que t'altra semplici '-sima che, nella formazione delle nevi e dei ghiacci, da cui è occupata tant a parte della superficie terre ·tre, i coefficienti sono almeno due " tempe"aiura e umidità ), questa come ne-cessaria materia; quella come condizione del suo sussistere allo stato solido. Facevo però riflettere che, concentrando tutto il freddo dei due poli, non fabbricherei Ull sorbetto; mentre mi basterebbero un grado 'otto zero per l'acqua dolce, tre o quattro per la. salsa, poi vonei convertire i n ghiaccio tutto l'Oceano. Può darsi per conseguenza benissimo un grande sviluppo di nevi e di ghiacci con un clima Illitis-simo, e viceversa la loro riduzione ai minimi tarmini con un rigidissimo clima.

Con queste idee mi son rivolto dapprima a studiare l'epoca glaciale; i due periodi cioè del progresso e ùel regresso degli antichi ghiacciai, che si spinsero tant' oltr> gli attuali con~ fini in tutti i pae i del mondo. Il risultato a cui sono arri-vato è questo: che l'epoca glaciale non fil già un' epoca di freddo antecedente, e di caldo comwguente; ma un'epoca di grande umidità antecedente, e di conseguente secchezza: un periodo, voglio dire, di piene a cui tenne difJ1t'o un periodo di magre. Che ciò sia avvenuto, e per quali ragioni, l' ho di-mostrato coll' argomento dei fatti geologici e paleontologici più accertati. Mi volsi in seguito a studiare )13 oscillazioni storiche dei ghiaccai alpini, e specialmente quel periodo di progresso elle toccò il suo apogeo tra il 18i8 e il 18:!O, Sllf;· seguIto da un periodo di regresso, a cui as 'istiamo tuttora. Trovai anche qui come la ragione immediata di tali oscilla-zioni ,tia nell' abbondanza delle nevi durante il primo pe-riodo, susseguito dalla scarsezza delle nevi medesime Ile) so-condo. Ora mi ta dinanzi questo grande problema dell' 'norme sproporzione tra le due ghiaccie polari. Bata gnttare uno 'guardo sulle due figure rappresentanti lo :sviluppo relativo dei ghiacci sulle due calotte polari, per vedece quanto questa sproporzione sia grande. Ridotta in chilomdl'j quadrati la esten ione dei ghiacci sulle due calotte, si esprimereblJe cosi;

(5)

5

-Abbiamo adunquo qua i una differenza del sestuplo d'esten-sione in meno per la calotta artica; in più per' l'antartica. Che orrendo freddo, penseranno i miei cortesi uditori, deve regnare nell' emisfero australe! ...

I fisici infatti non banno creduto di poter spiegare altri-menti il fenomeno di quella si ngolare sproporzione che col-l'ammettere una maggior dolcezza di clima nell' emisfero borealA ed una maggior rigidezza nell' australe. Ma è vero codesto? .. E quando lo fa se, sarebbe questa la causa ~ ... Intanto, come può esser vera la maggior rigidezza del clima australe se (per citare un sol fatto, nell' isola meridionale della Nuova Zelanda), sotto una latitudir.e pari a quella delle nostre Alpi, e quasi sui margini dell' antartica ghiaccia, di-scendono quasi lino al mare i ghiacciai tra i profumi di una fiora tropicale, superba di vergini foreste? Qual' è dunque la causa di quell' enorme sproporzioùe ~

Voi vedete che l' argomento è molto vasto e complesso e, quel ch' è peggio, quasi assolutamente intentato. Benchè abbia chiesto di esaurirlo in due conferenze, è già molto se riuscirò a sfiorarlo, tanto almeno che i miei pazienti ascoltatori par-tano convinti di una tesi che intendo di svolgere e dimo-strare piu amJJiamente in apposito scritto. Oggi intanto mi limitcl'ù a pal'larvi delle conùizioni rispettive delle due ca-lotte polari, cflrcando principalmente di stabilire, almeno per via <1'induzione, quali siena quelle delle regioni inesplorate, senza di che, parmi, sarebbe inutile ogni ricerca sulle ragioni di quella granùe sproporzione dello sviluppo dei ghiacci nei due emisferi. La ricerca di queste ragioni la rimanderemo alla seconùa cOnft'l'enza.

NaYiganùo verso il polo artico, non è impossibile che ci imbattiamo già verso il 40· di latitudine in una di quelle montagne ùi ghiaccio, spioni di un esercito infinito, che vien giù a struggersi nelle acque equatoriali. Verso il 45° quei ghiacci n:J.tanti s'incontrerebbero già numerosi sulle coste d'America; più tardi però su quelle della Groenlanùia occi-dentale, e più tarùi ancora nel Nord-Atlantico, tra la Groen-landia e la Scandinavia. Scoresby, rimontando verso la Baja di Baffio, ne contò 500 tra il 60° e il 70" di latitudine. Verso quest' ultimo parallelo il mare ne è quasi coperto, e la turba

(6)

6

-dei ghiacci galleggianti si rende sempre più fitta fino all' 82° e all' 83° di latitudine. Nel Canale di Kennedy si può diro che il mare è tutto coperto da un' enorme crosta di ghiaccio, non tale però che almeno d'estate non si rompa, lasciando tra ghiaccio e ghiaccio un labirinto di canali di libero mare. Fatto certo è questo intanto, che le navi, le quali raggiunsero le più elevate latitudini, non incontrarono mai una vera bar. riera di ghiaccio, che rendesse irupossibile assolutamente il procedere più oltre. Sappiamo anzi che Kane, Hayes ed altri !trditi navigatori trovarono ancora libero mare tra 1'820 e 1'830 di latitudine.

Ben altro si osserva nell' opposto emisfero. È accaduto più volte che grossi galleggianti di ghiaccio si vedessero ap-postarsi in faccia al Capo di Buona Speranza, come avvenne per esempio nel 1840. È cosa già abbastanza ordinaria quello di incontrarne appena oltre il 40° di latitudine sud. Verso il 55° p.o si entra già in quella zona, in cui i ghiacci galleggianti sono frequenti, come non si trovano nemmeno nel Nord-Atlantico oltn' il 70°. La fitta dei ghiacci si fa sempre più spessa, in file, in gruppi serrati, finchè formano ulla specie di mobile mosaico di montagne natanti: finalmente ecco un fenomeno che nessuno ha incontrato mai nell' opposto emi-sfero. Parlo della gran muraglia di ghiaccio, tutta d'un pezzo, che si leva d'un tratto centinaia di metri 'sul pelo del mare, cinta da un anello di mare libero o quasi li bero. Oltre questa differenza, altre ne presenta l'Oceano gla-ciale antartico in confronto dell' artico, quali sarebbero: l ° L'estensione maggiore già notata dei ghiacci galleggianti; 2° L'essere questi relativamente più radi; 3° Il nOI1 formare dei veri pack, cil)è di quegli enormi conglomerati, che sono tanti caratteristici dei ghiacci artici. Al postutto abbiamo il gran fatto di qUèlla enorme sproporzione, espressa da quelle cifre, che abbiamo già accennate in principio. Come possiamo renderei ragione di tali differenze tra i due emisferi nella rispettiva regione dei ghiacci 1 Per camminare sempre dal noto all' ignoto, vediamo di renderei ragione anzitutto di quei fenomeni, incomparabilmente più conosciuti e più studiati, che si verificano nell' emisfero boreale.

(7)

7

-ghiacci, che noi chiameremo, con termine sintetico, ghiaccia polare?

È un falso tradizionalismo delle scuole quello che man-tiene universalmente l'idea che la ghiaccia polare sia come una gran crosta di ghiaccio che si è formata e si mantiene per l'immediato congelamento delle acque marine. V' ha egli nemmeno un freddo capace di produrre uno stabile congela-mento dell' Oceano verso i due poli? Per rispondere a questa domanda cominciamo a stabilire due fatti.

Il primo fatto è questo, che le nevi cosidette perpetue non si abbassano mai in nessun punto del globo fino al li-vello del mare. Parry, imprigionato nei ghiacci un intero anno presso l'isola Melville (740 di latitudine), vide, coll'ap-prossimarsi della stagione estiva, verdeggiare i lidi, e fiorirv i il papavero, l'acetosa e il saloice nano. Morton dipinge con tali colori il paesaggio del Canal~ di Kennedy, che ci sembra di leggere la descrizione delle vallate svizzere, quando, al comparire della tarda primavera, veggonsi tra le nevi spun-tare i fiori e verdi prati distendersi sui fianchi delle nevose montagne. Kane e Hayes, dall' 82° di latitudine, avrebbero potuto portarci un mazzolino di fiori, composto di ranunCll-lacee, di sassifraghe, di portulacee, di graminacee e di ar-buscelli con bacche mature. Le stesse scene sono dipinte dal Nordenschi61d nel viaggio della Vega tra il mar di Kara e lo stretto di Behrink. Infine non vi ha un punto di latitudine cosi alto raggiunto dai più arditi esploratori delle regioni artiche, dove non si vedesse tra il mare e i monti coperti di nevi perpetue sciorinarsi nella calda stagione una larga zona di terra verdeggiante e fiorita. Come può esistere adunque un vero mare glaciale, un mare cioè che si copra sponta-neamente di una ghiaccia persistente?

(8)

n-vertito in una pianura di ghiaccio; v' appartiene anche il mal' Nero, che fu visto più volte parzialmente gelato; e gelato interamente alla super~cie nell' anno 171 dell' èra volgare. Ebbene il mal' glaciale, lasciando da parte la questione del più o del meno, si trova nelle stesse condizioni dei citati mari, e di altri assai, la cui superficie si mostra nell' inver-nale stagione l'appresa dal gelo. È dimostrato diffatti prima di tutto che il mare Artico non si agghiaccia mai totalmente nemmeno d'inverno. La ghiaccia spontanea non si forma che in certa vicinanza delle tene, ovvero negli stretti e nei ca-nali, il che vale lo stesso. La Vega, per esempio, imprigionata nel ghiaccio a sei chilometri da terra sotto il 67° dì latitu-dine, vedeva a poche miglia più in là radure di libero mare, e tutta la ghiaccia mantenersi mobile e ondeggiante, cullan-dosi sul libero mare. Che ciò avVenga anche nelle più elevate latitudini, lo dicono con perfetto accordo tutte le narrazioni delle spedizioni artiche.

Se il mal' glaciale non gela mai interamente d'inverno, tutto si disgela d'estate. Non voglio dire con ciò ch' esso si spogli interamente di ghiacci: tutt' altro. Quello che voglio dire è questo che la crosta di ghiaccio, la quale si forma du-rante l'inverno, si scioglie d'estate, o almeno si scompone, come tutta in pezzi si scompollB quella gran ghiaccia di cen-tinaia di metri di spessore, la quale caratterizza veramente il mal' glaciale, ma che per nessun conto potrebbe mai rite-nersi formata dal congelamento spontaneo del mare.

(9)

d'al 9 d'al

-tezza totale. Com' è possibile, ripeto, che quelle montagne e quei Gampi di ghiaccio siano porzioni di una crosta formata dal congelamento invernale della superficie del mare 1

Non mancano dati positivi per mostrare come il supposto di tale formazione sarebbe il più grosso degli assurdi pos-sibili. Non parliamo delle osservazioni in genere che si tro-vano in tutte le descrizioni dei viaggi artici. Vi sono parecchie esperienze dirette, per stabilire l'ingrossamento possibile della crosta di ghiaccio che può formarsi nelle regioni più avan-zate verso il polo. Una grossezza di due a tre metri è già fuori dell' ordinario; eccezionale affatto è quella di tre a cinque. Soltanto nelle baje più interne, dove l'acqua è più cheta e più immediata l'influenza del gelo che stringe d'inverno le artiche terre, il ghiaccio marino può raggiungere uno spessore di 6 metri. Da 5 a 6 metri a 100 a 1000 si corre. Se la ghiaccia polare non c'è, non può essere rp.arina, non ci rimane che di ritenerla d'origine terrestre.

(10)

!!appiamo invece tutto questo: gli arditi navigatori hanno as-sistito le cento, le mille volte alla lotta erculea tra i ghiacci e il mare, di cui sono spaventoso teatro le regioni più avan-zate verso il polo_ Questa lotta fu recentemente ammirata c descritta principalmente dall' Helland, il quale vide una volta tra le altre, in un fjord di Groenlandia, con incredibile fra-stuono staccarsi dalla fronte di un ghiacciaio più montagne di ghiaccio ad un tratto, e potè misurarne uno di quei fran-tumi, il quale aveva i20 metri d'altezza emergente e un vo-lume di 2i milioni di metri-cubici. Ora si capisce che sia quella sfilata di montagne di ghiaccio, le quali staccate dalle fronti dei mille ghiacciai che si tuffano negli artici mari, vengon giù come esercito interminabile in balìa della COITQntf' nordica, che dalla Baja di Baffin le trascina verso l'Atlantico. Ora si capisce del pari come quelle montagne di ghiaccio, riunite a cento, a mille in quegli angusti canali, possano for-mare quegli irefeld, e tutta quella ghiaccia mostruosa, che, a guisa di congerie di monti, si distende tra lido e lido, tutta ricoprendo la superficie del mare. Il gelo invernale, la pIa-sticità del ghiaccio, la forza impellente e premente delle tem-peste e delle correnti marine sono le cause principali di quelle congerie, le quali, tutte d'un pezzo durante l'inverno, si scompongono cosi facilmente d'estate, liberando le mon-tagne di ghiaccio da quella stretta che può solo per alcun tempo impedirne la fuga verso le temperate regioni del libero Oceano.

La conclusione è questa, che la ghiaccia marina artica non è che un accumulamento di ghiacci terrestri. Una volta arrivati a q.uesta conclusione, ci sentiamo fiduciosi di poter spingere lo sguardo nelle regioni inesplorate. - Che c'è là dentro, domandiamo, in quegli enormi spazì, non mai impressi da orma umana, nè da alcuna nave solcati~ - La nostra risposta, breve e precisa, è questa: Mare, anzi libero mare.

(11)

indubbiamente il mare entro i canali, se il mare stesso non lavorasse a conservarne il dominio. Soltan to quell' immane velo di ghiaccio che gli fanno le montagne natanti che si staccano dai ghiacciai, ci impedisce di chiamarlo libero mare. Lo è tuttavia di fatto, non potendosi considerare quell' assemblea di montagne e di campi di ghiaccio che come un temporaneo ingombro che presto scomparirebbe, se di continuo non po-tesse rifarsi. Quel mare, relativamente libero, s'insinua da ogni parte verso le regioni inesplorate più prossime al polo. Nulla, nemmeno all' 83° di latitudine, accenna ch' esso abbia confini. Per me ritengo che non li ha, nè li può avere, e che anzi più s'interna verso il polo, e più si allarga, tanto da potersi ritenere che esso occupi tutta la regione oltre 1'83° di latitudine.

Il primo argomento a cui mi appoggio è questo, che le terre circumpolari non sono che)sole. Pare dimostrato che lo sia anche la Groenlandia, cioè quella terra che fu già vista avanzarsi maggiormente verto il polo. Non mancano infatti le prove della comunicazione tra il Nord-Atlantico e la Baja di Baffin pel Canale di Kennedy. Le balene d'identica specie che s'incontrano nei due mari, sarebbero già una di tali prove: aggiungi quella più convincente di balene, ferite dai pescatori nel Nord-Atlantico, che furono poi rinvenute nella Baja di Baffin.

(12)

-

12-Un terzo argomento lo cavo dal supposto, che quelle inesplo-rate regioni, invece di essere occupate da un mare, lo fossero da un continente. I ghiacciai, radianti dal supposto rilievo elle sorge dal mezzo della regione polare, non potrebbero aver sfogo che radiando in tutte le direzioni verso quell'anello di mare, per cui furono possibili i passaggi nord-ovest e nord-est dal-l'Atlantico al Pacifico per lo stretto di Behring. Che altro potrebbe fare infatti, per un supposto, la Groenlandia, quando sorgesse entro il recinto polare~ Ma in questo caso le mon-tagne di ghiaccio, enormi di grossezza e infinite di numero, ingombrerebbero il mare, ora libero, tutto all'ingiro del polo· Come va dunque che relativamente piccole e scarse son esse principalmente nel Nord-Atlantico, mentre tanto grosse o fitte si hanno nel Canale di Kennedy, che a guisa di semplice fjord verrebbe, nel supposto, a chiudersi con breve porzione della spiaggia del supposto continente ~ È dunque uu mare interno quello in cui si scaricano i ~hiacciai discendenti dalla cerchia delle isole polari, e convoglia le montagne di ghiaccio verso l' im bocco del Canale che solo può scaricarle.

Un quarto argomento dell' esistenza del mal' polare, ci

e

prestato dalla corrente che discende dalla Baja di Baffin verso 1'Oceano Atlantico. Emula del Gul(-Stream, non può essere alimentata che da un gran mare interno. La corl'ente dello ~ Lretto del Sund ha dietro di sé il mar Baltico; la Magarena, ossia gran corrente del Bosforo, ha le sue scorte nel mal' Nero; la gran corrente dello stretto di Gibilterra ha per alimentarla nientemeno che l'Atlantico. Come potrebbe vivere la gran C01"rente polare, eterna scaricatrir.e delle montagne di ghiac-cio, se, imbQccando il Canale di Kennedy, principale confluente, non avesse 'ugualmente un mare dietro di sé ~

(13)

-

13-da cui uscivano le acque equatoriali spoglie nella massima parte del loro calore, per rovesciarsi, come sistema di cor-renti fredde, ritornando di nuovo verso l'equatore. Il gran fatto intanto è questo, che verso il polo vanno crescendo tanto la. temperatura del mare, come quella dell'atmòsfera. Tutti sanno che il polo del freddo, cioè il punto di freddo massimo, si trova più alto d'inverno, più basso d'estate, ma sempre in una zona di latitudine inferiore ai punti più elevati raggiunti finora dalle spedizioni artiche. Il polo estivo del freddo, p. es. è posto sopra una linea che corre tra il 62° e il 63° di lati tudine nord. Tutto ci obbliga a credere insomma che il mare, avanzandosi verso il polo, debba guadagnar sempre una tem-peratura più mite in confronto di quelle osservate finora ne luoghi raggiunti dalle spedizioni polari. Il mare adunque deve farsi sempre relativamente più libero: cioè gelar meno d'in-verno e sgelare più presto d' estat~.

Abbastanza sicuri di ciò che abbiam visto o potremmo vedere navigando verso il polo artico, possiam prendere co-raggio a domandarci che cosa troveremmo, quando ci fosse dato d' oltrepas::lare quella barriera di ghiaccio, che si oppose inesorabile a quanti tentarono la via del polo antartico. -In quali condizioni adunque si trovano le regioni antartiche affatto "inesplorate ~ Che cosa incontreremmo, quando ci fosse possibile in qualunque modo di violare i confini della grande muraglia di ghiaccio, e di spingE'rci fino al polo ~ - La risposta. sarà anche qui breve e sicura, ed è questa: che" al mal' polare Artico corrisponde un continente polare Antartico.

Tra gli argomenti della tesi che potremmo cavare dalla geologia, c'è questa anzitutto della corrispondenza, o piuttosto dell' opposizione, delle terre e dei mari agli antipodi. Fu os-servato da lungo tempo che, si può di.re senza eccezione, ad ogni terra corrisponde agli antipodi un mare, e ad ogni mare una terra. Se un fatto, di cui deve ancora confessarsi ignota la ragione, potesse tradursi in legge, al mar polare Artico dovrebbe corrispondere un continente Antartico. Accontentia-moci di accordare a questo primo argomento semplicemente, il valore che gli viene da quella che logicamente si chiama legge d'analogia: ma quanta parte delle scienze fisiche sus-sisterebbe realmente, se questa legge si cancellasse dal codice

(14)

14

-Un argomento geologico più convincente si può cavare dai vulcani, cioè da quella che io ho chiamata legge di perime-trismo, basata sul fatto che tutti i vulcani del globo disegnano

,

nel senso più o meno lato della parola, il perimetro dei con-tinenti. Per dirlo in altro modo, i vulcani si trovano costan-temente sui confini o sulla zona di confine tra i continenti ed i mari. I grandi e numerosi vulcani, attivi o spenti, scoperti da Ross sul lembo estremo della Terra Vittoria, e molti altri che si scopersero nelle isole sparse nel mare cIle circonda la regione polare artica, apparterrebbero, per la legge di peri-metrismo, ad un continente Antartico.

Ma l'argomento più certo, ch'io ritengo anzi indiscutibile dell' esistenza del continente Antartico, ci è fornito precisa-' mente da quella stessa muraglia di ghiaccio cIle abbiamo vista tutta all'ingiro segnare i confini dell' Oceano.

(15)

-

15-l'Antartica. Dimostreremo infatti a miglior uopo nella seconda Conferenza che il clima Antartico è in genere più mite del clima Artico. La cosa è dimostrata specialmente, e senza ec-cezioni, pel clima invernale, quello al cui rigore n eli 'opposto emisfero è dovuto il temporaneo congelamento del mare. Qui intorno all' Antartico polo, se una crosta di ghiaccio si fùt'ma durante l'inverno, dev'esserPv più sottile di quella che ricopre temporaueamente gli artici mari, e sciogliersi più presto d'estate. Intorno alla barriera di ghiaccio del resto non c'è che libero mare sparso di ghiacci galleggianti, grossi as-sai più, ma anche asas-sai più radi di quelli che compongono cosi compatta talora l'artica ghiaccia. Dunque è inevitabile; l'antartica muraglia di ghiaccio non è che la fronte di un grande ghiacciaio, o piuttosto di un sistema di mille e mille ghiacciai confluenti che discendono da un continente interno avanzandosi serrati e compatti in seno all'Oceano. Se le arti-che muraglie di ghiaccio in fondo ai fjords e sui fianchi dei canali, sono le fronti di altrettanti ghiacciai; questa barriera antartica non è che l'unica fronte, composta di tante fronti di altl'ettan ti ghiacciai, formanti un sole ghiacciaio. Se le mon-tagne di ghiaccio natanti sui mari artici non sono che fran-tumi di ghiacciai terrestri; devono esserlo del pari le isole galleggianti sull'antartico mare. Se i ghiacciai artici discen-dono da altrettante terre; questo unico ghiacciaio deve di-scendere da un'unica terra, cioè da un gran continente tutto coperto di nevi e di ghiacci eterni.

(16)
(17)

I GHIACCI POLARI

CONFERENZA II. (21 Gennaio 1883).

La sproporzione tra le due ghiaccie pOlari non dipende dalle diverse condizioni ter-miche dei due emisferi. - Secchezza fenomenale del clima artico. - Fenome· naIe umidità dell'antartico. - La sproporzione delle due ghiaccie come co 1-seguenza delle leggi fondamentali della meteorologia in corrispondenza co':"

distribuzione delle terre e dei mari.

Nella prima Conferenza abbiamo stabiliti tre fatti: iO La ghiaccia polare artica è tutta d'origine terrestre, cioè formata dalla congerie delle montagne di ghiaccio, che si staccano dai ghiacciai;

2· La regione polare artica inesplorata è occupata da un mare il quale pUÒ esser semplicemente una continuazione dell'arcipelago artico, ma molto probabilmente più libero da terre e da ghiacci;

3° La regione polare antartica è per l'opposto occupata da un continente coperto di ghiaccio che ha per confine, ap-prossimativamente al 70° parallelo, la barriera di ghiaccio.

Abbiamo dovuto stabilire questi fatti, perché è soltanto dopo averli ammessi che possiamo affrontare il grave pro-blema della sproporzione tra le due ghiaccie. Quale sia code-sta sproporzione l'abbiamo già detto: trattasi di una ghiaccia di 8 a 9 milioni di chilometri quadrati da parte del polo ar-tic o , in confronto di una ghiaccia antartica di 45 a 46 mi-lioni. Prego gli uditori a non sQttilizzare sulle cifre; si levi o si aggiunga, la sproporzione sarà sempre enorme. QUl sta la questione: ma questa sproporzione (si badi bene) che sa-rebbe come di i a 5 all'incirca, calcolando soltanto l'estensione rispettiva delle due ghiaccie, ci diventa ben maggiore, appena

(18)

-

18-si cerchi di indovinarne lo spessore relativo e di stabilirne il volume. Per vedere come la ghiaccia antartica deve avere una massa, non cinque, ma dieci o venti volte maggiore del-l'artica, basta riflettere quanto segue:

i ° La ghiaccia artica è tutta frastagliata e lascia ve-dere il libero mare fin nelle più elevate latitudini; l'antar-tica invece è, almeno oltre 700

di latitudine, tutta d'un pezzo d'estate e d'inverno;

20 La ghiaccia artica è più sottile; l'antartica più grossa;

30

La ghiaccia artica non giunge fino al mare; l'an-tartica vi giunge e vi si interna dovunque.

(19)

19

-« temp~'Y'és. ~ Se gl' inverni australi sono più miti dei bo-reali, non sta certamente nelle vicende della temperatura an-nuale la ragione del maggior sviluppo della ghiaccia antar-tica in confronto dell' artica; questa invece dovrebbe essere più sviluppata di quella, mentre sappiamo che in tutte le re-gioni del globo è l'inverno la stagione da cui dipende spe-cialmente lo sviluppo delle nevi o dei ghiacci.

Mi basta intanto di poter stabilire che nell' una come nell' altra regione polare c'è freddo abbastanza, perchè la neve cada e il ghiaccio si formi. Data questa condizione, la que-stione della temperatura può mettersi da parte, per laseiar luogo a quella della maggiore o minor quantità di nevi che cade annualmente nei due emisferi e della maggiore o minore quantità di ghiaccio che deve per conseguenza formarsi. Ognuno intende di fatti che,- ammesse comunque le condizioni del congelamento dei vapori atmosferici, cioè per la caduta delle nevi, il caderne in piccolà o in gran quantità non di-penderà più dalla intensità maggiore o minore del freddo, ma dalla q uantità maggiore fo minore di vapori che in-gombrano l' atmosfera, e possono quindi condensarsi in questo luogo o in quello. Prima però di lasciare affatto da p~_rte la questione della temperatura, bisognerebbe aver di-stinti gli effetti riferibili alla temperatura atmosferica da quelli che possono dipendere dalla temperatura marina. Della temperatura atmosferica abbiamo già detto: essa è piuttosto sfavorevole che favorevole allo sviluppo eomparativo della ghiaccia antartica. Ma è indubitato che anche la temperatura del mare, cosI varia col variare delle correnti marine nei di-versi luoghi, deve esercitare un' influenza almeno negativa sullo sviluppo dei ghiacci. Dico almeno negativa, inquantochè le correnti calde, struggendo più presto il ghiaccio, devono impedirne quel maggiore sviluppo che avrebbe invece luogo in un mare percorso da correnti fredde.

(20)

-

20-il polo artico in un labirinto d'angusti canali . .: L'equatore « è 1'enorme caldaia che riversa una quantità determinata «. di acqua calda, tanto a sud quanto a nord. Ma queU'acqua « calda va a perdersi nell' immenso Oceano antartico, mentre (' a nord piuttosto si raccoglie nei seni relativamente angusti ~. di cui si compone l'Oceano artico. L'Oceano artico risul-« terà quindi più caldo dell' antartico. Gli è come se si ver-e sassver-e un ettolitro d'acqua bollente in un tino che contiene

« dieci ettolitri d'acqua gelata, e un altro ettolitro in uri tino (( che ne contenga venti» (l). Cosi ragionavo allora; né ri-tengo che anche oggi il mio ragionamento abbia perduto in-teramente il suo valore. È certo che l'azione calorifera delle correnti equatoriali, condensata nelle angustie degli artici canali, deve esercitarvi più intensamente la sua azione che dove è diluita nell' immensità dell' Oceano antartico. È molto naturale che il disgelo estivo sia per questa causa facilitato nei canali artici e specialmente nel Canale di Kennedy. Dal momento poi che è tanto accertata l'influenza benefica del Gulf-Strearn sul clima delle coste settentl'ionali d'Europa, è molto probabile che la zona di terre verdeggianii e fiorite che si distende d'estate tra i confini del mal' glaciale o quello delle nevi perpetue, debba attribuirsi, in parte almeno, al-l'infiuenza delle acque calde del mare. VuoI dire insomma che, se nelle regioni artiche le cose vanno male per riguardo al clima, andrebbero peggio quando venisse a maucarvi l'af-flusso delle correnti equatoriali. Codesto s'intende. Ma le acque calde non impediscono che il mare si congeli d'inverno, e che in questa stagione la temperatura discenùa fino a 40° e 50° gradi sotto zero. Ciò vuoI dil'e che l' influenza delle correnti marine è minima, né può essere invocata come ar-gomento di differenze appena considerevoli nelle co nùizioni delle due calotte polari. Al postutto non dobbiamo dimenti-care che la sproporzione tra le ghiacci e polari si risolve tutta veramente nella sproporzione tra i ghiacciai che ricoprono le terre; e siccome abbiamo visto che il clima terrestre od atm o-sferico verso il polo,antartico.è sensibilmente più mite ed uni-forme, lo sviluppo enorme degli antartici ghiacci, e la relativa

(21)

-

21-piccolezza degli artici, non possono per nessun verso ritenersi come effetti della temperatura marina, la quale in ogni caso non può entrare nel calcolo (',he come il minimo dei coef-ficenti di uno dei più graniliosi fenomeni della terrestre natura. Non c' è dunque altro rifugio che nell' ipotesi che a sud nevichi più che a nord, e che per conseguenza il clima antartico sia molto più umido e vaporoso del clima artico.

Ho detto nell' ipotesi; ma no, non si tratta d'un' ipotesi, ma di un fatto. Tra i due emisferi, per rapporto all' umidità o vaporosità atmosferica, non c'è solo differenza, ma vera, assoluta opposizione. Il clima polare artico è puro, sereno, d'una secchezza veramente fenomenale; il clima polare antartico è invece grasso, uggioso, d'luna veramente fenomenale umidità. Quanto ci venne riferito dagli esploratori delle regioni polari attesta, senza nessuna eccezione, senza Jasciarci verun dubbio, questa decisa opposizione tra le, condizioni igrometriche ed udometriche delle due calotte.

Cominciando a dire della secchezza del clima artico, quali sono, uditori miei, le impressioni rimll,stevi dalla lettura di tante spedizioni dirette verso 1'artico polo? Se parliamo del-l'impressione del freddo, c' è da sentirselo nell' ossa per tutta la vita. Ma leggeste mai di grandi nevicate, di persone o di navi sepolte sotto la neve? Vi aveste mai sott' occhio nessuna di quelle scene, di cui s'intessono d'ordinario i racConti delle invernate alpine?

(22)

conservatis--

22-simo. Come si può spiegare tutto code'lto ~ Da questo dilemma non si esce: o di neve non ne era caduta punto su quei lidi, o quella caduta in tant' anni vi era totalmente scomparsa. Bisogna sempre dire, anche in questo secondo caso, che- la neve caduta non poteva essere stata che pochissima. Non sap-piamo già forse del resto che il primo alito primaverile basta

in quelle gelate regioni perchè la neve caduta d'inverno si sciolga e dia luogo a quella zona coperta di verdura e di fiorH Ma c'è un fatto, riferitoci dagli scopri tori delle reliquie di Franklin, il quale ci dimostra, direbbesi con rigore mate-matico, che la neve invernale non attinge nelle regioni artiche che qualche centimetro d'altezza. Il fatto è questo: che in più luoghi, dove quelle reliquie giacevano sparse, vedevansi an-cora nella neve i solchi impressivi dalle slitte tanti anni prima. Un fatto di questo genere ancora più convincente é quello che si legge dell' equipaggio di Parr'y, il quale, sbar-cato alla Pos~ession Bay, tra il 73° e il 740 di latitudine, nel 1819, scorse a Il co l'a le orme impressevi undici me'li prima nello sbarco operato nel i8i8.

(23)

-

23-d'aria maggiore di quella che, a 40 gradi sotto zero, fa sva-porare rapidamente il ghiaccio, secondo le belle esperienze

eseguite dall' Hayes ~

Basta cosi, mi pare; e basta talmente che più non si

ca-pisce nemmeno perchè tanto ghiaccio si sia formato e si

man-tenga sulle terre e sul mare nelle regioni artiche. Nè si ca-pirebbe certamente, se non si sapesse; IO che sulle alture,

specialmente d'estate, nevica assai più che al livello del mare;

20 che sulle alture stesse non c'è disgelo delle nevi alla su-perficie nemmeno d'estate; 3e che nelle regioni polari più

ele-vate non cade acqua, cile non sia sotto forma di neve.

Passiamo all'opposta calotta, dove dovremmo trovarci in-vece, come ho già affermato, sotto un cielo umido, uggioso,

nebbioso, e nevoso in eccesso. Sono assai scarse le notizie che ci arrivano da quei lontani paesi; ma sono anche di troppo

perchè ci sentiamo addosso l'uggia di una regione che può dirsi l'impero della umidità. DaUè regioni artiche è

1'impres-sione del freddo che abbiamo riportato; da queste invece

l'im-pressione dell'umido e del bagnato. Questa impressione -ce la

lasciano già le descrizioni della Patagonia, dove in sette mesi si misurarono fin cinque metri di pioggia, la Terra del Fuoco, le Orcadi del Sud e la Terra di Graham, dove non si parla d'altro che di pio,!."!'c:-ia e di neve. Più oltre, non vi son più. peggiorativi che bQ,~Lino. La v-ave del Weddetl naviga sempre sotto un cielo buio, tuffata nella nebbia più scura, sotto

con-tinui diluvi di neve. Il bastimento è incrostato di ghiaccio, o piuttosto di brina ghiacciata; l' equipaggio è fradicio alla

disperazione. - Le stesse scene invariabilmente sono quelle descritte da Dumont d'Urville e da Ross. Dal mantello di neve e di ghiaccio che ricopre le antartiche terre da loro scoperte

non traspare una rupe. l confini di quelle terre col mare sono una muraglia di ghiaccio coperta d'altissime nevi. Coperte di nevi sono del pari le montagne di ghiaccio che se ne spiccano,

disperdendosi nella vastità del mare.

(24)

an--

24-tartica é l'espressioae fedele della fenomenale umidità dell'an-tartico clima.

Quando poi volessimo passar oltre a cercare le ragioni di questa differenza igrom@trica ed udometrica tra i due climi, bisognerebbe ingolfarci nella teorica della circolazione atmo-sferica. Non è però necessario nè di discutere e nemmeno di descrivere le particolarità di ciascun sistema proposto dai fisici in questi ultimi tempi per intendere, in via di massima, come necessariamente dalle leggi fondamentali della meteorologia derivi appunto questa conseguenza, che 1'artico dev' essere un polo eminentemente asciutto e l'antartico un polo

emi-Jlentemente irrigato. .

Stiamo ai fatti ammessi da tutti, e che hanno servito come punto di partenza a quanti, fin dai tempi abbastanza antichi, hanno parlato delle cause e della distribuzione delle pioggie o delle nevi sulla superficie del globo. Fu da tempi antichissimi riconosciuto che le pioggie derivano dalla con-centrazione dei vapori che salgono helle più elevate regioni dell' atmosfera, dove si raffreddano e si convertono in acqua. Un' altra cosa già nota da secoli è che la conversione dei va-pori in acqua, quindi in pioggia ed in neve dei vapori atmo-sferici, succede principalmente a contatto o in vicinanza del-l'atmosfera coi rilievi del globo, ossia delle montagne, spe-cialmente delle più elevate tra esse. In questo, che si può dire primitivo sistema meteorologico, si accordano tutti. In esso i mari figurano come caldaie d'evaporazione; le correnti atmo-. sferiche come distributori dei vapori; le montagne e tutti in

genere i rilievi del globo, come condensatori. Le montagne spogliano l'atmosfera de' suoi vapori; sicchè le correnti at-mosferiche, una volta che hanno incontrato uno o più di co-{lesti rilievi sul loro cammino, non possono passar oltre che

come correnti asciutte. Una serie di rilievi, pei quali sia co-stretta a passare successivamente una corrente vaporifera, la renderà sempre più povera di vapori, sicché in ultimo non le resti più nulla da dare. Se al contrario una corrente incontra dei mari nel suo giro, invece di perder vapori, ne guadagnerà riuscendo all' ultimo capace' di irrigare generosamente quel qualunque rilievo in cui all' ultimo si imbattesse.

(25)

ri-- 25-

,

scaldandosi nella zona equatoriale dove più si allargano le cal-daie vaporifere, ossia i mari, si leva in alto, carica di vapori e si rovescia a nord e a sud, formando un doppio sistema di correnti che si avviano, per opposta via, verso i poli. Se l'ar-rivare ai due poli con minore o maggior quantità di vapori deve dipendere dall' incontrare dei rilievi in numero minore o maggiore, più o meno vasti, piLl o meno <"levati; pensiamo quanto diversa sarà la sorte che attende le correnti atmosfe-riche, secondo chp. sono avviate piuttosto verso l'Artico che verso l'Antartico polo, L'emisfero boreale può benissimo de-finirsi, relativamente parlando, un'emisfero di terre e l'au3trale un'emisfero di mari. Come arriverà dunque anzitutto alla sua meta, per quanto carica di vapori, quell'aria che dall'equatore si avanza verso il polo artico, se non può arrivarvi che dopo avere misurati in lungo ed in largo i tre continenti, cedendo a tutte le catene di montagne, a tutti i singoli monti, ai colli, ai piani quanto basta per irrigarli generosamente ~ Ha irro-rato i continenti; b.a dato' alimento, si può dire, a tutti i fiumi del mondo; ha coperto di neve tutte le creste delle montagne; ha creat0 tutti i ghiacciai che discendono dalle nevi perpetue: è giusto che arrivi alle estreme regioni polari talmente spo-glia di vapore, talmente secca, che è molto se il freddo in-teasissimo delle regioni polari può spremerne ancora un po'di succo. E nulla veramente vi sarebbe da spremere, se, come ha veduto cosi finamente il Maury, natura non avesse prov-veduto l'emisfero boreale di caldaie di soccorso, cioè di me-diterranei e di laghi, a cui l'aria, arrivando già strema nelle regioni nordiche, potesse attingere quel po' di vapori che basti a non mandarne affatto deserte le regioni circumpolari.

(26)

in--

2G-contrati per via, dopo la sua partenza dall' equatore, l'aria

incamminata verso 1'antartico polo? Quasi si può dire

nes-suno. Sia pur stata adunque quanto si vuole, e quanto i sa che lo è di fatto, prodiga di vapori a quelle poche term australi, in cui s'è imbattuta per via: arriverà pur sempr~

madida, gonfia, straccarica di vapori a quel continente antar-tico che tutto solo, esercitando il potere che gli danno lu

fredde ed elevate sue cime {farà bottino di tutti quei vapori

a proprio vantaggio. Qual meraviglia pertanto se quel con

nente sarà tutto un nevaio, anzi tutto un ghiacciaio, capace

di partorire a mille e milioni quelle montagne di ghiaccio, di cui ricopre tanta plaga del mare che lo ricinge1 La

spro-porzione tra le due ghiaccie è dunque una conseguenza delle leggi fondamentali d,:lla meteorologia, in corrispondt\nza

col-l'attuale distribuzione delle terre e dei mal'i sulla superficie del globo.· La ghiaccia artica esprime, colla sua piccolezza, la siccità di un' aria che ci arriva già smunta dagli infiniti ri-lievi costituenti la gran massa dei continenti, condensati nel

1'ep1isfero boreale. La ghiaccia antartica, col suo enorme s, i

(27)
(28)
(29)
(30)
(31)
(32)
(33)
(34)
(35)

LA COMETA

'

DEL 1882

CONFERENZA

tenuta il 4 Febbraio 1883

DAL PROFESSORE

GIOVANNI SCHIAPARE:GLI

Direttore del R. Osservatorio Astronomico di Brera

Membro del Comitato deìla Societa d'Esplorazione Co=erciale in Africa.

Signori ,

(36)

-

30-nel settembre passato, non abbia potuto entrare per qualche cosa nell' avvenimento che qui tutti ci riul1isce, cioè nelle terribili inondazioni che proprio in quel tempo aftlissero le provincie della Venezia occidentale. A questa interrogazione chi oserebbe rispondere assolutamente di no? Tanto stretti e cosi svariati sono i legami che connettono insieme i grandi fatti del mondo fisico, e sopratutto tanto poco ne conosciamo, che sarebbe temerità l'affermare impossibile una connessione per qUGsto solo, che non vediamo alcuna ragione di supporne l'esistenza. Ma se non impossibile, diciamo tuttavia aperta-mente, che nel presente caso una connessione qualsiasi fra la Cometa' e ~e inondazioni sembra estremamente improbabile. Perché appunto nei giorni, in cui maggiormente diluviarono le nostre acque, la Cometa era lontanissima dalla Terra; essa si trovava quasi a contatto immediato col globo solare, dalla cui attrazione poderosa con fatica riusciva a svincolarsi. In quel tempo essa non aveva ancora sviluppato quella coda smisurata, la più lunga e la più voluminosa che si conosca negli annali dell'Astronomia. Né è facile comprendere come l'effetto supposto della Cometa avrebbe potuto prescegliere a suo teatro la piccolissima parte del globo occupata da quelle nostre sfortunate provincie, senza farsi sentire anche in qual-che modo su tutto il rimanente della Terra. Non é poi per nulla necessario rioorrere a cause cosi dubbiose e cosi lontane per spiegare il fatto dell' inondazione) menire a darne conto bastano le irregolarità dei movimenti dell' atmosfera. Questi movimenti, tanto importanti per noi, sono sventuratamente ben più difficili a studiare che i movimenti delle Comete; e, checché" se ne vada dicendo, ben poco, troppo poco ne cono-sciamo.

*

..,. ..,.

Venendo adesso alla Cometa, voi desidererete anzitutto di sapere d' ond' è venuta, dov' é passata e dove se ne va. lo vi invito dunque a far meco una passeggiata negli spazi celesti e mi offro a servir vi di guida. Non vi condurrò nelle ster-minate profondità dell' Universo, fra i milioni di Soli ond'esso

(37)

-

31-quella sezione o divisione dell'Universo, che possiamo chiamar nostra, che meglio conosciamo, insomma nel sistema solare. E come per guidarsi in una città terrestre è utile averne il piano topografico, cosi ci orienteremo nel nostro viaggio col-l'aiuto della fig. 1

a,

che rappresenta il piano d1311e parti più

centrali del sistema solare.

(Fig. l') - Regione più centrale del sistema· solare.

Coll' aiuto di essa non sarà difficile intendere il corso

tenuto dalla Cometa durante la sua apparizione. Voi avrete notato in mezzo alle orbite dei pianeti una linea di forma assai diversa dalle altre. Questa è l'orbita descritta dalla

(38)

misu--

32-rare la poslzlOne e la forma coll' aiuto delle osservazioni. Quella curva è composta di due rami uguali, di cui uno è percorso dalla Cometa entrando nel sistema planetario, 1'al-tro è percorso quando la Cometa esce da questo sistema.

I due rami si congiungono in una specie di arco o vertice

rotondeggiante, che si trova vicinissimo al Sole, tanto vicino,

che sarebbe stato impossibile indicarne una distanza qualun-que se n'el disegno non si fossero ~d arte alquanto alterate le vere proporzioni. Questa linea curva rassomiglia molto alla parabola che desct'i ve un sasso lanciato in alto in direzione q uasi verticale; il sasso sale fino ad un certo punto l ungo un ramo della parabola; per un istante, giunto al vedi ce , si

muove quasi orizzontalmente; poi ricade pel'correndo un ramo discendente, uguale o poco diverso dall' ascendente. Per ,tali motivo dicono spesso gli astronomi, che le Comete desct'ivono una parabola nello spazio; questo è un modo di dir~ soltanto

approssimato; la curva delle Comete nelle parti vicine al Sole

rassomiglia sempre moltissi no ad una parabola, ma non c'è mai una parabola esatta.

Cosi fatta è dunque la strada percorsa dalla nostra

Co-meta. Essa però non interseca le orbite ùei pianeti, come parrebbe considerando la figura. Perché il piano del foglio rappresenta il piano del sistema planetario, in cui i pIaneti

approssimativamente compiono il loro giro, non discostandosi

mai dal mede:;imo di molto spazio: inve, , l'orbita della Co-meta giace in un piano, che pas'a per il Sole, ma è totabil-mente inclinato a quello dei pianeti: così che pur avere una idea giusta della posizione di quest' orbita, bisogna immagi-narsi che i due rami, appoggiandosi sempre al Sole, passino

sotto al foglio o dietro di esso colle loro parti più lontane,

inclinandosi al piano d<;!l disegno di un certo angolo di 30 o

40 gradi. Da questo conseguo, che di gran lunga la maggior

parte del corso della Cometa si è fatta nelle regioni del cielo

che per noi stannò sotto H piano dei circuiti planetari; lo

quali regioni noi chiamiamo australi. Quindi è avvenuto, cho

la Cometa, specialmente durante il suo arrivo, è stata veduta

meglio e più presto osservata nelle regioni australi della Terra,

e che per noi è rimasta sempre bassa e prossima all'orizzonte

(39)

Lungo il corso della Cometa stanno segnate diverse date,

113 quali indicano qual luogo essa OCC\lpaVa nei diversi tempi

della sua apparizione. Venuta da quelle profondità

extrapla-netarie di cui sopra vi ho parlato, la Cometa il 2 di settem.bre

era giunta nel punto segnato con questa data (1), senza es~el'

v<:Jduta dia alcuno. Gli è che quando arrivano nelle parti

in-terne del sistema planetario, le Comete in generale si

presen-tano dapprincipio come piccole nubi di fioca luce e poco

ap-pariscenti, quindi è difficile che attraggano subito l'attenzione anche dei pi ù diligenti ossel'vatori. Nella nottp. dal 2 al J di set-tembre, essa fu veduta la prima volta nella città di Auckland, nella Nuova Zelanda. Nei giorni seguenti, mentre si avvi ci-/lava al Sole con somma rapidità, fu scoperta successi vament~

al Capo di Buona Speranza, nell'Australia, nella Repubblica

Argentina e nel Brasile.

Il suo movimento tendeva quasi diritto al Sole e PoC(}

mancò che non cadesse sul Sole medesimo. Non vi cadde, ma

tuttavia vi si ayvicinò tanto, da toccarlo quasi il giorno 17 di

settembre verso le 6 ore pomeridiane. La fig. 2" (vedi pago 34) fatta in scala molto più grande dell'altra, mostra più

particolar-mente il corso della Cometa nelle dodici ore comprese fra il

mezzo di e la mezzanotte del i 7 settembre durante il periodo del massimo avvicinamento. Come si vede, in queste dodici ore la Cometa percorse il vertice della sua orbita, facendo intorno al Sole più che un mezzo giro: alle 6 ore pomeridiane essa wri al punto della massima vicinanza al Sole, che è il

Junto cui gli astrollomi dannu il nome di perielio. In questo

istante -la testa o il n ucleo della Cometa era lontano dalla "uperficie del Sole solamente della terza parte del diametr(}

di questo astro, cioè non più che 37 diametri della Terra, dei

'i uali il diametro solare contieue 11 O. In questa rapida caduta

<Iella Cometa verso il Sole, la velocità del suo movimento crebbe fino al valore quasi inconcepibile di 480 chilom. ogni minuto secondo, che fu la massima in tutto il corso della Cometa. È questa una velocità 16 volte maggiore di quella,_ con cui la terra descrive il suo corso annuale intorno al Sole

_ (I) Per errore ques~a da:ta è stata omessa dall' incisore: il punt(} SI trova quasI sull' orbita di Venere a destra del Sole e con esso in

(40)
(41)

- 35

(42)

-

36-e 4 a 500 volte maggiore di quelle che sogliono avere le palle dei grandi pezzi d'artiglieria. Questa enorme velocità e il

grande slancio laterale che acquistò la Cometa in conseguenza,

bastarono in quel momento a vincere la forza attrattiva con

cui il Sole la tirava a sè ed impedirono al gran luminare di

inghiottirla e di terminarne cosi l'esistenza. Superato il punto critico del massi mo avvicinamento, la Cometa se ne ritornò

per una direzione poco di versa da quella pel' cui eca venuta.

L'attrazione del Sole non ha ces'ato di prodlll'l'e il suo effetto, l'allentandone successivamente la fuga; ma animata da quella gran velocità, la Cometa ha avuto il tempo di mettol'si in sicuro arrivando in regioni più lontane, dove l'attl'ilzione del

Sole è più debole e d'onde non sarà richiamata che dopo

lun-ghissimo intervallo.

Gli astronomi del Capo di Buona Speranza ebbero la for-tuna di assistere a questo nuovo spettacolo di un astro, che

precipitandosi dalle profondità liei cieli extea-planetari andò diritto al Sole, quasi volesse caden'i sopra, e in poche ore tuttavia se ne disciolse, rovesciando quasi completamente la direzione del suo movimento e ritornando d' ond' era venuto. In quell'epoca la terra era collocata molto obliquamente ri-spetto all' arco descritto dalla Cometa intorno al Sole; cosi che invece di contemplarne il movimento in pieno pl'ospetto, come indicherebbe la fig. Za, quegli astronomi lo videro sotto uno scorcio molto forte di prospetti va, quasi di taglio, nel modo che indica la fig. 380 (vedi pago 33).

In questa il gl'an globo figura il Sole, l' al'CO percorso

dalla Cometa è indicato dalla linea curva che lo avviluppa: lungo il medesimo ar~o, con altecttante figure numerate, sono indicato le posizioni che viste dalla Terea, la Cometa sembrò prendere successivamente d'ora in ora da mezzodl a mezza -notte del 17 settembre. Da quosta figura si vede, che lo. Co-meta fra le 4 e le 6 della sera di quel giorno è passata da-vanti al Sole, poi girandogli intorno, fra le 7 e le lO ore si è nascosta dietro al medesimo, uscendo poi fuori per allon-tanarsene vieppiù nei giorni consecutivi.

(43)

-

~

n-alcuna difficoltà gli astronomi del Capo (ed anche alcuni astronomi d'Europa) poterono vederla accanto al tìole. Ai primi anzi riuscl di fare l'osservazione, unica fino ç\d oggi, del passaggio di una Cometa davanti al disco solare. Eta

que-,sto un antico desiderio degli astronomi, di poter vedere una volta passare una Cometa sul Sole, per sapere se nella testa di questi astri, che appare spesso come una stella molto bril-lante, vi è nascosto qualche nucleo opaco di dimensioni sen-sibili, e pllr giudicare inùltre della densità delle atmosfere lu-minose che danno tanto splendore, producendo quell'apparenza di stella. Alcuno aveva creduto di veder passare davanti al Sole una Cometa nel i8i9, ma si trovò che era stato un' illu-sione. Qui Il on c'era illusione possibile: i signori Finlay ed Elkin dell'Osservatorio del Capo, videro la Cometa avanzarsi gradatamente verso l'orlo del Sole, toccarlo, e poi... scompa-rire affatto. Per quanto eglino s' in~egnassero, non riuscirono a veder sul Sole alcuna traccia della Cometa, sebbene potessero indicare con precisione su qual punto del Sole si trovava. La Cometa era dunque tanto trasparente e tanto rara, che qua-lunque più tenue nube delle nostre avrebbe offuscato il Sole di più: il suo nucleo solido (dato che ne avesse, ed è quasi certo che doveva averne), era tanto piccolo, da non produrre sul Sole alcuna macchia od ombra di dimensioni sensibili al telescopio dell' osservatore. Uscita finalmente dalle vicinanze del globo solare, cominciarono a manifestarsi gli effetti del tremendo I calore sostenuto, e si venne sviluppando quella

(44)

gli studi fatti sulle osservazioni di settembre, ottobre e

no-vembre hanno condotto a stabilire, che la Cometa è periodica, ma di lungo periodo, e che essa ritorna al Sole a determinati intervalli di 8 a 9 secoli. La penultima apparizione ha dun-que avuto luogo nel secolo XI durante le tenebre più fitte del Medio Evo, e la terz'ultima al tempo degli imperatori ro-' mani: non si possono per ora assegnare epoche più precise.

L'orbita della Cometa è una ovale lunga e stretta, di cui noi

non abbiam potuto vedere, che l'estremità più vicina al S@le ~ l'altra estremità giace ad una distanza 175 volte maggiore che

il raggio dell' orbe terrestre, e quasi sei volte maggiore che

la distanza di Nettuno, ultimo dei pianeti. Per rappresentarla nelle misure della fig. la sarebbe stato necessario un foglio di circa un metro di lunghezza. La Cometa percorre

quest'o-vale in otto o nove secoli, ma con molto diversa celerità nelle

diverse parti. Passò vicino al Sole percorrendo ogni minuto

secondo 480 chilom. (press' a poco la distanza rettilinea da Milano a Roma): nel punto della massima lontananza la sua velocità fu circa 2.3,000 volte minore, cioè di soli 21 metri

per minuto seconJo: ciò che è una velocità abbastanza comune

sulle ferrovie.

Dirò adesso qualche cosa dell' aspetto e della grandezza.

della Cometa. Come ho già accennato, prima di avvicinarsi al Sole la Cometa era di apparenza abbastanza modesta, ma sotto l'influsso del gran luminare, quella massa luminosa che for-mava quasi una stella nella testa della Cometa, crebbe presto di splendore tan to che il 1n settembre già al Capo' di Buona Speranza si potè osservarla tutto il giorno, e il 17 settembre si 'riusci ad osservarne il contatto immediato coll'orlo del di-sco solare, cosa che non avviene mai nè dei pianeti, nè delle stelle più luminose. Questa gran luce in parte proveniva dalla

fortissima illuminazione del Sole, in parte era luce propria?

e probabilmente luce di scariche elettriche, secondo che cre-dono oggi i fisici più esperti di questa materia. Continuò ad esser visibile in pieno giornI) fino al 20 di settembre, poi nel-l'allontanarsi dal Sole incominciò a filare quella stupenda coda, che progressivamente si venne allungando fin dopo la

metà di novembre.

(45)
(46)

-

40-modo assai fedele l'aspetto che aveva la Cometa nella mattina del !!1 novembre passato, quando essa era già molto diminuita

di spìendore, ma aveva raggiunto il suo massimo sviluppo quanto a dimensioni. In questo disegno sono indicate le pic-cole stelle, appartenenti alle costellazioni dell' Idra e della Nave Argo, che splendévano vivacemente attraverso alla

Co-meta. attestando cosi quello che già risultava dal suo

passag-gio attraverso al disco solare, esser cioè i suoi inviluppi [or-mati di tenuissima e trasparentissima materia, a confronto

della quale anche l'aria più rarefatta delle nostre migliol'i macchine pneumatiche è sempre qualche cosa di molto denso. La coda non sembrava tanto lunga, molto minore in apparonza per esempio che quella della Cometa del 1861, che prendeva metà del cielo; e ciò, a causa del forte scorcio di prospettiva

sotto cui l'abbiam veduta, e della posizione obliqua del raggio visuale rispetto alla coda stessa. In realtà era assai più lUI1f!a

che tutte le altre Comete finora osservate. Se la posizioll(' della Terra fosse stata più favorevole, avrebbe potuto appa-rire lunga quattro o cinque volte di più. La sua lunghezza

vera poi in quel giorno fu tanto favolosa, che nulla di uguali'

ricordano gli annali dell'astronomia: essa [u di cinquantamila

volte il diametro della Tena, o in altri termini, quattro volti' 1a distanza della Terra dal Sole, o 600 milioni di chilom. La

mostruosa nube, avelldo la testa pi'esso l'orbita di Marte,

-estendeva la: coda fino a quella di Giove, e it numero dell,'

miglia cubiche di spazio da essa occupato era tanto grande, <:he è affatto inutile il dirlo. Tanto stlrzo e tanta apparenza

non nascondevano tuttavia che pochissima sostanza: un

astro-nomo stimò che tutta la materia di qudla coda fosse di pochi

chilogrammi. Ad ogni modo è possibile che il Monte Bianco {) fors'anca la gran Piramide d'Egitto contengano più materia che non ve ne fosse in quella coda, e tale stima si può

ap-poggiare a ragionamenti molto plau 'ibili.

La parte più centrale e più luminosa, che vedete nella

figura è quella che si manifestava all' occhio nudo, o nei co-muni telescopi. Ma adoperando certa specie di telescopi rJ I piccolo ingrandimento e di molta chiarezza si è potuto COJl-:3tatare che quanto si vedeva a primo sguardo, era soltanto

(47)

- 41

-parte dell'intiera Cometa. L,ateralmente alla cod3 più lum:itlosa

si notava infatti essere un' altra coda ugualmente larga " e similmente curvata, ma più fosca e più debole, la qualE! ' ab-bracciava la testa della Cometa, e passande al di là formava su di essa testa f!ualche cosa come un prolungamento. La coda

essendo, come q nella di tutte le Comete, rivolta dalla parte

opposta al Sole, quella specie di prolungamento si allungava al-quanto nella direzione del Sule, per espandersi poi in una

spe-cie di semicircolo: da questo la matpria luminosa ritornava

in-dietru verso la coda centrale, abbracciandola dalle due parti e formando cosi intorno ad essa come due ali o code laterali molto

grandi e di luce debolissima. Fra queste ali e la coda cen-trale vi erano a destra e a sinistra di questa due striscie

in-tieramente oscure. Con queste immense appendici le

dimen-sioni trasversali della coda venivano a misurare circa 3000

diametri della Terra, od un quartò della nostra distanza dal

Sole. Con tutte queste addizioni, che raramente furono vedute

in altre Comete, l'aspetto di questa era proprio nuovo ed

impo-nente, e si può dire che in quel punto aveva raggiunto il più

alto grado di magnificenza. Dopo il 21 novembre continuò ad

impallidire, e cominciò a perdere nelle sue dimensioni appa-renti, però con molta lentezza; tanto che al principio di

gen-naio la coda era ancora abbastanza visibile, nè del tutto era scomparsa il 28 gennaio, nella sera del qual giorno l'aria

purissima e la notte ben scura permisero di seguire l'anda-mento per la estensione di circa 8 gradi, che è un terzo della lunghezza qui figurata. Non si vedeva più che la coda prin-cipale di mezzo; la coda secondaria e le due ali latet'ali erano

affatto invisibili. Fra qualche settimana si cesserà di vedere la coda, e il tutto riprenderà: l'aspetto originario di una

pic-cola nube poco luminosa, la quale finirà per scomparire

an-ch' essa, affievolendosi progressivamente la sua luce a misura che più si allontana,' Essa fuggirà dal Sole, ridotta ad una piccola massa, denudata dalle sue splendide atmosfere e priva di una parte della materia, che aveva arrivando; nè ritornerà che per subire di qui ad 8 o 900 anni una serie ~i vicende uguali a quelle poc' anzi sofferte.

Ora permettetemi di dire alcune parole sul modo con cui

(48)

-

42'-Comete è un corpo solido o liquido di dimensioni talmente piccole, che raramente si è potuto vederlo, od accertarsi in modo plausibile della sua esistenza: nella maggior parte delle Comete, come in questa, pare sia troppo piccolo per rendersi 'Visibile anche nei pntenti telescopi. Pare ancora che in certe Comete \ tal nucleo non sia unico, ma ve ne sian parecchi pic-colissimi e vicinissimi, le cui atmosfere speciali sviluppandosi finiscono per confondersi in un' atmosfera unica. Finché un tal corpo (o sistema di corpi) rimane lungi dal Sole negli. spazi estraplanetari, dove regna una temperatura bassissima (secondo le stIme più moderate di 150 gradi sotto lo zero e

secondo altri di 273 gradi, che è il più gran freddo possibile in natura), finchè esso corre quelle regioni dove il Sole non ha quasi più alcuna forza per riscaldarlo, le materie componenti

il medesimo devono essere in massima parte allo stato solido o almeno liquido: e se vi è qualche parte gazosa o vaporosa, dev'esser ridotta a 'grande densità ed a piccolo volume. L'av-vicinarsi progressivo lungo il ramo discendente della sua o r-bita deve aver per effetto di gonfiare l'atmosfera che lo cir-conda, o di formarne una, se questa già non esiste, col ri-durne allo stato di vapore una parte di ciò che sta alla s u-perficie. In breve, il nucleo comincia ad apparire circondato da un'aureola luminosa, prima debole, poi sempre più brillante

che forma la stella o la testa della Cometa, e la Cometa co-mincia allora a diventar visibile. Molte Comete si arrestano a questo primo stadio, sia per la poca materia atta a formar le loro atmosfere, sia perché scendendo negli spazi interni del sistema planetario, non si avvicinano abbastanza al Sole per sentirne fn qualche maggior grado gli effetti. Vi sono Comete, che non entrano neppure nell' orbita della Terra, altre non arrivano fino a quella di Marte, di una di esse, apparsa nel 1729, si sa appena di poco spazio esser penetrata nell' orbita di

Giove: in generale tutte queste Comete, salvo poche eccezioni, non essendo esposte che in grado assai mediocre all' influenza del Sole, non possono acquistare grande sviluppo e la maggior parte di loro rimane allo stato telescopico. Peggio accade di quelle pròbabilmente numerosissime che arrestano la loro corsa discendente all'altezza di Giove o di Saturno, od anche

a maggior distanza: di queste non se n'é mai potuto vedere

(49)

-

43-Quando però una Cometa, come questa nostra, penetra nei più intimi recessi del sistema planetario, si trova nelle con-dizioni migliori per sviluppare le sue atmosfere, almeno quando essa contiene sufficiente materia in sé per formarle: e tanto più potrà diventar luminosa e grande a parità di circostanze, quanto più le sarà concesso d'avvicinarsi al Sole. Ma il Sole; ,

mentre attrae a sé il nucleo e gli fa descrivere la curva pa-rabolica, ha la proprietà di respingere da sé una parte dell~

materie contenute nell' atmosfera della Cometa. Come e per qual causa ciò avvenga, e quale sia la condizione per cui quella materia é respinta, non è ben noto, e troppo lungo sa-rebbe l'intrattenervi delle varie ipotesi inventate su tale ar-gomento. L'effetto della repulsione è tuttavia indubitabile e manifesto dal fatto, che quelle parti dell'atmosfera cometica, sotto l'impulso del Sole, quasi come cacciate da forte vento che soffii da esso, si distaccano dal, nucleo, e fuggono in di-rezione opposta al Sole. Cosi in quella didi-rezione opposta al Sole si forma la coda, la quale nutrita successivamente dalle

evaporazioni incessanti del nucleo, si va allungando, finché l'atmosfera del nucleo è tutta passata allo stato repulsivo, tutta s'è riversata nella coda, e finalmente s'è esausta. Ciò avviene ordinariamente quando il nucleo, passato il punto del massimo avvicinamento al Sole, si è di nuovo tanto allonta-nato da questo, da sentire un'altra volta il freddo cosmico, e da diventar disadatto a supplire più oltre con nuove evapo-razioni alle parti d'atmosfera, che la coda gli va sottraendo. Perduti i vecchi inviluppi, incapace di furmarsene dei nuovi,

il nucleo è ridotto di nuovo a sè medesimo, e la Cometa scompare. La coda delle Comete é dunque formata di parti di ma-teria, che il Sole respinge da sè con forza misteriosa. Ma du-rante il periodo di conllagrazione che abbiamo descritto, suc-cedono nella Cometa ancora altri fatti interessanti. Essa

è

tanto gonfiata e sconvolta dal calore solare, che il piccolo nu~

cleo talvolta non rie;;ce più a tenerne insieme le parti colla sua propria assai piccola attrazione. Succedono alla superficie del medesimo violente eruzioni, in forza delle qual~ dei fran-tumi del nucleo stesso sono sollevati e portati 1'_ distanze tali,

che l'attrazione del medesimo non é più capace di richiamarli. Questi frantumi corrono allora gli spazi celesti come corpi

(50)

-

44-indipendenti in orbite poco diverse da quella che il nucleo stesso percorre. Avviene talvolta che uno dei pezzi è tanto grande, da formare una nuova Cometa a parte: allora si ha

il fenomeno della divisione di una Cometa in due, che già ò

stato notato più d'una volta. Ma per lo più sembra che i

pezzi distaccati dal nucleo principale siano minutissimi e nu-merosissimi, ch' esso si vada disfacendo per esempio a quel

modo che fa un pezzo di sale gettato sul fuoco, che si risolve in scintille piccolissime e numerosissime. In questo caso si forma lungo la strada percorsa dal nucleo una specie di cor-rente o di processione di corpuscoli, che finisce col tempo per

occupare in parte od anche tutta l'orbita della Cometa, muo-vendosi lungo quella. Molte Comete, se non' tutte, hanno formato lungo il loro corso un simile codazzo: e gli intervalli planetari

sono popolati di cotesti corpuscoli risultanti dallo sfasciamento

parziale delle Comete. Quando la Terra, nel suo giro annuo, attraversa una di tali processioni, incontra una parte di quei

corpuscoli, ciascuno dei quaIi, infiammandosi a contatto

del-l'atmosfera terrestre, vi brucia e vi si perde dopo brevissimo

tempo, formando così ciò che si chiama una stella cadente.

Le stelle cadenti sono dunque nient' altro che particelle

mi-nute di corpi cometari abbandonate nello spazio celeste, e

rac-colte successivamente dalla Terra nell' annuale suo giro. Di un simile processo di disgregazione di un corpo come-tico si è avuto un esempio appunto nella Cometa presente.

Infatti un poco prima della metà d'ottobre, il signor Schmidt, astronomo in Atene, osservò essersi divisa dalla Cometa prin-cipale u~a rara nube di debolissima luce e di forma

irrego-lare, la quale andò progressivamente allontanandosi dalla

Co-meta e flni per disperdersi. Vi el'ano in essa parti più

con-densate e centri di maggior luce, ma la forma generale non era quella di una Cometa. Egli è molto probabile che quella nube fosse composta di piccoli corpuscoli, gettati con forza dal nucleo principale. L'atmosfera stessa, che circondava questo

nucleo principale, dava segni di fenomeni analoghi; essa

in-fatti non era rotonda e simmetrica, ma allungata in forma di

fuso, ed in essa si notavano parecchi centri più luminosi di

Riferimenti

Documenti correlati

A pergunta sobre o essencial não é, portanto, retórica, para nos distrair um pouco esta manhã. Vemos isto quando os desafios mordem a nossa carne e nos impedem de vê-los

Para enfrentar os desafios atuais – culturais, sociais, políticos, jurídicos – não partimos do zero. Temos a riqueza de uma história, de um caminho feito na companhia de

professionali a) 1981-Durante il 1981 frequenta, come preparazione al servizio di volontariato civile, un CORSO DI MEDICINA TROPICALE della durata complessiva di

•  Le
variazioni
clima&lt;che
(temperatura
e
umidità)
durante
il


Il presente bilancio, composto da stato patrimoniale e conto economico, rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria nonchè

I rosai che stanno ancora fiorendo dovranno essere ripuliti delle ultime corolle sfiorite e di qualche ramo spezzato, ma non devono essere potati: questa operazione verrà

Le tavole contengono in prevalenza dati assoluti; sono stati anche calcolati alcuni indicatori demografici (ad esempio, a livello regionale, la speranza di vita a

Figura 8: Differenze di tempera- tura rispetto alla media dell’ulti- mo millennio (linea superiore, sca- la a destra) e concentrazione della CO 2 atmosferica (linea inferiore, scala