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L'INQUINATORE NUOVO TIPO DIAUTORE?

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Anno LXIII Fasc. 2 - 2020

Carlo Ruga Riva

L'INQUINATORE NUOVO TIPO DI

AUTORE?

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L’INQUINATORE NUOVO TIPO DI AUTORE?

Abstract

L’autore, all’esito di una sintetica rassegna del modello di reato ambientale contravvenzionale e dei nuovi delitti ambientali, conclude nel senso che dalle fattispecie esaminate non emerge la figura dell’inquinatore come nuovo tipo di autore. Tuttavia, limitatamente ai nuovi ecodelitti inseriti nel c.p., la severità della complessiva risposta sanzionatoria e il formante giurisprudenziale, non di rado attento alle esigenze di tutela più che ai principi di garanzia, lasciano trasparire un diritto penale di lotta ad un fenomeno (l’inquinamento ambien-tale), più che di contrasto a singoli fatti di inquinamento.

Is the Polluter a New Type of Offender?

Abstract

After providing a concise overview of the model of environmental misdemeanor and of the new environmental crimes, the Author concludes that such offences do not lead to identify the polluter as a new type of offender. However, limited to the new environmental crimes included in the Italian Criminal Code, the severity of the overall sanctioning system and the case law on this matter, which is often more focused on protecting the environment than on the guarantee principles, reveal an orientation of the criminal law towards fighting a phenomenon (i.e. environmental pollution) rather than combating the individual pollution events.

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SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Cosa intendiamo quando parliamo di tipo di autore e di diritto

penale del nemico. — 3. L’inquinatore “contravvenzionale”. — 4. Il “nuovo inquinatore” conquista il codice penale. — 5. Il nuovo diritto penale dell’ambiente come diritto di lotta? — 5.1. Il vero rischio: in dubio pro natura?

1. Premessa. — La difesa dell’ambiente da inquinamenti antropici è

da qualche anno tema centrale nel dibattito pubblico e nell’agenda politica. Basti pensare alla Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco1, dedicata

alla Terra, nostra casa comune, alle campagne di sensibilizzazione seguite agli “scioperi per il clima” guidati da Greta Thunberg fino agli accordi di Parigi2sulla (modesta) riduzione delle emissioni da CO2.

Sul piano giuridico la tutela dell’ambiente, dapprima oggetto di dichiarazioni d’intenti3, è divenuta progressivamente obbligo vincolante

gli Stati: si pensi in particolare all’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea4.

Per quel che ci interessa più da vicino, l’obbligo europeo di tutela effettiva dell’ambiente è stato declinato dalla Direttiva 2008/99 CE5,

dopo un percorso tortuoso sul piano delle competenze (non del valore)6,

in articolati obblighi penali di tutela dell’ambiente.

1 Enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune, del 24

maggio 2015.

2 La Conferenza sul clima tenutasi a Parigi nel dicembre del 2015 si è conclusa con un

accordo intervenuto tra 195 Paesi, volto a ridurre l’aumento medio della temperatura e ad abbassare le emissioni di C03 in atmosfera: cfr. https://ec.europa.eu/clima/policies/international/

negotiations/paris_it.

3 Si veda ad es. la Dichiarazione delle Nazioni Unite alla Conferenza “su l’Ambiente

Umano” tenutasi a Stoccolma dal 5 al 16 giugno 1972.

4 La politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti

obiettivi:

— salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, — protezione della salute umana,

— utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali,

— promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.

La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga...”.

5 Tra i molti si veda ad es. SIRACUSA, La competenza comunitaria in ambito penale al

primo banco di prova: la Direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, in Riv. trim. dir.pen.econ, 2008, 863.

6 Per una sintetica ricostruzione della vicenda v. DE SANTIS, Diritto penale dell’ambiente.

Un’ipotesi sistematica, Milano, 2012, 389 ss.; per una analisi della prima sentenza della Corte

di Giustizia che, su ricorso della Commissione europea, annulla la decisione quadro 2003/80/

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In questo quadro giuridico e in un clima culturale dai tratti preoc-cupati e talora millenaristici per la salute del pianeta e delle future generazioni, il nostro legislatore, all’esito di un dibattito almeno venten-nale, ha finalmente introdotto nel corpo del codice peventen-nale, attraverso la legge n. 68/2015, il nuovo titolo VI-bis, dedicato ai delitti contro l’am-biente.

Da ultimo, il suddetto titolo è stato arricchito dalla fattispecie di “Attività per il traffico organizzato di rifiuti”, migrata tal quale dalla legislazione speciale al codice in virtù del d.lgs. n. 21/2018, attuativo della c.d. riserva di codice.

La legge n. 68/2015, approvata a larghissima maggioranza7e sotto la

spinta delle principali associazioni ambientaliste, rappresenta la prima legge bandiera del Movimento 5 Stelle.

I tratti populistici di tale legge sono sintetizzati dalle parole del “capo politico” dei 5 Stelle, che, su Facebook, ha salutato la riforma con queste parole: “Mando un abbraccio, ....a tutte le mamme della Terra dei Fuochi. Ce l’abbiamo fatta. D’ora in poi chi inquina pagherà con fino a (sic) 20 anni di galera. Sono commosso, grazie”8.

Commozione, vicinanza emotiva e fisica alle vittime, promessa della “galera” in diretta Facebook esprimono fin troppo bene gli ingredienti del populismo penale9, che fa appello ai sentimenti (delle vittime) più

che alla ragione giuridica10.

La legge n. 68/2015 ha plasmato un micro sistema di tutela penale, una mini codificazione “verde”11, formata da nuove fattispecie penali,

nuove versioni di vecchie fattispecie (omessa bonifica, disastro

ambien-GAI del Consiglio dell’Unione europea, v. per tutti MANNOZZI-CONSULICH, La sentenza della

Corte di Giustizia C-176/03: riflessi penalistici in tema di principio di legalità e politica dei beni giuridici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 899.

7 170 voti favorevoli, 20 contrari e 20 astenuti al Senato; 353 favorevoli, 19 contrari e 34

astenuti alla Camera.

8 Parole riportate su ilfattoquotidiano.it del 17 maggio 2015, Ddl Ecoreati è legge. M5S:

‘Abbraccio a mamme Terra Fuochi’. Pd: ‘Giorno storico’.

9 Sul populismo penale v. per tutti AMODIO, A furor di popolo. La giustizia vendicativa

gialloverde, Donelli, Roma, 2019.

10 Nella relazione introduttiva al Convegno Francesco Palazzo ha individuato nel

“sen-timentalismo sociale” una caratteristica del post illuminismo ed una delle cause del mutamento del diritto penale: cfr. il resoconto di INGRAO, Il diritto penale dei “nemici” verso un nuovo

diritto penale dell’autore)? VIII Convegno nazionale dell’associazione italiana dei professori di diritto penale. 25/26 ottobre 2019, Siracusa, in Riv. trim. dir.pen. econ., 2020, 939.

11 RUGA RIVA, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015,

X.

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tale12), pioneristici delitti ambientali cui si offre la vetrina del codice

penale (il già menzionato art. 452-quaterdecies), circostanze aggravanti (una “universale”13e altre due legate a reati associativi14) e attenuanti

ad hoc, misure (obblighi di ripristino, confisca anche per equivalente e di

valori ingiustificati) di incerto statuto (sanzioni amministrative accesso-rie? Misure di sicurezza? Sanzioni sostanzialmente penali?), norme in tema di (raddoppio dei termini di) prescrizione, disposizioni processuali, cause di estinzione delle contravvenzioni ambientali (artt. 318-bis e ss. d.lgs. n. 152/2006).

Nei paragrafi seguenti si analizzeranno i tratti salienti della ormai tradizionale disciplina contravvenzionale e della nuova disciplina codici-stica, alla ricerca di una risposta normativamente fondata alla domanda posta nel titolo: la figura dell’inquinatore assume i contorni di un nuovo tipo di autore, di un nuovo nemico da stigmatizzare e combattere con lo strumento del diritto penale? O ci troviamo piuttosto dinnanzi a una sua variante (il diritto penale di lotta), di contrasto a fatti — o meglio a fenomeni — oggettivamente intesi, che comunque finiscono, per come disegnati e per quanto puniti, con il gettare una luce sinistra sul loro autore?

2. Cosa intendiamo quando parliamo di tipo di autore e di diritto penale del nemico. — Come emerso dalle relazioni introduttive al

Con-vegno, e come si evince dalla amplissima letteratura in tema, vi sono definizioni più o meno ampie di tipo di autore e di diritto penale del nemico15.

12 Come noto la fattispecie di disastro innominato (artt. 434 e 449 c.p.) è stata riempita

di contenuto, nel diritto vivente, anche con la figura del disastro ambientale.

13 Art. 452-novies c.p. 14 Art. 452-octies c.p.

15 La letteratura in materia è sterminata, anche in ambito linguistico tedesco e

casti-gliano, e non vi è qui spazio per adeguate citazioni; a titolo meramente esemplificativo si veda anzitutto, per la analisi — asseritamente — descrittiva JAKOBS, ad es. in Bürgerstrafrecht und

Feindstrafrecht, in HRRS, 2004, fasc. 3, 88 ss., consultabile in https://www.hrr-strafrecht.de/hrr/ archiv/04-03/index.php3?seite=6; per una critica frontale v. tra i molti CAVALIERE, Diritto penale

“del nemico” e “di lotta”: due insostenibili legittimazioni per una differenziazione, secondo tipi di autore, della vigenza dei principi costituzionali, in Crit. Dir., 2006, 295 ss.; per una riflessione

a più voci, compresa quella di Jakobs, v. gli atti del Convegno trentino pubblicati in GAMBERINI

-ORLANDI(a cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico, In memoria di Mario Sbriccoli,

10-11 marzo 2006, Bologna, 2007. Per una critica radicale alla stessa fondatezza teorica e alla utilità concettuale del “diritto penale del nemico”, v. PAGLIARO, “Diritto penale del nemico”:

una costruzione illogica e pericolosa, in Cass. pen., 2010, n. 6, pp. 2460 ss.; per una lettura critica

del diritto penale del nemico e della sua variante del diritto penale di lotta, che al contempo

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Non è questa la sede per approfondire portata e limiti delle diverse definizioni, oggetto di numerosissimi contributi e di accesi dibattiti.

In questo intervento ci limitiamo — del tutto convenzionalmente — ad assumere come rilevanti per i due concetti i tratti sintetizzati nella locandina del Convegno: “...Un nuovo diritto penale dell’esclusione

del-l’autore, che non riproduce i classici tratti di un diritto che sostituisce fatto e offesa con elementi personalistici, ma si profila specialmente in talune esasperate anticipazioni di tutela; in inasprimenti sanzionatori sproporzio-nati all’offesa realizzata, seleziosproporzio-nati riecheggiando concezioni sintomati-che del reato o d’impronta soggettivistica; nella previsione di binari pro-cedimentali diversificati; nelle eccezioni al trattamento e ai benefici peni-tenziari volte a recidere la risocializzazione del condannato”.

3. L’inquinatore “contravvenzionale”. — Almeno un tratto del

di-ritto penale del nemico, così come tratteggiato nella presentazione del Convegno, è paradossalmente più presente nella (mite) legislazione speciale contravvenzionale che nella (severa) nuova disciplina codicistica: si pensi alla anticipazione della tutela che caratterizza quasi tutte le contravvenzioni contenute nel d.lgs. n. 152/200616, fino al punto di

incriminare l’omessa segnalazione della messa in esercizio di impianti previamente autorizzati17, o l’inizio di installazione di impianti destinati,

solo in futuro, ad emettere determinate sostanze in atmosfera18.

Tale tratto è però ampiamente compensato sia dalla tenuità delle sanzioni (spesso pena alternativa dell’ammenda o dell’arresto entro limiti edittali quasi sempre inferiori a due anni) che da vari meccanismi premiali — norme di “diritto penale dell’amico”, per così dire — quali l’oblazione o più di recente la causa di estinzione delle contravvenzioni

ammette una qualche differenziazione comunque rispettosa dei principi e delle garanzie fondamentali, v. per tutti DONINI, Il diritto penale di fronte al “nemico”, in Cass. pen. 2006,

735 ss.

16 Per una sintesi v. tra i molti BERNASCONI, Il reato ambientale. Tipicità, offensività,

antigiuridicità, colpevolezza, Pisa, 2008, 119 ss.; CATERINI, L’ambiente “penalizzato: storia e

prospettive dell’antagonismo tra esigenze preventive e reale offensività, in AQUILINA-IAQUINTA(a

cura di), Il sistema ambiente, tra etica, diritto ed economia, Padova, 2013; SIRACUSA, La tutela

penale dell’ambiente. Bene giuridico e tecniche di incriminazione, Milano, 2007, specie 163 ss.

Prima del d.lgs. n. 152/2006, e con riflessioni che rimangono fondamentali anche per leggere l’attuale realtà normativa, v. CATENACCI, La tutela penale dell’ambiente. Contributo all’analisi

delle norme penali a struttura “sanzionatoria”, Padova, 1996, in particolare 140 ss.

17 Art. 279, co. 3 d.lgs. n. 152/2006.

18 Art. 279, co. 1 prima ipotesi d.lgs. n. 152/2006.

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introdotta proprio dalla l. n. 68/2015 agli artt. 318 e seguenti del d.l.gs. n. 152/2006.

Tali meccanismi consentono di guadagnare la non punibilità per mezzo di contro condotte riparatorie unitamente al pagamento di mo-deste ammende, sicché, complessivamente, l’autore di contravvenzioni ambientali (di regola reati di mera condotta, imperniati su esercizio di attività in assenza di autorizzazione, in violazione delle prescrizioni o in superamento dei valori soglia) che abbia commesso fatti offensivi del-l’ambiente o viene punito (poco) in proporzione all’esiguità delle offese arrecate (“formali” e di pericolo astratto), o può fruire di strumenti premiali per fuggire dalla sanzione penale.

Nessun binario processuale19o penitenziario deteriore è previsto per

l’inquinatore “contravvenzionale”: anzi, nella prassi di molti uffici di Procura e di Tribunale le contravvenzioni ambientali non godono di priorità nella gestione e trattazione dei relativi procedimenti, ciò che contribuisce a spiegare l’alto numero di prescrizioni.

D’altro canto il carcere non è mai stato orizzonte concreto per l’inquinatore contravvenzionale, sicché nessun binario penitenziario è mai stato neppure pensato su tale tipo d’autore.

4. Il “nuovo inquinatore” conquista il codice penale. — Come

anticipato in premessa (supra, 1), il contesto culturale e le fonti sovra-nazionali (specie la Direttiva 2008/99 CE) hanno portato all’emanazione della l. n. 68/201520, il cui frutto più eclatante può cogliersi nella

promozione dell’ambiente a bene giuridico meritevole di collocazione codicistica e di sanzioni penali robuste (fino a 6 anni di reclusione e 100.000 euro di multa per l’inquinamento ambientale, fino a 15 anni di reclusione per il disastro ambientale, entrambi nella forma dolosa; fino a 20 anni di reclusione per il delitto di morte o lesioni come conseguenza di inquinamento ambientale), accompagnate da ulteriori misure

sanzio-19 Il limite alle impugnazioni per condanne aventi ad oggetto contravvenzioni punite in

concreto con la sola ammenda (art. 593, co. 3 c.p.p.) non è ovviamente circoscritto alle sole contravvenzioni ambientali, e dunque non è pensato sui fatti offensivi per l’ambiente né sui soli “inquinatori contravvenzionali”.

20 Sulla nuova legge vedi, tra i molti, per limitarsi alle opere di taglio monografico, DE

SANTIS, Il nuovo volto del diritto penale dell’ambiente, Roma, 2017; CORNACCHIA-N. PISANI (a

cura di), Il nuovo diritto penale dell’ambiente, Bologna, 2016; MANNA (a cura di), Il nuovo

diritto penale ambientale, Roma, 2016; RUGA RIVA, I nuovi ecoreati, cit.; TELESCA, La tutela

penale dell’ambiente. I profili problematici della legge n. 68/2015, Torino, 2016.

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natorie (impregiudicata qui la loro natura) quali la confisca anche per equivalente ed anche di valori ingiustificati, nonché obblighi di ripristino la cui inosservanza integra autonoma fattispecie delittuosa e sanzioni interdittive.

Si tratta di un sotto-sistema — elemento ricorrente nel diritto penale di lotta (cfr. infra, 5) — che complessivamente minaccia una risposta “dura” e articolata da parte dell’ordinamento penale.

Occorre allora chiedersi se tale risposta è prioritariamente indiriz-zata a reprimere offese serie a beni giuridici di rango primario, oppure se il focus della reazione punitiva si indirizza a contrastare l’inquinatore secondo logiche più o meno marcatamente tipiche del diritto penale d’autore o del nemico.

Ad uno sguardo di insieme dei nuovi ecodelitti contenuti nel titolo VI-bis del c.p. può dirsi, mi pare, che non vi è sostituzione di fatto e offesa con elementi personalistici.

Nei nuovi ecodelitti il disvalore del fatto è incentrato vuoi su eventi naturalistici certo complessi e di difficile prova, ma non debitori, sul piano strutturale, di logiche da tipo d’autore (inquinamento e disastro ambientali), vuoi su condotte oggettivamente pericolose per i beni del-l’ambiente o della salute (traffico di materiale radioattivo, attività orga-nizzate per il traffico illecito di rifiuti), o sicuramente offensive delle funzioni di controllo delle autorità preposte alla vigilanza (impedimento del controllo).

Non vi è generalizzata anticipazione di tutela; il cuore della nuova disciplina è rappresentato da delitti di evento e di danno; è vero però che per i delitti di inquinamento e disastro ambientale è prevista una antici-pazione di tutela, attraverso l’incriminazione del pericolo colposamente causato (art. 452-quinquies).

Anche la fattispecie per certi versi eterodossa di impedimento del controllo (art. 452-septies c.p.) che schiettamente incrimina le funzioni di tutela demandate alle autorità di controllo, riguarda pur sempre fatti di intralcio alla attività di vigilanza assunti in una accezione oggettiva.

Ciò che risalta dall’analisi delle nuove fattispecie codicistiche è la severità delle cornici edittali che, unitamente alle altre citate disposizioni

lato sensu sanzionatorie, comporta una reazione punitiva

complessiva-mente ispirata a notevole severità.

Nell’ottica rigorista che anima la legge n. 68/2015 va letto il raddop-pio dei termini di prescrizione (art. 157, co. 6 c.p.: 12 anni per

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mento doloso, 15 in comprendendo eventuali atti interruttivi; 30 anni per disastro ambientale, 37 anni e 6 mesi calcolando eventuali atti interrut-tivi), che alla luce delle recenti riforme spinge verso la (quasi) pratica imprescrittibilità dei delitti citati, in un orizzonte temporale lunghissimo, di assai dubbia compatibilità con il diritto di difesa.

Pare tuttavia che tale risposta “dura” (e a nostro avviso per taluni aspetti sproporzionata per eccesso) sia indirizzata a reprimere fatti reputati come particolarmente gravi per un bene giuridico di rilievo primario, capaci di esprimere offese sicuramente non esigue.

La severità delle pene e delle complessiva risposta sanzionatoria può essere comunque fortemente mitigata da controcondotte riparatorie (ripristini e bonifiche), le quali producono vari effetti: diminuzioni di pena dalla metà a due terzi (art. 452-decies c.p.); esclusione della confisca (art. 452-undecies ult. co. c.p.); nel caso il reato fondi la responsabilità dell’ente, diminuzione da un terzo alle metà delle sanzioni previste per la persona giuridica (art. 12, co. 2 lett. a).

La logica premiale ha natura oggettiva, premiando una controcon-dotta che elimina l’offesa: chi inquina paga, e chi disinquina viene premiato.

Qualche tratto sintomatico-personalistico potrebbe forse riscontrarsi nella sola ipotesi della collaborazione processuale, con riferimento a talune delle fattispecie richiamate dall’art. 452-decies co. 1 ultima parte, ovvero a quelle di natura associativa (art. 416 e art. 416-bis c.p. finalizzate alla commissione di delitti ambientali) o comunque “strutturata” (art. 452-quaterdecies c.p.).

In questi soli casi il premio consegue ad aiuti concreti alle autorità di polizia e giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nella individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.

Aiuti che solo indirettamente, attraverso la disarticolazione o l’inde-bolimento della struttura criminale, possono apprezzarsi in termini di contro-offensività.

Con tale prospettiva, pur sempre legata all’offesa, convive una di-versa prospettiva di natura sintomatico-soggettiva, nel senso che l’inqui-natore (mafioso o comunque parte di associazioni o strutture criminali) è chiamato a “fare i nomi” di associati e concorrenti, ovvero è incentivato a “smarcarsi” dal contesto criminale di riferimento.

Una logica tipica del c.d. diritto penale del nemico (si pensi alla

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legislazione antiterrorismo e antimafia, da taluni ricondotta almeno in parte a tale paradigma), imperniata sul bastone per l’irriducibile e sulla carota per il collaboratore, che da nemico delle istituzioni diviene amico e cooperante21.

In definitiva, nel nuovo diritto penale ambientale codicistico non sono riscontrabili torsioni soggettivistiche nella costruzione delle fatti-specie, né anticipazioni generalizzate di tutela.

Il doppio binario processuale riguarda — al di là della ipotesi di associazione di tipo mafioso con finalità di commettere ecodelitti (art. 416-bis aggravata ex art. 452-octies c.p.) il solo delitto di traffico organiz-zato di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.), inserito nell’elenco dei delitti di competenza della Procura distrettuale antimafia (art. 51, co. 3-bis c.p.p.), e per tale via oggetto delle conseguenti regole processuali differenziate22

(in tema ad es. di avviso di proroga delle indagini preliminari, art. 406, co. 5-bis c.p.p.; di utilizzazione delle intercettazioni raccolte in altri proce-dimenti, art. 270 c.p.p.; di accesso al c.d. patteggiamento allargato; di presupposti per le intercettazioni telefoniche artt. 266, co. 2-bis e 267 c.p.p; di assoggettabilità alle misure di prevenzione, art. 4 d.lgs. n. 159/2011; di attività sotto copertura, ecc.).

Nessun binario penitenziario ad hoc è previsto per gli autori di ecodelitti, se non indirettamente, per i condannati per associazione di tipo mafioso aggravata dallo scopo di commettere delitti ambientali (art. 452-octies c.p.).

5. Il nuovo diritto penale dell’ambiente come diritto di lotta? — La

ricostruzione della disciplina penale ambientale codicistica ha messo in evidenza il ruolo centrale del fatto tipico e il sicuro riferimento a offese apprezzabili per il bene tutelato.

Sarebbe però ingenuo limitare l’osservazione alla struttura delle fattispecie, constatando l’assenza di soggettivizzazioni tipiche del diritto penale del nemico e l’estraneità a logiche da tipo d’autore.

Se infatti si volge lo sguardo alla intensità e all’ampiezza delle

21 Sul tema sia consentito rinviare a RUGA RIVA, Il premio per la collaborazione

proces-suale, Milano, 2002, 457 ss.

22 Per una disamina delle conseguenze processuali e sostanziali collegate all’inserimento

del delitto in esame nell’art. 51, comma 3-bis c.p.p. si rinvia a LOSENGO, Per un ritorno alle

origini: incidenza della normativa antimafia sull’applicazione e l’interpretazione giurispruden-ziale del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in Riv. giur. Amb., 2011, n.

6, pp. 769 ss.

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sanzioni (a tutto l’armamentario sanzionatorio anche non formalmente penale approntato dal titolo VI-bis del c.p.), nonché al raddoppio dei termini di prescrizione, la valutazione si fa più complessa.

L’idea dell’ambiente come tutto indivisibile (e interconnesso con la salute e l’incolumità pubblica), e soprattutto come bene presupposto per il godimento di tutti gli altri beni, spinge verso una concezione di tutela totalizzante, che rischia di sanzionare l’inquinatore in modo sproporzio-nato rispetto al peso del proprio singolo contributo causale.

In altre parole di fronte a fenomeni diffusi di contaminazione am-bientale, conseguenza dello stratificarsi per decenni di attività industriali (e di attività quotidiane di massa come andare in auto, riscaldare le proprie abitazioni o produrre rifiuti domestici) in larga misura consen-tite, si rischia di punire l’inquinatore — talvolta, secondo una parte della giurisprudenza, anche se rispettoso del rischio consentito23— oltre una

misura ragionevole, come capro espiatorio di fronte a inquinamenti obbiettivamente gravi, ma spesso risalenti nel tempo e riconducibili a molte aziende e soggetti diversi.

È la logica del diritto penale che fronteggia fenomeni od emer-genze24, ovvero non fatti isolati (come nel diritto penale classico: singoli

omicidi, singoli furti, singole estorsioni), ma appunto fenomeni espres-sione del sommarsi e protrarsi nel tempo di singole condotte, la cui carica offensiva si amplifica nell’interazione con altre analoghe: in determinati contesti una singola estorsione diviene espressione di metodo mafioso; una determinata attività di violenza assume un significato diverso e più grave se compiuta con finalità di terrorismo.

In tali casi il legislatore non mira tanto e solo a contrastare i singoli

23 Sul tema del rischio consentito rispetto al diritto penale ambientale, e senza alcuna

pretesa di esaustività, si vedano PENCO, Esenzione da responsabilità per attività autorizzata nella

vicenda Ilva: considerazioni a margine del c.d. “scudo penale”, in legislazionepenale.eu.

1.4.2020; RUGA RIVA, Il caso Ilva: disastro e avvelenamento dolosi, in FOFFANI-CASTRONUOVO(a

cura di), Casi di diritto penale dell’economia, II, Bologna, 2015, 160 ss.; ZIRULIA, Esposizione

a sostanze tossiche e diritto penale, Milano, 2018, specie 410 ss.

24 Sulle caratteristiche del diritto penale di lotta si rinvia a DONINI, Diritto penale di lotta

vs diritto penale del nemico, in Aa.Vv., Contrasto al terrorismo interno ed internazionale, a cura

di KOSTORIS e ORLANDI, Torino, 2006, 19 ss.; ID. Il diritto penale di fronte al nemico, Cass. pen.,

2006, n. 2, specie p. 745 ss., cui si rinvia per spunti utili anche a leggere la disciplina penale ambientale, lì non analizzata. Nella modellistica di Massimo Donini l’odierno diritto penale ambientale codicistico presenta alcuni tratti riconducibili, se non ci inganniamo, al secondo paradigma di diritto penale del nemico, ovvero al “diritto penale del fatto in funzione simbolico-espressiva e di lotta contro il male commesso da un tipo normale d’autore” (DONINI, op. ult. cit.,749 ss).

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autori, quanto a lottare contro la mafia e il terrorismo come forme articolate e “collettive” di criminalità25.

In relazione all’ambiente la questione è ancora più delicata, perché le condotte degli inquinatori si iscrivono in contesti (perlopiù) leciti, governati da una fitta disciplina di leggi e prescrizioni amministrative che traccia i confini del rischio consentito, e che dunque permette una ampia quota di inquinamento lecito.

L’inquinatore nel mirino del diritto penale non è dunque l’inquina-tore tout court, ma (di regola) l’imprendil’inquina-tore che non rispetta le regole e che inquina più degli altri, ovvero di coloro, cittadini o imprenditori, che producono emissioni, immissioni o scarichi entro i limiti consentiti.

In tale contesto occorre dunque tener presente che la contamina-zione ambientale penalmente rilevante impatta su matrici ambientali già largamente inquinate, aggiungendovi per così dire una quota relativa-mente modesta (salvo casi eccezionali riferiti a mega stabilimenti indu-striali o a incidenti disastrosi modello “Seveso”).

Insomma, il rischio, come dimostrato dalle parole usate da Di Maio per salutare la nuova legge (cfr. supra, 1), è che si carichi sulle spalle dell’inquinatore, che pure abbia realizzato fatti obbiettivamente offen-sivi, un surplus di pena rispetto alla gravità del proprio fatto e al grado della sua colpevolezza, allo scopo di rassicurazione dei cittadini (e delle madri in primis, secondo il Di Maio pensiero) rispetto a situazioni ambientali frutto — anche e soprattutto — di condotte criminose altrui, di modi di produzione e di stili di vita ecoinsostenibili, di inefficienze burocratiche, di inerzie politico-amministrative condizionate dal (retro) pensiero “not in my backyards”.

La cartina di tornasole del diritto penale di lotta è rappresentata dal catalogo dei delitti per i quali sono raddoppiati i termini di prescrizione, non a caso allargato dalla l. n. 68/2015 agli ecodelitti: tra gli altri, omicidi colposi qualificati, omicidio stradale, maltrattamenti, delitti in tema di pedopornografia e sessuali, oltre allo “zoccolo duro” dei delitti associa-tivi e di terrorismo richiamati dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p. Lo scopo perseguito dal legislatore attraverso l’art. 157. co. 6 c.p.p. non è, come tutti sanno, di consentire alla macchina della giustizia più tempo per indagare e giudicare, ma, al fondo, di garantire più tempo per

25 Cfr. DONINI, Il diritto penale di fronte al nemico, cit., 745 ss.

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condannare gli autori di fatti anche molto risalenti, ritenuti a torto o a ragione di particolare (e persistente) allarme sociale.

5.1. Il vero rischio: in dubio pro natura? — Il vero pericolo di

deroghe ai principi e alle garanzie, a mio avviso, non sta tanto nel formante legislativo (per vari aspetti certamente colpevole di vaghezza) e nel modello di diritto penale dell’ambiente che esso esprime, quanto nel (de)formante giurisprudenziale.

È nel c.d. diritto vivente che vigono regole probatorie e interpreta-zioni discutibili: si pensi alla presunzione di rifiuto assegnata ai residui di produzione26, con onere spettante alla difesa di dimostrarne la natura di

sottoprodotto o di materia prima secondaria27; alla c.d.

corresponsabi-lizzazione del produttore e del detentore di rifiuti per ogni successivo passaggio fino allo smaltimento o al recupero, ricavata da una norma non penale (art. 188 d.lgs. n. 152/2006) interpretata senza troppa cura per il principio di colpevolezza28; alle interpretazioni disinvolte che hanno

interessato, a fini di tutela ambientale, le fattispecie di getto pericoloso di cose (in tema di elettrosmog e c.d. emissioni odorigene29), di disastro

innominato, e, da ultimo, la riconduzione delle emissioni luminose ad una vaghissima disposizione penale contenuta nella legislazione spe-ciale30; alla programmatica negazione di ogni spazio al caso fortuito e

26 Sul punto è stata teorizzata in giurisprudenza un’interpretazione programmaticamente

estensiva del concetto di rifiuto asseritamente in linea con la interpretazione eurounitaria di rifiuto, per altro non pensata a fini penali: v. ad es. Cass. sez. III, 13 aprile 2011, Spinello, in

De Jure.

27 Sull’onere della prova spettante all’imputato che contesti la natura di rifiuto di un

determinato residuo e ne affermi la natura di sottoprodotto v. tra le molte Cass. sez. III, 17 aprile 2012, n. 17453, in Amb & Svil. 2012, 613.

28 Si veda ad es. Cass. sez. III, 28 febbraio 2012, n. 13363, Brambilla, in Amb & Svil., 2012,

925 ss.

29 Per una sarcastica critica alla giurisprudenza che applica l’art. 674 c.p. alle emissioni

odorigene e al c.d. elettrosmog, quale esempio paradigmatico di “libertinaggio ermeneutico”, v. MICHELETTI, Jus contra lex. Un campionario dell’incontenibile avversione del giudice penale

per la legalità, in Discrimen, 2016, 169 s.

30 Cass. sez. III, 9 marzo 2020, n. 9353, in Lexambiente.it, la quale ritiene che la

proiezione verso l’alto di fasci di luci bianche e colorate provenienti da una discoteca, all’interno di una area protetta, rientri nella fattispecie penale dell’art. 6, co. 3 l. n. 394/1991, la quale tra l’altro incrimina, in modo a dir poco vago, oltre a determinate condotte ivi tipizzate, “quant’altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell’area protetta”. Per una prima analisi della sentenza cfr. BONFANTI, L’inquinamento luminoso approda in Cassazione, in Lexambiente.

Riv. Trim. dir. pen. amb, 2020, n. 2, 32 ss.

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alla forza maggiore in caso di guasti ad impianti produttivi di inquina-menti31.

Dietro gli orientamenti richiamati si cela, — azzardiamo —, una certa ideologia ambientalista, in sé apprezzabile, che talora finisce però per vulnerare principi (di legalità, di colpevolezza, di onere della prova a carico dell’accusa), in nome di percepite esigenze di tutela dell’ambiente e di riscontrate lacune legislative.

Insomma, in dubio pro natura — come indicato (con pudico punto interrogativo finale) in un Convegno organizzato da pubblici ministeri brasiliani nel quadro della Conferenza internazionale Rio+20 sullo svi-luppo sostenibile, nel 2012, — con buona pace dell’ormai vetusto canone del in dubio pro reo.

La prospettiva di tutela della natura, prevalente sulla tutela delle garanzie dell’imputato, emerge come visto anche nell’interpretazione dei requisiti di diritto penale sostanziale, finendo col privilegiare letture sfavorevoli all’imputato.

In definitiva, il diritto penale ambientale, pur essendo un diritto penale del fatto, lascia intravvedere alcuni tratti del diritto penale di lotta, leggibili nei proclami sentimentali del legislatore (quanto meno nella loro enfatizzazione massmediatica), nella severità del quadro san-zionatorio complessivo (comprensivo di confische per equivalente e di valori ingiustificati e di obblighi di ripristino a loro volta assistiti da pena) e, soprattutto, in una applicazione giurisprudenziale non di rado funzio-nale alla tutela del bene protetto a discapito delle garanzie e dei principi penalistici.

31 Si veda per tutti la ricognizione giurisprudenziale di BERNASCONI, Il reato ambientale,

cit., 204 ss.

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