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Da Hobbes – Il Leviatano – cap.18

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Academic year: 2021

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Da Hobbes – Il Leviatano – cap.18

Uno stato è istituito, quando una moltitudine di uomini si accordano e convengono, ognuno con ognuno, che, a qualunque uomo o assemblea di uomini sarà dato dalla maggior parte il dritto di rappresentare le persone di loro tutti – cioè a dire di essere il loro rappresentante –, ognuno, tanto chi votò per lui, quanto chi votò contro, autorizzerà tutte le azioni e decisioni di quell'uomo o di quell'assemblea di uomini, allo stesso modo, come se fossero proprii, allo scopo di vivere in pace tra se stessi edi essere protetti contro gli altri.

Coloro, che sono soggetti ad un monarca, non possono, senza il suo permesso, liberarsi di una monarchia, e ritornare alla condizione di moltitudine sparpagliata, né trasferire la propria persona da lui, che la rappresenta, ad un altro uomo o ad un'altra assemblea di uomini, poiché essi si sono obbligati, ognuno con ognuno, a riconoscere ed a considerarsi autori di tutto quanto colui, che è già loro sovrano, farà e giudicherà opportuno che sia fatto

Poiché il dritto di rappresentare la persona di tutti gli altri è dato a colui, che quelli fanno sovrano, solo per patto deII'uno con l'altro, e non per patto di lui con ognuno di essi, non può avvenire nessuna rottura di patto da parte del sovrano, e, per conseguenza, nessuna da parte dei sudditi, con il pretesto di una pena, che possa liberare loro daIIa soggezione.

L'opinione che un monarca riceva il suo potere con un patto, cioè a condizione, deriva dal non intendere questa facile verità, che i patti, non essendo che parole e fiato, non hanno altra forza di obbligare, trattenere, costringere e proteggere un uomo, se non quelIa, che hanno dalla pubblica spada, cioè a dire daIIe mani non legate di quell'uomo o di quell'assemblea di uomini, che ha la sovranità, e le cui azioni sieno riconosciute da tutti, e compiute dalla forza di tutti, concentrata in essa.

Allorché la maggioranza ha, con voti unanimi, eletto un sovrano, colui, che dissentiva, deve allora consentire con gli altri, cioè esser contento· di riconoscere tutte le azioni, che quello farà; se no giustamente sarà distrutto dagli altri. Infatti, se egli volontariamente entrò nell'associazione di quelli, che si erano riuniti, egli ha con ciò dichiarato abbastanza il suo volere e perciò tacitamente ha convenuto di stare a quello, che la maggioranza avrebbe ordinato; e perciò, se rifiuta o protesta contro qualcuno dei suoi decreti, agisce contrariamente al patto, e perciò ingiustamente. Ed appartenga all'associazione o no, e sia richiesto o no il suo consenso, egli deve sottomettersi ai decreti di quella, o esser lasciato nella condizione di guerra, in cui prima si trovava, ed in cui, senza ingiustizia, poteva esser distrutto da qualunque uomo.

Poiché ogni suddito è per questa istituzione autore di tutte le azioni e di tutte le decisioni del sovrano istituito, ne segue che qualunque cosa egli faccia non può recare offesa a nessuno dei suoi sudditi né deve essere, per nessuna di esse, accusato di ingiustizia. Infatti colui, che fa una cosa per autorità ricevuta da un altro, non arreca offesa a quello, con l'autorità del quale agisce; e siccome per questa istituzione dello stato ogni singolo uomo è autore di tutto ciò, che il sovrano fa, per conseguenza chi si duole di un'offesa ricevuta dal suo sovrano si duole di una cosa, di cui egli stesso è autore, e perciò non deve accusare altri che se stesso, né può farlo, perché offender se stessi è impossibile. È vero che coloro, che posseggono un potere sovrano, possono commettere un'iniquità, ma non un'ingiustizia od un'offesa nel senso proprio.

è connesso con la sovranità l'esser giudici di quelle opinioni e di quelle dottrine, contrarie o favorevoli alla pace, e per conseguenza in quali occasioni, fin quanto e come bisogna fidarsi degli uomini, che parlano al popolo, e di giudicare chi debba

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esaminare le dottrine di tutti i libri, prima che sieno pubblicati. Le azioni degli uomini procedono infatti dalle loro opinioni e, governando bene le opinioni, si governano bene le azioni riguardo alla pace ed alla concordia. E benché, in materia di dottrine, non si debba avere in considerazione che il vero, questo tuttavia non è contrario a mantenere la pace, poiché una dottrina contraria alla pace non può esser vera più di quanto la pace e la concordia sieno contrarie alla legge di natura.

È connesso con la sovranità ogni potere di prescrivere norme, per mezzo delle quali ogni uomo possa conoscere quali sono beni, che può godere, e quali azioni può fare, senza essere molestato da nessuno degli altri sudditi: il che gli uomini chiamano proprietà.

È connesso con la sovranità il dritto di giudicare, cioè di ascoltare e decidere tutte le controversie, che possono sorgere riguardo alla legge, civile o naturale, o riguardo ai fatti

È connesso con la sovranità il dritto di fare guerra e pace con le altre nazioni e con gli altri stati, cioè a dire di giudicare quando la guerra sia di pubblico vantaggio, e quante forze debbano essere radunate, armate e pagate a quel fine, e del denaro, che dev'essere tratto dai sudditi, per sostenerne le spese.

È connessa con la sovranità la scelta di tutti i consiglieri, ministri, magistrati ed ufficiali, insieme per la pace e per la guerra, Al sovrano è dato anche il potere di premiare con ricchezze ed onori, e di punire con pene corporali o pecuniarie, o con l'ignominia, ogni suddito

Questi sono i dritti, che costituiscono l'essenza della sovranità, e che sono i segni, per i quali un uomo può discernere in quale uomo o in quale assemblea di uomini il potere sovrano sia posto e risieda. Poiché questi dritti sono incomunicabili ed inseparabili. Il potere di coniare moneta, di disporre della proprietà e delle persone degli eredi fanciulli, di avere il dritto di decima nei mercati, ed ogni altra prerogativa, può essere ceduta dal sovrano, pur conservando il potere di proteggere i suoi sudditi; ma, se egli cede la milizia, invano tiene per sé il dritto di giudicare, poiché non potrebbe far eseguire le leggi; o se egli aliena il potere di levar moneta, la milizia è inutile; o se rinunzia di regolare le dottrine, gli uomini saranno sbigottiti nella ribellione con il timore dei fantasmi; e così, se noi consideriamo allo stesso modo ciascuno di quei dritti, ci accorgeremo che alienarne uno e conservare gli altri non produrrà nessun effetto per la conservazione della pace e della giustizia, che è il fine, per cui gli stati sono istituiti.

E se non vi fosse stata prima un'opinione, accettata dalla maggior parte dell'Inghilterra, che questi poteri fossero divisi tra il re, i Lord ed i Comuni, il popolo non si sarebbe mai diviso, e non sarebbe caduto in questa guerra civile

Come il potere, così l'onore del sovrano dev'essere più grande che quello di uno o di tutti i sudditi, poiché nella sovranità è la sorgente dell'onore. Le dignità di lord, conte, duca e principe derivano da lui. Come in presenza del padrone i servi sono tutti eguali e senza alcuna dignità, così sono i sudditi in presenza del sovrano, e, spicchino essi di più o di meno, quando sono lontani dal suo sguardo, alla sua presenza essi non spiccano più che le stelle di fronte al sole.

Ma si potrebbe obbiettare che la condizione dei sudditi è molto miserevole, essendo soggetti alle voglie ed alle passioni irregolari di colui o di coloro che hanno un così illimitato potere nelle mani; ed infatti generalmente quelli, che vivono sotto un monarca, pensano che questo sia il difetto della monarchia, e quelli, che vivono sotto un governo democratico, o qualunque altra assemblea sovrana, attribuiscono tutti gli inconvenienti a quella forma di governo, mentre il potere, sotto tutte le forme, se è abbastanza buono a proteggerli, è lo stesso, senza considerare che lo stato dell'uomo non può mai essere esente da qualche

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incomodo, e che il più grande, che, sotto una qualunque forma di governo, possa capitare ad un popolo, è appena sensibile, in confronto delle miserie e delle terribili calamità, che accompagnano una guerra civile, o quella dissoluta condizione di uomini senza un rigore, senza una soggezione alle leggi e senza un potere coercitivo, che impedisca le loro mani dalla rapina e dalla vendetta; e senza considerare che la maggiore oppressione di un sovrano deriva non da un piacere o da un profitto, che possa aspettarsi dal danno o dall'indebolimento dei suoi sudditi, nel vigore dei quali consiste la sua forza e la sua gloria, ma deriva dal ricalcitrare dei sudditi stessi, i quali, non contribuendo volentieri per la propria difesa, rendono necessario, da parte dei loro sovrani, di cavare da essi quanto possono, in tempo di pace, affinché possano avere i mezzi, in un'occasione impellente o in subito bisogno, di resistere o avvantaggiarsi sui loro nemici.

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