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Quelle notti da Far West nei piazzali della logistica

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LA STORIA

di Dario Di Vico|18 giu 2021

Mario Sassi è un ex manager della grande distribuzione e ha passato molte notti sui piazzali della logistica, quella terra di nessuno del nuovo conflitto sociale dove i Cobas bloccano i cancelli e si scontrano gli autisti dei camion in attesa. Anni tra rivendicazioni continue e picchetti duri, con la merce che deve arrivare per tempo nei supermercati e i facchini

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Quelle notti da Far West nei piazzali della logistica

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senegalesi contro i sudamericani in un assurda guerra tra poveri. Dopo i fatti di Tavazzano dove le cronache giornalistiche hanno illuminato scene da nuovo far west, Sassi ha raccontato sul blog, che si occupa di mondo del lavoro, la sua esperienza. «Chiunque si interessi per lavoro di magazzini logistici, cooperative serie o spurie e sindacati del trasporti, sa che sui piazzali le notti sono lunghe e le contrapposizioni tra gli uni e gli altri sono durissime».

A Tavazzano, davanti alla ditta Zampieri — spiega Sassi — è andata in onda un’ennesima replica. Spesso si tratta di fatti che restano confinati ai comunicati dei Cobas e si concludono con una scazzottata tra autisti inviperiti, gomme bucate, scontri tra etnie contrapposte. «La scelta del blocco improvviso e notturno dei piazzali è strategica per i Cobas perché a quelle ore di solito la polizia è lontana o non arriva in tempo». La mobilitazione per i picchetti duri avviene anche con il tam-tam sulla Rete e qualche volta coinvolge anche i giovani dei vari centri sociali, come è accaduto spesso attorno a Lacchiarella o in altre località dell’hinterland. «Il sindacalismo confederale ha sottovalutato l’emergere di questo fenomeno, anzi all’inizio erano stati proprio Cgil-Cisl e Uil a dar vita alle prime cooperative di facchini. Ma allora i contratti di lavoro erano riconosciuti e rispettati».Poi, secondo Sassi questo meccanismo è scappato di mano. Le cooperative più serie hanno saputo reggere ma una buona parte è stata travolta dall’ingresso sul mercato di soggetti spregiudicati che hanno creato finte cooperative e praticato il dumping salariale con il ricorso agli immigrati. E questo ha incrinato gli storici rapporti tra sindacato, imprese e cooperative.

La seconda rottura è stata la sottovalutazione della nascita della terza classe operaia, per usare una classificazione del sociologo Antonio Schizzerotto, quella senza memoria storica, senza radici e spesso inerme di fronte al predominio dei caporali. «Il sindacalismo confederale ha sempre rappresentato i lavoratori dei trasporti, altra mentalità, altra idea della rappresentanza, e così si è ritrovato incapace di intercettare soggetti totalmente diversi». In questa divaricazione si sono inseriti i Cobas che hanno messo nel mirino i confederali, li hanno accusati di essere complici delle imprese e hanno cavalcato la rabbia, le difficoltà linguistiche e persino le contrapposizioni tra etnie. Per governare queste discontinuità ci sarebbero volute delle controparti aziendali capaci e invece è emersa, sempre secondo Sassi, «una debolezza delle direzioni del personale non attrezzate ad affrontare un nuovo tipo di conflitto perché legate agli schemi del ‘900». «Se a questo aggiungiamo le pretese del massimo ribasso nelle gare per l’aggiudicazione della gestione dei magazzini da parte dei clienti e una conduzione molto spregiudicata e rigida delle risorse umane completiamo il quadro». E capiamo come i Cobas si siano potuti affermare. «Quando Cgil-Cisl-Uil se la prendono con Amazon che i contratti comunque li rispetta e si girano dall’altre parte su ciò che capita nei piazzali roventi dimostrano di non capire le differenze tra conflitto nella legalità e far west».

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Le aziende che operano nella logistica per venirne a capo dovrebbero affidarsi a interlocutori seri, azzerare il rapporto con le cooperative meno trasparenti e accettare un aumento dei costi come giusto prezzo per avere il controllo della situazione e non vivere con il telefono acceso tutta la notte. «I Cobas non avendo regole da rispettare si muovono nelle pieghe del diritto e nelle contraddizioni come pesci nell’acqua e si giovano anche del fatto che le forze dell’ordine non sono attrezzate a contrastare fenomeni improvvisi e imprevedibili anche per loro». Questa situazione dura da troppi anni. Adesso è addirittura peggiorata e gli ultimi fatti lo dimostrano, le aziende hanno cominciato anche a commettere errori imperdonabili sostituendosi alle autorità di polizia e venirne a capo non sarà facile. «Il confine tra diritti e soprusi è stato varcato, ci sono organizzazioni para-criminali che ricattano le imprese, l’immigrazione legale è fusa con quella clandestina, legalità e illegalità non si distinguono più» dice Sassi. Bisogna ricostruire quel confine prima che la situazione degeneri con ulteriori e prevedibili violenze che potrebbero far impallidire il ricordo di Tavazzano. Sono in troppi a scommettere sul caos.

© RIPRODUZIONE RISERVATA   A SALVE (LECCE) di Redazione Economia LAVORO di Diana Cavalcoli

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