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Contributi alla interpretazione dei manufatti storico-artistici dell’Orto botanico diPalermo: mito e allegoria nelle decorazioni parietali e sculture della Schola RegiaBotanices

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(1)

i

nTRODuziOnE

L’importanza dell’’Orto Botanico di Palermo quale dimora non solo di collezioni di piante vive, in massima parte molto speciali, ma anche di arte, è stata già messa in rilievo in altre occasioni e anche da altri autori. in effetti, il giardino scientifico di Via Lincoln – spazio urbano in cui arte e natura convivono – accanto alle architetture di pregio progettate e realizzate da maestri di grande prestigio e noto- rietà, ospita anche pitture e sculture: le prime, opera di Giuseppe Velasco; le seconde, di Domenico Danè, Gaspare Firriolo, nunzio Morello, Benedetto Civiletti e Mario Rutelli (R

AiMOnDO

& M

AzzOLA

, 1992).

in questo ulteriore contributo sui manufatti storico-arti- stici dell’Orto Botanico palermitano, ci si sofferma sugli affreschi e su alcune sculture del Ginnasio, primo edificio neoclassico realizzato a Palermo (1789-1795) su progetto del celebre architetto parigino Leòn Dufourny. Si tratta di opere consegnate all’attualità grazie ai periodici interventi di restauro messi in atto dalle istituzioni pubbliche che ne hanno avuto la cura nel tempo: tra queste, in primo luogo, l’università degli studi di Palermo di cui l’Orto è emana- zione sin dalla sua fondazione nel 1806.

igea ed Esculapio, come si vedrà, incarnano il mito della rigenerazione della natura, in particolar modo patrocinando la prosperità delle piante utili e medicamentose, temi pro- posti nelle pitture parietali del pronao e della volta della sala circolare della Schola, oggi solo sede materiale della

Cattedra di “Botanica e Materia medica” da cui celebri botani- ci – l’ultimo dei quali Antonino Borzì (1852-1921) – dettaro- no le loro lezioni.

L’analisi critica delle opere ricordate – già oggetto di atten- zione da parte di vari studiosi e critici dell’arte – viene fatta precedere di seguito da una sintetica presentazione dell’Orto botanico e della sua storia.

L

Eòn

D

uFOuRny E iL PROGETTO DELLA

S

CHOLA

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OTHANICES Di

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ALERMO

:

TRA nEOCLASSiCiSMO E RiSCOPERTA DELL

AnTiCO

A Palermo, il nuovo Orto Botanico nasce come emana- zione dell’Accademia dei Regi Studi, a confine del lato Est della “Villa del Popolo” – successivamente chiamata Villa Giulia – primo giardino pubblico palermitano realizzato fuori le mura della città, nel 1777. La sua posizione è deter- Quad. Bot. Ambientale Appl., 27 (2016): 19-29.

Contributi alla interpretazione dei manufatti storico-artistici dell’Orto botanico di Palermo: mito e allegoria nelle decorazioni parietali e sculture della Schola Regia Botanices

V. M

AGRO1

& F.M. R

AiMOnDO2

1Società cooperativa Cultura Botanica, via Lincoln 13-15, i - 90123 Palermo.

2Dipartimento STEBiCEF/Sezione di Botanica ed Ecologia vegetale, Via Archirafi 38, i - 90123 Palermo.

A

BSTRACT

. –

Contributions to the interpretation of the historical and artistic handicrafts of the Botanical Garden of Palermo: myth and allegory in the wall decorations and sculptures of Schola Regia Botanices – After a short premise and the foundation in the XVii century of the Botanical Garden of Palermo and a more careful reflection about the neoclassic movement, it is herewith analyzed the pictorial cycle of the wall decoration of the Gymnasium, G. Velasco’s works, maximum exponent of the neoclassic painting in Sicily. in particular, analyses are made about the paintings in the vault and in the hall of the building, all focused on stories and myths of gods and heroes connected to parousia of life and death of plant world or of the benefits connected to the cultivation of useful plants, themes filtered from the Greek and Roman world through the cultural and ideological stream of that period. By a critical reading of the work, a stylistic analysis and a deep cultural research, the Gaspare Firriolo’s stucco sculptures, placed on either side of the entrance portal of the ancient Schola, are here analyzed; they represent two of the most important gods linked to the cycles of Earth in the ancient world: Aesculapius and Hygeia, whose worship survived for long time in the country, even after the establishment of Christianity, all along the Mediterranean Basin.

Key words: Greek myth, Roman myth, Greek gods, botanical garden, usefull plants, medicinal plants.

1. Si deve all’allora presidente della Gran Corte Civile, Giovan Battista Paternò Asmundo (1720-1805) la volontà di insediare il nuovo Orto Botanico di Palermo nel- l’attuale sede – accanto alla villa senatoria, “La Flora”, detta anche Giulia in onore di Giulia D’Avalos moglie del Vicerè Marcantonio Colonna – nel piano di S. Erasmo, nelle terre della Vigna del Gallo, proprietà del Duca d’Archirafi (RAiMOnDO &

MAzzOLA, 1992).

2. il progresso in campo scientifico, per quanto riguarda Palermo, è stato il frutto della ricerca erudita ed illuminista della Deputazione degli Studi, incoraggiata e sostenuta da vicerè, quali lo stesso Caramanico, che accoglieva, con grande zelo e consapevo- lezza, i benifici della scienza e dell’istruzione (DOuFOuR, 1996).

Pubblicato online: 21.10.2019

http://www.quadernibotanicambientaleappl.it

(2)

minata dalla Villa stessa e dall’antico stradone di Sant’Antonio – oggi via Abramo Lincoln –esistente come strada alberata a pioppi dal 1633 (M

AuRO

& al., 1987).1

È un’istituzione accademica derivata dal piccolo Orto sorto sul bastione di Porta Carini nel 1781 e poi trasferito appunto nel piano di S. Eramo dove sarà realizzato tra il 1789 e il 1795 per volontà della Deputazione degli Studi e del Senato palermitano, sotto gli auspici del Re Ferdinando iii di Borbone (1751-1825) e la consorte, la regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena (1798-1870). La sua realizza- zione poté avvenire grazie a consistenti contributi elargiti dallo stesso sovrano, dalla Municipalità, dal Vicerè Francesco Maria Venanzio d’Aquino, principe di Caramanico (1738-1795), oltre che di ricchi e munifici patrizi e prelati della Città.2

Sotto l’aspetto scientifico nasceva grazie agli stimoli del francescano Bernardino da ucrìa (1739-1796), sotto la dire- zione di Giuseppe Tineo (1756-1812) professore di Botanica e Materia Medica, come sussidio all’insegnamen- to superiore e alla ricerca anche per dare nuovo impulso all’industria e all’agricoltura, oltre che per conferire ulterio- re decoro alla città (R

AiMOnDO

& M

AzzOLA

, 1992).3

Diversamente da altri orti botanici sorti prima e dopo in italia, quello di Palermo nasce da un preciso disegno a cui lavorano i più celebri architetti del tempo.

inizialmelmente il progetto fu affidato nel 1788 a Salvatore Attinelli (1736-1802), architetto camerale della Regia Corte contrapposto all’architetto francese Lèon Dufourny (1754-1818) – attivo a Palermo dal 1789 al 1793 – a cui fu conferito il definitivo incarico di proget- tare il reale Orto botanico. Alla sua realizzazione collabora- rono altri valenti architetti quali Pietro Trombetta, Domenico Marabitti e Venanzio Marvuglia che portò a compimento il pro- getto delle fabbriche in seguito al forzato rientro in Francia del Dufourny nel 1793.

A questi si affiancarono diverse maestranze palermitane, tra cui il pittore Giuseppe Velasco (1750-1827), gli stuccatori Gaspare Firriolo (1730-1791), Domenico e Vitale Tuccio e lo scultore Domenico Danè tutti aderenti alla cultura e alla filoso- fia dell’arte neoclassica nata nel secolo dei Lumi (R

AiMOnDO

, 2012).

Proprio per l’avvento della nuova stagione culturale – che pervade tutti gli ambiti del sapere, dalla Scienza alla Filosofia, dall’Architettura alle Arti applicate – e per le nuove impo- stazioni sistematiche introdotte da Carlo Linneo (1707-1778), si ha la fondazione e la trasformazione di tantissime strutture botaniche di antica tradizione, pur conservandone comunque gli spazi, la struttura e gli impianti originari.4 È il secolo della circolazione delle idee i cui effetti implicano il supera- mento delle tradizioni, lo sradicamento delle superstizioni e delle vecchie concezioni, e del progresso nei diversi campi della Scienza. Proprio in funzione di questo rinnovamento, il nuovo Orto botanico cittadino si può considerare il primo in Europa inteso come autentica e nuova istituzione per l’apprendimento e l’insegnamento della botanica, segnando una netta cesura con l’antiquato sistema scientifico dei secoli passati (L

O

n

ARDO

, 2004). All’epoca della sua istituzione, l’Orto botanico offriva ai suoi promotori il fascino di una scienza appena rivalutata, la botanica, di grande utilità sociale, che non si limitava più semplicemente ai suoi benefici in ambito medico, ma spostava le sue ricerche anche in agricoltura, a quel tempo considerata dai fisiocrati

sorgente di tutte le ricchezze (D

uFOuR

, 1996).

il principe di Caramanico, vicerè erudito ed illuminato massone, segue da vicino la predisposizione del nuovo Orto botanico e la sua progettazione, non escludendo la persona- le partecipazione riguardo la scelta delle scene mitologiche e i personaggi allegorici da apporre nelle decorazioni archi- tettoniche delle strutture, che oggi costituiscono il settore storico dell’Orto.

Dufourny riceve l’incarico di progettare la Schola nel set- tembre del 1789, ma già il 3 agosto dello stesso anno aveva visitato l’area e si stupisce nel trovarla già recintata, in parte

“alberata con piante vigorose” (L

O

n

ARDO

, 2004). il terreno fu successivamente ripartito in quattro appezzamenti rettango- lari - che prendono il nome di quartini - separati da due viali ortogonali che avrebbero ospitato le collezioni ordinate secondo il Sistema di classificazione di Linneo.

Corredavano l’impianto del giardino fontane e vasche fra cui, all’estremità orientale, “il Grande lago” – oggi Aquarium – destinato ad accogliere la ricca collezione di idrofite.5

La costruzione del complesso architettonico dell’Orto, fu terminata nel 1795, due anni dopo il ritorno in patria del Dufourny, anticipato per ragioni politiche. L’impianto architet- tonico risultò costituito da un edificio centrale, il Gymnasium, sede della Schola Regia Botanices, dell’Herbarium e della Biblioteca e dell’alloggio del direttore, arricchiti da elementi decorativi di gusto neoclassico; il Calidarium e il Tepidarium, abbelliti da metope ad alto rilievo eseguiti da Domenico Danè e nel 1838 furono innalzati i due edifici di servizio, simmetrici al Calidarium e al Tepidarium, opera dell’architetto Carlo Giachery (1812-1865) (R

AiMOnDO

& M

AzzOLA

, 1992).

Quando comincia a lavorare al progetto del nuovo Orto Botanico di Palermo, Dufourny ha già chiaro il suo percor- so creativo. Allievo dell’architetto classicista David Le Roy, presso l’Accademia di Architettura di Parigi – dopo aver concluso gli studi nel 1778 – intraprende il viaggio in italia,

3. il razionale indirizzo assunto dalla Scienza sin dalla prima metà del Settecento andò sempre più interessando le Scienze naturali oltre che la Botanica e condusse, alla fine del Secolo, ad un periodo di elevata fecondità della ricerca e dell’attività, esercitando la sua benevola influenza anche sugli studiosi siciliani. in questo fervore, nel 1778, nasceva a Palermo la Regia Accademia degli Studi – convertita alla fine del 1805 in Regia università – presso la quale furono attivate varie cattedre fra le quali quella di Storia naturale e Botanica. in questo periodo veniva istituito il primo Orto botanico pubblico, insediato sul bastione di Porta Carini. Dimostratore ne fu inizialmente Giuseppe Tineo; a ricoprire la cattedra di “dimostratore di Botanica” fu allora chia- mato padre Bernardino da ucria. Quest’Orto che ben presto si rivelò angusto ed ina- deguato alle esigenze didattiche, incapace di ulteriore sviluppo, tanto che, qualche anno dopo la sa fondazione, si iniziarono le pratiche per un suo trasferimento nel luogo dove tuttora si trova (RAiMOnDO& MAzzOLA, 1992)

4. La nascita della Botanica come scienza indipendente dalla Medicina, avviene pro- prio attraverso gli studi di Carl von Linnaeus; questi, nel 1758, apre la scienza ad una nuova visione del mondo attraverso il Sistema naturae, opera che classifica gli oggetti e gli esseri naturali nei tre classici regni: il regno minerale e i regni animale e vegetale, secondo un criterio unitario. La teoria linneana rappresenta una svolta assoluta nel campo della botanica e nel secolo dei Lumi va a sommarsi alle più grandi scoperte scientifiche del tempo, accanto alle produzioni artistiche e alle grandi trasformazioni sociali. in particolare gli studi di Linneo appartengono a quel filone illuministico del naturalismo che vede nella ragione lo strumento per conoscere e “governare” la natu- ra (LOnARDO, 2004).

5. Al centro dei quartini vennero realizzate 4 vasche ellittiche (fine XViii sec.) con bordo in marmo e ‘pigna’ centrale; altre 4 vasche circolari (fine XViii sec.) con bordo in calcarenite, scoglio centrale con pistrice in marmo e zampillo e la grande vasca cir- colare, donata nel 1796 dall’arcivescovo di Palermo Mons. Filippo Lopez Royo, com- posta da tre ampi bacini concentrici di varia profondità, nel complesso suddivisa in 24 scomparti destinati ad ospitare numerose piante con esigenze idriche differenti (MAuRO& al, 1987).

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tappa fondamentale nella formazione di artisti, intellettuali, architetti che si soffermano nei luoghi che conservano le testimonianze del passato, manifestandosi nelle scoperte delle campagne archeologiche, nel collezionismo, nella rivalutazione ed interesse dei templi della Magna Grecia descritti nei diari dei viaggiatori, fra cui emerge Wolfgangh Goethe (1749-1832). La Penisola, italiana e la Sicilia, depo- sitarie di queste testimonianze, è meta privilegiata per la riscoperta dell’antico.6

Approfondisce in particolare lo studio sull’architettura greca, delle sue proporzioni e la corrispondenza tra le parti, nonché l’acquisizione di regole e prìncipi relativi allo spa- zio funzionale. Si dedica ai suoi studi rilevando graficamen- te i templi di Agrigento, Selinunte, Segesta, Solunto, per far propria una delle pagine più prestigiose della cultura classi- ca, depositaria di modelli e canoni attraverso cui raggiunge- re l’armonia (L

O

n

ARDO

, 2004).7

L’Ellade e la sua cultura, irradiata in tutto il Mediterraneo antico, era sede dell’ideale di bellezza, il kalòs della civiltà greca che, rivisitato in chiave moderna, si prestava ad inter- pretare gli ideali e le dottrine del presente. il tentativo di rin- novamento in atto nelle varie arti prese avvio dall’ammira- zione per l’antichità e i suoi valori; il mondo dei greci e dei romani assumeva la connotazione di una perfezione reale e suggestiva (A

RGAn

, 2017).

il recupero della memoria del passato è dunque alla base dell’iter progettuale del Dofourny, che trova il suo fulcro nel padiglione centrale cupolato, in italia uno dei primi esempi di revival neo-greco. L’edificio poggia su un alto krepidòma a tre gradoni realizzato in pietra che corre per tutto il perime- tro, interrotto in corrispondenza della parte mediana dei pro- spetti principali da due scalinate formate da nove gradini, attraverso cui si accede ai vestiboli, e dunque agli ingressi.

Presenta una struttura architettonica compatta, dalla tradi- zionale muratura intonacata a bugne lisce, alleggerita da ampie finestre tra lesene, con funzione decorativa, e da due portici tetrastili in ordine dorico. La maggior parte delle componenti sono ispirate all’arte antica, agli esempi greci soprattutto, citati già a margine dei disegni di pianificazione e rivisitati in maniera eclettica. La composizione dell’insie- me è regolata da un chiaro rispetto della simmetria e della gerarchia delle parti e delle funzioni contenute.

il progetto è impostato attorno al nucleo centrale della sala ottagonale irregolare – destinata alle lezioni di botanica - sormontata dalla cupola su pennacchi conferendole un ruolo sacrale, ribadito dalla scelta delle tematiche espresse dalla decorazione interna. nei prospetti si legge chiaramente la volontà dell’architetto francese di volere rievocare la memoria classica del passato, in linea con le ricerche del periodo neoclassico (P

AGnAnO

,1996).

il prospetto principale, sul versante giardino, presenta un pronàos tetrastilo con colonne in ordine dorico, fortemente rastremate verso l’alto e scanalate ad angolo vivo, raccordate mediante il capitello alla trabeazione composta da epìstilio liscio su cui poggia il fregio continuo in cui sono scolpite le metope quadrate ornate da bassorilievi raffiguranti elementi vegetali alternati a triglifi. Sul fregio poggia una cornice for- temente aggettante che si svolge su tutto il perimetro della struttura. il prospetto interno – oggi sulla centralissima via Lincoln – presenta un vestibolo in antis anch’esso in ordine dorico. La copertura, con tetto a falde e muro d’attico, ospita la cupola centrale emisferica su tamburo quadrato con finestre,

decorata agli angoli da acroteri in calcarenite e culminante in un elemento fitomorfo. Quest’ultima, di chiara ispirazione arabo-normanna, è rivestita in tufo con l’aggiunta di cocciope- sto; questa protezione le conferisce una particolare cromìa rossastra (L

O

n

ARDO

, 2004).8

M

iTO E

A

LLEGORiA nELLA DECORAziOnE PiTTORiCA DELLA

S

CHOLA

B

OTANICES

;

GLi DÈi COME METAFORA DELLA

n

ATuRA

Gli elementi decorativi sono frutto della ricerca artistica di diversi maestri palermitani, tra cui il pittore Giuseppe Velasco, che affrescò i pennacchi della cupola e la calotta della cupola stessa, nonché tre pannelli figurativi a decora- zione del pronaòs tetrastilo; lo stuccatore Gaspare Firriolo autore delle quattro stagioni – poste sull’attico del tetrastilo – e le sculture d’igea ed Esculapio; gli scultori e stuccatori Domenico e Vitale Tuccio, che scolpirono le due sfingi in calcarenite ai lati delle scale, le caratidi in gesso, in stile neo-attico, che adornano l’ingresso e le statue di quattro illustri botanici all’interno; lo scultore Domenico Danè lavorò alle metope a bassorilievo che decorano i prospetti del calidarium e del tepidarium (R

AiMOnDO

, 2012).

il ciclo pittorico ad affresco a carattere mitologico e alle- gorico, realizzato tra il 1792 e il 1795, si svolge su due superfici: all’interno della sala centrale e all’esterno, nel pronaòs. Esso rappresenta il tentativo di elaborazione di un ragionamento incentrato sul rapporto millenario uomo-natu- ra, realizzato attraverso l’aspetto mitico e allegorico, stabi- lito sui racconti delle “Metamorfosi” di Ovidio e la

6. un ruolo rilevante per gli sviluppi del neoclassicismo, venne assunto dalla scoper- ta delle rovine di Ercolano nel 1738, seguite da quelle di Pompei nel 1748, le due città campane sepolte dall’eruzione vesuviana del 79d.C. ne risultò incentivato il viaggio verso l’italia, il ‘Grand Tour’, proprio per il fascino di località che permettevano un’incontro diretto con il passato. Le testimonianze che riemergevano in Campania, nel Lazio in Toscana e in Sicilia, determinarono il fiorire di simili campagne di scavo e di studio in altre località non solo italiane, ma anche in Grecia e Medio Oriente. Ciò nonostante fu soprattutto a Roma e nel Sud italia che l’interesse per l’antico favorì l’e- laborazione degli ideali neoclassici (LEnziiACOMELLi, 2003).

7. Assumendo l’arte greco-romana come modello di equilibrio, misura e chiarezza, si con- dannano gli eccessi dell’arte immediatamente precedente, il Barocco e il Rococò, in ciò supportati dalla diffusione degli scritti di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768).

nato a Stendal, nella regione tedesca di Brandeburgo, dopo un’educazione ecclesiastica si dedicò allo studio dell’arte antica, pubblicando nel 1775 il suo primo scritto:

Considerazioni sull’imitazione delle opere greche nella scultura e nella pittura.

Stabilitosi a Roma nel 1756, occuperà l’incarico di bibliotecario della corte pontificia di Benedetto XiV e di prefetto delle Antichità pontificie. Ebbe modo di conoscere i marmi ritrovati nelle campagne di scavo, maturando i principi teorici che lo porteran- no nel 1764 alla pubblicazione della Storia dell’Arte e dell’Antichità, nella quale repu- tava l’antichità greca e romana esempio perfetto a cui ispirarsi nel campo dell’arte.

Winckelmann divenne il maggiore teorico di questo stile, sostenendo la perfezione dell’arte greca, unico modello sul quale i moderni avrebbero potuto operare un vero rinnovamento estetico. L’ideale estetico del “bello”, formulato dallo studioso, si riper- corse nella vita politica e civile dell’epoca, diffondendosi in tutta Europa e coinvol- gendo tutti i settori della produzione artistica (LEnziiACOMELLi, 2003).

8. il padiglione della Schola Bothanices, costituisce in italia, uno dei primi esempi di neoclassicismo, seppure rielaborato. Leòn Dufourny apporta delle libere modifiche rispetto all’originale stile dorico, nato nel Peloponneso nel Vii sec.a.C. e studiato presso i siti archeologici sicelioti. Le colonne e le lesene, come nell’antico stile greco, nel progetto originale dovevano poggiare direttamente sullo stilobate, ma probabil- mente, per deformazioni ottiche dovute all’allungamento eccessivo del fusto e per gusto decorativo personale, l’architetto decise di poggiarle su basi quadrate, decoran- do queste ultime, nei punti di raccordo tra il dado e la base della colonne, con una fascia di medaglioni a stilema floreale. Anche il capitello viene rivisitato dall’archi- tetto francese: l’echino, nello stile del Vii sec.a.C. liscio, adesso si presenta deco- rato da elementi lanceolati alternati ad ovuli. Estraneo appare allo stile dorico anche l’adozione della cupola, ispirata molto più probabilmente allo stile arabonor- manno, molto vicina alle cupole della chiesa di S. Giovanni degli Eremiti (1136) o Santa Maria dell’Ammiraglio (1143) poggianti anch’esse su struttura quadrata e dal- l’accesa cromia rossastra.

(4)

“Teogonia” di Esiodo, a cui prendono parte le più sacre divi- nità legate al mondo vegetale - igea, Esculapio, Demetra, Flora - detentori dei segreti e dei saperi della natura. il ciclo si può ricollegare, a sua volta ai rilievi presenti nei fregi del calidarium e del tepidarium, con le personificazioni degli elementi e il clipeus astralis – lo zodiaco – allegorie di un ciclo della natura che si rinnova ad aeternitas.

ispirazioni decorative che nascono all’interno del pensie- ro neoclassico che trova la sua prima affermazione durante la metà del XViii secolo, con l’adeguamento delle arti figu- rative alla riscoperta dei modelli antichi. L’arte classica diventa exemplum virtutis per i valori umani e civili che vi sono ravvisati: integrità, onestà, rettitudine finalizzati al rag- giungimento del bene pubblico (M

AGRO

& al., 2017). La civiltà greca e romana viene rivalutata sotto qualunque aspetto, non solo artistico, ma anche filosofico e letterario.

La storia antica è una fonte inesauribile di soggetti adatti a questo scopo: viene riscoperta la poetica di Publio Virgilio Marone e Aristotele, gli scritti di Ovidio ed Esiodo nonché l’Eneide e l’Odissea. L’illustrazione di atti nobili o eroici tratti dalla storia antica e offerti al mondo contemporaneo come monito ed incoraggiamento ad operare nel bene, alla luce della ragione. nell’ “Encyclopèdie” diretta da Dènis Dideròt (1713-1784) si trova già la concezione dell’opera d’arte come lezione di virtù, perché il fine dell’Arte deve essere quello di “rendere la virtù amabile, il vizio odioso”

(B

AiRATi

, 2015).

L’architetto Dufourny, proveniente da Parigi, città dei grandi enciclopedisti e culla dell’illuminismo, sposta il suo interesse proprio su temi cari alla civiltà ellenica che in Sicilia trovò terreno fertile. Collabora strettamente con i maestri decoratori, metabolizzando il lessico antico ed adot- tando elementi ricoperti da un alto significato simbolico: per le cariatidi poste nel prospetto posteriore s’ispira a quelle dell’Eretteo di Atene e alle figure egiziane del vestibolo del Museo Capitolino; per la realizzazione delle sfingi conduce

lo scultore Vitale Tuccio presso la biblioteca degli Studi

“per fargli vedere delle sfingi e le caratteristiche delle raffigurazioni egiziane”; accompagna personalmente in biblioteca lo stuccatore Gaspare Firriolo per trovare model- li per le statue delle quattro stagioni da collocare nell’attico e per quelle d’igea ed Esculapio da collocare nel pronaòs;

adotta lo stile dorico, considerato da Winckelmann “il vero e proprio stile greco” ispirandosi alle stampe del Partenone di Atene; per la scala a chiocciola si ispira a “quella della colonna traiana di Labacco” (L

O

n

ARDO

, 2004). L’Arte greca del periodo classico è quella che la critica indica come

9. il pittore palermitano Giuseppe Velasco fu sensibile nel percepire i mutamenti della pittura d’inizio secolo. Appassionato di disegno a lapìs, iniziò con il replicare i modi delle pitture di Pietro novelli, del Domenichino, di Sebastiano Conca e, poi, rico- piando stampe e incisioni cinque-seicentesche, nonché contemporanee. Si formò presso la bottega di un pittore locale, Giuseppe Tresca (1710-1705) e successivamen- te presso Gaetano Mercurio (1730-1790). Da questi apprese i modi di dipingere e sco- prì – attraverso lo studio di repliche e l’osservazione dal vero – la pittura dei grandi maestri Olivio Sozzi (1690-1765) e Vito D’Anna (1718-1769). Velasco, rimase sem- pre in Sicilia, non interessandosi all’apprendistato attraverso il Grand Tour in voga a quel tempo. nel 1767 lavora agli affreschi del Duomo di Castellammare accanto a Giuseppe Tresca, che firma e data le opere. Lavora tra il 1770 e il 1787 a grandi com- mittenze ecclesiastiche con scene di pittura sacra come il “San Benedetto che abbatte gli idoli” (1775), presso la chiesa dell’immacolata Concezione di Palermo o il

“Compianto sul Cristo morto” (1778) per la Chiesa Madre di Castelbuono. il 1792 segna l’inizio delle grandi commissioni borboniche: realizza le pitture parietali dell’Orto botanico di Palermo (1792-1795); esegue il “Ritratto del vicerè Caramanico” (1795) per la Galleria dei ritratti del Palazzo Reale di Palermo. i contat- ti frequenti con la corte borbonica lo portano, nel 1802, a dirigere i lavori di decora- zione della Casina Cinese, progettata da Venanzio Marvuglia, presso la tenuta della Favorita di Palermo, per diretto conto di Ferdinando iii re di Sicilia e della sua con- sorte Maria Carolina D’Asburgo-Lorena. Commissioni che lo elevano a Maestro di Corte, occupandosi, tra il 1811 e il 1812, del ciclo pittorico per la decorazione del

“Gran Salone del Parlamento” nel Palazzo Reale di Palermo, affidatogli direttamente dal sovrano, che ha come soggetto “le fatiche di Ercole e l’apoteosi dell’eroe”

(ACCASCinA, 1982).

10. Parte di marcatura compresa tra due archi affiancati. Elemento architettonico di raccordo tra la base circolare della cupola e il sottostante edificio (a pianta poligona- le o quadrangolare) (V. MAGRO).

Fig. 1 - G. Velasco, 1792-1796, Venere che cura le ferite di Enea.

Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo, pennacchio della cupola, (da LOnARDO, 2004).

Fig. 2 - G. Velasco, 1792-1796, igea mostra l'uso delle erbe medi- cinali. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo, pennacchio della cupola, (da LOnARDO, 2004).

(5)

più vicina al concetto di Arte; per conseguenza, l’Arte moderna che emula l’antica è nello stesso tempo Arte e Filosofia sull’Arte (A

RGAn

, 2017).

Lungo questa direttrice lavora Giuseppe Velasco (o De Velasco) (1750-1827) “il pioniere del neoclassicismo pittorico meridionale” (A

CCASCinA

, 1982).9 Su incarico del vicerè Caramanico, esegue il ciclo pittorico che narra dei prodigi e dell’utilità della natura attraverso l’aspetto mitico e funzionale. Queste ultime, lo impegnarono dal 1792 al 1796, segnando il raggiungimento della sua piena maturità artistica e “sia sul piano compositivo che su quello formale-stilistico, l’adesione al mondo antico” (B

RunO

, 1998).

La decorazione pittorica interna interessa i quattro pen- nacchi architettonici10 a sostegno della cupola e la calotta semisferica. il ciclo mostra il carattere utile e terapeutico della natura, riletto attraverso episodi mitici e allegorici; le scene dipinte, ambientate all’aperto, hanno forma triangola- re e sono eseguite con la tecnica a monocromo, incorniciate da una sottile cordonatura a stucco di ispirazione classica.

il pennacchio, in corrispondenza della nicchia che ospita la statua del grande naturalista Linneo (1707-1778), acco- glie il mito di Venere che cura le ferite ad Enea in armi.

L’episodio è tratto dal ciclo troiano e potrebbe riferirsi alla conclusione dello scontro di quest’ultimo con Diomede – uno dei principali eroi achei della guerra di Troia – nella quale il principe dei Dàrdani, figlio di Venere e Anchise, rimase ferito (Om. ili. Canto V). Enea, armato di lorica, scudo ed elmo siede su un’alta roccia;

espone la gamba ferita ad una figura umana in ginocchio che tra le mani trattiene un’erba medicamentosa; alle spalle di quest’ultimo è la dea Venere, dal corpo florido, indicante la ferita del guerriero (Fig. 1).

Segue, nel pennacchio, in corrispondenza della nicchia che ospita la statua in stucco del celebre botanico Tournefort (1656-1708), il mito di igea, divinità figlia di Esculapio ed

11. Appare forzata la lettura del mito di Aracne all’interno di questa scena. Atena, dea della guerra e della strategia bellica, nonché dell’astuzia e dell’ingegno, era figlia di zeus e di nemesi, dea della giustizia. Era un’invincibile dea guerriera, ma propensa alla pace e al perdono. insegnò agli uomini la matematica, ad arare la terra, a tessere ed inventò la ruota. Per questo fin da epoche remote, nel Mediterraneo, venne rico- nosciuta anche come divinità capace di guidare gli uomini verso la razionalità e la moralità, presenziando già all’interno di Ginnasi e Basiliche del mondo antico. Fin dal Rinascimento, questa figura mitica, per le caratteristiche sopracitate, divenne allego- ria della saggezza e della forza mentale, soprattutto se raffigurata all’interno di sedi accademiche o universitarie e ancor di più in allegorie legate al ‘buon governo’. Così, il pennacchio, potrebbe ospitare, a conclusione del ciclo pittorico, la dea in armi indi- cante una tela di ragno; non più la tela di Aracne (che in questo caso sarebbe monito di una punizione) ma bensì l’allegoria della dialettica, in quanto, già a partire dalla fine del Cinquecento, proprio questa virtù, veniva raffigurata come una florida donna indicante una tela di ragno tra due rami, o con una tela di ragno costruita tra le sue dita (un esempio è “La Dialettica” dipinta dal Veronese presso il Palazzo Ducale di Venezia tra il 1577 e il 1578). La donna che raccoglie nel fuso la preziosa tela, attraverso l’aiuto di due putti, potrebbe essere l’allegoria dell’uomo che racco- glie i frutti del sapere esplicati proprio dalla forza della dialettica e del sapersi.

Fig. 4 - G. Velasco, 1792-1796, Atena e Aracne. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo, pennacchio della cupola, (da LO

nARDO, 2004).

Fig. 3 - G. Velasco, 1792-1796, Demetra insegna agli uomini i segreti dell' agricoltura. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo, pennacchio della cupola, (da LOnARDO, 2004).

Fig. 5 - G. Velasco, 1792-1796, La dea Flora (da uno schizzo di L.

Dufourny). Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo, calotta interna della cupola (da LOnARDO, 2004).

(6)

Epìone. La dea è avvolta in un ricco chitone, intenta a svelare a tre uomini barbuti – probabilmente due medici e un vecchio degente – i segreti delle erbe medicinali e della prevenzione delle malattie (Fig. 2).

nel terzo pennacchio, questo in corrispondenza della nicchia che ospita il medico e botanico Dioscoride (i sec. d.C.), viene illustrata l’importanza dell’agricoltura, attraverso la figura di Demetra, dea delle messi, che insegna agli uomini i segreti della mietitura, con la falce in mano, accompagnata da un putto che sorregge un fascio di spighe, suo attributo. in questa scena confluiscono due prerogative fondamentali del nume, quello di dispensatrice dei frutti dell’agricoltura e in particolare dei cereali e quello di promotrice e protettrice delle istituzioni civili, in quanto Demetra, insegnando agli uomini la coltivazione dei cereali, li sottrae alle barbarie e li avvia verso la civiltà e l’organizzazione sociale. La dea è raffigurata come una donna florida e matura, avvolta in un leggero chitone che gioca con l’impeto del suo corpo, chinato a mietere il grano, mentre un gruppo di uomini è intento ad osservare (Fig. 3).

il quarto, in corrispondenza della nicchia che ospita il fondatore della Botanica medica, Teofrasto (372-288 a.C.), vi è raffigurata Atena, dea dell’ingegno e della guerra, che all’interno di istituzioni accademiche assume le caratteristiche di dea della saggezza. il mito è tratto dalle “Metamorfosi” di Ovidio e raffigura la punizione divina di Aracne; fanciulla che aveva osato paragonarsi alla dea nell’arte della tessitura e dunque punita dalla dea per la sua tracotanza trasforman-

dola in ragno. nell’affresco la dea, posta in primo piano, indica ad una donna una ragnatela, simbolo della punizione;

un avvertimento per l’uomo che si arroga il diritto di dominare la natura anziché salvaguardarla11 (Fig. 4). il ciclo ha il suo apice nella calotta con la raffigurazione, dentro il clipeus, della dea Flora in volo che stringe tra le mani fiori e frutti. La dea, accompagnata da un putto che srotola il cartiglio con il motto “Miscuit utile dulci”, sovrintende gli studi sul regno vegetale garantendone l’u- tilità (L

O

n

ARDO

, 2004) (Fig. 5). Definisce la base della volta della Schola Botanices un fregio continuo d’ispirazione classi- ca con personaggi ritratti entro medaglione a cingolo tra festo- ni vegetali e teste d’ariete. Tra questi alcuni famosi botanici europei: Ray, Cesalpino, ma anche i siciliani Empedocle, Boccone e Cupani. La decorazione che ha come soggetto eventi mitici continua nel pronaòs dove gli affreschi – con- cepiti anch’essi da Velasco – narrano la vita di Esculapio, celebre terapeuta e taumaturgo greco divinizzato, nell’inten- to di esaltare “sia il valore terapeutico, sia quello quotidiano

Fig. 6 - G. Velasco, 1792-1796, Esculapio istruito dal centauro

Chirone in presenza di Apollo. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo (da LOnARDO, 2004).

Fig. 7 - G. Velasco, 1792-1796, Scena di apprendimento dell'arte medica. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo (da LOnARDO, 2004).

Fig. 8 - G. Velasco, 1792-1796, Resurrezione di ippolito. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo (da LOnARDO, 2004).

Fig. 9 - G. Velasco, 1792-1796, Lamentele di Ade a zeus. Gymnaisum dell’Orto Botanico di Palermo (da LOnARDO, 2004).

12. iniziando dal lato sinistro, gli affreschi laterali misurano m. 4,40x1,20; quello frontale m. 7,54x1,20 e quello di destra m. 4,40x1,20.

13. il tempio di Asklepios a Roma fu eretto nel 294 a.C., in seguito alla cessazione di una terribile epidemia di peste che affliggeva i romani da tre anni. Proprio da Epidauro, città sacra al dio, fu portato a Roma un trireme sotto le spoglie di un ser- pente che, strisciando sul Tevere, si era fermato sull’isola Tiberina dove, per tradizione, sorgerà il tempio (MAzzÈ, 1984).

(7)

e ordinario di primario bene di sostentamento nutrizionale”

delle piante medicinali. Questi furono elaborati attraverso la lettura de “Le Vite” di Plutarco (B

RunO

, 1998). La narrazione pittorica si svolge attraverso tre grandi pannelli, ognuno di questi divisi in due scene – per un totale di sei episodi mitologici – ornati da una cornice ad alto rilievo in stuc- co, formata da festoni di lauro e foglie di quercia, scol- piti da Gaspare Firriolo (M

AzzÈ

, 1984)12. Sul lato sinistro, Velasco affresca il giovane Esculapio, intento ad istruirsi presso il centauro Chirone, in presenza di Apollo e di una personificazione fluviale. il dio imberbe è rivolto ad ascol- tare la lezione del mitico maestro, il più saggio tra i centau- ri, figlio di Saturno e di Filira; mentre alle sue spalle Apollo, dio di tutte le arti lo assiste. nella seconda scena, il dio, seduto su un’alta cattedra, barbuto e con il suo attributo

Fig. 10 - G. Velasco, 1792-1796, Apoteosi di Esculapio trasporta- to al cielo sull'aquila di Giove. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo (da LOnARDO, 2004).

Fig. 12 - G. Firriolo, 1791-1793, igea. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo (rilievo grafico inedito della scultura in stucco, china su carta bianca, a cura di V. MAGRO, 2016).

Fig. 13 - G. Firriolo, 1791-1793, Esculapio. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo (rilievo grafico inedito, china su carta bianca, a cura di V. MAGRO, 2016).

14. Appare chiaro come i pannelli decorativi del ginnasio dell’Orto Botanico di Palermo, realizzati durante la piena maturità del pittore, risentano fortemente degli esempi della statuaria classica, osservata probabilmente attraverso le incisioni e le stampe che circolavano già dal Cinquecento all’interno delle botteghe dei grandi pittori e decoratori. Tramite queste, ad esempio, Velasco avrebbe potuto conosce- re, le pitture monocromate di Polidoro da Caravaggio (1499-1543), le incisioni rinascimentali di Raffaello Sanzio (1483-1520) o di Guido Reni (1575-1642) (BRunO, 1998). L’ammirazione verso il mondo classico e la sua assimilazione da parte del maestro è ribadito nella figura dell’Apollo sul pannello sinistro. Questa non è che la riproduzione dell’Apollon Lykeios – opera del V sec. a.C. attribuita a Prassitele - rinvenuta a Roma nel XVii secolo, collata in origine nella collezione Borghese ed in seguito nella collezione di Villa Medici, sul Pincio. Sappiamo che il granduca Ferdinando i (1549-1609) nel periodo in cui risiedeva a Roma – con la cari- ca di cardinale, lasciata per assumere quella di Granduca di Toscana, dopo la morte del fratello Francesco i, avvenuta nel 1587 – fece trasferire dalla sua villa romana le preziosissime statue classiche acquisite nel periodo in cui, ancora cardinale, risiede- va a Roma. L’Apollino de’ Medici, collocato nella Tribuna degli uffizi, ebbe una grande fortuna critica per tutto il XViii secolo, considerata come una delle sculture romane più note e più copiata (MARini, 2006).

Fig. 11 - G. Velasco, 1792-1796, Arrivo di Esculapio tra i latini sotto le spoglie di un serpente. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo (da LOnARDO, 2004).

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maggiore, la virga, trasmette i suoi saperi all’uomo. in que- sta scena il dio è raffigurato secondo i canoni dell’iconogra- fia classica: il vecchio dio barbuto e sapiente è accompa- gnato dal serpente, simbolo di guarigione. un gruppo di

“iniziati” prende appunti su tavolette e rotoli di papiro (M

AzzÈ

, 1984). interessanti, sulla destra, le due figure di giovani amanti poggiati su di una colonna (Figg. 6 e 7).

il pannello centrale raffigura la resurrezione di ippolito, figlio di Teseo e dell’amazzone Antiope, valoroso guerriero sbalzato dal cocchio durante una corsa di bighe, che viene portato alla presenza del dio della medicina per risorgere. a questa segue la scena delle lamentele di Ade, dio degli inferi, nei confronti di Esculapio, accusato davanti a zeus e la consorte Era di sottrarre i moribondi al suo regno, attraverso l’uso della medicina. Le scene appaiono ricche di personaggi mitici Cerbero che attende le anime pronte ad imbarcarsi, trat- tenute dalla figura del dio in primo piano, la personificazione del fiume infernale Stige, raffigurato come una giovane donna, gli eroi che assistono alla resurrezione d’ippolito (Figg. 8 e 9). il terzo pannello, a destra, ospita l’Apoteosi di Esculapio accolto tra i grandi dèi dell’Olimpo, sul dorso di un’aquila seguito dall’episodio mitico del dio giunto tra i latini, sull’isola Tiberina, sotto sembianze di un serpente durante una terribile epidemia e dove in seguito i roma- ni gli dedicheranno una delle più importanti sedi di culto nel Mediterraneo13 (Figg. 10 e 11).

i pannelli decorativi del Gymnasium permettono al Velasco di elaborare, agli albori del neoclassicismo siciliano, un uni- cum nella cultura figurativa e soprattutto nell’ambiente naturalistico.

il pittore ricorre all’uso della tecnica del monocromato per svolgere i cicli decorativi commissionati. La scelta di questo procedimento, capace di porre la pittura in stretta analogia con i bassorilievi dei templi antichi documenta la completa assimilazione dei prìncipi neoclassici appresi attraverso lo studio della statuaria antica e delle stampe trat- te da opere coeve o del Cinque – Seicento. Attraverso l’os- servazione di questi ultimi, i personaggi sono investiti da un magistrale chiaroscuro che mette in risalto la perfetta anato- mia dei corpi, il cui volume è sapientemente modellato in un elegante e dinamico plasticismo (B

RunO

, 1998).14

il ciclo mitico che ha come protagonisti le divinità del pantheon greco-romano continua e si conclude nel vestibo- lo del suddetto pronaòs nel quale sono collocate le sculture d’igea e di Esculapio entro nicchie, ai lati dell’ingresso alla sala centrale della schola.

Queste sono opera di Gaspare Firriolo artista appartenen- te insieme al fratello Giuseppe a una famiglia palermitana di stuccatori d’ornato e di figure operanti tra la metà del Settecento e gli inizi del XiX secolo, sviluppando stilisticamente moduli espressivi fra tardo barocco e neoclassicismo.15

Le due sculture, modellate in stucco (materiale morbido e malleabile di grande versatilità, che richiede all’esecutore gran- de abilità e rapidità nel modellare le forme)16 e aderenti ai cano- ni dell’Arte classica, sono collocate entro nicchie quadrangola- ri decorate con una cornice a motivo classico; la nicchia di destra ospita igea, quella di sinistra Esculapio (Figg. 12 e 13).

Entrambe le sculture si presentano prive di policromia, concepite ad imitazione dei marmi bianchi delle grandi scoperte contemporanee dell’epoca. il dio è raffigurato in posizione eretta, su un basso podio su cui è scritto

“AESCVLAPIVS”. il viso, leggermente reclinato a destra,

maturo, caratterizzato dall’arcata sopraccigliare pronunciata;

appare incorniciato da lunghi capelli trattenuti da un lauros che ricadono sulle spalle, e da lunga barba. Fiero e ieratico egli è avvolto in un achiton, riccamente drappeggiato, fissato sulla spalla destra, lasciando libera la sinistra e parte del torso superiore, dalla fisicità asciutta e ben definita. Questo giunge alle caviglie, lasciando liberi i piedi, calzati da sottili sandali. il braccio sinistro, portato al fianco, accentua lo sbilan-

Fig. 14 - G. Firriolo, 1791-1793, igea ed Esculapio. Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo, ingresso alla sala centrale (da LO

nARDO, 2004).

15. Gaspare Firriolo, fu uno stuccatore attivo a Palermo nella seconda metà del VXiii secolo. La sua formazione artistica si compie presso la bottega di Giacomo Serpotta, allievo e parente per aver sposato la nipote Antonina, figlia di Procopio. Si forma secondo le linee artistiche del Barocco, accostandosi successivamente alla linea neo- classica. Risale al 1750 il primo incarico dello stuccatore palermitano, lavorando all’esecuzione degli stucchi – oggi distrutti – nella chiesa dei Tre Re. Commissione di maggior rilievo è la decorazione del presbiterio della chiesa di San Matteo e Mattia, al Cassaro, tra il 1790 e il 1791. in questo stesso anno prende parte al grande proget- to della decorazione del Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo, occupandosi degli stucchi fitomorfi e figurativi posti al suo interno e del vestibolo (zORiC, 1994).

16. Dal punto di vista tecnico lo stucco è un amalgama di calce, polvere di marmo, sabbia depurata e colla di caseina, in percentuali variabili a seconda delle funzioni e delle necessità. Per un impasto più resistente, destinato alla decorazione esterna degli edifici, la ricetta prevede che a questi ultimi, siano aggiunti decotto di corteccia di olmo, foglie di malva, fieno mescolato con zolfo e pomice. Esso può essere utilizza- to sia come elemento di decorazione sia come elemento di riempimento o rifinitura delle architetture. nel primo caso, occorre che sia plastico e di notevole finezza per permetterne la modellazione per mezzo di spatole, stecche o a mano come per l’argil- la; nel secondo caso può essere più molle per essere modellato con matrici e stampi e raggiungere la compattezza dopo la lavorazione. Per realizzare sculture di diversa altezza si può ricorrere a sottili impalcature di filo metallico o a sostegni interni in legno, stracci o paglia, in modo da rinforzare le strutture senza appesantirle maggior- mente (FuGA, 2015).

17. i culti misterici furono dedicati a divinità ctonie con capacità di palingenesi e resurrezione. Furono culti importanti, di solito di origine orientale. il credo era incen- trato sulla parusia di vita e morte legata ad episodi cosmogonici di una divinità o alla divinità stessa. i misteri antichi indicavano un culto segreto, regolato da leggi e ritua- lità proprie, che permetteva una profonda esperienza religiosa, una sorta di mistica unione e comunione con la divinità, riservato a un ristretto numero di adepti, in con- tatto con altre comunità dello stesso credo. L’esperienza dei limiti del razionale e del naturale erano alla base del credo. i culti più antichi furono quelli della città greca di Eleusi, dedicati a Demeter e Kore e i misteri orfici e dionisiaci. Successivamente, nel Mediterraneo vennero introdotte altre divinità a carattere misterico come il culto di iside dall’Egitto, di Cibele e Attis, dalla Tracia di Mitra dall’iran (DORFLES& al., 2003).

18. non è escluso che Asklepios fosse in origine un taumaturgo e guaritore, successi- vamente divinizzato. Sappiamo che un Heroon – una tomba oggetto di culto – sorgesse a Trikka, un piccolo centro della Tessaglia già in epoche remote. L’eroe Podalirio è menzionato nell’iliade col fratello Macaone come figlio di Aslkepios, signore di Trikka (il., iV, 193;504) (MAnSuELLi, 1961).

19. i centauri erano una stirpe di mostri ferini che avevano l’aspetto di uomini nella parte superiore e di cavalli nella parte inferiore; essi risiedevano nelle selve sulle alte montagne della Tessaglia (DORFLES& al., 2003).

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ciamento della figura sulla gamba portante, dove si addensano le pieghe dell’ achiton, creando un intricato gioco di chiaroscuro; il braccio destro poggia sulla virga – suo attributo – in cui è attorcigliato un serpente, simbolo delle divinità ctonie a carattere profetico.

La divinità in piedi, con il lungo bastone sotto il braccio destro e un ritmo di panneggio che ha come termine fonda- mentale l’incontro fra il rotolo orizzontale alla cintura e la caduta verticale di pieghe della spalla sinistra, fa parte della tipologia dello “Asklepios pensante”, iconografia nata intor- no al V sec. a.C. molto amata nell’antichità e documentata attraverso numerose repliche marmoree (uffizi di Firenze;

Museo Capitolino, Collezione Albani). il dio è ormai uma- nizzato; è il vecchio medico stanco e impensierito dalle sof- ferenze degli uomini (M

AnSuELLi

, 1961).

in posizione eretta, su basso podio su cui è scritto

“IGEA”, appare la dea della salute. Le forme sono possenti, scandite dal panneggio sontuoso e ben conchiuso, appena sottolineato dalle spire del serpente poggiato sulla spalla destra.

il viso appare assorto e sereno, grazie ad una mobilità realistica suggerita dalla bocca piccola e piena, appena dis- chiusa, incorniciato dai capelli ondulati, trattenuti dal luna- res e acconciati in una morbida treccia raccolta dietro la nuca che lascia cadere morbidamente delle ciocche libere sulle spalle. il corpo morbido e florido della dea è sottoli- neato da un sottile peplo, che ne evidenzia la carnosità, lasciando scoperte le braccia tornite e i piedi, calzati da sot- tili sandali. il peso gravita su una sola gamba, mentre l’altra è delicatamente portata indietro, accompagnando la forte torsione del busto sulla gamba portante. Si crea così un ritmo flessuoso che sbilancia lateralmente la scultura, accentuato dalle pieghe del peplo. Essa è raffigurata nell’at- to di dissetare in una pàtera il serpente, suo attributo, in un’iconografia con chiari riferimenti alla palingenesi.

Entrabi gli stucchi risentono della lezione sul canone classico: in rapporto eguale e inverso, le parti delle figure si pongono in un gioco di corrispondenze e relazioni fra loro:

la gamba destra, che sostiene il peso del corpo, in relazione con la spalla destra, appena più alta che segue la flessione dell’anca; e la gamba sinistra, scartata all’indietro, che accenna il passo. L’espediente crea un raffinato gioco di movimento dei corpi nello spazio, accentuato ancor di più dall’armonica corrispondenza tra le parti e dalla simmetria che investe entrambe le figure (Fig. 14).

i

L CuLTO D

’i

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SCuLAPiO nEL

M

EDiTERRAnEO AnTiCO

Per poter meglio chiarire la scelta erudita dei due sogget- ti divini presenti nel Gymnasium dobbiamo tener conto di ciò che queste due figure rappresentavano per gli uomini del mondo antico. L’interesse e la curiosità per la cultura elleni- ca e latina portò, durante il periodo illuminista, alla curiosa riscoperta anche del mondo religioso; curiosità che fu pos- sibile soddisfare grazie agli scritti di Platone ed Esiodo sulle origini degli dèi, anche per fini d’identificazione dei pezzi marmorei che riaffioravano durante le campagne di scavo in tutto il sud Europa.

Asklepios o Esculapio era figlio di Apollo, dio del Sole e di tutte le Arti, e di Koronis, quest’ultima figlia di Flegias, mitico re dei Làpiti.

non chiara appare l’etimologia del nome, probabilmente

di origine orientale, così come il suo culto, a carattere cto- nio e misterico, in stretta relazione con la sfera divina di Apollo nella sua accezione di guaritore17, invocato negli inni sacri con l’epiteto di «sotèr» e «iatros», cioè salvatore e medico.

Gli storici si mostrano concordi nel ritenere che il credo di Asklepios fu in origine un culto eroico originario della Tessaglia, una zona insulare della Grecia, e che questo, attraverso spostamenti mercantili sia giunto più a sud nella penisola del Peloponneso, dove venne identificato con il culto di Apollo; nel iV sec. a.C. il culto si diffuse per via marittima in Attica e in Beozia e successivamente nelle isole egee.18 Essendo originariamente una religione a carattere misterico poco sappiamo del culto durante il periodo arcai- co; è soltanto dopo il V sec. a.C. che Asklepios assume i connotati di divinità legata al mondo della scienza della botanica medica.

Dopo che Apollo punì Koronides per aver sposato Alcioneo, con un dardo scagliato dall’Olimpo, il bimbo che la principessa dei Làpiti portava al grembo – frutto dell’unione del dio con quest’ultima – fu estratto da corpo esanime della madre da Apollo stesso e affidato al centauro Chirone; questo era il più saggio ed erudito fra i centauri.19 Da Apollo aveva appreso i segreti delle scienze, della musica e dell’arte can- toria, da Atena il segreto sulle tecniche di strategia e difesa bellica. A tal proposito fu educatore di famosi eroi tra i quali Achille, Giasone, Eracle e Teseo (S

iCHTERMAnn

, 1961).20

Chirone insegnò al fanciullo i segreti delle proprietà delle erbe medicinali, il saperle riconoscere e coltivarle, nonché la capacità di saper trarre da queste, distillati a scopo tera- peutico o mortale. Esiodo, nella sua “Theogonìa”, narra come il dio disceso dai monti della Tessaglia si mischiò ai mortali educandoli verso i saperi della botanica, aiutandoli ad alleviare le loro sofferenze proprio con l’aiuto dei doni di Gea. Secondo una versione tarda del mito ricevette da Atena il dono di cambiare il suo sangue con quello della Gorgòne Medusa21: velenoso se fatto sgorgare dalle vene del fianco sinistro, benefico se fatto sgorgare dal fianco destro (M

AnSuELLi

, 1961). Questo fu utilizzato per far risorgere l’eroe greco ippolito, grazie all’intervento di Artemide, che

20. un’affresco proveniente da una domus di Pompei, oggi conservato presso il Museo Archeologico nazionale di napoli, raffigura a rapide pennellate l’educazione di Esculapio. il giovane dio, seduto, ascolta la lezione del saggio centauro, mentre ad assisterli è Apollo, secondo il canone dell’Apollo Lykeios

21. nella mitologia greca Medusa è una delle tre sorelle Gorgòni: Medusa, Steno ed Euriale. Figlie di Forco e Cheto erano donne con ali d’oro, con alle mani artigli di bronzo, alla bocca zanne di cinghiale, e serpenti al posto dei capelli; pietrificavano chiunque le guardasse. Delle tre, solo Medusa era mortale e fu decapitata da Teseo. il suo sangue aveva immensi poteri (DORFLES& al., 2003).

22. La più antica immagine d’igea, affiancata ad Esculapio, è opera dello scultore greco nikeratos (ii-iii sec. a.C), che al tempo di Plinio (nat. Hist., XXXiV, 88) era a Roma, custodita nel tempio della Concordia. un’altra famosa statua di culto, in cui le due divinità erano affiancate, fu opera dello scultore greco Skopas (390-330 a.C.), rea- lizzata per il tempio di Tagea; gruppo scultoreo ascrivibile al Vi-V sec. a.C.

(MAnSuELLi, 1961).

23. Esculapio ed Epione generarono nove figli, che non ebbero mai posto rilevante all’interno del culto del padre, escludendo la primogenita: igea. Questi furono:

Panacea, iaso, Acheso, Telesforo, Egle, Meditrina collegate ai buoni esiti di guarigio- ne e convalescenza del malato: Macaone, a cui insegnò i saperi della chirurgia, e Podalirio, a cui insegnò i saperi della medicina.

24. il più antico riferimento ad una immagine figurata della dea ricorre a proposito dell’ex voto di Mikythos ad Olimpia, dovuto allo scultore argivo Dionysos e datato intorno agli anni 467 a.C. (PARiBEni, 1961).

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si prese compassione del suo seguace, dopo che i cavalli della sua biga ne provocarono il rovesciamento, sbalzando- lo fuori. Avendo osato far rivivere un morto, fu fulminato da zeus, su richiesta di Ade dio degli inferi, temendo che le scoperte apportate dal dio avrebbe potuto minacciare l’ordi- ne cosmogonico posto a tutela degli dèi. Ma proprio per le sue azioni verso i mortali, decisero di assumerlo in Cielo (M

AnSuELLi

, 1961).

il suo credo ebbe grande seguito nel Mediterraneo. Sede di culto più antica fu la città greca di Epidauro, nell’Attica centrale, in cui venne elevato tra il 380 e il 375 a.C. uno dei più grandi templi dedicati al dio, frequentato ancora alla fine del iV sec.d.C.

il culto fu introdotto a Roma dopo la battaglia di Magnesia (190-192 a.C.) che assoggettò a provincia romana i territori della Grecia continentale. in ambiente italico fu probabilmente introdotto da medici di origine e formazione greco – ellenistica, trasferitisi a Roma o resi prigionieri di guerra per sopperire ai bisogni delle legioni in combatti- mento (M

AnSuELLi

, 1961).

Meno chiara appare l’origine di Hygieia, affiancata ad Asklepios come figlia dalla fine del V sec. a.C. in poi.22 Questa figura minore non sopravvisse mai come una vera individualità separata dal dio, ma di certo le furono riserva- ti maggiori onori rispetto agli altri figli, tutti legati al con- cetto di “buona salute”, concepiti con Epione, figlia del mitico re dell’isola di Coo.23

i mitografi appaiono concordi nel ritenere che Hygieia si tratti di un appellativo divino distaccato che abbia dato origine ad una nuova divinità e che sia stata in un secondo tempo annessa al culto di Asklepios al momento della trasformazione e della espansione massima del culto verso la fine del V sec.a.C. Le menzioni di famose immagini e i documenti figu- rati minori costituiti da rilievi votivi si fanno sempre più nume- rosi.24 Di conseguenza essa appare come divinità salutare elle- nica anche nel mondo romano sovrapponendosi o sostituendo l’italica Salus e Valetudo.

Si tratta di una personalità divina che corrisponde a un’idea astratta, la salute, l’equilibrio e l’eccellenza del benessere fisi- co (P

ARiBEni

, 1961). Essendo la dea che soprintende al ‘benes- sere’ in generale, Hygieia s’interpola nella sfera d’azione di altre divinità tra cui Afrodite. non è raro in epoca greca elleni- stica vederla effigiata in corredi dedicati alla toeletta femmini- le o in epoca romana all’interno di terme o presso specchi d’ac- qua con proprietà salutari.

numerosi sono proprio in epoca imperiale gli aspetti sincre- tistici di questa divinità, fino a divenire sempre più vaga e inconsistente, e questo non solo per le incerte sopravvivenze di Salus e di Valetudo.

Per queste caratteristiche la dea divenne quasi un pendant della figura di Asklepios. Ciò è possibile notarlo in una pare- dra, custodita presso i Musei Vaticani in Roma, in cui il dio è seduto in trono e trattiene nella mano sinistra il bastone col ser- pente, mentre Hygieia, in sembianze di giovanissima fanciulla, è appoggiata lateralmente alla spalla del padre.

Ancora possiamo citare, a tal proposito, un rilievo votivo proveniente dal tempio misterico e salutare di Epidauro, datato attorno al 380 a.C. e oggi custodito al Museè du Louvre di Parigi. il rilievo mostra il dio seduto nell’atto di ricevere i devo- ti, minuscoli e limitati al bordo del pannello; Hygieia, in piedi vicino al padre, scosta la tenda in attesa che giungano i devoti.

un’altra tavola votiva, oggi al Museo nazionale dell’Acropoli

d’Atene, raffigura il dio sul trono, mentre la dea poggia la mano appena al di sopra della spalliera di questo, intenti entrambi in un dialogo divino (P

ARiBEni

, 1961).

non appare strano, dunque, che queste due figure presenzi- no alle attività svolte all’interno della Schola Regia Botanices nonché poste a protezione dell’Orto stesso; entrambi gli dèi non per caso volgono la fissità del loro sguardo verso il giardi- no. Due divinità sospese fra il Cielo e la Terra che fungono da anello di congiunzione tra il sapere e la scoperta dell’uomo e i doni della natura .

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iSCuSSiOnE E COnCLuSiOni

nel 2009, una manifestazione di solidarietà umana tra artisti, portò l’allora direzione dell’Orto Botanico ad ospita- re la mostra “Amicizia nell’Arte” e a scrivere un breve testo di presentazione per il catalogo. Queste le prime righe di quella presentazione:

«La volontà iniziale di identificare l’Orto Botanico come luogo speciale in cui scienza ed arte coabitano e si integra- no trova chiaro riscontro nella ricercata monumentalità della sua architettura e inoltre nell’allegoria del tondo centrale del Ginnasio con la dea Flora che “miscuit utile dulci”. Con questi presupposti progettuali e in parte retorici, fin dalla sua esistenza, l’Orto Botanico si configura come fonte di forti stimoli artistici e culturali».

in effetti, innumerevoli e significative sono le opere che decorano e arredano il Ginnasio, la sede dell’antica Scuola di Botanica di Palermo, da molti e a ragione ritenuto un sim- bolo del sapere botanico. Assieme all’architettura che a Palermo ispirerà altre grandi opere, sono proprio esse che conferiscono al luogo un’aurea difficile da decodificare senza possedere una chiave di accesso alla cultura cui dette opere si ispirano. i richiami alla classicità e con essa alla mitologia sono un inno alla natura e all’umanità che di essa si giova. Le scene raffigurate nei numerosi affreschi e le sculture, fra cui quella di igea ed Esculapio – figure mitiche della classicità greca – amplificano e conferiscono valore simbolico al luogo e alla sua funzione. Dunque, sono pro- prio questi gli elementi decorativi che rendono magico il Gymnasium dell’Orto Botanico di Palermo e che fanno di esso, non a caso, il tempio della botanica, sorgente di stimoli artistici ma soprattutto scientifici.

R

inGRAziAMEnTi

Gli autori sono grati alla direttrice della Biblioteca comuna- le di Palermo, Dott.ssa Eliana Calandra e al Dott. Francesco Ganci, responsabile del Dipartimento Patrimoniale dell’università di Palermo per i consigli e il supporto durante la ricerca d’archivio.

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RiASSunTO – Dopo brevi premesse sulla realizzazione

nel XVii secolo del nuovo Orto botanico dell’Accademia

dei Regi studi di Palermo e sulla sua progettazione, gli auto-

ri fanno seguire alcune riflessioni sul movimento neoclassi-

co dell’epoca. Viene dunque analizzato il ciclo pittorico

parietale a decorazione del Gymnasium, opera di Giuseppe

Velasco, massimo esponente della pittura neoclassica in

Sicilia. in particolare, si esaminano le pitture della calotta,

delle vele architettoniche della cupola e del pronao dorico

del padiglione ospitante l’antica Schola Regia Botanices. in

esse si rappresentano temi incentrati su storie e miti di déi

ed eroi legati alla parusia di vita e morte del mondo vegeta-

le o ai benefìci connessi alla coltivazione di piante utili: tutti

temi del mondo greco-romano ripresi durante il neoclassici-

smo. Dopo una rilettura artistica e critica dell’opera di

Velasco, gli autori si soffermano sulle sculture in stucco

poste ai lati del portale d’ingresso dell’antica Scuola di

Botanica: igea ed Esculapio, sculture di Gaspare Firriolo

che richiamano le due più importanti divinità legate ai cicli

della Terra nel Mondo Antico, il culto delle quali sopravvis-

se a lungo in tutto il bacino del Mediterraneo, anche dopo

l’affermarsi del Cristianesimo.

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