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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI "ALDO MORO"

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Academic year: 2021

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"ALDO MORO"

Dipartimento Interateneo Di Fisica "M. Merlin"

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Caratterizzazione del flusso di neutroni

della facility n_TOF al CERN

e test su rivelatori al Silicio

per misure di interesse astrofisico

Tesi di Laurea Magistrale

Relatori:

Dott. Nicola Colonna

Dott. Massimo Barbagallo

Presentata da:

Lucia Anna Damone

Anno Accademico 2013-2014

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« Puoi arrivare da qualsiasi parte, nello spazio e nel tempo, dovunque tu desideri»

disse l’Anziano. « Io mi sono recato in ogni luogo possibile e immaginabile, in ogni dove e in ogni quando.» Lanciò uno sguardo al mare, all’orizzonte. « E’ buffo.

Quei gabbiani che non hanno una meta ideale e che viaggiano solo per viaggiare, non arrivano da nessuna parte, e vanno piano. Quelli che invece aspirano alla perfezione, anche senza intraprendere alcun viaggio, arrivano dovunque, e in un baleno. Ricordati Jonathan, il paradiso non si trova nè nello spazio nè nel tempo, poichè lo spazio e il tempo sono privi di valore. » Il gabbiano Jonathan Livingston, Richard Bach

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Introduzione iv 1 Importanza delle sezioni d’urto neutroniche 1

1.1 Introduzione . . . 1

1.2 Il ruolo dei Neutroni in Astrofisica . . . 2

1.2.1 Evoluzione Stellare . . . 3

1.2.2 Processo-s e Processo-r . . . 5

1.2.3 Sezione d’urto di cattura neutronica mediata sulla distribuzio- ne Maxwelliana . . . 7

1.3 Applicazioni dei neutroni in Tecnologia . . . 9

1.3.1 Scorie nucleari e trasmutazione . . . 10

1.3.2 ADS e i reattori di IV Generazione . . . 13

2 La Facility n_TOF 16 2.1 Introduzione . . . 16

2.2 La tecnica del tempo di volo . . . 18

2.3 Produzione del fascio di neutroni . . . 20

2.4 Il fascio di protoni . . . 21

2.5 Bersaglio di spallazione . . . 22

2.6 La prima linea di fascio e la prima zona sperimentale, EAR1 . . . 26

2.7 La seconda linea di fascio e la seconda zona sperimentale, EAR2 . . . 31

2.8 Caratteristiche della Facility . . . 33

2.9 Risoluzione energetica e funzione di risoluzione . . . 37

2.10 Profilo del fascio . . . 40

2.11 Background . . . 40

3 Analisi del Flusso in EAR1 e in EAR2 43 3.1 Introduzione . . . 43

3.2 Flusso di neutroni . . . 43

3.3 Principi per la determinazione del flusso . . . 45

i

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3.4 Rivelatori e monitor di flusso . . . 46

3.5 SiMon e SiMon2 . . . 48

3.6 I rivelatori MicroMegas . . . 53

3.7 La camera a fissione PTB . . . 54

3.8 Analisi del flusso . . . 55

3.8.1 Analisi dati del flusso misurato con SiMon . . . 56

3.8.2 Analisi dati del flusso misurato con SiMon2 . . . 60

3.9 Risultati . . . 66

4 Test di rivelatori al Silicio per misure di interesse astrofisico 71 4.1 Introduzione . . . 71

4.2 Il problema cosmologico del Litio . . . 71

4.3 Proposta di misura delle reazioni7Be(n,α)4He e7Be(n,p)7Li in EAR-2 a n_TOF . . . 74

4.4 Risultati preliminari dei test effettuati per lo studio della reazione 7Be(n,α)4He . . . 77

Conclusioni 80

Bibliografia 82

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La conoscenza delle sezioni d’urto neutroniche è sempre stata, fin dalla scoperta del neutrone nel 1932 da parte di Chadwick [1], di estremo interesse in molti campi della fisica nucleare. Nella fisica nucleare di base, la misura e il calcolo delle sezioni d’urto neutroniche consentono di investigare proprietà importanti che riguardano la struttura dei nuclei come ad esempio i livelli nucleari, lo spin, la parità, gli schemi di decadimento e i branching ratio. Le reazioni indotte dai neutroni sono inoltre uti- li nello studio delle principali caratteristiche delle interazioni fondamentali (debole, forte, elettromagnetica). L’assenza della forza Coulombiana infatti, rende i neutroni uno strumento molto potente nell’indagine dei nuclei atomici, in particolare permet- te di investigare le proprietà delle interazioni forti, semplificando in molti casi la descrizione teorica e l’analisi dei dati degli esperimenti di scattering. Alcuni aspetti dell’interazione debole possono essere analizzati studiando il decadimento beta dei neutroni, mentre quelli dell’interazione elettromagnetica attraverso i momenti ma- gnetici anomali. Le sezioni d’urto neutroniche sono inoltre sensibili alle distribuzioni di carica dei neutroni e ciò le rende uno strumento utile per la determinazione delle costanti di struttura elettromagnetica di queste particelle, cioè il raggio di carica e la polarizzabilità elettrica. Si possono inoltre ottenere informazioni sui proces- si di diseccitazione della materia nucleare eccitata, tramite lo studio dell’emissione neutronica da parte dei nuclei composti.

Assieme alla fisica nucleare di base, altri campi della fisica fondamentale si basa- no sulla conoscenza dei processi indotti dai neutroni. Per esempio, le sezioni d’urto di cattura neutronica sono di estrema importanza nell’astrofisica nucleare, in parti- colare per la comprensione della nucleosintesi stellare degli elementi pesanti (al di sopra del Fe), che procede essenzialmente attraverso una serie di reazioni di cattura neutroniche, seguite dal decadimento beta. É ormai appurato che una frazione im- portante degli elementi più pesanti del Ferro fino al Piombo sono prodotti attraverso il processo-s, caratterizzato da scale di tempi di cattura neutronica molto maggiori rispetto a quelle del decadimento beta. Lungo la catena di nucleosintesi esistono però i cosiddetti “branching point”, ovvero isotopi per i quali i tempi caratteristici

iii

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della cattura neutronica diventano confrontabili con quelli del decadimento beta. Per questi isotopi particolari è necessaria una conoscenza accurata delle sezioni d’urto di cattura neutronica al fine di poter determinare l’abbondanza degli isotopi più pesanti o degli elementi successivi. Per riuscire ad avanzare sempre più in profondità nella comprensione di questi fenomeni è dunque necessario avere a disposizione dati preci- si, accurati e consistenti tra loro, dati che finora i vari esperimenti di fisica nucleare non sono stati in grado di fornire in maniera completa. Combinando la conoscenza sull’abbondanza degli elementi nell’Universo (tipicamente ottenuta attraverso analisi di spettroscopia e studi sui meteoriti) con i dati sperimentali e i modelli teorici sulle reazioni di cattura neutronica, è stato possibile ottenere molte informazioni sulla formazione delle stelle e delle galassie, come ad esempio la temperatura e la densità neutronica.

La conoscenza di dati accurati sulle sezioni d’urto neutroniche, gioca un ruolo essenziale anche in molte applicazioni. In particolare è fondamentale per lo sviluppo di tecnologie nucleari emergenti finalizzate alla produzione energetica e all’inceneri- mento dei rifiuti nucleari, così come allo sviluppo di altre applicazioni. Attualmente dati sulle sezioni d’urto neutroniche sono richiesti per attività legate allo sviluppo della medicina nucleare e alle scienze dei materiali. Il rinnovato interesse nello studio delle reazioni indotte da neutroni ha portato, poco più di un decennio fa, alla costru- zione di una facility al CERN, n_TOF “neutron time of flight” [2], il cui obiettivo principale è quello di misurare sezioni d’urto di reazioni indotte dai neutroni, come la cattura, la fissione nucleare e le reazioni inelastiche. Recentemente, nel 2014, la facility è stata dotata di una seconda linea di fascio che ne espande le potenzialità di misura e il programma sperimentale.

Questo lavoro di tesi si inserisce in questo contesto ed è dedicato alla misura del flusso di neutroni in entrambe le aree sperimentali, in particolare nella nuova sala sperimentale. I risultati del presente lavoro di tesi hanno fornito i primi dati sperimentali della misura di tale flusso.

La tesi è organizzata in quattro capitoli: nel primo verrà sottolineata l’importanza ricoperta dai neutroni nell’ambito Astrofisico e nelle applicazioni tecnologiche, per poi passare nel secondo ad una descrizione della facility n_TOF. Il terzo capitolo sarà invece dedicato alla misura e all’analisi dati del flusso di neutroni in entrambe le aree sperimentali, in particolare alla misura e all’analisi dei dati raccolti con rivelatori a stato solido. Il quarto infine è dedicato ad una breve descrizione della misura delle sezioni d’urto dei processi7Be(n,α)4He e7Be(n,p)7Li di interesse per il problema del Litio cosmologico, in programma per la campagna di misura del 2015 e per la quale alcune misure di test sono già state effettuate nella campagna conclusasi a Dicembre 2014. I risultati di questi test sono presentati e discussi nell’ultimo capitolo.

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Importanza delle sezioni d’urto

neutroniche

1.1 Introduzione

Il neutrone è una particella che ha una massa di 939,565 MeV/c2, poco superiore a quella del protone. È classificato come barione, infatti è costituito da due quark down e un quark up, il che, oltre a renderlo una particella neutra, gli permette di avere spin 1/2. I neutroni insieme ai protoni costituiscono i nuclei atomici, ma al di fuori di un nucleo sono particelle instabili con una vita media pari a circa 900 secondi.

Due importanti scoperte di E. Fermi e dei suoi collaboratori diedero una spinta notevole allo studio delle reazioni nucleari e delle caratteristiche dei neutroni. La prima avvenne nel marzo 1934 ed evidenziò come si potesse ottenere della radioatti- vità artificiale attraverso il bombardamento di elementi chimici con neutroni. Questa scoperta dimostrò, già nel corso dello stesso anno, che reazioni indotte da neutroni portavano a processi di diverso tipo, con emissione di α, γ e protoni. In particolare, Fermi e collaboratori dimostrarono che il processo (n,γ), noto anche come cattura radiativa, si produceva in tutti gli elementi chimici, dai più leggeri ai più pesanti come il Torio e l’Uranio [3].

La seconda importante scoperta fu quella dei neutroni lenti. Nell’ottobre del 1934, il gruppo di Fermi, suppose che si potesse ridurre l’energia dei neutroni a seguito dei loro urti elastici con sostanze idrogenate e che i neutroni, così rallentati, fossero più efficaci di quelli veloci nel generare alcune reazioni nucleari, in particolare quelle (n,γ).

Le reazioni nucleari indotte dai neutroni sono di grande importanza per la fisica dei reattori e giocano un ruolo fondamentale anche in campi come l’Astrofisica e la

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Fisica Nucleare. Per sopperire alla mancanza di dati nucleari accurati sulle sezioni d’urto neutroniche dei processi importanti in questi settori, a partire dal 2000, è stata avviata al CERN la costruzione della facility n_TOF. La produzione di neutroni si basa sulle reazioni di spallazione indotte da un fascio di protoni ad alta energia che impattano su un bersaglio di Piombo. I neutroni così prodotti viaggiano all’interno di un tubo a vuoto fino a due diverse sale sperimentali dove interagiscono con gli isotopi di cui si vuole determinare la sezione d’urto. Grazie alla tecnica del tempo di volo è possibile risalire alla loro energia e quindi studiare le reazioni in funzione dell’energia dei neutroni.

1.2 Il ruolo dei Neutroni in Astrofisica

Nell’Universo primordiale erano presenti particelle con energie e densità che molto difficilmente possono essere riprodotte da un acceleratore. A seguito di varie fasi evo- lutive si sono verificate interazioni che da una iniziale creazione di atomi di elementi leggeri, hanno portato all’Universo così come lo conosciamo oggi.

L’evoluzione dell’Universo, può essere divisa in poche fasi principali: Big Bang, nucleosintesi primordiale e formazione atomica, condensazione galattica, nucleosin- tesi stellare ed esplosiva.

La nucleosintesi primordiale è iniziata con la formazione del Deuterio circa 200 secondi dopo il Big Bang e, pochi minuti dopo, ha portato alla formazione degli elementi chimici con un massimo di otto nucleoni (Idrogeno, Elio, Litio, Berillio).

Ogni modello stellare deve riprodurre l’abbondanza di ciascun elemento durante la primissima fase della formazione in accordo con le osservazioni. Le abbondanze osservate infatti impongono vincoli severi sui processi fondamentali che sono avvenuti durante l’epoca di formazione.

Il mix di Idrogeno, Elio, Litio e Berillio ha continuato ad espandersi e raffreddarsi.

Dopo circa 3×105 anni, i nuclei atomici hanno potuto combinarsi con elettroni liberi per formare atomi e solo dopo 30 milioni di anni, alla temperatura di 100 K, la forza di gravità ha portato alla formazione di galassie e stelle che hanno dato inizio alla sintesi di altri elementi (quelli con Z>3), con nuclei via via più pesanti fino al Ferro. La sintesi di questi elementi pesanti ha modificato notevolmente le proprietà e la composizione di alcuni di questi corpi stellari che esplodono come supernovae, frammentandosi nello spazio. In questa fase vengono prodotti gli elementi pesanti dal Ferro all’Uranio attraverso reazioni indotte da neutroni. Fino al Ferro i processi di produzione dominanti sono quelli di fusione o di reazioni tra particelle cariche,

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mentre gli elementi più pesanti vengono prodotti principalmente attraverso cattura neutronica e decadimento β.

La fusione di particelle cariche non riesce a contribuire alla formazione degli elementi più pesanti del Ferro a causa delle barriere Coulombiane che diventano troppo alte e a causa della diminuzione delle energie di legame per nucleoni oltre A '60.

Nel 1952, la scoperta del Tecnezio nelle Giganti Rosse [4] ha portato nuove cer- tezze nelle teorie relative alla nucleosintesi degli elementi pesanti nelle stelle. Questo perchè la presenza del Tecnezio (elemento senza isotopi stabili) in esse, indica che al loro interno avvengono delle reazioni nucleari capaci di produrlo e, con ogni probabi- lità, di produrre altri elementi pesanti. Infatti, in base al tempo di decadimento degli isotopi del Tecnezio, che è al massimo di 4.2×106 anni (99Tc), questo elemento non dovrebbe essere presente in una stella con miliardi di anni evolutivi. La sua presenza dimostra invece una genesi più recente, che può essere avvenuta solo all’interno della stella.

Per riuscire a spiegare tutte le diverse caratteristiche della curva di abbondanza degli elementi, ipotizzando che solo H, He e Li siano primordiali, sono necessari otto differenti tipologie di nucleosintesi che si possono raggruppare in due grandi categorie [5]:

• Nucleosintesi Stellare: a cui va attribuita la maggior parte della produzione degli elementi dal Carbonio all’Uranio (la formazione avviene attraverso rea- zioni di fusione nucleare, e reazioni di cattura neutronica mediante processi-s nelle Giganti Rosse e processi-r nelle Supernovae di tipo II).

• Nucleosintesi Galattica: responsabile della formazione di gran parte dei nuclei leggeri, come Li, Be e B, a causa dell’interazione di nuclei di C, N e O col mezzo interstellare.

1.2.1 Evoluzione Stellare

Si possono comprendere i complessi meccanismi dell’evoluzione stellare se si ha ben chiaro che essi sono determinati da due tendenze contrapposte: da un lato la massa globale dei materiali presenti nella stella esercita una forza di gravità che porta a far contrarre o addirittura collassare la stella su se stessa e dall’altro i processi di fusione nucleare, che avvengono all’interno del corpo celeste e tendono a far espandere l’involucro gassoso della stella nello spazio per via dell’aumento dell’energia cinetica delle particelle che lo costituiscono. Quando questo equilibrio si spezza, si entra in una situazione di instabilità.

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Le stelle si originano da enormi nubi di gas e polveri, che si contraggono sotto l’effetto della forza gravitazionale esercitata dai materiali che le costituiscono. Se questo processo prosegue sino a che, nelle regioni centrali, la temperatura raggiunge i 10 milioni di Kelvin, allora hanno inizio le reazioni termonucleari di fusione che, partendo da 4 nuclei di Idrogeno, formano un nucleo di Elio (processo noto come ciclo protone-protone). La perdita di massa che il processo implica, crea un’enorme quantità di energia che si trasferisce dal nucleo della stella, più caldo, verso l’invo- lucro gassoso esterno che tende ad espandersi: questo fatto impedisce un’ulteriore contrazione gravitazionale della materia stellare.

La classificazione delle stelle è efficacemente schematizzata attraverso il diagram- ma di Hertzsprung-Russel (HR), che mostra la luminosità delle stelle in funzione della rispettiva temperatura superficiale.

Figura 1.1: Diagramma Hertzsprung-Russel schematico. Sono ben visibili la sequen- za principale che lo attraversa da sinistra a destra e le zone delle giganti rosse e delle nane bianche.

Come si può vedere in Figura 1.1 le stelle non si posizionano a caso nel diagramma, ma risultano raggruppate. Circa il 90% delle stelle si trova in quella che è chiamata Sequenza Principale, una larga banda che parte dalle stelle più calde e luminose (in alto a sinistra nel diagramma) per arrivare a quelle più fredde e meno luminose (in basso a destra).

Nella sequenza principale la luminosità è legata alla massa della stella, secondo la relazione:

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L L

!

= M

M

!a

(1.1) con 1<a<6 in relazione alla massa della stella. L e M sono rispettivamente la luminosità e la massa del Sole. Le stelle con massa dieci volte quella del Sole si posizionano in alto a sinistra nel diagramma H-R e sono chiamate giganti blu. Queste sono le stelle più calde e più luminose, ma anche quelle di vita più breve poichè le reazioni di fusione del nucleo, che raggiunge i 15 milioni di gradi, sono molto intense e quindi consumano prima il combustibile, l’Idrogeno. Al di sopra e a destra della sequenza principale, quindi ad alta luminosità e bassa temperatura, si possono riconoscere le giganti rosse e le supergiganti, mentre nella zona in basso a sinistra (bassa luminosità ed alta temperatura) le nane bianche.

Il diagramma non rappresenta una situazione statica, bensì le stelle lo percor- rono dinamicamente cambiando zona a seconda della fase della loro evoluzione. La stella inizia il suo percorso all’interno del diagramma HR in un punto della sequenza principale, dove passerà quasi il 90% della sua esistenza.

I destini delle stelle si diversificano a seconda della loro massa iniziale. Nelle stelle più leggere, con massa fino a poche masse solari, gli strati esterni si disperdono lentamente e rimane soltanto il nucleo di Carbonio che si raffredda e può eventual- mente diventare una nana bianca. Per stelle più massive, quando l’4He si consuma, il nucleo collassa nuovamente a causa della gravità facendo aumentare ulteriormente la temperatura. In questo modo sono permesse reazioni di fusione anche dei nuclei più pesanti. Inoltre, in queste stelle ha luogo anche la nucleosintesi degli elementi pesanti, caratterizzata essenzialmente da due processi predominanti: il processo-s e il processo-r. Questi processi, combinati con la fotodissociazione, consentono di generare nuclei oltre il Ferro.

1.2.2 Processo-s e Processo-r

Il meccanismo di cattura neutronica, importante per la sintesi di isotopi via via più pesanti, avviene secondo la reazione:

n+ X (Z, N) −→ X(Z, N + 1) −→ X (Z, N + 1) + γ (1.2) I processi di cattura neutronica si dividono in due classi:

• processo-r: (da rapid) la cattura di neutroni è rapida. Il flusso di neutroni è così alto che il nucleo cattura molti neutroni prima che possa decadere, cioè la vita media del decadimento β è molto più lunga del tempo necessario a catturare uno dei neutroni presenti nella stella;

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• processo-s: (da slow) il processo di cattura neutronica è lento, il nucleo prodotto decade in un nuclide stabile prima che si verifichi un’ulteriore cattura.

Il processo-s avviene nelle stelle giganti prima della loro esplosione e ha una scala dei tempi che va dai giorni agli anni; Il processo-r avviene invece durante l’esplosione delle supernovae e la scala dei tempi è dell’ordine dei millisecondi [6].

Considerando il processo-s classico, è necessario assumere che esista un flusso di neutroni stabile, sufficientemente basso da far sì che il decadimento β sia più veloce della cattura neutronica.

Il processo di crescita del numero atomico si arresta con il 208Pb e209Bi. I nuclei successivi sono abbastanza instabili da non permettere ulteriore cattura di neutroni, quindi gli elementi della serie degli attinidi (Z>90) non vengono sintetizzati con il processo-s.

Nel processo-r, durante la fase esplosiva della supernova, si producono moltis- simi neutroni in pochissimo tempo e possono essere catturati in rapida successione dai nuclei atomici, prima che si verifichino dei decadimenti β. Di conseguenza, il processo-r vede una lunga sequenza di catture successive, finchè la vita media del decadimento β diventa troppo breve e il processo continua con vari decadimenti beta fino alla produzione di nuclei stabili.

Le sezioni d’urto di cattura neutronica regolano la produzione degli elementi pesanti e la loro conoscenza è uno degli ingredienti fondamentali per i modelli di nucleosintesi stellare e dell’evoluzione delle stelle.

In particolari situazioni, la probabilità di cattura neutronica e quella di decadi- mento beta diventano comparabili e si arriva ad un punto di diramazione cruciale per la nucleosintesi stellare. Le sezioni d’urto di reazioni di cattura neutronica deter- minano l’evoluzione successiva del processo di nucleosintesi, e risultano fondamentali per spiegare l’abbondanza degli elementi nell’Universo. Infatti, quando ci si trova nei punti di diramazione (branching points) le incertezze nelle sezioni d’urto di cattura possono propagarsi in grandi differenze di produzione di un dato isotopo all’interno di uno stesso modello.

Nella Figura 1.2 sono mostrati i percorsi di cattura neutronica del processo-s e del processo-r. Come già detto, nei processi di cattura neutronica lenta (processi-s), le catture neutroniche avvengono ad un rate molto più lento dei decadimenti beta degli isotopi prodotti. Come conseguenza, gli isotopi coinvolti nei processi sono vicini alla linea di stabilità, al contrario del processo-r che porta alla produzione di isotopi lontani dalla linea di stabilità.

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Figura 1.2: Percorsi di cattura neutronica del processo-s e del processo-r sulla carta dei nuclidi. La zona in grigio indica il percorso per il processo-r teorico per un flusso di neutroni plausibile. I nuclei magici per numero di neutroni sono indicati da linee verticali [7].

1.2.3 Sezione d’urto di cattura neutronica mediata sulla di-

stribuzione Maxwelliana

Nello sviluppo dei modelli stellari è necessario inserire i dati relativi alle reazioni in- dotte dai neutroni nella forma di sezioni d’urto mediate sulla distribuzione di energia cinetica dei neutroni stessi.

Nell’ambiente stellare le velocità relative v tra i neutroni e gli isotopi bersaglio seguono una distribuzione di Maxwell-Boltzmann a una data temperatura T. Il rate di reazione può essere espresso come n<σv>, ovvero attraverso la sezione d’urto me- diata sulla distribuzione Maxwelliana dell’energia cinetica o MACS (da "Maxwellian Averaged Cross Section"). Quest’ultima è data dalla formula:

σA=< σγ >KT= < σγv >

< v > = 2

π(KT )2

Z 0

σγ(E) EeKTE dE (1.3)

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Figura 1.3: Sezioni d’urto di cattura neutronica per il99T cmediate sulla distribuzione Maxwelliana in funzione della temperatura stellare. Sono mostrati anche i contributi dovuti alle regioni di risonanze risolte e non risolte.

dove σγ rappresenta la sezione d’urto di cattura neutronica ed è funzione dell’e- nergia del neutrone. Ricordando che il rate di cattura ha l’espressione λn = nσAvT, si può facilmente vedere come dalla MACS si possa calcolare il rate di cattura stesso e di conseguenza le abbondanze degli elementi nelle stelle. In Figura 1.3 sono mostrate le MACS per il99Tc in funzione della temperatura, assieme al contributo alla sezione d’urto dovuto alle risonanze risolte. Come si nota dalla figura quest’ultimo risulta significativo per basse temperature stellari. Questo impone come conseguenza la ne- cessità di una conoscenza molto accurata delle sezioni d’urto neutroniche per poter confrontare i modelli teorici coi risultati sperimentali. Per ampliare la conoscenza dei processi interstellari sono quindi necessari nuovi e più accurati dati che permettano uno sviluppo dei modelli astrofisici. Per avere calcoli realistici sulla dinamica dei processi più complessi è necessaria la creazione di una banca dati che comprenda sia le sezioni d’urto di tutte le reazioni rilevanti che i tassi di decadimento. L’insieme dei dati acquisiti fino ad oggi dalla fisica nucleare non risulta infatti sufficiente a soddisfare le richieste dell’astrofisica.

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1.3 Applicazioni dei neutroni in Tecnologia

Le conoscenze sulle proprietà fisiche del neutrone hanno portato allo sviluppo di varie applicazioni tecnologiche in campo militare e civile (energia nucleare, medicina, ricerche minerarie). Tra le applicazioni civili, la più nota è quella che sfrutta l’energia sviluppata dalla fissione nucleare per produrre energia elettrica. Dai tempi della rivoluzione industriale, il fabbisogno energetico mondiale è aumentato, dapprima in maniera lineare poi, negli ultimi 50 anni, in maniera esponenziale. Questo ha creato e crea problemi di approvvigionamento, degrado ambientale, conflitti internazionali.

Come si nota in Figura 1.4, che mostra l’andamento dei consumi energetici globali negli ultimi 25 anni divisi per tipologia, il combustibile più utilizzato è quello fossile che, come è noto, produce enormi quantità di residui, in particolare i cosiddetti "gas serra", fra cui la CO2, che contribuiscono all’inquinamento e al surriscaldamento globale.

Figura 1.4: Consumo mondiale di energia primaria [8].

In futuro il fabbisogno energetico continuerà ad aumentare, soprattutto per la forte richiesta delle nuove economie in rapida crescita. Le potenzialità delle fonti d’approvvigionamento sono note e non garantiscono una lunga autonomia e quelle rinnovabili sono a tutt’oggi poco sfruttate. Per avere una migliore qualità della vita futura, si rende indispensabile incrementare l’energia rinnovabile, che sarà comun- que incapace di soddisfare il fabbisogno mondiale e per questo si dovrà ricorrere, necessariamente, ad altre fonti energetiche diverse da quelle di origine fossile.

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Questa carenza potrebbe essere colmata dall’energia nucleare da fissione e/o da fusione, che rispetto a quella chimica, ha una resa milioni di volte superiore. Attual- mente, però, anche il nucleare ha delle difficoltà da risolvere di natura tecnologica, ambientale e, purtroppo anche psicologica, dovuta alla “paura del nucleare" accre- sciuta a causa degli incidenti di Chernobyl e Fukushima. Nasce, quindi, l’esigenza di investire nella sicurezza per riacquistare la fiducia della popolazione, così come nella ricerca di nuove tecnologie per migliorare la resa degli attuali combustibili nucleari, o nell’utilizzo di differenti combustibili per risolvere i problemi legati allo smaltimento e stoccaggio delle scorie nucleari.

Molti progetti in questo senso hanno già preso avvio. La tecnologia per lo sfrut- tamento dell’energia da fusione nucleare ha bisogno ancora di molti anni di studio prima di poter avere applicazioni industriali, mentre sono necessari almeno 15-20 anni per vedere operativi i reattori di IV generazione [9]. Dal 2005 sono stati avviati anche molti progetti su larga scala per sviluppare un nuovo reattore, basato su un acceleratore di protoni (Accelerator Driven System, ADS) per produrre i neutroni necessari alla produzione di energia e/o alla trasmutazione delle scorie radioattive.

Il grande vantaggio di questa tecnologia è il fatto che il numero di neutroni pro- dotti e quindi le reazioni, possono essere controllati tramite l’acceleratore: spegnendo questo anche la reazione si fermerà, rendendo il reattore intrinsecamente sicuro. Un progetto realistico di un apparato così innovativo per l’incenerimento di scorie nu- cleari e la produzione di energia, richiede come requisito fondamentale una completa conoscenza delle sezioni d’urto per reazioni indotte da neutroni. I dati che servo- no per tale scopo devono essere ottenuti tramite procedure consistenti ed accurate, nonché analizzati e pubblicati in maniera da renderli compatibili e utilizzabili per le simulazioni necessarie per la progettazione e costruzione dei reattori. Altre soluzioni alla carenza delle materie prime e allo smaltimento delle scorie, potrebbero arrivare dallo sviluppo dei reattori basati interamente sul ciclo Th/U, in cui si ha il vantag- gio della mancata produzione degli attinidi minori che normalmente è la parte più consistente delle scorie nucleari prodotte.

1.3.1 Scorie nucleari e trasmutazione

Gli elementi transuranici (TRU) e i frammenti di fissione (FF) sono i principali componenti delle scorie nucleari e rappresentano rispettivamente l’1.1% e il 4% del combustibile nucleare esausto [10]. I FF sono isotopi radioattivi e ricchi di neutroni.

Per questo motivo la loro produzione è seguita da un’emissione di raggi γ e di neu- troni, generalmente in numero da 2 a 3, così da stabilizzare la struttura nucleare. I TRU, che sono prodotti nel reattore da cattura neutronica seguita da decadimento,

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possono essere distrutti solo da fissione, mentre i FF possono essere distrutti solo per cattura di neutroni. Pertanto, devono essere utilizzati diversi metodi per eliminarli.

La radiotossicità dei rifiuti a lungo termine, dominata dagli elementi transuranici, è un indice della capacità potenziale di un radioisotopo di produrre effetti dannosi nelle cellule viventi o nei tessuti. Viene definita come il prodotto tra il coefficiente di dose effettiva e l’attività di un dato isotopo [11]:

R= Fd× A (1.4)

Il coefficiente di dose effettiva Fd, dà una misura della potenza della radiazione (quantità di Sievert per decadimento al secondo) e degli effetti che essa ha sull’orga- nismo e si misura in Sv/Bq. L’attività A è semplicemente il numero di decadimenti per unità di tempo di una data quantità di materiale radioattivo, e si misura in unità di Bq.

La maggior parte della pericolosità del combustibile esausto deriva da pochi ele- menti, in particolare Plutonio, Nettunio, Americio, Curio, e da alcuni prodotti di fissione a lunga vita come alcuni isotopi di Iodio, Cesio e Tecnezio. Attualmen- te circa 2.500 tonnellate di combustibile esaurito vengono prodotte ogni anno nell’

Unione Europea, di cui 25 tonnellate sono di Plutonio, 3.5 tonnellate di Nettunio, Americio e Curio, e circa 3 tonnellate di prodotti di fissione a lunga vita media.

Questi sottoprodotti radioattivi, anche se presenti in concentrazioni relativamente basse nel combustibile utilizzato, sono un pericolo per le forme di vita quando ven- gono rilasciati nell’ambiente e, come tali, il loro smaltimento richiede l’isolamento dalla biosfera in formazioni geologiche stabili e profonde per lunghi periodi di tempo (circa centomila anni) fino a quando la loro radioattività e radiotossicità (Figura 1.5) diminuisce attraverso il processo di decadimento radioattivo.

Attualmente la maggior parte dei rifiuti nucleari viene stoccato in depositi tem- poranei. La preoccupazione di eventuali perdite nella biosfera, il rischio di un uso improprio per scopi militari, gli oneri di manutenzione e controllo, spingono a trovare soluzioni che siano definitive, come il confinamento in formazioni rocciose impermea- bili alle infiltrazioni d’acqua e geologicamente stabili, o metodi di trasmutazione delle scorie in specie nucleari innocue o di breve vita.

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Figura 1.5: Evoluzione temporale del potenziale della radiotossicità (rispetto all’U- ranio) dei FF e TRU che compongono le scorie nucleari di un Pressurized Water Reactor.

Transmutare un isotopo significa convertirlo in un altro isotopo dello stesso ele- mento o di un elemento differente [13]. La trasmutazione nucleare può idealmente essere indotta da qualsiasi particella in grado di penetrare all’interno dei nuclei ed interagire coi nucleoni. In pratica, però, queste particelle se cariche devono superare la barriera coulombiana, il che richiede un’elevata energia e rende il processo non conveniente per le particelle soggette al potenziale coulombiano. Poiché le particelle neutre non sono sensibili al campo elettromagnetico, i neutroni risultano i proiettili ideali da utilizzare in un processo del genere. In pratica, esponendo i TRU ad alti flussi neutronici, si induce la loro fissione con la produzione dei relativi frammen- ti che potranno essere di nuclei stabili o a vita media breve e, comunque, a bassa radiotossicità.

La riduzione dei TRU comporta una riduzione del Plutonio e quindi una dimi- nuzione del rischio della proliferazione nucleare, ma comporta anche l’eliminazione di un materiale fissile, potenzialmente utile per l’avvio di futuri reattori. L’energia prodotta nei processi di trasmutazione può essere riutilizzata per produrre elettricità (circa il 30% del totale dell’energia elettrica totale prodotta negli attuali reattori).

(19)

1.3.2 ADS e i reattori di IV Generazione

Tra le varie possibilità prese in considerazione per un uso più efficiente dell’energia nucleare, la soluzione più promettente consiste nello sviluppo di un nuovo tipo di reattore, il cosiddetto Accelerator Driven System (ADS) [10, 14].

Lo scopo di un ADS è quello di indurre nel sistema una reazione a catena, che porti alla fissione degli attinidi e alla trasmutazione dei prodotti di fissione per cattura neutronica, trasformandoli in specie nucleari stabili o comunque a più breve tempo di dimezzamento.

L’idea che sta alla base di un ADS, consiste nel combinare un reattore sottocritico con un acceleratore di particelle (Figura 1.6). L’acceleratore fornisce un fascio di protoni ad alta intensità che colpisce un bersaglio di spallazione, costituito da un metallo pesante in fase liquida o solida. Le reazioni di spallazione all’interno del bersaglio inducono l’emissione di un grande numero di neutroni, con energia media di qualche MeV. In base alla scelta del bersaglio, la produzione di neutroni può essere più o meno elevata e lo spettro di energie può estendersi fino alla regione delle risonanze dei nuclei pesanti. Una volta prodotti, i neutroni si propagano al reattore sottocritico. Questo, avendo appunto l’indice di criticità Kef f inferiore a uno, non è in grado di mantenere autonomamente la reazione a catena che andrebbe quindi a spegnersi. I neutroni in eccesso, prodotti dalla combinazione acceleratore-bersaglio di spallazione, arrivano al reattore e inducono ulteriori reazioni rispetto a quelle che già avvengono autonomamente, permettendo così di sostenere la reazione a catena.

Lo spettro energetico dei neutroni di spallazione è dominato per circa il 90%

dai cosiddetti neutroni di evaporazione che hanno energia media di qualche MeV e vengono emessi per diseccitazione dai nuclei formatisi dalla disintegrazione del nucleo bersaglio. Il bersaglio di spallazione è circondato da elementi di combustibile che costituiscono il nocciolo subcritico (Kef f<0.98) contenente le scorie nucleari da incenerire e il combustibile per la produzione di energia. L’idea base è quella di usare come combustibile principalmente il Torio, in modo tale da sfruttare il ciclo Th/U.

(20)

Figura 1.6: Rappresentazione schematica di un Accellerator Drive System, accopiato ad un reattore al Piombo-Bismuto.

Un reattore di questo genere porta numerosi vantaggi sia a livello pratico che di sicurezza intrinseca:

• la possibilità di lavorare in condizioni sottocritiche apre la strada a combustibili che, in reattori normali, non sarebbero stati in grado di sostenere una reazione a catena, come ad esempio il ciclo del 232Th/233U;

• avere a disposizione un elevato flusso di neutroni veloci permette, mediante rea- zioni di fissione, la transmutazione dei TRU in isotopi a vita media decisamente più breve;

• il fatto che la reazione a catena sia sostenuta soltanto grazie ad un incremento di neutroni prodotti esternamente al reattore, fa sì che questo sia intrinseca- mente sicuro. Infatti per portare il reattore in condizioni di sicurezza (ovvero in condizioni in cui la catena va ad esaurirsi autonomamente, evitando gravi incidenti come la fusione del nocciolo) è sufficiente spegnere l’acceleratore, così da fermare il flusso di neutroni in eccesso;

• il poter utilizzare come combustibile oltre al 235U altri materiali con numeri atomici minori, come ad esempio il232Th, fa sì che tra le scorie finali la quantità di TRU pericolosi sia estremamente piccola, così da diminuire il rischio di inquinamento radioattivo e da rendere quasi inesistente il rischio di un utilizzo del combustibile per la costruzione di bombe atomiche.

(21)

Nonostante i numerosi vantaggi che l’ADS porta con sé, non vanno dimenticati i problemi legati sia alla progettazione (acceleratore vicino ad un’enorme fonte di calore, bersaglio di spallazione all’interno di un reattore,. . . ) sia al dispendio di energia che comportano il lavorare in condizioni sottocritiche e il dover utilizzare energia per alimentare l’acceleratore di protoni.

Oltre all’ADS, gli attuali standard di sicurezza, competitività ed esercizio del settore nucleare hanno portato allo sviluppo di una nuova generazione di reattori.

Si tratta dei cosiddetti reattori di IV generazione che saranno disponibili commer- cialmente tra alcune decine di anni. Con la IV generazione di reattori nucleari si abbandona il ricorso all’Uranio-235 come combustibile, ridotto nelle disponibilità, per utilizzare l’Uranio-238 che in natura è più diffuso (99,28% contro lo 0,71%). I reattori nucleari di IV generazione sono finalizzati a garantire i seguenti requisiti:

• sostenibilità, ovvero massimo utilizzo del combustibile e minimizzazione dei rifiuti radioattivi sia in termini di quantità che di radiotossicità;

• economicità, ovvero basso costo del ciclo di vita dell’impianto e rischio finan- ziario equivalente a quello di altri impianti energetici;

• sicurezza e affidabilità; bassa probabilità di danni gravi al nocciolo del reattore, capacità di tollerare gravi errori umani ed eventi naturali catastrofici;

• resistenza alla proliferazione e protezione fisica tali da scoraggiare il furto o la produzione non dichiarata di materiale nucleare o l’uso illecito della tecnologia.

Alla luce di quanto qui riportato appare evidente la grande importanza che i dati nucleari rivestono nella fisica nucleare fondamentale e applicata. Abbiamo visto infatti che le misure delle sezioni d’urto neutroniche risultano utili, non solo nello studio delle proprietà fondamentali della materia nucleare, ma anche nello sviluppo di molte applicazioni, quali l’astrofisica nucleare e le tecnologie nucleari. Questo porta alla necessità di raccogliere nuovi dati nucleari affidabili e accurati.

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La Facility n_TOF

2.1 Introduzione

Al fine di soddisfare la necessità di dati nucleari nuovi e accurati, è stata proposta al CERN nel 1998 la costruzione di una nuova facility di neutroni, n_TOF “neutron Time-Of-Flight”, la cui costruzione è stata completata circa due anni dopo.

Tra il 2001 e il 2004 ha avuto luogo un’intensa attività sperimentale che va sotto il nome di “n_TOF-Phase 1”. Dopo questa fase la facility ha subito un upgrade il cui risultato più importante è stato la classificazione delle aree sperimentali come “Work Sector Type A” che ha consentito da quel momento in poi l’utilizzo di campioni radioattivi non sigillati. L’upgrade ha riguardato anche la sostituzione del target di spallazione con uno più robusto e la separazione del circuito di moderazione da quello di raffreddamento.

Nella primavera del 2009, si è dato il via ad una nuova campagna sperimentale che va sotto il nome di “n_TOF-Phase 2”. Le nuove caratteristiche del target di spallazione e dell’area sperimentale hanno consentito di migliorare ulteriormente la qualità dei dati raccolti e di ampliare il già vasto programma della Collaborazione n_TOF.

Nel 2013 è iniziata la costruzione di una seconda linea di fascio con la relativa area sperimentale, completata nel Giugno 2014 [15, 16].

Come si vedrà nel seguito di questa tesi, le caratteristiche principali della facility n_TOF sono l’alto flusso istantaneo, l’elevata risoluzione energetica e l’ampio spettro di energia del fascio di neutroni. Tali caratteristiche, unite a sistemi di rivelazione e acquisizione altamente performanti, hanno permesso di soddisfare molte richieste della comunità scientifica e di raccogliere dati nucleari accurati e affidabili.

A n_TOF i neutroni sono prodotti per mezzo di reazioni di spallazione indotte da protoni di alta energia (20 GeV) che incidono su un bersaglio di Piombo. Succes-

16

(23)

sivamente i neutroni viaggiano attraverso tubi in vuoto verso le aree sperimentali, dove sono presenti i campioni degli isotopi oggetti di studio e i set-up sperimentali per la rivelazione dei relativi prodotti di reazione. La facility è composta da:

• Linea di trasporto dei protoni

• Il target di spallazione

• Due linee di fascio per i neutroni

• Due aree sperimentali: Experimental Area 1 e Experimental Area 2 (EAR1 e EAR2 rispettivamente)

• I beam dump

La Figura 2.1 mostra schematicamente la collocazione delle due aree sperimentali, EAR1 e EAR2 [17], rispetto al target di spallazione.

Figura 2.1: Immagine schematica (non in scala) che mostra la collocazione delle due aree sperimentali EAR1 e EAR2, rispetto al target di spallazione.

Nel Luglio 2014 è cominciata una nuova fase sperimentale in entrambe le aree spe- rimentali e in particolare è stato effettuato il commissioning della seconda, all’interno della cui attività si inserisce il presente lavoro di tesi.

In questo capitolo viene riportata una breve descrizione della facility assieme alle principali caratteristiche del fascio di neutroni in termini di flusso, risoluzione ener- getica, profilo spaziale e background. Vale la pena sottolineare che una conoscenza

(24)

adeguata delle caratteristiche del fascio di neutroni è un prerequisito fondamentale per ottenere l’accuratezza richiesta nella conoscenza delle sezioni d’urto delle reazioni indotte dai neutroni.

2.2 La tecnica del tempo di volo

Come già detto, n_TOF sfrutta la tecnica del tempo di volo (time-of-flight, TOF) per determinare l’energia dei neutroni [20].

Il tempo impiegato dal neutrone per percorrere la distanza L tra il target di spallazione e l’area sperimentale è dato dalla differenza tra l’istante in cui viene rivelato un suo prodotto di reazione nel rivelatore, tn, e l’istante in cui viene generato nel target di spallazione t0:

T OF = tn− t0 (2.1)

Mentre tn è misurato accuratamente, non è possibile sperimentalmente misurare t0. Tuttavia questa quantità può essere ricavata dal segnale prodotto nei rivelatori dal cosiddetto γ flash. Infatti al momento dell’impatto dei protoni col target di spallazione sono prodotti, insieme ai neutroni, raggi γ e particelle ultrarelativisti- che che giungono in area sperimentale impiegando un tempo pari a L/c. In altre parole, il tempo a cui il segnale dei gamma (detto appunto γ flash) viene rivela- to è tγ=t0+L/c. Da questa equazione è possibile, misurando sperimentalmente tγ, estrarre t0 e sostituirlo nell’espressione del tempo di volo sopra riportata, ottenendo così:

T OF = tn− tγ+L

c (2.2)

Come schematicamente mostrato nella Figura 2.2, una volta che l’acceleratore dei protoni invia il segnale di trigger, si apre la finestra di acquisizione del DAQ (Data Acquisition System) e il tempo tγ, associato al segnale indotto dal γ flash nel rivelatore, è il primo ad essere registrato, mentre i prodotti di reazione del neutrone vengono registrati a tempi successivi tn.

(25)

Figura 2.2: Schematizzazione della distribuzione temporale dei segnali coinvolti nella determinazione del tempo di volo ad n_TOF.

Nella Figura 2.3 è mostrato un esempio del tempo di volo registrato per i neutroni, tn, mentre in Figura 2.4 un esempio relativo al tempo di volo del γ flash, tγ.

Figura 2.3: Distribuzione temporale dei segnali registrati dai rivelatori al Silicio in EAR1.

(26)

Figura 2.4: Distribuzione temporale collegata ai segnali del γ flash.

Noto il relativo tempo di volo, l’energia cinetica di un neutrone nel caso relativi- stico è data da:

En= mnc2 √ 1

1 − β2 −1

!

con β = v

c = L

c · T OF (2.3) Mentre nel caso non relativistico la precedente espressione si riduce ad una relazione più semplice [21]:

En= 1 2mn

 L T OF

2

72.29826 · L(m) T OF(µs)

!2

(2.4)

2.3 Produzione del fascio di neutroni

Le caratteristiche del fascio di neutroni prodotto sono collegate a quelle del fascio di protoni incidenti e del bersaglio utilizzato. Nel dettaglio, il numero di neutroni prodotti aumenta all’aumentare dell’energia dei protoni e all’aumentare del peso atomico del bersaglio di spallazione.

Tuttavia, come si può osservare nella Figura 2.5, il numero di neutroni emessi per unità di energia incidente tende a saturare indipendentemente dal materiale del target. Nel Pb viene raggiunto un livello di saturazione corrispondente a 20 neutro- ni/GeV (i bersagli di spallazione costituiti da elementi più pesanti sono caratterizzati da una saturazione più alta).

(27)

Basandoci su questa considerazione, ogni protone di 20 GeV dal PS produrrebbe tra i 400 e i 500 neutroni. In realtà, a causa delle dimensioni finite del target di spallazione, vengono prodotti circa 360 neutroni da ciascun protone nel target.

Poichè l’intensità massima del fascio di protoni è di 7×1012 protoni per impulso, sono prodotti circa 2×1015 neutroni per impulso. Questo numero molto elevato è il motivo principale dell’alta intensità del fascio di neutroni.

Figura 2.5: Numero di neutroni emessi per diversi materiali costituenti il target di spallazione in funzione dell’energia incidente del protone.

2.4 Il fascio di protoni

La facility n_TOF utilizza come fascio di protoni quello accelerato dal CERN Proton Synchrotron (PS). Un singolo pacchetto, o bunch, di protoni è accelerato nell’anello del Booster ed iniettato nel PS a 1.4 GeV/c. Il PS opera in modo tale da poter accelerare più pacchetti contemporaneamente, che vengono poi estratti ed indirizzati a diversi esperimenti. I bunches dedicati alla facility n_TOF vengono accelerati dal PS fino a 20 GeV/c con una risoluzione temporale di 7 ns (r.m.s.).

Le caratteristiche del fascio di protoni, in particolare la distanza fra due pacchetti consecutivi (repetition rate), l’intensità e la larghezza del pacchetto, si adattano perfettamente alla necessità di avere una sorgente pulsata di neutroni per le misure dei tempi di volo. Infatti avere un pacchetto stretto di protoni (circa 7 ns) garantisce una piccola incertezza sulla misura del tempo di volo e quindi sulla ricostruzione dell’energia cinetica dei neutroni [22].

(28)

Il PS opera con un duty cicle di 0.8 Hz che consente di avere pacchetti di protoni separati da 1.2 s. Un basso rate di ripetizione permette di annullare la sovrappo- sizione dei pacchetti di neutroni (fenomeno noto come wrap-around) che potrebbe portare a confondere i neutroni lenti di un dato pacchetto con quelli veloci di un pacchetto successivo. Questo problema è causa di un background significativo in altre facility per neutroni.

2.5 Bersaglio di spallazione

Con il termine spallazione ci si riferisce in genere a tutti i processi che avvengono quando particelle energetiche colpiscono un target pesante portando all’emissione di una grande quantità di prodotti di reazione (particelle leggere cariche, neutroni, nuclei leggeri, etc...). In breve, durante la prima fase della reazione, i protoni incidenti causano l’emissione di pochi nucleoni di energia intermedia e la produzione di altre particelle. Alla fine di questa fase di cascata intranucleare, vengono rilasciati nuclei residui con un’ energia di eccitazione di diverse decine di MeV.

La reazione procede poi attraverso una fase transitoria in cui i nuclei eccitati si muovono verso l’equilibrio; durante questa fase, è ancora possibile l’emissione di nucleoni relativamente veloci. Questo processo è noto come pre-compound o emissione di pre-equilibrio.

In questa fase è possibile che avvenga anche l’emissione di alcuni frammenti di fissione o di frammenti di massa intermedia. Infine, nella fase di evaporazione, i nuclei composti possono fissionare emettendo frammenti di massa intermedia e/o evaporare emettendo particelle leggere, per lo più neutroni di energia dell’ordine del MeV.

In un target massivo di spallazione, dopo la prima fase di cascata intranucleare, le particelle secondarie più energetiche possono incontrare un nuovo nucleo, e avviare un nuovo processo di spallazione. La Figura 2.6 sintetizza tutte le fasi coinvolte nella reazione.

Durante la fase di upgrade successiva ad “n_TOF Phase1” sono state studiate svariate soluzioni per la progettazione del nuovo bersaglio di spallazione ad n_TOF:

la scelta è ricaduta su un blocco unico cilindrico di piombo puro al 99.99% [23], di diametro 60 cm e lunghezza 40 cm raffreddato da acqua demineralizzata (Figura 2.7).

(29)

Figura 2.6: Rappresentazione schematica delle varie fasi di una reazione di spallazione.

Il core di piombo è inserito in un nuovo contenitore pressurizzato di alluminio.

Figura 2.7: Schematizzazione del nuovo target di spallazione ad n_TOF. La figu- ra sulla sinistra mostra i vari elementi del nuovo target: blocco di Pb, circuito di moderazione e raffreddamento, etc..

(30)

Figura 2.8: Il nuovo target di spallazione che viene installato nella sua cavità.

Nel primo bersaglio di spallazione, l’acqua di raffreddamento agiva anche da mo- deratore dell’energia dei neutroni. Per il secondo bersaglio, il circuito di raffredda- mento è stato in parte separato dal moderatore per avere più flessibilità nel cambiare lo spettro energetico del fascio di neutroni. A tal fine, il contenitore è diviso il due differenti volumi: il primo, riempito con acqua demineralizzata ed in diretto contatto con l’intero blocco di piombo, è usato per il raffreddamento, mentre il secondo, stac- cato dal ciclo di raffreddamento e presente solo nel lato di uscita dei neutroni, può essere riempito con liquidi differenti e funge da moderatore per i neutroni emessi.

Lo spessore effettivo occupato dal liquido del circuito di raffreddamento è di 1 cm, mentre quello occupato dal moderatore è di 4 cm (Figura 2.9).

La possibilità di cambiare il liquido utilizzato come moderatore risulta molto utile per ridurre il fondo nell’area sperimentale dovuto ai raggi gamma di 2.2 MeV prodotti nella reazione di cattura su1H, che rappresentano un problema significativo per le misure di cattura neutronica. Utilizzando moderatori in cui la probabilità di cattura di neutroni è inferiore, si riesce a ridurre in modo sostanziale questa tipologia di background di circa un fattore 10 [24].

(31)

Figura 2.9: Schema del nuovo bersaglio di spallazione, con i 4 cm di moderatore e 1 cm di liquido di raffreddamento. Il blocco cilindrico di Piombo di 60 cm di diametro e 40 cm di lunghezza è posto all’interno di un contenitore in cui è fatta circolare acqua con un flusso sufficientemente alto per un efficeinte raffreddamento del piombo.

L’utilizzo di differenti moderatori modifica anche la forma del flusso di neutroni come mostrato nella Figura 2.10 in cui viene messo a confronto il flusso ottenuto in EAR1 con 5 cm di acqua demineralizzata e quello ottenuto invece con l’introduzione di acqua borata nel circuito di moderazione, ottenuti in due diverse campagne di misura della n_TOF Phase2.

(32)

Figura 2.10: Confronto tra il flusso di neutroni che giunge in EAR1 prodotto con un moderatore di acqua normale (curva blue) o borata (curva rossa).

2.6 La prima linea di fascio e la prima zona spe-

rimentale, EAR1

Dopo essere stati prodotti (ed eventualmente moderati) i neutroni lasciano il target di spallazione ed entrano nelle linee di fascio.

Quella relativa alla prima sala sperimentale è inclinata di 10° rispetto alla dire- zione di incidenza del fascio di protoni e si estende per circa 200 m fino al beam dump, in direzione orizzontale. I neutroni che emergono dal target di spallazione si propagano attraverso dei tubi in vuoto di diametro variabile, montati all’interno di un tunnel preesistente.

Lungo la base di volo, così come mostrato in Figura 2.11, sono posti diversi elementi (pareti di cemento e ferro, magneti, collimatori, etc...) al fine di modellare il profilo spaziale del fascio di neutroni, ridurre il background di particelle cariche e di fotoni presenti nel fascio e quello causato dai neutroni al di fuori di esso.

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Figura 2.11: Schematizzazione del tunnel di n_TOF dal target di spallazione fino al beam dump (200 m).

Il primo settore della linea di trasporto di neutroni, lungo 70 m, ha un diametro di 80 cm ed è realizzato in alluminio, contrariamente ai rimanenti tubi della linea di fascio che sono realizzati in acciaio; al termine di questo settore è presente un blocco di ferro, spesso 2 m, con l’obiettivo di ridurre il diametro del fascio fino a 60 cm. Il primo collimatore, spesso 2 m e installato a 137 m dal target, è composto da un blocco di ferro e uno di cemento ed è utilizzato per ridurre la divergenza del fascio all’entrata dell’area sperimentale. Maggiori dettagli su questo collimatore sono riportati nella Tabella 2.1. Questo settore del tubo presenta anche un ampio magnete e una “stazione di filtro”, la quale è dotata di otto slot dove possono essere inserite lastre di materiali che assorbono neutroni (in genere sono utilizzati isotopi con risonanze neutroniche molto pronunciate).

Il compito della “stazione di filtro” è quello di assorbire tutti i neutroni del fascio a determinate energie per poter così studiare il contributo del background a quelle energie. Il magnete è un dipolo magnetico (Figura 2.12) ed ha invece lo scopo di deviare le particelle cariche secondarie al di fuori del fascio, verso le pareti del tunnel o verso un muro di ferro spesso 3.2 m posto immediatamente a valle (viene utilizzato il ferro perché particolarmente adatto ad attenuare il background dei muoni).

(34)

Figura 2.12: Lo "sweeping magnet"

Dopo il passaggio attraverso il magnete, i neutroni raggiungono il terzo settore in cui è posto l’ultimo assemblaggio per la collimazione.

Contrariamente al primo collimatore, il secondo serve a modificare il profilo del fascio. Infatti grazie ad una struttura più complessa che prevede diversi strati di polietilene borato e ferro (Figura 2.13) è possibile modellare il profilo spaziale del fascio senza produrre background che inciderebbe pesantemente sulle misurazioni data la vicinanza del collimatore all’area sperimentale [25].

Ad n_TOF sono state costruite e utilizzate due versioni del secondo collimatore.

Esse differiscono solo per l’apertura e quindi per la dimensione del fascio di neutroni emergente.

Per misure di cattura, che richiedono un fascio di neutroni piccolo e ben definito, viene utilizzata la versione con un’apertura di 1.8 cm di diametro, mentre per le misure di fissione, in cui i campioni sono solitamente sottili per evitare auto assorbi- mento dei frammenti di fissione, il flusso sul campione è massimizzato da un’apertura di 8 cm.

(35)

Figura 2.13: Assemblaggio del secondo collimatore.

Collimatore Materiale Raggio Lunghezza

degli strati Interno/Esterno (cm) (m)

1st 1-Ferro 5.5-25.0 1

2-Cemento 5.5-25.0 1

2nd C.M. 1-Polietilene Borato 0.9-20.0 0.5

2-Ferro 0.9-20.0 1.25

3-Polietilene Borato 0.9-20.0 0.55

2nd F.M. 1-Polietilene Borato 4.0-20.0 0.5

2-Ferro 4.0-20.0 1.25

3-Polietilene Borato 4.0-20.0 0.55

Tabella 2.1: Caratteristiche dei collimatori C.M. (Modalità Cattura) e F.M.

(Modalità Fissione)

Facendo riferimento alla Figura 2.11, EAR1 è definita da due muri di cemen- to, il primo a circa 182 m dal target di spallazione ed il secondo 7 m dopo, che agiscono anche come schermature. Nell’area sperimentale sono contenuti il cam- pione da misurare, i rivelatori e tutte le apparecchiature ausiliarie necessarie per le misurazioni.

L’area sperimentale è classificata come "Laboratorio di Classe A" (o più pro- priamente come "Work Sector Type A"): dotata di numerosi sistemi di sicurezza (antincendio, sovrapressione, ventilazione forzata, etc...), ed è pertanto idonea ad ospitare sorgenti radioattive non sigillate, come i campioni radioattivi utilizzati in molte misure.

(36)

All’uscita dell’area sperimentale, al di là del muro di cemento di spessore di 1.6 m, c’è la quarta sezione chiamata "escape line", lì dove termina la linea del fascio (Figura 2.14).

Questa zona è predisposta per avere tutta l’elettronica e il sistema di acquisizione dati, DAQ, che poi vengono inviati alla sala di controllo dell’esperimento, situata in superficie. Dalla sala di controllo è possibile monitorare in tempo reale tutti i rivelatori e i vari parametri (pressioni, temperature, livelli di esposizione etc...) relativi alla sala sperimentale, al tunnel e all’area contenente il target.

Figura 2.14: Sala in cui è situata la Neutron Escape Lane, il beam dump e il sistema di acquisizione dati.

Il tubo a vuoto del fascio termina su un blocco di polietilene di lato 50 cm, solitamente indicato col nome di “beam dump”. In realtà i neutroni non sono com- pletamente assorbiti da questo blocco, ma vengono in parte termalizzati e catturati dal pavimento e dai muri stessi del tunnel.

Come già detto precedentemente, EAR1 è un “Work Sector Type A” e questo permette di utilizzare campioni di isotopi radioattivi non incapsulati, ma non senza adottare alcune particolari procedure di radioprotezione. A tal fine EAR1 è stata dotata di un’area di decontaminazione mostrata in Figura 2.15.

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Figura 2.15: Foto dell’entrata dell’area sperimentale. A partire dal lato sinistro in al- to ed in senso orario: l’entrata alla beam line, l’entrata all’area di decontaminazione, l’interno dell’area di decontaminazione e la zona del beam dump.

2.7 La seconda linea di fascio e la seconda zona

sperimentale, EAR2

La realizzazione di EAR2 ha consentito di avere una sala sperimentale complementare e allo stesso tempo indipendente da EAR1.

EAR2 è posizionata a 20 m sulla verticale del bersaglio di spallazione ed è una delle poche sale sperimentali al mondo ad utilizzare un flusso verticale di neutroni.

In Figura 2.16 è mostrata la struttura di EAR2 e della seconda linea di fascio.

Il tubo del fascio ha un diametro interno variabile tra i 32 cm e i 6 cm e si estende dal target di spallazione fino al Beam Dump. Questo è costituito da un nocciolo di Ferro che rallenta i neutroni veloci, circondato da Polietilene Borato.

Per quanto riguarda la collimazione del fascio, un primo collimatore cilindrico di 1 m e fatto di Ferro, è collocato a circa 10 m dal bersaglio di spallazione. Un secondo collimatore di 3 m è invece collocato immediatamente sotto EAR2. Per le misure di cattura viene utilizzato un collimatore con un diametro interno di 20 mm, in alternativa per le misure di fissione è in fase di studio un altro con diametro di circa 60 mm.

(38)

Sia in modalità di fissione che in modalità di cattura, i collimatori sono conici e composti da una sezione di 2 m di Ferro e di 1 m di Polietilene Borato.

Figura 2.16: Ricostruzione al computer dell’ EAR2 e della seconda linea di fascio.

Il bunker della sala sperimentale (Figura 2.17) è una stanza di 40.8 m2di superficie e 5.5 m di altezza.

Per completare la descrizione della seconda linea del fascio, è importante consi- derare altri altri due elementi: un magnete permanente (0.2 T·m) e una stazione di filtri, analoga a quella installata sulla linea di fascio orizzontale.

(39)

Figura 2.17: Layout e foto della sala sperimentale EAR2.

2.8 Caratteristiche della Facility

La combinazione di tutti gli elementi della facility ad n_TOF, dal target di spal- lazione fino alle aree sperimentali, porta alla produzione di due fasci di neutroni con caratteristiche adeguate a misure di cattura e a sezioni d’urto di fissione di al- ta qualità. In particolare, l’alto flusso istantaneo, l’alta risoluzione energetica e il basso background sono tutte caratteristiche fondamentali per ottenere dati affidabili sulle sezioni d’urto neutroniche. Tra i vari aspetti positivi, spicca l’ampiezza dello spettro neutronico che si estende dalla regione del termico (25 meV) fino ad energie dell’ordine del GeV.

La Figura 2.18 mostra un paragone sul flusso istantaneo (cioè il numero di neu- troni per impulso) per differenti facility: n_TOF (EAR1), GELINA situata a Geel in Belgio e il Manuel Lujan Neutron Scattering Center al Laboratorio Nazionale di Los Alamos, mentre nella Figura 2.19 viene riportato un confronto tra il flusso medio di neutroni. Il numero totale di neutroni prodotti nel target di spallazione da un sin- golo pacchetto di protoni in EAR1 è ordini di grandezza più grande rispetto a quello che si riesce ad ottenere da altre facility esistenti. Tale rapporto risulta ancora più conveniente se si considera il flusso di neutroni in EAR2. L’ intensità della sorgente consente di aumentare considerevolmente la base di volo, pur continuando ad avere

(40)

un flusso medio di neutroni paragonabile a quello di altre facility, mentre il flusso istantaneo risulta fino a tre ordini di grandezza più elevato.

Figura 2.18: Flusso di neutroni istantaneo per diverse facility.

Figura 2.19: Flusso di neutroni medio per differenti facility.

Va inoltre considerato che in una facility per tempo di volo la risoluzione energe- tica è data da:

(41)

∆En

En = 2 ×

v u u t ∆t

t

!2

+ ∆L

L

!2

(2.5) e pertanto l’uso di una lunga base di volo permette di migliorare la risoluzione energetica, necessaria per risolvere le strutture di risonanza nelle sezioni d’urto.

A causa della più corta base di volo, il flusso di neutroni in EAR2 è fino a 25/30 volte superiore a quello di EAR1 (o anche più), a discapito della risoluzione energetica. I flussi (simulati) delle due aree sperimentali sono confrontati in Figura 2.20, dove è riportata anche una schematizzazione della posizione delle due sale sperimentali rispetto al target di spallazione, mentre nella Tabella 2.2 è riportato il flusso neutronico per cm2 presente in EAR1 e in EAR2 per differenti intervalli energetici.

(a)

(b)

Figura 2.20: Schema dell’area in prossimità del bersaglio di spallazione (Fig.2.20(a)).

Confronto tra i flussi simulati con FLUKA (in blu EAR1 e in nero EAR2, Fig.

2.20(b)).

(42)

Dalla Tabella 2.2 si può notare che il guadagno previsto dalle simulazioni, definito come il rapporto tra il flusso di neutroni in EAR2 e in EAR1 utilizzando lo stesso diametro del collimatore, sia pari a 27 nella regione del keV, regione di interesse in astrofisica. Nel capitolo successivo, incentrato sulla misura e analisi dei dati sul flusso in EAR1 e EAR2, saranno dati maggiori dettagli.

Intervallo EAR2 Incertezza EAR1 Incertezza Guadagno Energetico n/cm2/pulse Statistica n/cm2/pulse Statistica

[%] [%]

0.02-10 eV 1.64·106 2.0 1.07·105 0.2 15.4

10 eV-1 keV 1.07·106 1.4 3.98·104 0.3 26.8

1 keV-100 keV 1.36·106 1.3 5.02·104 0.2 27.0

0.1-10 MeV 3.00·106 0.9 1.76·105 0.1 17.1

10-200 MeV 4.78·105 2.0 4.15·104 0.3 11.5

Range Totale 7.54·106 0.6 4.14·105 0.08 18.2 (da 0.02 eV

a 200 MeV)

Tabella 2.2: Flusso neutronico presente in EAR1 e in EAR2 per differenti intervalli energetici con relativo guadagno.

ll maggior flusso di neutroni, permette di misurare in EAR2 campioni molto piccoli (massa<1 mg), campioni con alta radioattività e gli isotopi con piccole sezioni d’urto. La possibilità di avere campioni con massa minore di 1 mg è di importanza cruciale quando bisogna ridurre l’attività di isotopi altamente radioattivi o nel caso in cui si trattano materiali rari, per i quali è difficilmente reperibile un campione di grande massa.

Il flusso molto alto di EAR2 consente inoltre l’uso di campioni molto sottili, un grande vantaggio nella misura delle reazioni che producono particelle cariche e potrà consentire anche l’irradiazione di vari materiali e dispositivi elettronici per studi di danni da radiazione o per dosimetria.

La configurazione di EAR2 ha un altro vantaggio molto importante rispetto ad EAR1: per effetto della più corta base di volo che si ha in EAR2 rispetto a EAR1, si ha un minor tempo di volo dei neutroni verso il campione, dieci volte più breve.

Il più piccolo tempo di volo in combinazione con il maggior flusso di neutroni, fa sì che il rapporto tra i segnali indotti da neutroni e il fondo costante dovuto all’attività dei campioni radioattivi aumenti di più di due ordini di grandezza. Questa caratte- ristica è estremamente importante in studi su isotopi radioattivi a breve vita media,

(43)

in cui l’attività intrinseca del campione rappresenta la componente di background dominante.

2.9 Risoluzione energetica e funzione di risoluzio-

ne

Quando si tratta di determinare l’energia tramite il tempo di volo, le principali fonti di incertezza sono legate al processo di moderazione nel target e alla risoluzione temporale del fascio di protoni (nel seguito verrà discusso solo l’effetto del processo di moderazione).

Come conseguenza delle reazioni di scattering elastico con il Pb e il liquido mode- ratore, i neutroni rallentano nel target e impiegano un po’ di tempo prima di entrare nel tubo a vuoto (questo tempo è chiamato “tempo di moderazione”). Il processo di moderazione nel Pb presenta due caratteristiche: la sezione d’urto elastica è ap- prossimativamente costante fino a 10 keV, e in ciascuna collisione viene persa una piccola frazione dell’energia dei neutroni.

Di conseguenza, si sviluppa una forte correlazione tra il tempo di moderazione e l’energia cinetica finale del neutrone. In particolare dato t, il tempo al quale il neutrone è osservato (in questo caso quando lascia il target) ed En la sua energia cinetica a quel tempo, vale la seguente relazione [26]:

En= k

(t + t0)2 (2.6)

k e t0 sono parametri che dipendono dalla geometria del target e che possono essere ottenuti dalle simulazioni o fittati sperimentalmente. Come conseguenza si può introdurre un’effettiva traiettoria di volo λ del neutrone all’interno del target, definita come:

λ= vn× t (2.7)

Qui t è il tempo di moderazione, cioè il tempo trascorso dalla sua produzione fino a quando questi esce dal target, con velocità vn. Per convenzione, è possibile pensare a questo termine come una distanza extra da aggiungere alla distanza geometrica tra il target di spallazione e l’area sperimentale. Questo significa che si può considerare L+λ come base di volo totale del neutrone.

Il termine addizionale λ non è costante su un gran range di energie del neutrone, ma mostra una lieve dipendenza dall’energia, che può essere simulata. I calcoli di Monte Carlo eseguiti con i codici FLUKA e CAMOT, hanno indicato che esiste una

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