Imu coniugi con residenza diversa in Comuni diversi
Autore: Redazione | 03/02/2022
Esenzione Imu: spetta se i coniugi hanno casa di residenza diversa?
Come noto a tutti, l’attuale legge garantisce un’esenzione dal versamento dell’Imu sulla cosiddetta abitazione principale. L’abitazione principale non è solo quella di residenza ma anche di dimora abituale. Il che significa che non basta dichiarare
all’Anagrafe di essere residenti in un determinato appartamento ma bisogna anche viverci per gran parte dell’anno.
Si è posto poi il problema dell’Imu per i coniugi con residenza diversa in Comuni diversi. Si pensi al caso del marito, residente nella casa ove vive la famiglia, e della moglie che invece abbia fissato la residenza in un altro luogo ove possiede un altro appartamento. L’espediente è abbastanza ricorrente per fare in modo di non pagare l’Imu anche sulla seconda casa. È chiaro che, se così fosse, si garantirebbe una facile scappatoia anche ai proprietari di più immobili.
Senonché, tale possibilità è esclusa dalla legge. A spiegare perché è stata la Cassazione con una recente ordinanza [1].
Cerchiamo dunque di capire se l’esenzione Imu spetta ai coniugi con casa di residenza diversa.
Condizioni per esenzione Imu
Per ottenere l’esenzione Imu sono necessari due presupposti:
la residenza nell’immobile agevolato: si tratta di un dato che deve quindi figurare dall’ufficio Anagrafe del Comune;
l’abituale dimora in tale immobile: il contribuente vi deve cioè abitare in via prevalente rispetto ad eventuali ulteriori immobili posseduti. Così non è possibile ottenere l’esenzione Imu per la casa al mare visto che viene vissuta solo per poche settimane nel corso dell’anno.
In verità, la cosa è più scontata di quanto non possa sembrare. Difatti, ogni contribuente ha il dovere di dichiarare la residenza laddove vive abitualmente:
dunque, dove c’è la residenza vi deve anche essere la dimora abituale.
Diversamente, si commetterebbe il reato di falso in atto pubblico: ciascuno di noi infatti deve fornire all’ufficiale di Stato civile informazioni veritiere sulla propria residenza e non strumentali rispetto alle esigenze economiche. Senonché, proprio perché c’è molta gente che tenta di dribblare le norme fiscali, la legge ha ritenuto di dover specificare, in modo espresso, la coesistenza di tali due limiti.
Nel caso però di coppia sposata – sia essa in regime di comunione o separazione dei beni – la legge prevede un’ulteriore condizione: i requisiti appena visti (ossia residenza e abituale dimora) non devono riguardare solo il contribuente
interessato al versamento dell’imposta, ma tutto il nucleo familiare. Cerchiamo di spiegarci meglio.
Moglie e marito con dimora e residenza diversa
Alla luce di quanto appena detto, se il marito e la moglie hanno residenze diverse, non potendo avere perciò la medesima dimora (perché, come anticipato, la dimora non può che essere il luogo di residenza), è esclusa l’esenzione Imu. A chiarirlo è stata la Cassazione nella sentenza in commento, già ripresa in precedenti pronunce. Leggi anche “Coniugi con residenza diversa: si paga l’Imu?“.
La Corte ha perciò ritenuto sacrosanto l’avviso di accertamento compiuto da una società di riscossione che opera per conto del Comune. Impossibile riconoscere l’esenzione prevista per l’abitazione principale e ciò perché il marito era residente in un Comune limitrofo. È stata, peraltro, ritenuta insufficiente la motivazione addotta da questi secondo cui lo spostamento di residenza era stato determinato da esigenze lavorative. Ciò consente al Comune di recuperare l’Imu non versata dall’altro coniuge negli ultimi cinque anni (tale è infatti il termine di prescrizione dell’imposta sulla casa).
Per i giudici della Suprema Corte «il tenore letterale della norma è chiaro», stabilendo che «l’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle sue pertinenze» e precisando che «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, in cui il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente». Ciò comporta la necessità che «in riferimento all’unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente».
Quindi, quando si tratta di coppia di coniugi (con o senza figli), per ottenere l’esenzione Imu è necessario che il requisito della dimora abituale e della residenza sia comune sia al marito che alla moglie. Ma c’è un modo per superare questo ostacolo, alle condizioni che ora ti indichiamo.
Coniugi con due case: si può scegliere quella esente da Imu
Una recente riforma [2] ha chiarito che, se i coniugi hanno due case, possono scegliere quale di esse è l’abitazione principale e così individuare quella esente dal pagamento dell’Imu. Così l’esenzione per abitazione principale – che ovviamente sarà solo per uno dei due immobili posseduti dai coniugi – può spettare anche quando marito e moglie avevano stabilito la loro rispettiva residenza in due luoghi diversi. Per maggiori dettagli leggi “Coniugi con due case:
pagamento Imu sull’abitazione principale“.
Note
[1] Cass. ord. n. 20130/20 del 24.09.2020. [2] Art. 5 decies D.L. n. 146/2021.
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Sentenza
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 8 – 24 settembre 2020, n.
20130 Presidente Mocci – Relatore Caprioli Fatto Ritenuto che : Con sentenza n.
1142/ 6/2018, depositata il 27.11.2018 non notificata, la CTR dell'Abruzzo, sez.
distaccata di Pescara, accoglieva l'appello di Ce. Be. relativamente ad una controversia avente ad oggetto avvisi di accertamento per Imu per l'anno di
imposta 2013 ritenendo sussistente il presupposto per fruire dell'aliquota agevolata Imu da abitazione principale giacché la contribuente aveva la residenza
anagrafica all'interno dell'immobile e la residenza anagrafica del coniuge in altro comune sarebbe stata giustificata da esigenze lavorative. Avverso la sentenza della CTR la RIS.Co-società di riscossioni comunali s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione svolgendo un unico motivo. Ce. Be. si è costituita con controricorso
illustrato da memoria. Con l'unico articolato motivo la ricorrente deduce la violazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c.
n. 3, per essere stata riconosciuta l'esenzione malgrado l'immobile non fosse stato adibito a dimora abituale dell'intero nucleo familiare. Osserva infatti che la residenza del coniuge in altro Comune peraltro limitrofo non avrebbe consentito
neppure presuntivamente di configurare il requisito della dimora abituale dei coniugi nell'immobile sito in Francavilla. Diritto Considerato che : Il motivo è fondato. Preliminarmente va rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente ravvisandosi nella doglianza dedotta una critica afferente l'esatta portata della norma censurata. Ciò posto in merito alla censura
svolta si osserva che il tenore letterale della norma in esame è chiaro,
diversificandosi in modo evidente dalla previsione in materia di ICI in tema di agevolazione relativa al possesso di abitazione principale, oggetto di diversi interventi normativi. Il D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, per quanto qui
rileva, statuisce che "L'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (...). Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità
immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente". Ciò comporta, la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo
familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche
anagraficamente. Ciò, d'altronde, è conforme all'orientamento costante espresso da questa Corte, in ordine alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, più di recente, cfr. Cass. sez. 5, 11 ottobre
2017, n. 23833; Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, n. 3011), condiviso anche dalla Corte costituzionale (cfr. Corte Cost. 20 novembre 2017, n. 242). D'altronde,
come indiretta conferma di quanto sopra osservato, rileva anche la modifica introdotta, nel contesto del citato D.L. n. 201 del 2011, art. 13, con l'aggiunta, ad opera della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 10, della previsione, al comma 3, del
comma 3a), secondo cui, solo con decorrenza dal 1 gennaio 2016, la base imponibile dell'imposta municipale propria è ridotta del 50% "per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8
e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori stabilmente nello stesso comune in cui è
situato l'immobile concesso in comodato (...)" (Cass. 20368/2018; Cass.
5314/2019; Cass 2020 nr. 4166). Nel caso di specie è accertato che solo la ricorrente aveva la propria residenza anagrafica nel Comune di Francavilla mentre il proprio coniuge, non legalmente separato, ha residenza e dimora abituale in altro
Comune. La sentenza va pertanto cassata con il rigetto dell'originario ricorso della contribuente non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori. Le spese della fase di merito vanno compensate in considerazione dell'alternarsi dell'esito delle
vicende. Le spese della legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata con il rigetto dell'originario ricorso della contribuente; compensa le spese del merito; condanna la controricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessive Euro 1500,00
oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali.