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impossibile, tuttavia è più facile di quello che possiamo pensare. Due volte suonano in questi versetti il verbo stancare e

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Academic year: 2022

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Isaia 43: 23 Tu non mi hai portato l'agnello dei tuoi olocausti e non mi hai onorato con i tuoi sacrifici; io non ti ho tormentato (tenuto in servitù – Diodati) con richieste di offerte, né ti ho stancato domandandoti incenso. 24 Tu non hai comprato con denaro canna odorosa per me e non mi hai saziato con il grasso dei tuoi sacrifici; ma tu mi hai tormentato (tenuto in servitù – Diodati) con i tuoi peccati, mi hai stancato con le tue iniquità.

Può Dio essere nostro servitore?

Questa domanda ci può sembrare irrispettosa se non addirittura impossibile, tuttavia è più facile di quello che possiamo pensare.

Due volte suonano in questi versetti il verbo “stancare” e

“tormentare/tenere in servitù” e ci offrono il senso di un annuncio profetico rivolto a capire la posizione di Dio rispetto a noi.

La provocazione della cosa, o meglio la colpa della domanda che ci siamo fatta stamattina è di Isaia, che è l’unico profeta che quando critica il culto, cioè la religiosità di Israele, ricorre all’argomento del “servire”.

Che senso hanno questi sacrifici?

Sono atti senza scopo oppure sono vuoti di significato? Israele non pensa né una cosa né l’altra e vive il suo culto come un’abitudine o come un segno di appartenenza ad un gruppo: ritenersi il popolo del Signore e vivere la propria storia in modo distratto, rifiutandosi per ignoranza o per pigrizia di ricordare le azioni e le promesse di Dio.

Quante volte accampiamo di fronte a Dio la nostra fedeltà, le nostre buone intenzioni, il nostro essere dei credenti e mettiamo tutte queste cose e molte altre su una bilancia del dare/avere tanto da poterci mettere di fronte a Lui per incassare quello che ci è dovuto.

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Il culto senza fede è il culto vuoto in cui si enfatizza il “servizio al Signore” come se si trattasse di qualcosa di cui lui ha bisogno: qui si avanza la pretesa dell’uomo nei confronti di Dio ed il rifiuto di affidarsi a Lui.

Dio prende atto che l’amore e il rispetto di Israele sono venuti meno nel tempo; i sacrifici vengono letti come modi di dimostrare l’interesse del popolo verso il proprio Signore

Se riflettiamo su questo utilizzo di Dio come colui che ci serve scopriamo di essere diventati degli idolatri perché il culto, che è il luogo dell’adorazione al vero Dio, può addirittura capovolgersi nel suo contrario:

ridurre Dio a diventare lo sfondo di una recita della religiosità e diventare un idolo costruito con le nostre mani.

Sostanzialmente ci si vanta di compiere sacrifici e di utilizzare prodotti, come la canna odorosa e il grasso degli animali non come gesto offerto a Dio, ma come doni per se stessi, per la propria ambizione o per dimostrare di essere persone religiose che possono ostentare la propria ricchezza e devozione.

Gesù riprenderà il senso delle offerte e dei sacrifici1 quando (…41) guardava come la gente metteva denaro nella cassa; molti ricchi ne mettevano assai. 42 Venuta una povera vedova, vi mise due spiccioli che fanno un quarto di soldo e dovette spiegare ai discepoli il senso di un’offerta fatta con fede rispetto a quella data per apparenza.

1 Marco 12, 41-44

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Quante volte le forme di culto sono utilizzate per mascherare quello che veramente siamo facendo credere più all’apparenza che alla sostanza e quante volte cadiamo anche noi nel vedere l’apparenza interpretandola come verità.

L’accusa di Dio non è contro i sacrifici, altrimenti avrebbe contraddetto la Sua Parola, ma dell’animo che il popolo mette nel fare sacrifici facendoci così comprendere i nostri limiti nel dare peso a quello che vediamo come assoluta verità.

Noi possiamo solo vedere dall’esterno il culto e farci un’idea di quello che succede guardando le persone che partecipano oppure i gesti che fanno mentre Dio, che conosce i cuori nella profondità anche di quello che non vogliamo o non sappiamo esprimere ha compreso benissimo che il suo popolo è scollegato: dice una cosa e ne fa un’altra, lo vedi a compiere il suo culto ma di Dio gli interessa poco.

La Parola di Dio si sta rivolgendo alla nostra pigrizia e noi non possiamo permetterci di vivere il nostro rapporto con dio come una relazione faticosa.

Dio non impone i riti sacrificali come un peso per il suo popolo ma parla a Israele attraverso le corde della sua cultura e della sua tradizione dove lo scambio di doni e l’ospitalità sono un modo fondamentale per dimostrare l’attenzione e il rispetto che abbiamo per l’altro.

È per questo che viene messa molta attenzione sul tema dei sacrifici che sono spiegati non come merce di scambio o dono formale quanto piuttosto il modo di esprimere gioia, ringraziamento e senso di affetto.

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È per lo stesso motivo che Gesù dà grande valore all’offerta della povera vedova che vuole dare tutto di se al Signore.

La vocazione che ciascuno di noi ha ricevuto è chiamata a servire, ma non ad essere servi e neppure schiavi; la Parola di Dio ci chiede se e quanto siamo capaci di esprimere il nostro senso di gratitudine per essere stati portati alla dignità di figli di Dio, fratelli in Cristo e salvati per grazia.

Il significato del servire2 non è la subalternità, ma è l’appartenenza e e la sicurezza che riponiamo in Lui.

Sostanzialmente Isaia dice le stesse cose di Amos, di Osea, di Michea e di Geremia ma ci porta una dichiarazione di Dio che è sconcertante: “ma tu mi hai tormentato (tenuto in servitù – Diodati) con i tuoi peccati”.

Questa piccola frase è il centro di tutta la predicazione del Deuteroisaia3 e ruota sulla tematica del servo.

La Parola di Dio ci chiede di fare un salto di qualità nel nostro modo di vivere la fede perché in una società sempre più individualista rischiamo di dare maggiore valore alla nostra cameretta, nella quale possiamo avere un rapporto speciale di preghiera verso Dio, rispetto ad un modo di esprimerla anche nella comunità.

Dato che il di Israele è fallito (“non mi avete servito” ) Dio stesso si è assunto il compito (servizio) di eliminare i peccati dal popolo. È quanto deve

2 ‘bd

3 Da capitolo 40 a capitolo 55 di Isaia, detto anche il “libro della consolazione”

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fare del resto il servo di Dio nei canti dove è la sofferenza vicaria del servo che elimina i peccati dal popolo.

È tramite il servo che opera Dio e se ne ha conferma nell’esaltazione del servo, ma questo servo è Gesù Cristo, colui che dà il senso al nostra risposta di fede.

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