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Carlo Buonauro - Modifiche, correzioni ed integrazioni al Codice dei contratti pubblici

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Indice

1. IL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: EVOLUZIONE E PROGRESSIONE ... 3 2. IL CD. CORRETTIVO (D. LGS. 56/2017) ... 7 3. IL D.L. N. 32/2019, NOTO COME “SBLOCCA CANTIERI”, E LA SUA LEGGE DI CONVERSIONE (L.

55/2019) ... 14 BIBLIOGRAFIA ... 19

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1. Il codice dei contratti pubblici: evoluzione e progressione

Il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, pubblicato nella G.U. del 19 aprile 2016, con entrata in vigore lo stesso giorno (art. 220), inizialmente non ha preso né il nome chiesto dalla legge delega 28 gennaio 2016 n. 11 (codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione) né quello suggerito dal Consiglio di Stato (codice dei contratti pubblici), e ha ricevuto un nome ben più lungo: “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”. In particolare, notava il Consiglio di Stato che il “nome di battesimo” dato inizialmente allo schema di decreto

"codice degli appalti pubblici e delle concessioni", non appare esattamente corrispondente al contenuto dell'articolato, sotto un duplice profilo. Da un lato, l'aggettivo "pubblici" viene riferito solo agli appalti e non anche alle concessioni, laddove anche le concessioni sono pubbliche. Dall'altro lato, nel codice non sono disciplinati solo appalti e concessioni, ma anche altri tipi contrattuali.

Anche se la nozione comunitaria di appalto è molto lata e ben più ampia della nozione italiana come desunta dal codice civile, ciò nonostante nel codice in esame sono regolati tipi contrattuali che non vi rientrano. Basta solo pensare ad alcuni tipi di contratti "esclusi" quali le locazioni passive, che comunque nel codice trovano una disciplina minimale (i principi relativi ai contratti esclusi).

Analogamente, le forme di partenariato pubblico-privato non sono tutte esattamente riconducibili né all'appalto né alla concessione.

Pertanto, il codice potrebbe più appropriatamente essere denominato o "codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture", ovvero, e preferibilmente, "codice dei contratti pubblici", tout court, nome che meglio si addice all’ambizioso progetto sotteso al codice.

Né, in parte qua, può considerarsi vincolante, per il legislatore delegato, l’opzione sul nome operata dalla legge delega”.

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Verosimilmente il legislatore delegato, più che soffermarsi sulla natura giuridica del testo attesa la sua iniziale non applicabilità ad una serie di contratti pubblici, ha preferito evidenziarne i due principali profili contenutistici: da una lato, il nuovo allineamento della disciplina italiana dei contratti pubblici ai nuovi standard euro-unitari quali definiti nelle recenti direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali; dall’altro, anche a seguito delle numerosissimi modifiche subite dal previdente codice (D. lgs. 163/2006) nella sua decennale vigenza, operare un sostanziale il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

Tuttavia la sua dimensione di codice dei contratti pubblici emergeva, sul piano esterno, dal riferimento operato dall’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., nonché, sul piano interno, nelle numerose disposizioni dell’articolato che hanno continuato a fare riferimento al “presente codice”.

Con la cc.dd. decretazione correttiva (su cui amplius infra) tale nomen è stato modificato, riprendendo il suggerimento sintetico del Consiglio di Stato, estendendo i principi di tutela della concorrenza nei contratti pubblici anche per i contratti “attivi” della pubblica amministrazione, inizialmente non inclusi nel codice (locazioni attive, concessioni demaniali, concessioni di denaro pubblico) ex art. 4.

Si ricordi che proprio nel parere n. 855/2016 questo Consesso aveva espresso l’auspicio che in futuro il codice degli appalti potesse diventare il codice dei contratti pubblici tout court, compresi quelli “attivi” ancora regolati dalla legislazione di contabilità di Stato, auspicio non immediatamente traducibile in un riordino dei contratti attivi nel codice, mancando in tal senso un principio espresso di delega.

Per tali contratti attivi non si dubita che, oltre a doversi rispettare eventuali specifiche regole contenute nella legislazione di contabilità di Stato e nelle discipline settoriali, vanno rispettati i principi generali di tutela della concorrenza e parità di trattamento.

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L’art. 1, lett. n) della legge delega, pone tra i criteri direttivi quello della individuazione dei

“contratti esclusi” dall’ambito di applicazione del codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione.

Il principio di delega è stato già interpretato, dal codice, nel senso che oltre a individuarsi i contratti esclusi, vada per essi dettato un “nucleo minimo” di “principi” applicabili, e a tanto provvede l’art. 4 del codice.

Non vi è dubbio che i “contratti attivi” rientrino tra i contratti esclusi, sichè il D. Lgs 56/2017 (cd. correttivo) coerentemente ha esteso i principi di cui all’art. 4 del codice anche ai contratti attivi (a tal fine aggiungendo nell’art. 4, comma 1, dopo le parole contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, le parole dei contratti attivi), coerentemente poi ribattezzando il D. Lgs. 50/2016 nel vero e proprio Codice dei contratti pubblici.

Prima di dar conto delle, dapprima timide poi sempre più corpose, modifiche che anche il nuovo Codice ha registrato, va ricordato che nella G.U. del 15 luglio 2016, è stato pubblicato un copioso avviso di rettifica, avente ad oggetto un elevato numero di norme (circa la metà dei 220 articoli) del nuovo codice dei contratti pubblici. L’intervento è servito a porre rimedio ad una serie di errori materiali ed omissioni, secondo quanto disposto dagli artt. 8, d.P.R. n. 1092 del 1985 (recante il t.u. delle disposizioni sulla promulgazione e pubblicazione delle leggi), e 14 e 18, d.P.R. n.

217 del 1986 (recante il regolamento di esecuzione del medesimo t.u.).

Soprattutto, accanto ad altre correzioni formali di errati riferimenti normativi esterni ovvero di riferimenti interni al testo si è inciso sull'art. 216 che reca un’articolatissima disciplina transitoria.

Su questa norma ha operato anche la prima modifica normativa in senso stretto che ha interessato il d.lgs. n. 50 del 2016: si tratta della previsione innestata dall’art. 9, comma 4, del decreto legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, la quale ha inciso sul comma 11, terzo periodo, di talee articolo, prorogandone l’applicazione della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità dei bandi e degli avvisi per l’affidamento dei contratti pubblici (di cui dall’art. 66, comma 7, dell’abrogato codice dei contratti

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pubblici di cui al d.lgs. 163/2006) dal 31 dicembre 2016 fino all’entrata in vigore del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di cui all’art. 73, comma 4, del nuovo codice.

Si tratta del decreto che doveva essere adottato, d’intesa con l’ANAC, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del medesimo codice, per la definizione degli indirizzi generali di pubblicazione degli avvisi e dei bandi, al fine di garantire la certezza della data di pubblicazione e adeguati livelli di trasparenza e di conoscibilità, anche con l’utilizzo della stampa quotidiana maggiormente diffusa nell’area interessata. Nelle more il decreto in questione è stato adottato (d.m. 2 dicembre 2016, n. 248 “Definizione degli indirizzi generali di pubblicazione degli avvisi e dei bandi di gara, di cui agli articoli 70, 71 e 98 del d.lgs. n. 50 del 2016”) ed è stato pubblicato nella G.U. del 25 gennaio 2017.

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2. Il cd. Correttivo (D. Lgs. 56/2017)

La prima rilevante riscrittura, ampia e sistematica, del Codice, è avvenuta con il già citato decreto correttivo (DECRETO LEGISLATIVO 19 aprile 2017, n. 56 Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 - 17G00078 - GU Serie Generale n.103 del 05-05-2017 - Suppl. Ordinario n. 22). Il suo fondamento normativo-primario va individuato nell’art. 1, comma 8, della legge delega n. 11/2016 alla cui stregua che entro un anno dalla data di entrata in vigore del codice, il Governo potrà adottare disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e della procedura dettati dalla delega per il codice (art. 1, comma 8, legge delega).

A ridosso (e secondo alcuni oltre) di tale scadenza e quindi ad un anno dall’adozione del citato decreto legislativo n. 50 del 2016, il Governo ha deciso di avvalersi di tale facoltà, in primis approvando, nella seduta del Consiglio dei ministri del 23 febbraio 2017, lo schema del decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Il testo è stato poi riapprovato nell’aprile 2016 dopo che con nota del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ufficio di Gabinetto, n. 9633 del 7 marzo 2017, lo schema del decreto è stato tramesso al Consiglio

di Stato, ai fini dell’acquisizione del prescritto parere, reso con prescrizioni con l’atto Numero 00782/2017, adottato dall’Adunanza della Commissione speciale del 22 marzo 2017. È entrato in vigore il 20 MAGGIO 2017 (di qui i problemi di tempestività

rispetto alla previsione della legge delega e possibile vizio di violazione dell’art. 76 Cost.), a seguito di Pubblicazione S.O. GURI n. 103 del 05 maggio 2017 e di previsione (conforme all’art. 10 Preleggi codice civile -Inizio dell'obbligatorietà delle leggi e dei regolamenti - “Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto.”),pe rcui (Art. 131) il presente decreto entra in vigore decorsi quindici giorni dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.”

Il Consiglio di Stato, nel ricordato parere, ha preliminarmente, considerato i limiti dello strumento del decreto correttivo nella logica complessiva del codice dei contratti pubblici e in

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quella generale del ‘modello’ dei decreti legislativi correttivi, operando, sinteticamente, alcune considerazioni di massima sul ruolo dei decreti integrativi e correttivi: una figura non prevista dall’art. 76 Cost., ma ormai stabile nella più recente prassi costituzionale (cfr. Corte cost. n. 156 del 1985; Id. n. 172 del 1994; Id. 206 del 2001).

A tal proposito non può che confermarsi il consolidato orientamento (ribadito, da ultimo, nel parere Comm. speciale, 14 marzo 2017, n. 638), secondo cui il mancato recepimento di una parte della delega entro il termine di scadenza consuma definitivamente il relativo potere, e tale mancato esercizio non può essere recuperato in sede di adozione di decreti correttivi.

Tramite questi ultimi sono consentite, appunto, “integrazioni e correzioni” (anche rilevanti), a seguito di un periodo di “sperimentazione applicativa”, riguardanti le parti di delega già esercitate, ma non un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega.

Inoltre, lo strumento del correttivo non può nemmeno costituire una sorta di ‘nuova riforma’, pur rispettosa della delega originaria, che modifichi le scelte di fondo operate in sede di primo esercizio della delega, attuando un’opzione di intervento radicalmente diversa da quella del decreto legislativo oggetto di correzione (cfr. Corte cost. 26 giugno 2001 n. 206; Cons. St., ad. gen., 6 giugno 2007 n. 1; Cons. St., sez. norm., 9 luglio 2007 n. 2660/07; Id., 5 novembre 2007 n. 3838/07;

Id., 26 luglio 2011 n. 2602).

Vanno poi chiarite la funzione del decreto correttivo e le diverse tipologie di correzioni richieste dal codice dei contratti pubblici

Gli interventi correttivi ed integrativi richiesti dal decreto legislativo n. 50 del 2016 Sono stati classificati in quattro categorie principali.

In primo luogo, il codice presenta, ad una analisi complessiva, numerosi refusi ed errori, che sembrerebbero prima facie meramente materiali, spesso imputabili ai tempi ristretti di confezionamento del codice.

Molti di questi errori, oltre 180, sono stati già corretti con il già citato avviso di rettifica pubblicato nel luglio 2016.

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Molti altri ne restano, e la circostanza che si tratti spesso di refusi o errori materiali, non rende meno impellente l’esigenza di correzione, atteso che essi sono, comunque, fonte di incertezze e di dubbi applicativi.

Si tratta, dunque, di una prima tipologia di correzioni indispensabili (rimozione di errori materiali e refusi), anche se esulano, a stretto rigore, dal proprium di un decreto correttivo, volto a introdurre modifiche prevalentemente di carattere “sostanziale”, che si rendono necessarie o opportune dopo un congruo periodo di applicazione pratica.

Una seconda tipologia di correzioni riguarda la disciplina di coordinamento “esterno” e le conseguenti abrogazioni delle numerose disposizioni di leggi speciali che hanno inciso sulla materia dei contratti pubblici. Tali interventi correttivi sono necessari per un migliore coordinamento del nuovo codice con altre leggi vigenti, coordinamento quasi del tutto mancato in sede di adozione del codice: si pensi solo a titolo di esempio, al mancato coordinamento con il codice del processo amministrativo, i cui artt. 120 e ss., in materia di rito appalti, e l’art. 133, lett. e), n. 2) in materia di giurisdizione continuano a rinviare a disposizioni del d.lgs. n. 163/2006.

Occorre, pertanto, procedere a ulteriori abrogazioni espresse di disposizioni rimaste extravaganti e a operazioni di coordinamento, che talora sono molto delicate (come, ad esempio, nel caso del rapporto con il d.lgs. n. 208/2011 in tema di appalti nel settore delle armi).

Una terza tipologia di correzioni si rende necessaria al fine di rimuovere alcuni errori di recepimento delle direttive e di attuazione della legge delega, che si traducono in altrettante illegittimità delle disposizioni del codice per contrasto con le direttive o per eccesso di delega.

Infine, ma non per ordine di importanza, una quarta tipologia di correzioni è finalizzata a rimediare a difficoltà insorte nella prima applicazione dei nuovi istituti, come emerso dalle audizioni, dal dibattito dottrinale e dalla prima giurisprudenza. Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, vanno evidenziate le – rilevantissime – potenzialità e utilità del decreto correttivo.

Esse sono intrinsecamente connesse – e per questo sono ancora più importanti – alla “fase cruciale dell’attuazione” di ogni riforma, come il Consiglio di Stato l’ha definita in molteplici occasioni (in relazione al codice dei contratti pubblici, cfr. Comm. spec. n. 855/2016, ai punti II.f).4,

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II.f).5 e II.g).1; in relazione ai decreti di attuazione della l. n. 124 del 2016, cfr. pareri: Sez. consultiva atti normativi 24 febbraio 2016, n. 515, al punto 3; Comm. spec. 30 marzo 2016, n. 839, al punto 1 del ‘considerato’; Comm. spec. 7 aprile 2016, n. 890, al punto 1 del ‘considerato’; Comm. spec. 15 aprile 2016, n. 929, punti 1.5 e 3.1 del ‘considerato’; Comm. spec. 3 maggio 2016, n. 1075, al punto 2, parte I del ‘premesso e considerato’; Comm. spec. 5 maggio 2016, n. 1113, al punto 2; Comm.

spec. 9 maggio 2016, n. 1142, ai punti 2.4 e 3.3, parte I, e 6.8.1, parte II, del ‘considerato’; Comm.

spec. 12 maggio 2016, n. 1183, punto 2.2 del ‘considerato’; Comm. spec. 13 luglio 2016, n. 1640, al punto 2 del ‘premesso e considerato’; Comm. spec. 4 agosto 2016, n. 1784/2016, punto A-2 del

‘considerato’).

Il Consiglio ha acutamente osservato che, come ripetuto più volte (in primis, con parere 1 aprile 2016, n. 855 reso sullo schema del codice), una riforma è tale solo quando raggiunge un’effettiva attuazione, che sia percepita da cittadini e imprese e rilevata dai dati statistici. A questo scopo, l’adozione dei decreti legislativi attuativi di una legge(-delega) di riforma non è sufficiente: l’esperienza internazionale insegna che sempre più spesso le riforme ‘si perdono’ nelle prassi amministrative conservative, nel difetto di un’adeguata informatizzazione, nel mancato apprendimento dei meccanismi da parte degli operatori pubblici, nel difetto di comunicazione con i cittadini e le imprese, che non riescono a conoscere, e quindi a rivendicare, i loro nuovi diritti.

Orbene, questa “fase cruciale” dell’attuazione passa, innanzitutto, attraverso la verifica delle disfunzioni – giuridiche, amministrative o anche semplicemente pratiche – del testo originario.

Nessuna riforma nasce subito perfetta, ma molte possono diventarlo con una fase di progressivo adattamento: per tale ragione, i decreti “integrativi e correttivi” di un decreto legislativo hanno un ruolo essenziale.

Con tali decreti, infatti, si può (e si deve) intervenire, da un lato, per garantire la “qualità formale” del testo, con l’eliminazione di illegittimità, refusi, difetti di coordinamento, errori tecnici, illogicità, contraddizioni, dall’altro – e forse soprattutto – per apportare le correzioni e le integrazioni che l’applicazione pratica renda opportune, se non indispensabili, per il buon funzionamento della riforma.

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Tali misure non sono ‘aggiuntive’ rispetto alla riforma medesima, ma fanno parte integrante della stessa, e ne possono determinare il successo in misura rilevante.

Può dunque affermarsi che, così come il ‘modello’ della legislazione delegata disegnato dall’art. 76 Cost. e attuato nella prassi costituzionale costituisce, potenzialmente, uno degli strumenti di intervento più efficaci per costruire una riforma organica (nella sua interazione tra Parlamento e Governo, tra indirizzi di policy e normativa di dettaglio, e con un decision making process ormai partecipato e arricchito dai vari pareri), così il ‘modello’ del decreto legislativo integrativo e correttivo costituisce uno strumento fondamentale altrettanto importante per assicurarne la realizzazione in concreto.

Difatti, nel rispetto del principio di stabilità dell’ordinamento giuridico, occorre assicurare che le norme abbiano un tempo ragionevole di applicazione e di assimilazione, consentendo agli operatori di adeguarsi ad esse. Continui cambiamenti non giustificati da un effettivo riscontro nella pratica nuocciono alla certezza delle regole, alla stabilità del quadro regolatorio, alla efficienza di amministrazioni e imprese.

Non a caso, già con il parere 1 aprile 2016 n. 855, il Consiglio di Stato, al paragrafo II.f).5, ha avuto modo di affermare che un’attività diversa, ma non meno importante di quella attuativa, è l’attività di monitoraggio e di valutazione ex post dell’impatto della regolazione, anche “quale punto di partenza essenziale per i successivi interventi correttivi e di fine tuning della riforma”.

Più specificamente, il Consiglio di Stato ha anche affermato (con riguardo al secondo decreto legislativo in materia di SCIA (Comm. spec. 4 agosto 2016, n. 1784/2016, punto A-2.2 del

‘considerato’) che ciascun intervento correttivo “postula un’azione di costante monitoraggio del funzionamento delle norme, volta a verificarne l’idoneità a perseguire in concreto gli obiettivi fissati dalla legge: ciò rende necessaria anche una verifica di impatto successiva all’entrata in vigore delle nuove norme (la cd. VIR, di cui al d.P.C.M. 19 novembre 2009, n. 212, di attuazione dell’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 244), così da identificare (e subito ridurre) eventuali oneri di comprensione, interpretazione, pratica applicazione da parte di tutti i destinatari, nonché per prevenire il possibile contenzioso con interventi correttivi o di chiarimento”.

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Difatti, la VIR e in generale il monitoraggio sono indispensabili per due ragioni: da un lato, per verificare se la riforma ha effettivamente raggiunto gli obiettivi attesi, ha davvero migliorato l’attività di cittadini e imprese (e quindi, come si è detto, se la riforma “annunciata” è stata anche

‘percepita’ è rilevata’); dall’altro, per predisporre su una base istruttoria seria è quantitativamente informata’ i più efficaci interventi integrativi e correttivi”.

In altri termini, l’analisi ex post (compiuta tramite la VIR) degli effetti dell’intervento iniziale deve trasfondersi, dopo una fase di prima attuazione adeguata, nella costruzione di interventi integrativi e correttivi mirati.

Dell’impatto auspicato di questi ultimi deve darsi conto nella scheda di AIR dell’intervento correttivo, che deve dare espressamente conto di tale processo, traendo il suo principale fondamento istruttorio proprio dalla VIR del testo da correggere.

Alla stregua di quanto esposto, la Commissione speciale (partendo dal fermo convincimento che il decreto correttivo debba introdurre – senza assumere la consistenza di una

‘nuova riforma’ – tutte le modifiche che si rendono necessarie per un buon funzionamento, in sede applicativa, dell’originario decreto legislativo), come già segnalato dal parere del Consiglio di Stato 855/2016, precisa che i correttivi conseguono un effetto utile se intervengono dopo un ragionevole periodo di applicazione pratica, necessario per una compiuta verifica di impatto della regolamentazione. Nel caso di codificazioni settoriali, specie se, come in questo caso, vi sono numerosi regimi transitori, un periodo ragionevole di osservazione è almeno biennale. Sicché, l’obiettivo del correttivo rischia di essere vanificato se viene previsto un periodo troppo breve.

A tale considerazione va aggiunto che una parte importante della riforma degli appalti è stata affidata dal d.lgs. n. 50/2016 ad atti attuativi ad oggi non varati, quali: la qualificazione degli operatori economici e il rating di impresa; la qualificazione delle stazioni appaltanti; i commissari di gara esterni; la informatizzazione delle procedure di gara. Sicché, per tali ambiti, è ad oggi impossibile procedere a correzioni precedute da verifica di impatto della regolazione, atteso che gli istituti non hanno avuto pratica applicazione.

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Allo stato della normativa vigente, questo in esame è l’unico decreto legislativo correttivo che il Governo potrà emanare. Si è trattato, quindi, dell’unica occasione che il Governo ha avuto a disposizione per apportare direttamente le modifiche e le integrazioni necessarie al fine di assicurare la piena riuscita della riforma varata con l’approvazione del nuovo codice.

Come lo stesso Consiglio ha già evidenziato, nel citato parere n. 855/2016, il precedente codice è stato modificato, in dieci anni di vita, da 52 atti normativi (inclusi i tre decreti correttivi intervenuti nel primo biennio), donde l’auspicio che il nuovo codice conosca una maggiore stabilità, perché le continue modifiche legislative causano stratificazione e frammentazione normativa, sono fonte di incertezza applicativa (basti solo pensare al sovrapporsi dei regimi transitori) ed aumentano il contenzioso e i costi amministrativi sia per le imprese, soprattutto piccole e medie, sia per le amministrazioni.

In ogni caso, ogni successiva modifica dovrà avvenire nel rispetto della “riserva di codice”

(e non con disposizioni ad esso esterne).

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3. Il d.l. n. 32/2019, noto come “sblocca cantieri”, e la sua legge di conversione (L. 55/2019)

Con la legge 21.6.2017, n. 96, pubblicata sulla G.U. n. 144 dd. 23.6.2017 – Suppl. Ordinario n.

31, è stato convertito in legge il D.L. 24.4.2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo (cd. Manovrina). In particolare, la legge di conversione conferma (cfr. allegato alla legge nella parte relativa all’inserimento dell’art. 52-ter) l’aggiunta dei commi 1- bis, 1-ter e 1-quater all’art. 211 del Codice degli appalti, così come da proposta emendativa del Governo n. 52.027 dd., per cui, a partire dal 24.6.2017 (data di entrata in vigore della citata L.

96/2017) l’ANAC, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, risulta legittimata ad impugnare i “bandi”, gli “altri atti generali” e i “provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto”, emessi da qualsiasi S.A, qualora ritenga che essi violino le norme del Codice degli appalti. È utile notare, anche per sputi comparativi, che il procedimento delineato dall’art. 211, co.

1-ter, Codice ricalca quello previsto dall’art. 21-bis della L. 10.10.1990, n. 287 per l’impugnazione, da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), de “gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”.

Soprattutto, accanto ad ulteriori minori modifiche, viene in linea di conto la significativa novellazione che il codice ha subito per effetto del cd. decreto Sloccantierei (DECRETO‐LEGGE 18 APRILE 2019, N. 32 Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici - GU Serie Generale n.92 del 18‐04‐2019) e della sua legge di conversione, con modifiche (LEGGE 14 giugno 2019, n. 55 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto- legge 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici - 19G00062 - GU n.140 del 17-6-2019).

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Sul piano della disciplina transitoria, è stabilito, come di consueto, che le modifiche apportate al codice dei contratti pubblici si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi, con i quali si indice una gara, sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del d.l. n.

32/2019, ossia successivamente al 19.4.2019, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono stati ancora inviati gli inviti a presentare le offerte (art. 1, c. 3, d.l. n. 32/2019).

Invece, la disposizione processuale che abroga il rito speciale dell’art. 120, c. 2-bis, c.p.a., si applica ai processi iniziati dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 32/2019, ossia dopo il 19.4.2019, dunque anche con riferimento a provvedimenti di ammissione o esclusione da gare bandite prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 32/2019, o adottati prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 32/2019. Si ha riguardo non alla data di pubblicazione di bandi o avvisi, o alla data di diramazione degli inviti, né alla data di adozione del provvedimento di ammissione o esclusione, bensì esclusivamente alla data di inizio del processo (art. 1, c. 5, d.l. n. 32/2019).

Per inizio del processo sembra doversi intendere (de Nictolis) la data in cui il ricorso è, dopo la sua notifica, depositato in giudizio. Sembra inoltre che per “inizio del processo” si debba intendere il “primo grado” di giudizio, e non anche la proposizione di appello o altra impugnazione.

Si segnala al riguardo – ed in senso parzialmente difforme - la prima pronunzia intervenuta (Tar Calabria – Reggio Calabria, 13 maggio 2019, n. 324): premesso che le norme de quibus determinano la soppressione del rito “super speciale” introdotto dall’art. 204 del D.lgs. n. 50/2016, residuando così all’attualità, all’art. 120 c.p.a., soltanto il suddetto rito “speciale” appalti, introdotto con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), si chiarisce innanzitutto che la latitudine applicativa di quest’ultima norma rivive con riferimento sia ai ricorsi proposti avverso i provvedimenti autonomamente ed immediatamente lesivi che determinano le esclusioni dalla procedura di affidamento (come nel caso di specie), sia ai ricorsi avverso i provvedimenti che determinano le altrui ammissioni, la cui impugnazione, in virtù della disposizione abrogante, ritorna a dover essere posticipata al momento dell’aggiudicazione

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definitiva ovvero a quello in cui (per la prima volta) l’interesse a ricorrere da parte del concorrente, insoddisfatto dall’esito della gara, diventa concreto ed attuale.

Quanto poi al controverso regime intertemporale, si soggiunge che l’art. 1, comma 5, del D.L. n.32/19 stabilisce che “Le disposizioni di cui al comma 4 si applicano ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto”, avendo il legislatore assunto quale riferimento temporale non già la pubblicazione del bando di gara o la spedizione dell’invito, ovverosia, secondo i consueti criteri adottati allo scopo nella materia, il momento dell’avvio della procedura di affidamento, bensì l’inizio del processo.

Sul piano transitorio, dunque il Collegio ritiene che, in virtù di un canone interpretativo ispirato a fondamentali esigenze di effettività della tutela giurisdizionale ma anche di ordine logico- sistematico, per processi “iniziati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto” debbano intendersi, nell’ottica di chi agisce in giudizio ovvero di chi lo ha “iniziato”, quelli in cui il ricorso introduttivo venga notificato (e non depositato) dopo il 19 aprile 2019 in quanto:

a) a prescindere dal momento in cui nel processo amministrativo si determina la litispendenza (notificazione del ricorso o il suo deposito), rilevano, ai limitati fini della norma transitoria e nell’ambito della disciplina speciale del rito appalti, gli effetti sostanziali e processuali scaturenti dalla notifica del ricorso introduttivo quali:

 a definitività della scelta del rito, la cui disciplina è, al momento della notifica del ricorso, nota al ricorrente che non può poi trovarsi incolpevolmente esposto a irrimediabili conseguenze pregiudizievoli sull’immediatezza dell’accesso alla tutela giurisdizionale (id est, inammissibilità del ricorso, nel caso, ad esempio, di impugnazione dell’altrui ammissione) solo per effetto dell’entrata in vigore (in forza di un decreto legge non ancora convertito) di nuove disposizioni processuali intervenute tra la notifica e il deposito dell’atto introduttivo e modificative del regime legittimamente osservato – in conformità al tradizionale canone del tempus regit actum

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 quando il processo ha avuto “inizio” con la vocatio in ius della parte intimata. In questo senso, si deve ammettere che la notifica del ricorso, in quanto atto iniziale perfezionatosi in epoca antecedente alla novella e regolato dalla norma in vigore al tempo del suo compimento, possa ultrattivamente propagare i suoi effetti oltre il termine della sua efficacia, condizionando il successivo sviluppo del processo.

Diversamente intendendo la disposizione transitoria, e cioè associando all’atto della notifica effetti processuali ed extraprocessuali che esso non aveva in base alla legge del tempo in cui è stato posto in essere, si finirebbe per giustificare un’applicazione retroattiva della nuova normativa processuale a partire dalla data di notifica del ricorso che la lettera stessa della legge transitoria (“…processi iniziati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto”) sembra così ragionevolmente escludere;

 a fissazione ope legis dell’udienza in camera di consiglio per l’eventuale trattazione della domanda cautelare nei termini dimezzati ex art. 119 c.p.a. decorrenti dalla data della notifica del ricorso (art.55, comma 5, c.p.a.);

b) a corredo delle argomentazioni che precedono, si aggiunge che non si può trascurare che, da un punto di vista generale, in materia di appalti pubblici il momento della notifica del ricorso introduttivo, più che quello del suo deposito, risponde espressamente ad irrinunciabili esigenze di certezza sostanziale e speditezza procedimentale.

Si pensi, ad esempio, alla regola dello stand still “processuale”: ai sensi dell’art.32, comma 11, del D.Lgs. n.50/16 è dal momento della notifica del ricorso che scatta il divieto per la stazione appaltante di stipulare il contratto di appalto in pendenza di un ricorso giurisdizionale proposto avverso l’aggiudicazione definitiva (“Se è proposto ricorso avverso l’aggiudicazione con contestuale domanda cautelare, il contratto non può essere stipulato, dal momento della notificazione dell’istanza cautelare alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni”) con inevitabili ripercussioni sulle posizioni sostanziali delle parti in conflitto.

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Dopo l’approvazione definitiva alla Camera del 12 giugno, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 17 giugno della legge di conversione del D.L. 32/2019 (Decreto Sblocca Cantieri):

legge n. 55 del 14 giugno 2019. Orbene, rispetto al contenuto originale del decreto, in sede di conversione le modifiche sono state ampie e significative ed in ogni caso la legge di conversione chiarisce che “restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dell’articolo 1 del medesimo decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32.

In termini generale, occorre rimarcare come la citata Legge 55/2019 disponga la sospensione di alcune norme del Codice Appalti, chiarendo soprattutto che a titolo sperimentale e fino al 31 dicembre 2020, non trovano applicazione: le modalità di acquisto di lavori, servizi e forniture per i comuni non capoluogo di provincia tramite centrali di committenza (art. 37 comma 4 del Codice Appalti); anche per i settori ordinari si applichi quanto disposto (all’art. 133, comma 8 del Codice) per i settori speciali, ovvero la possibilità per i bandi di prevedere l’operazione di esame delle offerte prima dell’operazione di verifica dell’idoneità degli offerenti; il divieto di appalto di integrato (di cui all’art. 59 comma 1 quarto periodo) cioè il divieto di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione lavori, fatte salve alcune eccezioni; L’obbligo di scegliere i commissari nell’albo degli esperti tenuto dall’ANAC (art. 77 comma 3 del Codice), rimanendo l’obbligo di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza.

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Bibliografia

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 S. Fantini, H. Simonetti, Le basi del diritto dei contratti pubblici, Milano, Giuffré, 2017

 R. De Nictolis, I nuovi appalti pubblici. Appalti e concessioni dopo il d.lgs.

56/2017 Zanichelli, 2017

 F. Caringella, Il sistema del diritto ammnistrativo, DiKe Editore, 2017

 R. Garofoli, I contratti della P.A., cap. X, in Manuale di diritto amministrativo, Nel Diritto Editore, 2017

 R. De Nictolis, Le novità sui contratti pubblici recate dal d.l. n. 32/2019 in

Appalti e Contratti 2019

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