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Le polizze assicurative si

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Academic year: 2022

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arrow-right segue a pag. 2 di Marco Battistone

Il co-fondatore e CEO del gruppo MutuiOnline

L

e polizze assicurative si muovono verso un focus maggiore sul cliente e prodotti made-to-measure. «Si abbandona definitivamente l’idea che possa esistere un unico prodotto adatto per qualsiasi segmento: un canale potrebbe avere caratteristiche inadeguate a raggiungere particolari porzioni di clientela», dice Alessandro Fracassi, CEO del gruppo MutuiOnline, holding cui fanno capo, tra le altre, prestitionline.

it e segugio.it. Il settore assicurativo è uno di quelli maggiormente cambiati nell’ultimo anno, e non solo dalla pandemia. Il 31 marzo sono entrati in vigore nel nostro Paese i regolamenti 45/2020 e 97/2020 dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni in materia di Product oversight and governance (Pog), derivanti in gran parte

dall’Insurance Distribution Directive dell’UE, in vigore dall’inizio del 2018.

Quali sono le principali conseguenze che le nuove norme di IVASS portano sui prodotti e per gli intermediari?

«Questi regolamenti partono da un punto di vista di grande buonsenso, spesso adottato anche dai vertici delle assicurazioni, ma che vale un po’ per qualsiasi ambito, e che io amo pensare in questi termini: non bisogna immaginare prodotti product-forward, ma market-back. Non si deve partire da un prodotto che si cerchi di portare avanti sul mercato, ma comprendere le esigenze di quest'ultimo e disegnare i prodotti di conseguenza. Tema

strategico che è diventato, con questi regolamenti, il modo con cui si chiede alle compagnie assicurative di ragionare: a partire dalla composizione dei segmenti di mercato e dalla loro evoluzione. L’altro punto è l’imposizione di un matching tra prodotti disegnati, canali di distribuzione e segmenti di clientela. Per questo, si individua il

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Non-fungible token e Crypto Art, Costa: «Giro d'affari da 200 mln di dollari»

Giuliani, Leotron: «Il mercato dell'usato in Italia vale 24 miliardi di euro»

Novella Calligaris: «C'è ancora tanto da fare, ma non chiamatemi Presidenta!»

Patané, Confturismo:

«Pochi fondi: investire nel settore farà ripartire l'economia»

15 aprile 2021 il Bollettino - Anno 146

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Il socio fondatore e CMO di Spindox Spa

Second hand economy Gender Gap e merito Turismo e riaperture

STILE & FINANZA MODA & FINANZA SPORT & FINANZA

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Jacopo Scita, analista SGIA - Durham University: «L'accordo di Pechino e Teheran, la via della Seta, le sanzioni di Biden»

Gli equilibri tra USA-CINA-IRAN

ANALISI

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el mirino degli Stati Uniti per le relazioni commerciali e i diritti umani, Pechino e Teheran viaggiano a braccetto e con la sigla dell'accordo globale Comprehensive Strategic Partnership - che traccerà il corso delle loro relazioni economiche e politiche nei prossimi 25 anni - ridefiniscono lo scacchiere di una partita geopolitica molto complicata. Un’intesa il cui

«significato è più simbolico che reale», dice Jacopo Scita analista della School of Government and International Affairs

Durham University.

«Che l’Iran abbia buoni rapporti con la Cina lo si sa da cinquant’anni e anche a livello r e g i o n a l e , soprattutto per il suo contenuto a s s a i sfumato, q u e s t o accordo c a m b i a

poco negli equilibri di potere.

Certo è che la Cina sta sempre più diventando il Paese a cui tanti guardano, più o meno forzatamente, come alternativa o complemento agli Stati Uniti».

E quindi, che cosa c’è davvero dietro all’intesa firmata da Cina e Iran, quella che si sta saldando è una sorta di nuova “geopolitica”

dei Paesi sanzionati, dagli Stati Uniti... hanno voluto rafforzare l’asse anti-USA?

«Sì e no. Nel senso che se è vero che lo strumento delle sanzioni è stato usato e abusato senza precedenti negli ultimi anni, è altrettanto vero che storicamente chi si è trovato in forte contrasto

O

pere digitali, arte, ma anche meme, canzoni e interi album musicali. I Non-fungible token (NFT) o anche gettoni unici e non interscambiabili basati su tecnologia blockchain sono il trend del momento. Secondo il portale Crypto.art, a novembre 2020 le vendite di opere d'arte basate sugli NFT hanno raggiunto quota 1,5 milioni di dollari, a gennaio 2021 hanno superato i 10 milioni. «Le stime più attendibili parlano, per il 2020, di una capitalizzazione di mercato degli NFT pari a 338 milioni di dollari. Ma il fenomeno è esploso a partire da gennaio di quest’anno.

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Insurtech, nuove norme IVASS e pandemia. Fracassi: «Il futuro delle assicurazioni? Prodotti

su misura e più controllo»

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target-market di ciascun specifico prodotto, in positivo ma soprattutto in negativo, cioè identificando le categorie per cui è controindicato, sulla base di una valutazione dei rischi, delle limitazioni e delle garanzie, della complessità del prodotto ecc. Una cosa interessante è che oltre a questi due insiemi può esistere un’area grigia, composta da soggetti ai quali il prodotto potrebbe essere distribuito nonostante non sia stato pensato per loro, perché non è contrario ai bisogni.

Per questi particolari casi sono stati introdotti l’obbligo di consulenza e la certificazione di adeguatezza, a garanzia del cliente. Per questo va effettuata una governance costante dei prodotti attraverso flussi informativi controllati, perché i segmenti di clientela potrebbero cambiare».

Chi sono i principali interessati?

«Le compagnie produttrici, su cui ricadono, in ultima analisi, le responsabilità in materia di Pog, e dunque l’onere di svolgere maggiori controlli. Un’altra conseguenza importante soprattutto per chi, come noi, vende i suoi prodotti anche assieme a prodotti di finanziamento è il fatto che la normativa chieda, nella creazione di prodotti bundle, di chiarire e distinguere i costi specifici».

Le nuove regole comportano tra le altre cose un aumento della documentazione e dei controlli richiesti, per esempio sulle collaborazioni orizzontali. Questo porta una maggiore complicazione burocratica?

«Queste regole si traducono effettivamente in molta informativa precontrattuale, ma di documenti precontrattuali ce n’erano già molti, e non direi che questa norma abbia contribuito particolarmente ad aumentare la mole di burocrazia. La normativa introduce invece un forte principio di proporzionalità, molto utile in casi come questi per non “ingessare”

i regolamenti, perché permette di guardare meglio al caso specifico.

Quanto alle collaborazioni orizzontali, la novità fondamentale che la norma porta è l’obbligo di darne comunicazione al mandante. D’altronde, questo è inevitabile dato lo spirito di questi regolamenti, per cui è logico che il

mandante debba essere tenuto al corrente, in modo tale che possa di volta in volta verificare l’adeguatezza dei canali di distribuzione al segmento per cui il prodotto è disegnato. In ogni caso, il problema non sono i moduli, ma quanto sarà fluido il mercato e le tematiche legate alla proporzionalità. E qui il ruolo importante sarà quello del regulator, che ancora non conosciamo di preciso, ma che influenzerà fortemente il modo in cui una norma per ora piuttosto formale come questa sarà applicata».

Tralasciando per un momento le novità portate da queste nuove norme, quali crede siano i principali cambiamenti che l’ultimo anno e la pandemia hanno portato al mondo delle assicurazioni?

Crede che perdureranno o si tratti solo di tendenze del momento, destinate a scomparire?

«Lavorando noi principalmente su canali digitali, il cambiamento più evidente a cui stiamo assistendo

INTERVISTA

La nuova normativa (in vigore dal 31 marzo) introduce un forte principio di proporzionalità, molto utile perché permette di non

"ingessare"

i regolamenti

e di guardare meglio al caso specifico

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il Bollettino - 15 aprile 2021

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è l’aumento del loro utilizzo, che naturalmente è favorito dalla pandemia.

Questo è un trend positivo che non credo tornerà indietro, e ci avvicina a paesi, come l’Inghilterra, dove si è già raggiunta una notevole maturità sotto questo punto di vista. Dall’altro lato, una delle ragioni storiche che portano a passare dalla distribuzione per agenti a quella online è legata alla convenienza.

Ora, la pandemia, per quanto riguarda l’automobile, ha portato ad una forte diminuzione del numero di sinistri dei sinistri, essendo diminuito il traffico generale. Grazie al conseguente abbattimento dei costi delle compagnie, queste sono ora in grado di mantenere i premi agli stessi prezzi degli anni scorsi o addirittura di abbassarli, nonostante la crisi. La conseguenza che questo porta è che, naturalmente, l’incentivo al cambiamento diminuisce. Credo però che questo sia un trend più ciclico di quello positivo e, quindi, momentaneo:

con la ripresa delle attività, economiche e non, dopo la pandemia, i sinistri aumenteranno di nuovo e i prezzi si

adegueranno».

In termini più generali, il vostro è un settore in grande cambiamento in questo momento, a partire dalle novità nei prodotti assicurativi per arrivare a insurtech e Blockchain. Come immagina il futuro del settore?

«La bellezza futura è che tutti i dati che le nuove tecnologie, Blockchain in testa, ci consentono di raccogliere, trattare e adoperare, permettono di avere un’idea sempre più precisa del soggetto assicurato. Per questo, il rischio che si assicura è sempre più legato alla persona. Io credo che questi prodotti assicurativi sempre più “su misura” rappresentino la principale direzione di cambiamento e quella che presenta le maggiori potenzialità per il settore. Quanto più riesco ad agire in modo mirato, tanto più riesco a creare un prodotto competitivo che vada a favore di alcuni segmenti specifici.

Questo va chiaramente a vantaggio delle compagnie e dei clienti al tempo stesso». ©

Marco Battistone

INTERVISTA

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esistono ai colpi della pandemia le società di assicurazione italiane presenti sul mercato, in accelerata anzi nel misurarsi con l’approccio Insurtech, la riconfigurazione digitale.

In un anno performance incoraggianti con +11,49% per UnipolSai, +32,69% per Generali e +1,71% per Cattolica, queste ultime due al centro di un accordo siglato la scorsa estate: il Leone di Trieste ha acquisito una partecipazione in Cattolica per oltre il 24,4%.

Nel settore non si è interrotto un trend discendente rispetto alla quantità di società italiane quotate in borsa.

A causa di fusioni e incorporazioni il numero si è assottigliato sempre più e a tanti abbandoni non segue nessun nuovo ingresso. L’ultimo grande scossone nel 2018, quando Vittoria Assicurazioni ha lasciato il listino.

Ma qualcosa evolve. Mentre le società già presenti si fanno sempre più digital con partnership strategiche, DIA (Digital Insurance Agenda) evidenzia che, tra le 100 migliori nuove Insurtech al mondo, ben 3 sono italiane (Wesmart, Wide Group e Yolo) e una è italo- americana (Persado). © Edoardo Frasso

ASSICURAZIONI E BORSA

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I

l futuro passa per la Blockchain.

Questa tecnologia, protagonista della rivoluzione digitale in corso, si basa su un registro informatico condiviso e immutabile, che permette di gestire e aggiornare dati e informazioni senza bisogno di input esterni. Le implicazioni sono notevoli non solo per la finanza, come per le criptovalute, ma anche in ambito assicurativo. «Grazie alla

Blockchain, chiunque potrebbe creare un prodotto assicurativo e vederlo utilizzato senza bisogno di un garante umano. Creare prodotti e strumenti assicurativi diventerà molto più semplice», sostiene Francesco Bruschi, ricercatore a capo

del Blockchain Distributed Ledger Observatory del Politecnico di Milano.

Quali sono le principali applicazioni della tecnologia Blockchain in campo assicurativo?

«Le applicazioni sono numerose e importanti: uno degli esperimenti secondo me più rilevanti è lo sviluppo di prodotti assicurativi basati su smart contracts. Gli smart contracts sono delle applicazioni che vengono

eseguite su una Blockchain e di conseguenza presentano un codice pubblico e visibile da tutti, per cui chiunque interagisca con questa applicazione è sicuro che sarà eseguita proprio nei termini richiesti.

Un’aerea in cui, per esempio, sono stati sperimentati è l’assicurazione per il ritardo dei voli aerei. Si è creato del codice che regola questo tipo di

prodotto, rimborsando gli utenti in caso di ritardo dei voli. La cosa interessante è che l’utente otteneva la garanzia sul prodotto direttamente dal codice, per cui in pratica non si passava da una compagnia assicurativa, né era necessario affidarsi agli sviluppatori.

Quello che l’esperimento dimostra è che la Blockchain consente di creare forme di automazione intrinsecamente credibili, che garantiscano i clienti senza bisogno di interventi esterni».

La Blockchain porta un’apertura maggiore del mercato: è una minaccia o una potenzialità per gli attori già sul mercato?

«Io credo sia innanzitutto una

grande opportunità. La sua particolarità è quella che, rispetto ad altre tecnologie i cui vantaggi sono facilmente percepibili, qui la questione è più sottile e i privilegi che si possono ricavare richiedono cambi di paradigma. Per questo è richiesto uno sforzo importante di ridefinizione del proprio ruolo, per gli attori già presenti. Se invece non si mettono in gioco in questo senso, inevitabilmente la Blockchain diventerà una minaccia per loro».

Ma è già tempo per le imprese assicurative di passare a Blockchain?

«Secondo me ci sono già delle possibilità concrete e delle applicazioni interessanti. I meccanismi vanno dalle forme di identità digitale che è possibile abilitare mediante Blockchain alla semplificazione dei processi per presentare la documentazione, alla creazione di sistemi di incentivazione che allineino gli attori verso comportamenti virtuosi. Vi sono anche implicazioni notevoli legate all’internet of things, che presentano notevoli potenzialità per le assicurazioni. Insomma, a mio parere il mercato è decisamente maturo e il momento è ottimo per le iniziative in questo ambito». ©

INTERVISTA «Con Blockchain chiunque potrà creare prodotti assicurativi»

Consente forme di automazione credibili, che garantiscano da sole i clienti

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ANALISI

con Washington si è sempre rivolto all’altra grande potenza di turno.

Durante la Guerra Fredda era spesso l’Unione Sovietica. Oggi è la Cina».

Pechino e Washington però sono ai ferri corti, in una lotta all’egemonia a colpi di sanzioni che Joe Biden sembra aver sposato come Donald Trump. E la vicinanza Cina-Iran sembra suonare come un allarme per la potenza USA che, invece, cerca un riavvicinamento a Teheran, dicendosi pronta a togliere le sanzioni pur di far tornare a vivere l'accordo sul nucleare...

«A Vienna si sono incontrati tutti i firmatari del JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action, ovvero l’accordo sul nucleare iraniano) e, pur non essendosi seduti allo stesso tavolo, tra Stati Uniti e Iran, sono cominciate una serie di negoziazioni indirette. Il segnale è ovviamente  positivo e l’offerta di Washington di ridurre le sanzioni rientra in questo contesto negoziale: le intenzioni di tutte le parti in gioco sembrano essere serie e puntano verso una, seppur difficile, risoluzione dello stallo attuale.

Quanto poi l’accordo tra Cina e Iran

abbia  influito nello spingere l'Iran ad accettare negoziazioni indirette con gli Stati Uniti è difficile dirlo. Quel che è  ipotizzabile con buona certezza è che nei suoi colloqui privati a Teheran, il ministro degli esteri cinese Wang Yi abbia nuovamente fatto presente l’interesse cinese a un ritorno di tutte le parti all’accordo sul nucleare del 2015».

Che cosa prevede la Comprehensive Strategic Partnership?

«Per il momento non abbiamo il testo definitivo dell’intesa. Quello che sappiamo è che si tratta di una “roadmap” per aumentare la cooperazione a 360 gradi tra i due Paesi, ma non di un accordo giuridicamente vincolante. Nel testo che è emerso la scorsa estate, la cui veridicità è stata confermata dal Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, i settori menzionati erano quelli strategici: il mercato del petrolio, la cooperazione in ambito militare e antiterrorismo, l’alta tecnologia e la cybersecurity».

Quanto investirà la Cina e quanto pensa di aumentare il suo commercio bilaterale con l’Iran?

«È qui che sta il busillis. Se l’accordo

Dall'accordo con la Cina l’Iran ne esce politicamente rinvigorito, anche se la sfida sarà

utilizzare questo capitale politico sensatamente

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Jacopo Scita, analista della School of Government and International Affairs - Durham University

«Sul nucleare Iran e Usa tornano a negoziare»

parla di settori altamente strategici, lo fa tuttavia senza indicare le cifre in gioco e i meccanismi attuativi.

Due anni fa, una fonte piuttosto dubbia aveva parlato di 400 miliardi di investimenti cinesi che sarebbero arrivati in Iran. Una cifra spropositata e del tutto irrealistica. Io credo che per capirne e giudicarne la reale portata sarà fondamentale attendere un'eventuale fine delle sanzioni statunitensi».

L’accordo che cosa porterà alla Cina e che cosa all’Iran?

«Per l’Iran ha un forte significato politico perché lancia il messaggio che il tentativo di isolare internazionalmente Teheran, che era alla base della “massima pressione”

di Trump è, almeno sulla carta, fallito.

L’Iran, dunque, ne esce politicamente rinvigorito, anche se la sfida sarà utilizzare questo capitale politico sensatamente. Nel lungo periodo, invece, l’obbiettivo iraniano è quello di non essere lasciato fuori dagli investimenti cinesi nella regione.

Anche da parte cinese c’è un doppio messaggio per Washington: da un lato la dimostrazione che Pechino ha un'influenza reale in un Paese

Camillo Corsetti Antonini

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ANALISI

Pechino dà priorità alla propria relazione con Washington

rispetto a quella con Teheran:

a Cina e Usa

interessa un ritorno al JCPOA e su

questo punto si aprono interessanti possibilità di

cooperazione che l’accordo Cina-Iran potrebbe favorire

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storicamente nemico degli Stati Uniti, dall’altro che questa influenza può anche tramutarsi in capacità di leva su dossier dove Pechino e Washington hanno visioni al momento compatibili, come il JCPOA. In ultimo, questo accordo completa il disegno iniziato con la visita di Xi Jinping nel Gennaio 2016 in cui la Cina ha gettato le basi della sua strategia per il Golfo Persico: costruire partnership di alto livello con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran».

L’accordo può rappresentare una minaccia per gli Usa?

«Al di là della simbologia e delle tendenze già spiegate, non credo che questo accordo sia una reale minaccia per gli Stati Uniti. Due elementi vanno ricordati. Storicamente, Pechino ha sempre dato priorità alla propria relazione con Washington rispetto a quella con Teheran, sacrificando senza tanta fatica i rapporti con quest’ultima come merce di scambio.

Impossibile dire se succederà anche stavolta, ma non è da escludere. Poi, sia alla Cina sia all’amministrazione Biden interessa un ritorno al JCPOA e su questo punto si aprono interessanti possibilità di cooperazione che l’accordo Cina-Iran potrebbe favorire».

Che cosa ha in mente Biden: si parla con insistenza di nuova guerra fredda, è davvero così?

«Io sono un po’ scettico: se mi passa il termine, mi sembra una definizione un po’ pigra. Quel che è certo è che ci troviamo sempre più nel mezzo di una competizione tra due giganti, Stati Uniti e Cina, che ha e avrà una dimensione regionale. Il Medio Oriente, dove Washington ha presenza storicamente cruciale e Pechino sta accrescendo la propria influenza, è una delle aree dove questi “spillover”

regionali potrebbero vedersi».

C'è chi dubita della realizzazione

dei tanti progetti annunciati sino a quando non sarà risolta la questione del programma nucleare iraniano...

«Mi trovo d’accordo. Il fatto è che il vero problema della partnership tra Cina e Iran - che non nasce con questo accordo ma è vecchia di almeno 50 anni - è qualitativo non quantitativo. Le faccio un esempio: Pechino continua, nonostante le sanzioni americane, a importare petrolio iraniano usando triangolazioni estremamente complesse, intermediari e

trasferimenti di denaro indiretti e altri sotterfugi. Questo tipo di transfer sono quantitativamente piuttosto importanti ma come qualità, e per qualità intendo stabilità ed effettivo beneficio all’economia iraniana, sono molto scarsi. Il punto da risolvere è proprio questo e per farlo, ricordando che va esteso a praticamente tutta la cooperazione tra i due Paesi, più che questo accordo servirebbe la rimozione delle sanzioni secondarie statunitensi. E come sappiamo la

rimozione passa per la risoluzione della questione nucleare».

La posizione della Russia in tutto questo scenario qual è?

«La Russia rinnova i propri accordi di cooperazione decennali con Teheran e resta a guardare sorniona. Mosca, almeno per il momento, sembra avere meno capacità di influenza nel Golfo rispetto al “momento cinese” che stiamo osservando».

L'avanzata cinese in Iran però è solo una parte di un puzzle più complesso

Hassan Rouhani, presidente della repubblica islamica dell'Iran Joe Biden,

presidente degli Stati Uniti

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ANALISI

L'accordo di libero scambio tra Cina e Paesi del Golfo è in via di finalizzazione

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che riguarda la presenza del Paese asiatico in Medioriente...

«Certamente. A partire dal primo decennio del 2000 la strategia cinese in Medio Oriente si basa sulla definizione di una serie di Paesi chiave che Pechino individua come quelli economicamente, politicamente e militarmente più influenti. Con questi vengono strette le cosiddette “Comprehensive strategic partnership”, ovvero l’apice dei rapporti diplomatici che la Cina ha nella regione. Nel Golfo Persico gli stati che Pechino ha individuato, a partire dal 2016, sono Arabia Saudita, UAE e Iran».

L’Iran considera la Cina un corridoio strategico verso l'Asia centrale e verso l'Europa?

«Potenzialmente sì. L’Iran è parte del corridoio della Via della Seta che consente alla Cina di raggiungere l’Europa senza passare attraverso la Russia. Un percorso importante, dunque, soprattutto in un’ottica di lungo periodo e nel tentativo cinese di ramificare quanto più possibile la propria proiezione verso Ovest.

Per quel che riguarda la parte iraniana, questo accordo riflette il desiderio, comprensibile, di essere concretamente inclusi nel flusso di investimenti e interscambi legato alla Nuova Via della Seta. L’Iran, che come ribadito più volte dai cinesi stessi ha un ruolo naturale in questo progetto, proprio a causa delle sanzioni e del difficile clima politico, ha infatti beneficiato molto meno dei vantaggi economici rispetto ad altri Paesi vicini come il Pakistan, l’Arabia Saudita e gli Emirati».

A livello regionale la Cina persegue da tempo un possibile accordo di libero scambio con i Paesi del Golfo.

A che punto è?

«Sembrerebbe in via di finalizzazione.

Wang Yi, il ministro degli esteri cinese, lo ha menzionato durante la recente visita in Bahrein. D’altronde quello che

sembrava uno dei principali ostacoli alla sua approvazione, la bloccata nei confronti del Qatar, è stato risolto nei mesi scorsi. Mi permetta di dire che basta guardare a questo accordo per ridimensionare quello stretto con l’Iran:

Teheran non è speciale per Pechino ma si inserisce coerentemente nell’espansione regionale del gigante asiatico».

L’Europa e l’Italia che posizione occupano?

«Direi marginale, soprattutto l’Italia.

L’Europa potrebbe intelligentemente muoversi per cercare aree di cooperazione con la Cina nel Golfo Persico, visto il buon capitale politico di quest’ultima ha nella regione e alcuni obbiettivi di fondo in comune - vedi un ritorno dell’Iran e degli Stati Uniti al JCPOA e più in generale la riduzione delle tensioni nell’area.

Certo è che per fare ciò servirebbe un coraggio diplomatico che mi sembra

mancare...». ©

Simona Sirianni

L

e azioni cinesi chiudono in ribasso: le ten- sioni continue sino-statunitensi hanno avuto un peso signifi- cativo sul mercato. Ne- gli ultimi giorni l’Indice composito di Shanghai è sceso di quasi il 10%, come lo Hang Seng

Index di Hong Kong. I prezzi alla produzio-

ne in Cina sono au- mentati del 4,4% a

marzo, registran- do il ritmo di cre- scita più elevato dal luglio 2018.

Ad accrescere il pessimismo è il calo di af- flussi esteri nel mercato delle A-shares. Gli acquisti netti degli investitori stranieri a marzo sono stati pari a 18,7 miliardi di yuan ($ 2,85 miliardi), in netto calo ri- spetto ai 41,2 miliardi di yuan di febbraio. Il mercato azionario del grande Paese asiatico è stato

messo in ginocchio dalle tensio- ni geopolitiche con gli Stati Uniti.

Gli attriti tra le due superpotenze si sono intensificati dopo che il Dipartimento del Commercio USA ha aggiunto sette gruppi cinesi di supercalcolo (le cosid- dette supercomputing entities) alla black list ame-

ricana delle società che sostengono le attività militari. Si tratta della prima mossa dell'ammini- strazione Biden per impedire alla Cina di sfruttare la tecnolo- gia americana: con questa operazione le sette compagnie

incontreranno maggiori difficoltà a ottenere tecnologie e materiali statunitensi per i loro prodotti.

Nel mirino degli USA ci sono tre società e quattro filiali del Centro Nazionale Cinese di supercom- puter, inserite nella lista nera perché accusate di condurre at- tività contrarie alla sicurezza na-

zionale americana per conto di interessi politici esterni. Secon- do l’Ufficio Industria e Sicurezza del dipartimento, infatti, queste sette entità sarebbero coinvolte in ricerche e produzioni a favore dell’apparato militare cinese.

«Le capacità di supercompu- tazione sono vitali per lo sviluppo di molte, forse per quasi tutte le armi moderne e per i si- stemi di sicurezza nazionale, a partire dalle armi nucleari e supersoniche», ha detto la segretaria al commercio Gina Raimondo. «Il Di- partimento al Commercio userà tutta la sua autorità per impedire alla Cina di usare tecnologie Usa per sostenere questi sforzi de- stabilizzanti di modernizzazione militare».

Gli Stati Uniti temono che la Cina possa sfruttare la loro strumenta- zione per modernizzare il proprio

esercito, colmando il gap militare con la superpotenza occidenta- le. Per allontanare questo rischio l'amministrazione Biden sta ri- percorrendo molte delle azioni relative alla Cina già intraprese da Donald Trump, compreso un ordine che vieta agli americani di investire in società cinesi che si ritiene siano legate all’esercito.

«Pensate che la Cina stia aspet- tando a investire nella sua infra- struttura digitale o nella ricerca e sviluppo? Ve lo garantisco, non stanno aspettando», ha detto il presidente Usa. «La Cina e il re- sto del mondo sono un passo avanti a noi negli investimenti che hanno in progetto per il futu-

ro». ©

Sara Teruzzi

GLI USA INSERISCONO LE SETTE SOCIETÀ CINESI NELLA BLACKLIST

Sono accusate di condurre attività contrarie

alla sicurezza nazionale

Xi Jinpin, presidente della Repubblica popolare cinese

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STILE &

FINANZA

S

i asciuga le lacrime il mondo del turismo e si prepara a riaprire presto, in vista di una diffusione maggiore dei vaccini e di nuove politiche economiche. Il settore impiega circa 27 milioni di persone e rappresenta il 10% del PIL dell'UE, al momento sono sei i milioni di posti di lavoro a rischio.

L'Europa, la prima destinazione turistica mondiale, ha accolto il 66% in meno di turisti internazionali nella prima metà del 2020 e il 97% in meno nella seconda.

«L’Italia - dove il turismo vale il 13% del PIL e contribuisce per il 15% all’occupazione totale, con 2 milioni di addetti nel solo settore, senza quindi contare i posti di lavoro generati in altri settori – tra marzo e dicembre 2020 ha perso, rispetto allo stesso periodo del 2019, 77,5 milioni di arrivi (-65% che diventa -80% se misurato solo sui flussi di origine estera) e 232,6 milioni presenze/notti (-58% che diventa -76% sui soli flussi di origine estera)», spiega Luca Patané, Presidente Confturismo Confcommercio. «A ciò vanno aggiunti 36 milioni di viaggi degli Italiani all’estero che non sono stati effettuati. Il valore della produzione del settore – inclusa nel computo la perdita per quelli più direttamente collegati – è sceso di 100 miliardi di euro sui 190 che registravamo nel 2019».

Come possono essere quantificati i danni subiti dal turismo

italiano fino a oggi?

«Tra gennaio e febbraio 2021 c’è stata un’ulteriore riduzione di 10 milioni di arrivi e quasi 14 milioni di presenze in meno rispetto allo stesso periodo del 2020, e per i viaggi degli Italiani all’estero un ulteriore contrazione per Pasqua, che

praticamente non c’è stata per il secondo anno di fila. Bisogna tornare al 2019 per avere un dato di riferimento: allora si mossero 7 milioni di Italiani, l’80% dei quali aveva scelto destinazioni nazionali.

Sono oltre 1 milione i posti di lavoro nel settore attualmente a rischio, a meno che non si verifichi un’estate di ripresa piena anche dei flussi internazionali, che al momento è difficile da immaginare».

Gli eurodeputati hanno approvato una nuova strategia europea per rendere il turismo più sicuro e più sostenibile e favorirne la ripresa nel periodo post- pandemia. Il passaporto sanitario potrebbe essere una misura efficace per la ripartenza?

«Lo scarso potere di intervento dell’autorità europea sulle politiche e decisioni dei singoli Stati in molte materie è risultato di tutta evidenza durante la crisi Covid-19. Anche il passaporto sanitario, che diventerà presto realtà, è uno strumento importantissimo ma bisogna poi che tutti gli Stati Membri lo adottino e lo diffondano, altrimenti servirà a poco. Ci auguriamo che ciò avvenga al più presto. Per ora, purtroppo, prevalgono gli accordi bilaterali, come quello che ha portato Germania e Spagna a identificare una serie di aree cosiddette

“Covid free” in quest’ultimo Paese, con

300 voli pieni di turisti che sono partiti a Pasqua per le Baleari, grazie al fatto che al rientro in Germania non c’era obbligo di quarantena. Su questo fronte l’Italia è per ora a quota zero: attiviamoci subito per l’estate ma serve coinvolgere almeno 3 Ministeri, le Regioni, l’ENIT, oltre ovviamente agli operatori turistici e dei trasporti».

Che cosa ne pensa dei fondi europei stanziati nel PNRR destinati al settore del turismo: a quanto ammontano e in quali rami sono più necessari al momento?

«Non solo per il settore si stanziano poco più di 1,5 miliardi di euro rispetto ai circa 200 del piano nel complesso, ma intere sezioni del piano sono descritte in modo da impedire l’accesso alle imprese. È il caso, ad esempio, delle ingenti risorse per l’efficienza energetica degli edifici, destinate solo agli edifici pubblici e dell’edilizia residenziale, ma la stessa cosa vale per la transizione digitale, per la formazione, per l’inclusione, per il rilancio delle aree interne».

Un sostegno finanziario continuo e a breve termine è essenziale per la sopravvivenza del settore...

«Bisogna cambiare marcia rispetto al decreto sostegni, che per il turismo contiene alcune misure ma paga la scarsità di risorse disponibili sulla platea enorme di soggetti da aiutare.

Uno dei primi settore sui quali investire deve essere il turismo perché fa ripartire tutto il resto dell’economia.

Ci servono ristori specifici, sono ben pochi i settori che hanno registrato perdite come le nostre.

Anche perché non vedremo prenotazioni fino a giugno,e poi bisogna vedere quante saranno. Ma serve anche un intervento pesante e dedicato per il credito alle nostre aziende, anche se per riprenderci ci vorrà tempo».

Che cosa pensa dell’ipotesi di valutare l'introduzione di investimenti pubblici e privati per la digitalizzazione e la modernizzazione generale del settore, riducendo temporaneamente le aliquote IVA sui servizi di viaggi e turismo?

«Uno dei pilastri del PNRR è la transizione digitale, ma se andiamo a leggere la descrizione degli interventi previsti nel Piano italiano troviamo solo Pubblica amministrazione, famiglie, ricerca, distretti industriali, telemedicina, monitoraggio delle infrastrutture, soprattutto quelle dei trasporti, insomma tutto tranne il turismo. Non dico che non potremo trarre vantaggio anche da questi interventi - soprattutto per un settore che, per ossequiare gli adempimenti previsti dalla pubblica amministrazione, impiega annualmente 19 milioni di giornate-uomo, ovvero lavorative di 8 ore – ma c’è anche molto altro da fare. Sull’IVA, il Covid-19 ci ha insegnato come cose che prima erano semplicemente improponibili sono diventate non solo proposte concrete, ma addirittura azioni vere e proprie. È il caso dell’applicazione temporanea di aliquote più basse di quelle normalmente imposte,

Tra gennaio e febbraio 2021 c’è stata una riduzione di 10 mln

di arrivi sul 2020

Luca Patané, Presidente Confturismo Confcommercio

TURISMO E RIAPERTURE ESTIVE

«C'è la corsa a prenotare le case in affitto, ma le strutture soffrono ancora»

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STILE &

FINANZA

che dovrebbe diventare una regola, non solo in epoca Covid-19, per rilanciare i consumi in fasi cicliche negative. Ma bisognerebbe anche ricordare che ci sono comparti del turismo – ad esempio le agenzie di viaggio e gli stabilimenti balneari – ai quali si applica l’aliquota IVA ordinaria, 12 punti percentuali sopra quella ridotta che si applica al resto del turismo: prendiamo lo spunto da queste grandi aperture – anche a livello europeo – per risolvere questioni annose come questa».

Fa molto discutere il fatto che in Italia non ci si possa spostare da una regione all'altra ma si possa tranquillamente salire su un aereo e raggiungere una località all’estero… quanto penalizza il turismo italiano questa disposizione?

«Di questa vicenda, che testimonia quanto poco siano comprese in Italia le dinamiche reali del turismo, si sono analizzati tutti gli aspetti tranne uno, il più importante credo. Per quale motivo le isole Baleari – e non solo quelle – sono considerate in Germania una destinazione “covid free” mentre nessuna meta italiana lo è? 300 o più voli pieni di turisti prenotati non si materializzano né in un giorno né in una settimana. Sono mesi che governi, operatori ed enti di promozione turistica di destinazioni mediterranee competitor dell’Italia lavorano in sinergia per ottenere questo risultato. In Italia questo non si fa!».

Quanti di quei voli avrebbero potuto portare turisti nelle nostre isole o nelle mete italiane più note?

L’estate è vicina. Impariamo dagli errori del passato. Il Governo convochi subito un tavolo di regia su questo tema con i Ministeri coinvolti, le Regioni e - ovviamente - con le nostre categorie del turismo. Se non lo facciamo subito l’estate 2021 rischia di essere ancora

peggiore di quella passata per quanto riguarda i flussi turistici internazionali».

La bella stagione è ormai alle porte, che previsioni si sente di fare?

«È uno scenario estremamente variabile: per ora tanto interessamento, pochissime prenotazioni, tanto dall’Italia quanto dall’estero, ed è comprensibile in un quadro in cui nessuno riesce a capire quali potranno essere le regole sugli spostamenti quest’estate.

Emerge però un dato estremamente

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Alcuni numeri:

30.000 alberghi, 3.000 campeggi, 120.000 ristoranti, 12.000 agenzie di viaggi, 30.000 stabilimenti balneari, 300 porti turistici, 20.000 guide

rilevante dall’indagine che mensilmente conduciamo con SWG sulla propensione degli Italiani ai viaggi. Il 75% ci dice che, se avesse la certezza di essere vaccinato in tempi brevi, prenoterebbe le vacanze estive: stiamo parlando di 20 milioni di Italiani in attesa. Una cosa però è importate dire, visto che in questi giorni si parla tanto di previsioni addirittura di “sold out” per l’estate: è semplicemente un’assurdità. Se in alcune località turistiche italiane c’è la corsa ad accaparrarsi case in affitto, è un segnale interessante che però va letto bene nel suo significato: gli Italiani continuano ad avere paura della pandemia, soprattutto perché non sono certi che arrivi il vaccino prima dell’estate e cercano una sorta di

“bolla” dove trascorrere le vacanze soli con la loro famiglia. Il turismo però è ben altro: 30.000 alberghi, quasi 3.000 campeggi, 120.000 ristoranti, 12.000 agenzie di viaggi, 30.000 stabilimenti balneari, 300 porti turistici, 20.000 guide e un numero molto consistente di altre strutture turistico ricettive, pubblici esercizi e professionisti, tutte categorie che, ad oggi, il sold out lo vedono molto

lontano». ©

Matteo Vittorio Martinasso

Studio Vectors Studio Vectors

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STILE &

FINANZA

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li italiani vorrebbero mettere da parte cri- si e preoccupazioni create dal Coronavi- rus e cominciare a fare piani

per l’estate, nella speran- za di vedere ridotte le

restrizioni e moltipli- cati i vaccini.Secon- do i dati tratti dalle più recenti rilevazioni dell'Osservatorio sull'E-

conomia del Turismo delle Camere di Commercio di Isnart ed Unioncamere, più del 50% dei conna- zionali ha già comin- ciato a programmare viaggi e spostamenti con l’arrivo dell’estate e, tra questi, l’80% sceglierà l’I- talia come destinazione per le vacanze 2021. Ciononostante, quello turistico resta uno dei settori più colpiti dalla pande- mia, con una perdita stimata di 7,9 miliardi di fatturato solo nel primo trimestre, rispetto al 2019: a dirlo è, ancora una vol- ta, l’analisi elaborata da Insart e Unioncamere. Le stime indica-

no perdite pari a circa il 64% dei flussi italiani e dell'85% di quelli internazionali. L’arrivo dell’esta- te fa sperare in un periodo più propizio per il turismo, ma la si- tuazione non sembra più rosea di quella registrata nel 2020, che ha visto una contrazione di 53 miliardi di euro rispetto al 2019.

In base all'Indice di Fiducia dei viaggiatori italiani di Swg/

Confturismo-Confcommercio, rispetto all’inizio dell’anno, nel mese di marzo 2021 è aumen- tato il numero di italiani che vor- rebbe ricominciare a spostarsi per turismo. Con la primavera torna la voglia di viaggiare, ma a porre un freno ai progetti di vacanza sono, per cinque mi- lioni di italiani, le restrizioni agli spostamenti rafforzate dalle ul- time misure del governo e, per altri 20 milioni, l’incertezza sul fronte vaccinazioni. È quest’ul- tima a minare profondamente i progetti vacanzieri: secondo il report di Confturismo, quei 20 milioni di italiani non program- meranno le vacanze finché non sapranno quando sarà il loro

turno per la vaccinazione.

«Il piano delle vaccinazioni non è solo un tema di salute, è un elemento essenziale per fare ripartire l'economia del Paese, cominciando dal turismo, che vale il 13% del Pil. Bisogna pun- tare sul nostro settore, non solo con ristori adeguati in rapporto alle enormi perdite accumu- late, ma anche vaccinare con priorità i nostri addetti, realiz- zare corridoi e destinazioni Co- vid-free, come stanno facendo altri Paesi», dice Luca Patanè, presidente di Confturismo-Con- fcommercio.

Anche il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, ha di- chiarato che «per far ripartire il turismo italiano bisogna fare una cosa: fornire i vaccini a tutti perché il mercato è molto com- petitivo». E ha precisato che, negli ultimi dieci anni, l’Italia è cresciuta del 4,5% nel settore turistico, mentre i nostri com- petitor del 6,5%. Le quote di mercato vanno recuperate se- condo il ministro, ricordando le parole del Presidente del Con- siglio Mario Draghi che aveva

riconosciuto come necessità primaria la ripartenza dell'indu- stria turistica. Nelle intenzioni del ministro c'è la firma, con le Regioni, di un protocollo «che faccia vedere che si lavora tut- ti insieme, in squadra, per pro- muovere l’Italia nel mondo». © Sara Teruzzi

A

ccendono un faro nel

buio della pandemia i dati dello studio degli analisti di Morgan Stanley. Se il turismo è stato travolto dal Covid-19, portando il comparto a una crisi senza precedenti, nonostante le notizie sul fronte pandemico non diano grandi certezze il comparto sarà comunque in grado di riprendersi, al punto che anche le azioni quotate in Borsa ne potranno addirittura beneficiare.

Stando al parere degli esperti i titoli che più hanno sottoperformato nel periodo che è andato dall'insorgere dell'emergenza epidemiologica - nel febbraio 2020 - alle fasi più dure dei lockdown nei mesi successivi, possono rappresentare nello scenario attuale occasioni di investimento interessanti.

«Mentre quelli che hanno sovraperformato durante il periodo potrebbero essere gli illustri sconfitti», sottolineano dagli uffici della banca americana, che individua dieci titoli caldi, molti dei

quali appartengono alla categoria dei viaggi aerei, del tempo libero e delle vacanze, oltre che del retail e del food. Tra i nomi spunta quello di Airbus, che nello scenario base viene visto con un potenziale di rialzo del 10%, con un rapporto prezzo-utili atteso nel 2021 pari a più 53,7. Segue la holding Amadeus, proprietaria di Air France e Lufthansa; per il titolo gli analisti stimano un rialzo del 16%.

Nell'elenco delle aziende selezionate compare poi Associated British Foods (potenziale di aumento del 17%, con un p/e di 29,9 volte), che precede il produttore britannico di alcolici Diageo (+22%) e la multinazionale di editoria ed eventi Informa (+20%). Tra le top picks la banca d'investimenti individua poi la compagnia di componenti aerospaziali Meggitt (+3%), Ryanair (+1% a un p/e atteso di 116,4 volte) e Sodexo (+16%). In graduatoria infine figurano la banca NatWest (+21%) e il colosso petrolifero Royal Dutch Shell (+11%). ©

S

ei i milioni di posti di lavoro a rischio. Il 66% in meno di turisti internazionali in Europa nella prima metà dell'anno e il 97% in meno nella seconda. Il turismo è un comparto che impiega circa 27 milioni di persone e rappresenta circa il 10%

del PIL dell'UE. E sono proprio gli eurodeputati a mettere nero su bianco le linee guida per rendere il settore del tempo libero più sicuro e sostenibile e favorirne la ripresa:

1- sostegno finanziario continuo e a breve termine per la sopravvivenza del settore. Proposta l'opzione di valutare l’introduzione di investimenti pubblici e privati per la digitalizzazione e la modernizzazione del settore e viene suggerita l’idea di ridurre temporaneamente le aliquote IVA sui servizi di viaggio e turismo.

2- introduzione di un certificato di vaccinazione comune, che potrebbe diventare un'alternativa ai test PCR (tamponi molecolari) e ai

requisiti di quarantena; il tutto dopo l’accertata disponibilità dei vaccini per i cittadini e la presenza di prove scientifiche sufficienti rispetto all’impossibilità per le persone vaccinate di trasmettere il virus.

3- introduzione di un “certificato verde digitale” per rendere il turismo più sostenibile. Tra le proposte: sigillo di certificazione igienica dell'UE per prevenzione e controllo del virus Covid-19 (lo scopo è ripristinare la fiducia dei consumatori in turismo e viaggi).

4- istituzione di una nuova Agenzia europea per il turismo che possa sostenere l'ecosistema, promuovere il marchio europeo nei Paesi terzi, fornire all'Unione Europea gli ultimi dati sul turismo, prestare assistenza tecnica e amministrativa alle micro imprese e alle PMI per accrescere la loro capacità di accedere ai finanziamenti e agli strumenti finanziari dell'Unione e aiutare il settore turistico a prepararsi alle eventuali crisi future. ©

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Vacanze: in più di 20 mln aspettano il vaccino per prenotare

Viaggi e divertimento: i titoli

in Borsa che prendono il volo Sicurezza e sostenibilità: le

linee guida degli eurodeputati

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La valorizzazione del settore

sarà sostenuta soprattutto

dalle fasce più giovani

MODA &

FINANZA

«Il fascino dell'usato vale l'1,3% del Pil: più 33% negli ultimi 5 anni»

SECOND HAND ECONOMY

Alessandro Giuliani, direttore generale di Leotron

V

ola la second hand economy.

Il fascino dell’usato vale 24 miliardi di euro e rappresenta l’1,3% del Pil nazionale.

Le generazioni più giovani e la ricerca sempre maggiore di una vita sostenibile, trainano il mercato che, negli ultimi cinque anni, è cresciuto del 33%. «Quello attuale è uno scenario molto effervescente. E tutte queste informazioni lanciano un messaggio molto chiaro, ossia che le persone si stanno appassionando sempre di più all’acquisto di beni di seconda mano», dice Alessandro Giuliani direttore generale di Leotron, l’azienda numero uno in Italia che opera nel mondo della second hand economy, attraverso i marchi Mercatopoli e Baby Bazar.

«La pandemia ha permesso di cogliere ancora di più le potenzialità di questo mercato. Tanto che, se attualmente il modello di business che funziona in Italia e che permette di ottenere un reddito è quello del negozio tradizionale che utilizza l’online a completamento dei servizi che offre,  adesso, molte aziende hanno compreso la necessità di investire molto di più nel digitale.

E lo stanno facendo con svariati milioni di euro».

Se il comparto dell’usato ha portato per molto tempo con sé lo stigma che lo penalizzava come ambito riservato alle classi meno abbienti, oggi stiamo assistendo a un totale capovolgimento di questa tendenza. E il second hand viene percepito, invece, come una soluzione ai problemi ambientali e come una scelta “alla m o d a ” . M o l t o h a

influito la spinta eco-consapevole dei Millenials e della Gen Z, che stando a una ricerca di Boston Consulting Group, per l’80% prova sensi di colpa nell’acquistare fast fashion e quindi punta senza riserve su tutto ciò che è usato...

«La valorizzazione della second hand economy sarà sostenuta soprattutto dalle fasce più giovani che, ricordiamoci, sono anche coloro che disporranno di meno risorse rispetto alla generazione precedente.  Tutto ciò che sarà sostenibile a livello

ambientale, economico e sociale rappresenterà il loro credo e di conseguenza la rivoluzione che ne deriverà».

Lo sa bene l’industria della moda che ha iniziato a concepire la produzione non più come un processo lineare, ma bensì come circolare, nel quale non si considera solo il momento in cui un capo viene venduto, ma anche i materiali utilizzati e l’intero processo produttivo che lo coinvolge, smaltimento incluso.

La grande attenzione che il

comparto oggi mette nei confronti della sostenibilità, sarà un motore importante per la Second hand economy?

«È inevitabile. La moda rappresenta il settore più inquinante dopo le aziende del petrolio e del gas ed è responsabile del 20% dello spreco globale di acqua, considerando che solo l’1% dei capi viene riciclato o riutilizzato. Questa consapevolezza sarà sicuramente un motore importante, nel momento in cui le aziende dovranno reinventare la loro produzione e la loro modalità

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MODA &

FINANZA

di approccio al mercato, spinte dalle scelte dei consumatori».

Le stesse grandi griffe, come Gucci, Levi’s, Twinset, si sono lanciate nella second hand economy, proponendo capi usati per sperimentare

e conquistare nuove fette di mercato

«Esatto. Molti player che si stanno affacciando a questo mondo stanno proprio sperimentando.

Il mercato e le scelte dei consumatori stanno spingendo le grandi griffe verso il second hand, anche se quello che

noto è sempre una grande paura del cambiamento, un’estrema difficoltà nel reinventarsi e nell’abbracciare un mercato che è sempre stato considerato “pericoloso”. In fin dei

conti ogni oggetto usato venduto in più corrisponde spesso a un oggetto nuovo venduto in meno».

Insomma siamo all’inizio di una svolta epocale...

«Penso proprio che si tratti di un fenomeno che sicuramente rivoluzionerà ciò che si acquista, portando il nostro Paese allo stesso livello di quelli nord europei, dove l’usato viene visto come un’alternativa al nuovo e dove spesso prima si valuta l’acquisto di un prodotto usato e solo in un secondo momento quello di un prodotto nuovo».

E se la pandemia ha colpito tutti più o meno forte, il mercato dell’usato sembra, invece, essere cresciuto

«Secondo un’indagine Doxa, in Italia il mercato dell’usato vale 24 miliardi di euro, la maggior parte dei quali peer to peer (da privato a privato) o che si basano su proposte informali. Il vero nocciolo da affrontare è la strategia di business. Normalmente, infatti, il second hand funziona moltissimo in negozio dove le persone hanno la possibilità di “toccare con mano” e valutare lo stato di ciò che intendono acquistare. Con questo non voglio dire che l’usato online non funzioni, anzi, ma per conquistare sempre più un mercato, si dovrà trovare un modello di business adeguato. È una scommessa che le piattaforme digitali stanno facendo e per la quale sono disposte a scommettere milioni di euro».

Tornando invece ai negozi classici dell’usato, come dovranno essere quelli “di nuova concezione”?

«L’era dei mercatini, pieni di cianfrusaglie, bui, polverosi e maleodoranti è sicuramente finita. Oggi

bisogna ispirarsi alle dinamiche del mondo del retail: negozi puliti, ordinati e profumati, con oggetti selezionati e personale formato. Serve una grande visibilità in rete e uno shop, semplice da utilizzare, per acquistare online».

Quali saranno gli strumenti per far crescere ed evolvere il comparto?

«La mia convinzione è che saranno sempre più determinanti i franchising e i network dell’usato, che potranno implementare strumenti efficaci e renderli scalabili. Così come è avvenuto e sta ancora avvenendo nel mondo del retail, anche nel second hand verrà premiata l’aggregazione di più negozi o di più imprenditori che, insieme, potranno fare massa critica per essere maggiormente competitivi in un mercato che sta diventando sempre più impegnativo».

Si possono fare previsioni?

«Alcune stime vedono questo mercato, per il 2021, in crescita di oltre il 10%». ©  Viola Rigoli

Anche le grandi griffe si stanno

lanciando in questo settore

di vendite

La moda è l'industria più inquinante dopo petrolio e gas, è responsabile del 20% dello spreco globale di acqua: solo l’1% dei capi viene riciclato

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SPORT &

FINANZA

Novella Calligaris, presidente Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia

COMPETITIVITÀ E GENDER GAP

«Credo nelle donne e nella meritocrazia, ma non chiamatemi Presidenta!»

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uarda al futuro il mondo dello sport. Colpito duramente dalle chiusure per l'emergenza sanitaria, adesso il settore vede nelle imminenti riaperture nuove possibilità per tornare a respirare. «Le Olimpiadi estive di Tokyo e poi anche quelle di Milano-Cortina del 2026 potranno dare una grande spinta ed essere un viatico di rinascita per lo sport, ma anche per il Paese e per l’economia», dice Novella Calligaris, icona dello sport, prima italiana a vincere una medaglia olimpica nel nuoto (maschile e femminile) a Monaco 1972 e oggi presidente Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia.

Presidente o presidenta?

«Presidente, assolutamente. Ci sono vocaboli italiani che non si devono declinare anche perché le battaglie sono altre non sono certo sui termini…

Intervistando Paola Severino, prima donna ministro della Giustizia e prima rettore della Luiss le chiesi se voleva essere chiamata rettore e rettrice. Lei mi rispose che voleva essere chiamata semplicemente magnifica… E questo dice tutto».

Un'altra donna ha ricevuto una nomina importante: l'ex schermitrice Valentina Vezzali è stata recentemente nominata da Mario Draghi sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega allo sport

«Valentina è una persona volitiva che ha grandissime capacità però non diamo tutto il peso a lei… Quello che va fatto dipende da una serie di fattori che coinvolgono tutti».

Lei, la Vezzali... Icone di uno sport italiano in cui il gender gap continua a pesare anche se dalle ultime nomine al Coni qualcosa si è mosso.

Da 50 donne in ruoli dirigenziali si è passati a 120

«E soprattutto c'è stata la prima

Novella Calligaris Presidente Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d'Italia

Marta Bassino

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SPORT &

FINANZA

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donna presidente di Federazione, con Antonella Granata nello squash. Ma per superare ogni conflitto serve un serio programma di educazione che parte dalla scuola. Fateci caso: un bravo atleta è bravo anche a scuola perché dallo sport impara la disciplina, il sapersi alzare e saper superare la difficoltà. Anche per questo auspico

che prima o poi la parola sport entri nella nostra Costituzione. È una lunga battaglia che va portata avanti».

Gioia per la prima donna o rammarico perché ce n'è solo una?

«Io guardo sempre il bicchiere mezzo pieno e dico che intanto l'abbiamo.

Ma non perché è donna ma perché è brava. Granata è una professionista

di successo, è un’imprenditrice».

Quindi le quote rosa sono superate

«Hanno sicuramente aiutato, però dobbiamo pensare che c'è il merito non solo il gender. A volte è stato più comodo far entrare una donna in qualche posto di potere solo in base alle quote rosa perché qualcuno pensava di poterla governare

facilmente. Io credo molto nella meritocrazia al di là del genere».

Lo ha dimostrato in carriera...

«Io mi sono sempre allenata con i maschi, quando ho fatto il record del mondo era anche il record italiano maschile. Penso di averlo mostrato sul campo che nessuno mi ha mai regalato niente e credo che la determinazione delle donne nello sport sia davanti agli occhi di tutti.

Atlete come Federica Pellegrini, Elisa Di Francisca, Tania Cagnotto o Fiona May... Non è una questione di gender è una questione di capacità».

Adesso sul piatto c'è anche la questione dei posti di lavoro, che con la pandemia sono calati in modo preoccupante

«Lo sport non è soltanto un fatto di immagine. Basti pensare che in Italia ci sono più di 100mila centri sportivi, circa un milione di addetti tra istruttori manutentori che rappresentano una forza economica importante, senza contare l'indotto. Ci sono viaggi, soggiorni, attrezzature, impianti, tecnologia e tutto quello che lo sport porta dietro di sé».

Ecco perché manifestazioni come le Olimpiadi sono così importanti...

«Una vetrina come Milano-Cortina smuove le acque, anche per tutto ciò che riguarda le infrastrutture.

Sappiamo che noi riusciamo a fare bene grandi opere ogni volta che ci sono eventi importanti. Pensiamo al Giubileo o a che cosa è accaduto per le Olimpiadi di Roma nel 1960 o a quanto si è fatto più recentemente a Torino per i Giochi del 2006».

Serve quindi un impegno globale

«Dobbiamo preparare l’abito giusto e lo sappiamo fare: abbiamo capacità di reazione, dimestichezza con le difficoltà, ingegno e fantasia e siamo in grado di unirci quando vogliamo.

Prendiamo come è andata per l’assegnazione di Milano-Cortina:

siamo usciti con la vittoria perché abbiamo saputo fare squadra, grazie allo sport abbiamo superato ogni difficoltà, anche politica».

Si può essere ottimisti?

«Certo, lo sport è uno degli ambasciatori più importanti che l’Italia abbia nel mondo e trasmette grandissimi valori grazie a persone di primissimo livello. Anche con la nostra associazione dobbiamo far

Auspico che

prima o poi

la parola

sport entri

nella nostra

Costituzione

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essun settore in Italia è immune dalla polemica sul gender gap. Lo dicono i numeri: le donne che lavorano sono solo il 48,8% del totale. Molto lontano dal 66,8% degli uomini. Soltanto il 25%

tra dirigenti e imprenditori è donna il che ci pone al penultimo posto in Europa. Anche sugli stipendi, in base all'ultimo rapporto sul

gender gap salariale della Commissione Europea, il differenziale uomo-donna sulla paga oraria lorda in Italia è fra i più bassi dell'Unione: il 5,3% contro una media dell'Europa a 28 del 16,2%. Ma i dati choc sono molti.

Nell’ultima rilevazione

disponibile sono circa 30mila ogni anno le donne che rassegnano le dimissioni dal lavoro a seguito di una maternità. Nell’ambito di questi numeri lo sport non fa differenza, anche se qualcosa si muove. Secondo il rapporto sulle politiche di genere 2021 dell’Uisp, negli ultimi 30 anni la pratica sportiva nel nostro Paese è

cresciuta grazie anche alla presenza delle donne e alla richiesta di una nuova proposta sportiva più flessibile.

Eppure già con l’adolescenza inizia un calo della pratica sportiva femminile che culmina con un divario enorme tra i 18/20 anni. La scelta delle attività rispecchia ancora le peculiarità tradizionalmente associati ai concetti di uomo e di donna. Nei confronti delle atlete che maggiormente sfidano i confini simbolici del genere, praticando attività tipicamente maschili, viene spesso messa in discussione la femminilità, così come stentano ad affermarsi versioni maschili di sport che richiedono caratteristiche distanti rispetto alla visione di genere tradizionale. «Per promuovere pari opportunità e contrastare discriminazioni nello sport occorre partire dalle donne», dice Manuela Claysset, responsabile politiche di genere e diritti dell’Uisp. «Nonostante il divario e i problemi di abbandono enorme c'è un incremento nella pratica

sportiva delle donne. Le Federazioni hanno riconosciuto discipline da sempre patrimonio dei maschi come il calcio, il rugby in molti casi grazie soprattutto al pressing di enti di promozione sportiva, soprattutto l’Uisp, che per prima ha creato occasioni di pratica al femminile per queste discipline». Le ultime nomine Coni hanno portato le consigliere nelle federazioni da 50 a 120, con le donne elette o nominate vice-presidenti che sono diventate 13. Un primo passo ma la strada è ancora lunga. «Il Cio ha obbligato i comitati olimpici dei vari Paesi a rispettare delle quote. Basti pensare che le signore sono entrate nel 1981, prima erano solo uomini…

Con una maggiore presenza di donne si possono inserire competenze più attente e diverse. Lo dimostrano le grandi aziende dove sono state inserite in tante nei consigli direttivi:

i risultati delle performance sono migliorati». Per quanto riguarda lo sport, la battaglia per la parità è differente. «Questo resta un mondo difficile, faticoso e ancora molto chiuso. Inoltre siamo un Paese sedentario

e per crescere servono scelte pubbliche importanti. Bisogna capire bene quali azioni mettere in campo per le donne ed è la politica chiamata a fare scelte per dare diritti e fornire tutele garantite.

Noi cerchiamo di dare l’esempio: nel consiglio nazionale Uisp le donne sono già il 40%». ©

Promuovere le pari opportunità e contrastare le discriminazioni

rientrare le centinaia di migliaia di azzurri che possono rappresentare un valore aggiunto importante, sia nel confronto con le istituzioni sia per portare il nome dell'Italia in giro per il mondo. Tantissime persone hanno dei ruoli importanti nella vita e possono essere utilissimi in molti ambiti, soprattutto in un momento storico come questo in cui ogni giorno facciamo i conti con una realtà che è totalmente mutata.

Anche per questo la sfida di Milano- Cortina è enorme, siamo partiti molto bene e credo che si possa guardare al futuro con ottimismo. Anche il nuovo simbolo scelto rappresenta proprio l'eleganza e l’eccellenza italiana nel design e potrà dare una spinta importante a quella che sarà una vetrina fantastica».

Le difficoltà sono grandi...

«Sono enormi per tutti i settori, siamo in un momento drammatico. Nello sport il 20% degli impianti sportivi non riuscirà a riaprire e almeno 200mila persone perderanno il lavoro. Il nostro è un settore che non ha bisogno tanto di sussidi quanto di sostegno perché dobbiamo tenere presente che al di là dell’aspetto economico, non poter fare sport significa gravare sulla sanità pubblica. Non solo, per i piccoli abbiamo un problema

Nelle attività tipicamente maschili è messa

in discussione la femminilità

Mi sono sempre allenata con

uomini, ho dimostrato

tutto sul campo

psicologico enorme che è la mancanza di socializzazione, anche considerando la recente chiusura della scuola. Socializzazione, integrazione e superamento delle difficoltà personali attraverso il gruppo in questo momento mancano totalmente. Inoltre, senza attività fisica c'è mancanza di sviluppo dell'intelligenza motoria che può portare anche obesità a sovrappeso nei giovani e una serie di patologie per gli adulti. Senza dimenticare gli anziani, con problemi di solitudine ed

emarginazione». ©

Mariano Boero

Federica Brignone

Riferimenti

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