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PER IL LAVORO. Le nostre proposte sul lavoro

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Academic year: 2022

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Le nostre proposte sul lavoro

La crisi che stiamo attraversando è uno di quei tornanti della storia nei quali un giorno ci ricorderemo di aver vissuto; l’ultima crisi che abbiamo conosciuto negli anni successivi al 2008 ci racconta come, al di là dei buoni auspici che legano le difficoltà ad un’opportunità di cambiamento, dagli shock economici e sociali non si esce migliori ma spesso più dise- guali, con minori possibilità e diritti.

Momenti come questi rischiano di scatenare aumenti delle disparità: molte persone vedo- no e vedranno peggiorare la propria condizione economica e di vita, ma questi peggio- ramenti non saranno uguali, il rischio è che come spesso accade in questi casi saranno le persone più deboli a pagare il prezzo più alto. Perciò dopo una iniziale fase in cui priori- tario è tamponare l’emergenza bisognerà analizzare più nel dettaglio cosa sia accaduto per poi investire al fine di salvaguardare la produzione e i posti di lavoro di tutti e tutte nel nostro Paese.

I problemi che la crisi pandemica ha reso ancor più evidenti non nascono in questi mesi, il sistema produttivo italiano, il mondo del lavoro e le leggi - formali e informali - che lo governano presentano storture che hanno radici ben più risalenti.

Il capitale si muove molto più velocemente della politica, negli ultimi 30 anni ha dimostrato di muoversi soprattutto molto più velocemente rispetto alla sinistra e alle forze rappresen- tative del lavoro. Dagli anni ‘90 in poi, l’iniezione di flessibilità nel sistema contrattuale del mercato del lavoro non è andata di pari passo con l’implementazione di misure di sicurez- za sociale, così oggi assistiamo troppo spesso ad uno scaricamento de facto del rischio d’impresa su quella che secondo la ratio protettiva del diritto del lavoro dovrebbe essere la parte debole, il lavoratore.

Vecchie e nuove forme di sfruttamento convivono ed il nostro compito deve esser quello di analizzarle provando a costruire una proposta politica che ci permetta di ridurre per rimuovere, passo dopo passo, i fattori che ne sono all’origine.

I due principali indicatori di situazioni di sfruttamento sono il salario e l’orario effettivi di un lavoratore.

I salari in Italia sono più bassi rispetto alla media dei paesi del G7. L’orario medio di lavoro effettuato invece è tra i più alti, ma questo non è sempre dovuto al fatto che gli orari full time dei CCNL siano più alti (non tutti i CCNL stano sulle 40 ore dei contratti di commer- cio e metalmeccanici), in Italia c’è una maggiore predilezione allo straordinario che incide sull’aumento delle ore effettivamente lavorate. La volontà del lavoratore di effettuare stra- ordinari è spesso legata alla volontà di aumentare la propria retribuzione di fatto, questo ci rimanda al tema del salario perché è da lì che noi dobbiamo partire per invertire il circolo vizioso di lavoro povero, scarsamente retribuito, che poi spinge il lavoratore a fare sem- pre più ore per raggiungere quella retribuzione dignitosa utile a mantenere sé stesso e la propria famiglia.

Al fine di aumentare i salari è necessario agire sulla produttività del lavoro e aumentare

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il valore aggiunto al fine di poter retribuire maggiormente il lavoro richiede investimenti mirati. Crediamo che i piani pubblici che verranno messi in campo in questi mesi debba- no essere orientati anche a questo; nella consapevolezza che non siano percorribili un aumento dei salari e una riduzione delle ore lavorate per via legislativa, innovazioni di processo e di prodotto sono la chiave per poter aumentare il valore aggiunto nelle filiere produttive per poi aumentare i salari ai lavoratori.

Vi sono fattispecie di sfruttamento dei lavoratori, manuali ed intellettuali, inaccettabili che riguardano episodi di caporalato in agricoltura ed edilizia, lavoratori spesso irregolari, pa- gati a cottimo giornaliero, senza diritti e privi di tutela. Tali fattispecie richiedono oltre ad un intervento legislativo, anche un ripensamento del sistema economico: la crescente predisposizione delle aziende all’esternalizzazione nasconde dietro di sé una implicita in- terposizione, una sterminata prateria di appalti discutibili, che servono ad esternalizzare lavoratori spesso fondamentali per il core business aziendale, l’outsourcing verso coopera- tive spurie che, conformemente alla normativa di riferimento, aumentano e diminuiscono le ore di lavoro dei propri soci sulla base delle esigenze della committenza, scaricando il rischio d’impresa sul lavoratore che vede il proprio salario fluttuare sulla base delle esigen- ze di mercato raggiungendo livelli anche molto bassi nei momenti di calo di lavoro.

Nuove e consolidate forme di sfruttamento interessano anche le mansioni intellettuali, l’esercizio delle professioni in settori dei servizi che si fondano su una prestazione lavora- tiva senza orari (soprattutto senza straordinari), sull’impossibilità di affiancare all’orario di lavoro spazi di vita, sulla mancanza di un diritto alla disconnessione reso tema ancora più urgente dall’adozione di forme di smartwrking nel corso della crisi da coronavirus.

Abbiamo un enorme problema chiamato tirocini extracurricolari, un non-contratto, perché il tirocinio è un patto formativo, dietro il quale si nascondono veri e propri lavoratori su- bordinati ai quali fittiziamente viene insegnato un lavoro che molto spesso in realtà è una mansione che in pochi giorni si è in grado di svolgere a pieno regime.

Da ultimo, ma prioritariamente, vanno affrontate le forme di sfruttamento originatesi nell’ambito della Gig Economy.

In tutta questa situazione i datori di lavoro sono riusciti negli anni a costruire un mercato del lavoro nel quale, utilizzando le diverse forme contrattuali e legislative vigenti, sono riusciti a dividere i lavoratori in diversi rapporti di lavoro ma anche soprattutto in diverse aziende che formalmente li assumono così da depotenziarne la forza negoziale, così fa- cendo sono anche riusciti a dividere le filiere in modo tale da non esser costretti a ripartire utili e premi con un alto numero di dipendenti. In questo modo assistiamo quotidianamen- te a storie di ordinaria follia in cui nelle stesse unità produttive ci sono lavoratori che per- cepiscono premi di produzione e lavoratori che arrivano a stento al minimo salariale pur concorrendo di fatto alla produzione dello stesso prodotto o servizio. La riunificazione di queste rivendicazioni è un grande compito sindacale ma anche della politica che dovreb- be mettere in campo un’azione legislativa volta ad invertire tale processo disgregativo.

Il ruolo dello Stato

Il confronto con i rappresentanti degli studenti universitari, militanti nella nostra orga-

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nizAl fine di qualificare maggiormente il lavoro vanno incentivate le innovazioni nelle principali filiere strategiche, è necessario abbandonare la visione puramente assistenziale delle istituzioni pubbliche per immaginare uno Stato che orienti lo sviluppo economico, anche privato, verso settori a più alto valore aggiunto, verso processi a maggior rispar- mio energetico, verso produzioni sostenibili sul piano ambientale e sociale, verso settori utili a non perdere posizioni nella catena del valore.

La necessaria e attuale discussione sul ruolo dello Stato nell’economia impone altresì una riflessione sull’urgenza di aprire la Pubblica Amministrazione, ad ogni livello, a maggiori competenze soprattutto di giovani risorse che possano essere motore di un processo di innovazione e sburocratizzazione e condurre la PA anche a meglio supportare il sistema imprenditoriale.

Crescita dimensionale delle imprese e Formazione

Un altro grave problema del sistema privato italiano è l’ampia presenza di piccole impre- se e microimprese, caratteristica che per anni è stata quasi unanimemente riconosciuta come un valore aggiunto ma che nel sistema di interconnessione e di concorrenza mon- diale sta iniziando a mostrare tutti i suoi problemi. Il nanismo industriale rende molto più difficili gli investimenti, la capitalizzazione e la formazione del personale. L’impegno per la crescita dimensionale delle imprese deve essere una priorità per il lavoro del go- verno. La formazione dei lavoratori deve sempre di più diventare un diritto soggettivo della persona, lungo tutto l’arco della vita, essa è una delle opportunità che abbiamo per ridurre le disuguaglianze tra chi ha la fortuna di svolgere il proprio lavoro in luoghi dove sul capitale umano si investe e chi questa fortuna non ce l’ha.

Legge sulla rappresentanza

Per intervenire in maniera efficace rispetto al problema dei bassi salari è opportuno per- correre la strada dell’applicazione erga omnes dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, prima ancora dell’istituzione di un salario minimo orario, perché i CCNL non attengono solo al salario ma anche ad orari, maggiorazioni per le prestazioni straordinarie, ferie, permessi, all’insieme dei diritti del lavoratore.

Al fine di rendere effettivo il valore salariale dei CCNL è fondamentale lavorare per una legge sulla rappresentanza che disciplini la legittimità di sottoscrivere contratti con le sigle sindacali comparativamente maggiormente rappresentative sul territorio nazionale.

I sindacati negli scorsi anni hanno siglato protocolli ed un testo unico sulla rappresentan- za che rappresentano una buona base di discussione. Un intervento normativo dovrebbe rendere illegale l’applicazione dei cosiddetti contratti pirata che abbassano le retribuzio- ni di settore spesso di diverse centinaia di euro mensili.

False cooperative, esternalizzazioni ed outsourcing

Come anticipato in introduzione, occorre intervenire sulle storture di un sistema di false cooperative che portano ad un peggioramento delle condizioni dei lavoratori e, troppo spesso, a vere fattispecie di sfruttamento.

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Proprio le principali centrali cooperative, Legacoop, Confcooperative, AGCI, hanno pre- sentato una legge di iniziativa popolare sul tema per cercare di impedire la concorrenza sleale che esse stesse subiscono per effetto di questo sistema.

Vanno altresì individuate forme di disincentivo ai fenomeni di esternalizzazione ed out- sourcing, in questo momento gli strumenti per denunciare l’interposizione di manodope- ra sono ancora troppo deboli. Osserviamo nel mercato del lavoro italiano il ricorso all’e- sternalizzazione su mansioni e lavorazioni all’interno della medesima unità produttiva, in un meccanismo di sostanziale subordinazione tra azienda committente ed azienda che gestisce l’appalto, un sistema malato che vede nel lavoratore l’anello debole della catena in quanto spesso si trova ad avere un datore di lavoro formale che è schiacciato dal com- mittente su un sistema di tariffa oraria che lasciandogli poco margine non permette né di retribuire meglio i propri dipendenti né di effettuare investimenti e formazione. Bisogna dotare i lavoratori degli appalti di tutele legate ad una maggiore responsabilizzazione del committente nei loro confronti.

Smartworking

Nel particolare periodo che abbiamo attraversato, milioni di lavoratori sono stati costretti a prestare la propria opera in regime di lavoro agile o telelavoro. L’orario di lavoro diven- ta sempre più difficile da controllare, costringendo spesso la persona a lavorare ben oltre l’orario di lavoro che presterebbe in presenza, si rimettono in discussione diritti quali lo straordinario, i buoni pasto, la garanzia della salute e sicurezza del luogo di lavoro.

La strumentazione a disposizione del lavoratore, la connessione internet, i supporti infor- matici, gli stessi supporti fisici idonei come scrivania e seduta (fondamentali perché da un cattivo uso degli stessi derivano le principali malattie professionali diffuse nell’ambito del lavoro impiegatizio) non sono strumentazioni che ogni lavoratore è tenuto a posse- dere nella propria abitazione; anche in regime di smart working, il reperimento di questi strumenti dev’essere a carico del datore di lavoro.

Oltre l’emergenza, queste tematiche non possono essere semplicemente demandate all’accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore.

Lo smart working può, per le professioni per cui è di possibile adozione, anche rendere più sostenibile dal punto di vista ambientale le prestazioni lavorative. Ma sostenibilità è anche benessere e diritti della persona, per questo è necessario affermare quanto prima per via legislativa un diritto alla disconnessione ed avviare una riflessione in merito ai ca- richi di lavoro tra parti datoriali e sindacali che tenga conto delle recenti evoluzioni.

Tirocini extracurricolari

Il tirocinio extracurricolare (cd “stage”) è ormai diventato la principale forma di ingresso nel mercato del lavoro sia per le persone che hanno terminato da poco i propri studi sia per le persone che dopo anni di inattività involontaria si trovano a tentare di rientrarci.

La particolarità di questa forma di lavoro è il fatto che di lavoro non si tratterebbe, ma dovrebbe essere un periodo di semplice formazione svolto all’interno di un’azienda, la re- altà purtroppo ci racconta altro, troppo spesso vediamo utilizzare il tirocinio per “copri-

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re” mansioni ordinarie che dovrebbero essere svolte da lavoratori regolarmente assunti.

La battaglia da porre non è una semplice richiesta di aumento del rimborso, che porte- rebbe l’effetto di rendere semplicemente un po’ più remunerativo un abuso, la battaglia deve essere per l’impedimento di tale abuso.

Il tirocinio non fa maturare contributi pensionistici e in virtù di tale mancanza non da neppure diritto alla NASPI una volta terminato il periodo di “formazione”.

Va, regione per regione, combattuta una battaglia per diminuire sempre di più le mansio- ni per le quali possa essere attivato questo strumento e va limitato il più possibile il turn over di queste figure nelle imprese, va fortemente disincentivato l’utilizzo sistematico di questo strumento alternando diversi tirocinanti per le stesse “mansioni”.

Gig economy, rider e multinazionali del web

Nel particolare periodo che abbiamo attraversato, milioni di lavoratori sono stati costretti Con riferimento al sistema delle app di consegna a domicilio va rilevata la subordinazio- ne sostanziale riconducendo il rapporto di lavoro alla forma del lavoro subordinato. Dal contratto di lavoro intermittente al contratto a tempo determinato, al contratto di lavoro part-time, la forma contrattuale più distante dalla realtà è proprio la prestazione auto- noma. Rilevata la subordinazione della prestazione, riteniamo che tali rapporti lavorativi vadano ricondotti ai livelli “I” ed “L” del CCNL della logistica che ha incluso i ciclofattorini all’interno del proprio mansionario.

Non solo nelle piattaforme precedentemente citate ma anche in altre aziende si è aperto un dibattito sulle disposizioni di lavoro impartite di fatto da algoritmi che hanno sempre di più intensificato i ritmi di lavoro dei dipendenti fino a raggiungere livelli di vero e pro- prio sfruttamento. Partendo dal presupposto che dietro ad ogni algoritmo ci sono delle persone che lo programmano, la contrattazione dello stesso è una concreta prospettiva per le rappresentanze dei lavoratori che siamo felici si siano già adoperate per comincia- re questo percorso. Riteniamo ovviamente legittima la possibilità dei datori di lavoro di mettere in atto le innovazioni organizzative necessarie per rendere più efficiente il lavoro, tuttavia questa legittima prerogativa non può essere lesiva nei confronti della dignità e soprattutto della salute dei lavoratori. Va combattuta la logica postmoderna della svalu- tazione del lavoro conseguente al fatto che non si possa, per ragioni di ordine internazio- nale, svalutare la moneta.

Inoltre, questi grandi colossi dell’economia mondiale si sottraggono all’imposizione fisca- le applicata alle imprese e alla totalità dei contribuenti scegliendo, per la propria sede legale, paesi che operino una fiscalità di vantaggio. Per buona parte del secolo scorso, il compromesso socialdemocratico che è stato alla base dello sviluppo del welfare state fu conseguente al fatto che gli stati erano in grado di redistribuire la ricchezza attraverso la leva fiscale, la costruzione di un nuovo compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro deve essere la sfida dei progressisti negli anni ’20 del nuovo secolo, le istituzioni europee sono lo strumento con il quale affermare una tassazione dei profitti alla fonte, laddove sono prodotti.

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Parità di genere, inclusione

L’Onu ha definito il Gender Pay Gap, “il più grande furto della storia”, un rapporto dise- guale con il reddito, con l’accesso e la crescita nel mercato del lavoro, con l’indipendenza economica accompagna le donne dall’infanzia alla pensione.

L’Italia è tra i peggiori Paesi europei per disparità salariale di genere. Il paradosso è che più le donne studiano, più aumenta il divario. In Italia le occupate sono meno del 50%

delle donne, i lavori part time sono nel 60% involontari.

Persino nel mondo dello sport le campionesse possono prendere parte ai mondiali di calcio, rappresentarci alle olimpiadi, ma in assenza pari retribuzioni, in assenza del rico- noscimento di atlete professioniste.

Le differenze tra uomini e donne nell’accesso alle opportunità, nel bilanciamento di cari- chi familiari e di cura, passano da una cultura femminista a cui le nuove generazione de- vono essere educate per superare l’organizzazione patriarcale della società e dei luoghi di lavoro.

Ma il legislatore non può più rimandare l’applicazione di un congedo parentale paritario tra uomo e donna. È necessario dare attuazione al cosiddetto Codice delle pari opportu- nità, Dlgs 198/2006, anche mediante l’introduzione di sanzioni per le aziende ed organiz- zazioni che non ne rispettino il disposto.

Occorre aprire un dibattito pubblico e politico sulla possibilità, a parità di salari, di ridurre l’orario di lavoro e i giorni lavorati, per perseguire un migliore bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro a vantaggio di tutte le persone.

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