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Si può ancora parlare di libertà nell arte? Quando e quanto una statua può essere sessista?

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Academic year: 2022

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Si può ancora parlare di libertà nell’arte? Quando e quanto una statua può essere sessista?

Questo articolo nasce dopo aver letto varie considerazioni sulla statua della “Spigolatrice”, realizzata dall’artista Emilio Stifano per il comune di Sapri e ora collocata sul Lungomare della città.

L’opera è stata apprezzata e criticata allo stesso tempo e tra quest’ultime affermazioni c’è chi pensa che l’opera sia

“maschilista”, “un’offesa alle donne”, “brutta” perché rappresenta una spigolatrice con un vestito leggero e trasparente, che mette in mostra le natiche. Io direi di soffermarci di più sul bel volto che sul sedere della donna, e con ciò si capirebbe molto di più di quello che la statua vuol trasmettere. Una donna che ritorna dal lavoro dei campi con in mano una fascina di spighe e volte lo sguardo al mare, da dove arrivano “i trecento giovani e forti”.

Questi ragazzi, cantati da Luigi Mercantini nella poesia “La spigolatrice di Sapri” del 1858, avevano aderito alla spedizione di Sapri di Carlo Pisacane nel 1857, con lo scopo di innescare una rivoluzione antiborbonica nel Regno delle Due Sicilie, poi il tutto fallisce, perché gli avventurieri

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vengono sopraffatti dalla forza nemica.

In questo caso la problematica è il nudo velato, ma siamo proprio sicuri che senza il nudo artistico si possa insegnare o trattare di arte?

Francisco Calvo Serraller in un suo saggio tratta di come «la nudità non è solo una forma d’arte, ma è la stessa spiegazione – o logica – dell’arte occidentale: il punto drammatico od incrocio tra il naturale e il cielo, tra l’ideale e il vero, tra il carnale e lo spirituale, in definitiva tra il corpo e l’anima». Prima di egli anche Javier Portùs, curatore d’arte e conservatore del Museo del Prado, ritiene che «da secoli il nudo è stato la forma d’arte per eccellenza presente in Occidente, potendo esso esprimere al meglio tutti gli altri valori attraverso il colore e la materia pittorica» (“Pasion por los desnudos”, 2004).

Fin dalla notte dei tempi da quando l’uomo primitivo ha iniziato a modellare la terracotta o a scolpire o a dipingere, è il nudo il soggetto dominante. Una delle prime opere che viene studiata è la “Venere di Willendorf”, della serie le Veneri paloelitiche. Questa statuetta è alta 11 cm, scolpita in pietra calcarea e dipinta in ocra rossa e risale al 24.000-22.000 a.C.

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Nell’arte paleolitica il nudo è fortemente correlato al culto delle divinità della fertilità, che vengono rappresentate con una grande stazza, con i fianchi larghi e seni sporgenti e cadenti. La cultura in cui è proliferata la rappresentazione della nudità artistica è quella classica (greco-romana), concepita come ideale estetico ma anche etico di perfezione e bellezza assoluta.

Basti pensare alle scene mitologiche di Pompei come la pittura su parete di “Venere Anadiomene” nella Casa di Venere, oppure

“Apollo del Belvedere” nei Musei Vaticani, copia di una statua in bronzo creata tra il 350 ed il 325 a.C. dallo scultore greco Leocare.

Questo pensiero è perdurato nel Classicismo, condizionando il pensiero occidentale verso l’arte e il nudo. Un freno si ha avuto durante il Medioevo, quando la rappresentazione artistica si è limitata ai temi religiosi e teologici, trattati dalla Bibbia e solo in quel caso si poteva

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giustificare la resa nuda.

C o n l ’ i n i z i o d e l R i n a s c i m e n t o e l ’ e s p a n s i o n e dell’antropocentrismo, la nuova cultura umanista ha riportato il nudo in auge, affiancando ai soggetti religiosi anche quelli storico-mitologici del paganesimo, soprattutto sotto forma di allegoria.

In questo caso basti pensare agli studi anatomici di Leonardo da Vinci, al David di Michelangelo, alle allegorie della

“Verità” (famosa quella di Gian Lorenzo Bernini), della

“Fortuna”, oppure l’”Allegoria del trionfo di Venere” di Agnolo Bronzino, la lista di queste opere “non consone” è lunga, ma voglio finire con l’opera di Caravaggio, tanto amata dal Marchese Vincenzo Giustiniani: “Amor vincit omnia”. Questo dipinto rappresenta un ragazzo nelle vesti di Amore, che vince sulle arti, riconducibili alla partitura, ai libri e agli strumenti musicali ai piedi del fanciullo. Secondo a quanto riporta Joachim von Sandrart nel suo testo “L’Academia todesca della Architettura, Scultura e Pittura” del 1675: “era reso ancora più seducente da una tendina verde che lo ricopriva e che il marchese toglieva solo per pochi selezionati ospiti”. Questo non dovrebbe essere bollato come pedofilia? Un artista che raffigura dal vero un ragazzo senza vesti?. A pensare con la mentalità del tempo questo corpo nudo era incarnazione dell’Amore che vince su tutte le cose.

Solo con l’impressionismo il nudo perde lo status iconografico per diventare oggetto estetico profano ed ecco che il pensiero dominante moralista mette un freno a tutte le opere considerate scandalose e tra queste basti pensare alla tela di Manet: “Colazone sull’erba”, giudicata “scandalosa indecenza”

per la presenza di una donna nuda in mezzo a uomini borghesi, al di fuori del contesto classico o mitologico o storico, dove il nudo è ben accetto.

L’artista non si era che rifatto al “Concerto campestre” di Tiziano e al “Giudizio di Paride” di Raffaello, dove il corpo

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libero, vero, domina la scena.

In sostanza la nudità nell’arte riflette i canoni sociali sia in ambito di estetica che nella concezione di morale, del tempo e del luogo in cui è stata eseguita l’opera. Oppure vogliamo ritornare ai tempi della Controriforma quando il nudo viene coperto, cancellato, annullato perché considerato scandaloso secondo la morale della chiesa? L’opera che più ci ha rimesso è stato il “Giudizio Finale” di Michelangelo, che nel 1564 su disposizione della Congregazione del Concilio di Trento ha subito la copertura di ogni oscenità e il compito è stato affidato a Daniele da Volterra che per l’occasione si g u a d a g n ò i l s o p r a n n o m e d i

“Braghettone”.

Gli interventi “moralizzatori” non tacciano le critiche né le minacce di distruzione del Giudizio, che con il passare del tempo subisce nuove censure, anche nel XVIII secolo ad opera di Stefano Pozzi (quando la superficie venne anche ripassata da una vernice a colla). A far tacere le critiche sui udi rappresentati ci pensa Papa Giovanni Paolo II, quando dice che il “Giudizio” è «il santuario della teologia del corpo umano».

Io reputo che ogni artista qualsiasi opera faccia debba essere lasciato libero di esprimere il suo pensiero con i mezzi e le proprie idee, il “moralismo” dovrebbe essere messo da parte, perché danneggia solo l’opera; in più l’attenzione deve essere posta non su com’è fatta ma sul messaggio che questa deve trasmettere.

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