I MISTERI DELLE STRAGI
Un milione di dollari per insabbiare lo scoop di Borsellino su Berlusconi, Dell’Utri e la mafia
Un emissario Fininvest offrì soldi per censurare l’intervista a Canal Plus del magistrato, che accusava apertamente il boss Vittorio Mangano e
confermava i suoi rapporti con il braccio destro del Cavaliere: filmata poco prima della morte del giudice eroe, fu tenuta segreta per due anni, fino a dopo le elezioni del 1994. A riaprire il caso sono le rivelazioni in punto di morte del giornalista francese Fabrizio Calvi: «So chi è stato il traditore»
di Paolo Biondani e Leo Sisti
27 DICEMBRE 2021
Un emissario di Berlusconi offrì un milione di dollari per l’intervista di Canal Plus a Borsellino.
Tenuta segreta, fu rivelata da L’Espresso
Soldi per insab
n milione di dollari. In cam- bio dei nastri integrali di un video-documentario su Sil- vio Berlusconi e Cosa no- stra: cinquanta ore di filma- ti, con un’intervista clamo- rosa a Paolo Borsellino.
Uno dei tanti misteri legati all’assassinio del magistrato simbolo della lotta alla mafia riguarda uno scoop televisivo che fu tenuto segreto per due anni. Nell’inter- vista concessa a due giornalisti francesi nel 1992, poco prima di esser ucciso, Bor- sellino accusava apertamente Vittorio Mangano, il boss di Palermo che fu assun- to da Berlusconi ad Arcore, e confermava i suoi rapporti con Marcello Dell’Utri, l’ex senatore e top manager del gruppo Finin- vest poi condannato per mafia. Nonostan- te la morte del giudice eroe, le sue rivela- zioni sono rimaste sconosciute fino al 1994, quando sono state scoperte e pub- blicate da L’Espresso. Mentre la televisio- ne privata francese Canal Plus, che aveva commissionato il documentario, non l’ha mandato in onda. Le ragioni di quei due
U
di Paolo Biondani e Leo Sisti
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, uccisi dalla mafia nel 1992
Prima Pagina
biare lo scoop
anni di silenzio non sono mai state com- pletamente chiarite. Ora questa inchiesta giornalistica offre le prime tracce di una manovra di insabbiamento, che chiama in causa un fedelissimo di Berlusconi e un manager televisivo parigino, che viene de- finito «il traditore».
Tutto inizia il 21 maggio 1992. È un gio- vedì, sono le 15,30. Fabrizio Calvi, un gior- nalista d’inchiesta francese, e Jean Pierre Moscardo, regista e produttore esterno per Canal Plus, incontrano Paolo Borselli- no nella sua casa di Palermo. L’intervista è il fulcro di un documentario con molte al- tre voci prodotto a spese della prima tv francese a pagamento. Due giorni dopo, il 23 maggio, Giovanni Falcone viene ucciso con la moglie e tre agenti della scorta nel- la strage mafiosa di Capaci. Anche Borsel- lino è destinato a morire meno di due me- si dopo, il 19 luglio, trucidato da un’auto- bomba di Cosa nostra in via D’Amelio, sotto casa della madre.
Fabrizio Calvi, pseudonimo di Je- an-Claude Zagdoun, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1954, era un grande reporter, amico de L’Espresso da decenni. Abbiamo lavorato insieme in moltissime inchieste giornalistiche, in Italia, Francia, Stati Uni- ti. Malato di Sla, il 23 ottobre scorso ha deciso di porre fine alle sue sofferenze.
Non ce la faceva più a non essere padrone di sé stesso, costretto in una carrozzella, a doversi esprimere a fatica, con frasi so- spese. L’ultima foto ce l’aveva mandata da Marrakech, poco prima. Lo ritraeva sorri- dente, imbragato in una lettiga, con le due dita a V, mentre stava per essere im- barcato con la moglie su un aereo-ambu- lanza che lo avrebbe portato in Svizzera per l’addio alla vita. Anche in questi ulti- mi mesi ci siamo sentiti spesso, quasi ogni settimana. Fabrizio sapeva che la Sla non perdona, ma sperava di ritardarne il decorso. Dopo una carriera costellata
Foto: Shobha / Contrasto
da tanti successi, l’esordio a Libera- tion, le inchieste per le televisioni france- si, i libri sulla mafia italiana, sull’11 set- tembre, su Donald Trump (l’ultimo nel 2020), aveva un solo grande rammarico: il film su Berlusconi, rimasto nel cassetto.
Discutendone, fra luglio e ottobre, ci ha fatto due rivelazioni. Ci ha parlato di due fatti, collegati, che offrono la prima possi- bile spiegazione dello stop (o dietrofront) della tv francese sull’intervista al magi- strato antimafia.
Il primo indizio è una confidenza che Fabrizio ha ricevuto da Moscardo, che era con lui a casa di Borsellino. Il regista gli ha rivelato che era stato contattato da un emissario, incaricato di offrirgli «un mi- lione di dollari» per avere i filmati com- pleti, cioè tutte le 50 ore di girato. Una proposta fatta a nome di uno dei manager più vicini a Berlusconi. Moscardo è morto nel 2010, la sua confidenza risale a «qual- che anno prima». Calvi ne ha parlato per la prima volta a L’Espresso poco prima di morire. Il regista gli fece il nome dell’e- missario e gli assicurò di aver rifiutato quei soldi, ma ne parlava con imbarazzo.
Fabrizio era convinto che non gli avesse raccontato tutto.
Il secondo indizio è un’altra confidenza di Calvi, che riassume in poche parole il risultato del suo lungo e tenace lavoro su quell’intervista: «So chi è stato il tradito- re». Nelle sue ultime telefonate via Inter- net, Fabrizio ci ha fatto il suo nome: un manager francese che ha lavorato per Ca- nal Plus, ma è stato anche consulente del- le tv di Berlusconi. È lui l’emissario che offrì i soldi a Moscardo. Fabrizio non ha fatto in tempo a spiegarci tutto quello che aveva scoperto. Ci ha detto però che quel manager era contrario fin dall’inizio a produrre il documentario per Canal Plus.
Va ricordato che tra maggio 1992 e aprile 1994 l’esistenza stessa di un’intervista di Borsellino su Mangano, Dell’Utri, Berlu- sconi e la mafia era conosciuta solo all’in- terno del canale televisivo francese, da poche persone che la tenevano segreta.
Il muro di omertà che copriva le parole di Borsellino è caduto proprio grazie al le- game di Fabrizio con il nostro settimana- le. Uno degli autori di questo articolo, nel marzo 1994, è stato suo ospite per un me-
se, a Parigi, nella sua casa nel quartiere della Bastiglia, per scrivere insieme un li- bro sulla corruzione, “Les nouveaux rés- eaux de la corruption”, poi pubblicato in Francia. Durante la stesura della postfa- zione, intitolata “Le relazioni pericolose”, Fabrizio suggerisce: «Qui si potrebbe met- tere una dichiarazione di Paolo Borselli- no». Fabrizio trascrive questa frase: «Vit- torio Mangano era una delle teste di pon- te dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia». E così salta fuori la storia della vi- deo-intervista ancora inedita. L’articolo de L’Espresso esce l’8 aprile 1994, quando Berlusconi ha già vinto le elezioni con Umberto Bossi e Gianfranco Fini.
Mangano è un mafioso di Palermo, rac- comandato da Dell’Utri, che ha vissuto ad Arcore con tutta la sua famiglia, stipen- diato da Berlusconi, per circa due anni, dal 1974 al 1976. Il suo ruolo in Cosa no- stra è il primo pilastro della condanna di LO STAFF
Silvio Berlusconi, di fronte a lui, Adriano Galliani e alla destra di quest’ultimo, Marcello Dell’Utri. Di fianco al patron Fininvest, in occasione di un pranzo al ristorante Savini di Milano, c’è il giornalista Francesco Damato
La confidenza in punto di morte di Fabrizio Calvi, il giornalista che
incontrò il magistrato due giorni prima
dell’attentato in cui fu ucciso Falcone
Prima Pagina
Dell’Utri per concorso esterno in associa- zione mafiosa. Tutte le sentenze, in ogni grado di giudizio, spiegano che l’assunzio- ne di Mangano cementò «un patto di pro- tezione mafiosa» durato quasi vent’anni:
per evitare sequestri di familiari o atten- tati alle aziende, Berlusconi ha sempre pagato il pizzo a Cosa nostra, dal 1974 al 1992, senza mai denunciare i mafiosi. E Dell’Utri, suo braccio destro nell’edilizia e nella pubblicità, era il «tesoriere e garan- te» dell’accordo con i boss di Cosa nostra.
Berlusconi e Dell’Utri hanno sempre sostenuto che all’epoca ignoravano chi fosse Mangano. Borsellino, nell’intervi- sta, afferma invece che già allora era un noto criminale, arrestato più volte: «Tra il 1974 e il 1975 fu coinvolto in una mia in- dagine per estorsioni fatte a cliniche pri- vate: ai titolari venivano inviate teste di cane mozzate. Poi ho ritrovato Mangano al maxiprocesso, perché fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente alla famiglia di Porta Nuova capeggiata da Pippo Calò. E già dal precedente processo Spatola, istruito da Falcone, risultava che Manga- no a Milano costituiva un terminale dei traffici di droga: nel 1980 fu arrestato per questo e condannato».
Mangano è morto nel 2000 a casa sua,
Paolo Borsellino durante l’ultima intervista concessa a Fabrizio Calvi per Canal Plus che non la mandò in onda. In alto, Vittorio Mangano, fattore della tenuta di Berlusconi ed emissario delle cosche siciliane in Lombardia
agli arresti domiciliari per malattia, dopo essere stato condannato all’ergastolo co- me boss di Cosa nostra e mandante di un omicidio commesso a Palermo nell’otto- bre 1994. Dell’Utri, nel suo lungo proces- so, non lo ha mai attaccato, anzi è arrivato a definirlo «un eroe», perché si è rifiutato di «fare dichiarazioni false contro me e Berlusconi». Nella polemica che ne segue, molti obiettano che, per gli italiani onesti, gli eroi sono i magistrati come Falcone e Borsellino, che hanno sacrificato la vita per contrastare la mafia.
Nel 2013, però, Berlusconi in persona dà ragione a Dell’Utri: «Credo che Marcello abbia detto bene quando ha definito un eroe Mangano, che quando fu arrestato si rifiutò di testimoniare il falso su di noi».
Fabrizio Calvi è sempre stato convinto che sul caso dell’intervista a Borsellino abbiano pesato anche ragioni economi- che: Berlusconi in Francia controllava La Cinq, una tv generalista con bilanci disa- strosi, tanto da progettare di trasformarla in una rete criptata a pagamento. Entran- do così in concorrenza diretta con Canal Plus. Quando poi La Cinq ha chiuso i bat- tenti, i rivali francesi hanno perso ogni in- teresse per il documentario-choc.
Negli ultimi anni l’intervista a Borselli- no è entrata a far parte anche di una nuo- va inchiesta della procura di Caltanisset- ta. Nell’ottobre 2020 l’aggiunto Gabriele Paci ha interrogato Fabrizio Calvi vicino a Losanna. Il verbale è stato secretato. Si sa soltanto che alla deposizione ha potuto presenziare un avvocato, con una funzio- ne di garanzia procedurale. E una strana interpretazione del suo ruolo: si è opposto alle domande su Berlusconi e Dell’Utri, ar- rivando a zittire le risposte del giornalista, ormai in difficoltà per la malattia.
Nel giorno della sua fine «programma- ta», Fabrizio Calvi ha mandato agli amici più intimi un messaggio di sfida alla mor- te, con un titolo italiano: «È finita la com- media. Oggi faccio il mio ultimo inchino, mi congedo, esco. Quindi vi saluto, vi ho amato tutti». Segue il testo di una scrittri- ce francese, Anne Bert, vittima della Sla:
«Voglio morire in pace prima di essere torturata… senza rinunciare al mio gusto
di vivere». Q
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