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L IMPRENDITORE: La destinazione al mercato dei beni e servizi prodotti

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Academic year: 2022

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L’IMPRENDITORE

:

Art. 2082 c.c, nozione di imprenditore:

“è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.”

Questa definizione porta con sé due differenti nozioni:

La nozione economica, identifica l’imprenditore nel soggetto che nel processo economico svolge la funzione di “intermediario” tra chi dispone dei fattori produttivi e chi domanda prodotti e servizi; svolge dunque funzione organizzativa dirigendo il processo produttivo. Nel fare ciò si assume il rischio d’impresa (costi>ricavi) e questo fa sì che gli spetti l’eventuale profitto; l’intento di raggiungere il massimo profitto rappresenta secondo gli economisti il movente dell’attività imprenditoriale.

La nozione giuridica, invece, si occupa di fissare i requisiti minimi necessari e sufficienti per far sì che un determinato soggetto sia qualificabile come imprenditore e di conseguenza sia sottoposto a tale disciplina; dalla norma si ricavano i seguenti requisiti:

1) L’impresa è ATTIVITA’ PRODUTTIVA…

È “attività” in quanto serie di atti coordinati, i quali sono finalizzati alla produzione o allo scambio di beni o servizi, ed è quindi qualificata

“produttiva”. Per far sì che un’attività sia qualificata come produttiva, è irrilevante la natura dei beni o servizi (è considerata impresa la produzione di servizi assistenziali, culturali o ricreativi) così come è irrilevante che l’attività possa qualificarsi al contempo come attività di godimento o di

amministrazione di determinati beni o del patrimonio dell’agente. È infatti attività produttiva e di godimento per es. il proprietario di un fondo agricolo che coltiva il fondo stesso; è altresì attività di produzione e al tempo stesso amministrazione o godimento del proprio patrimonio ad es.

l’impiego di proprie disponibilità finanziarie nella compravendita di strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, titoli di Stato).

Quindi, gli atti di investimento, speculazione o finanziamento possono dar vita ad attività d’impresa commerciale se ricorrono gli altri requisiti; sono dunque considerate imprese commerciali: le società di investimento (impiegano il proprio patrimonio nella compravendita di titoli), le società finanziarie (erogano credito con mezzi propri e per questo non considerate banche) e le holdings (acquistano e gestiscono partecipazioni di altre società dando vita ai gruppi societari). Discorso uguale viene fatto se tali attività sono svolte da persona fisica (più raro), è però più difficile stabilire se si tratti di un’attività o una serie di atti privi di collegamento unitario ed eventualmente se tali attività sono di carattere organizzato e professionale.

2) …Caratterizzata dall’ORGANIZZAZIONE…

Non esiste un’attività d’impresa senza programmazione e coordinamento degli atti svolti, e senza impiego coordinato di fattori produttivi (lavoro e capitale); solitamente la funzione organizzativa dell’imprenditore si concretizza nella creazione di un apparato produttivo formato da persone e da

beni strumentali. Questo però non vuol dire che debba per forza esistere tale apparato, infatti è considerata impresa anche:

- un’attività che utilizza il fattore capitale, ma soltanto il proprio lavoro senza ausilio di collaboratori (es. una gioielleria gestita dal solo titolare);

- un’attività priva di apparato strumentale fisico (macchinari, locali…) ma che impiega mezzi finanziari (es. attività di finanziamento).

Riguardo a ciò si è posto il problema se si può parlare di impresa anche quando il processo produttivo si basa esclusivamente sul proprio lavoro, soprattutto per quanto riguarda la produzione di servizi d’opera manuale (es. idraulico) o di servizi personalizzati (es. agenti di commercio). La risposta è negativa in quanto non è sufficiente l’organizzazione a fini produttivi del proprio lavoro per poter parlare di impresa; la dottrina ha riscontrato opposizioni che facevano leva sulla nozione di piccolo imprenditore (chi svolge attività “organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”). Nonostante ciò però, dando la giusta importanza al termine “prevalentemente” si conferma la visione che un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitali è necessaria per parlare di impresa.

3) …Dall’ECONOMICITA’…

Non è vero affermare che “attività economica” sia sinonimo di “attività produttiva”; il requisito dell’economicità è richiesto in aggiunta allo scopo produttivo dell’attività. Infatti un’attività produttiva, per essere considerata anche economica, deve essere svolta secondo “metodo economico”, ovvero con modalità che consentono nel lungo periodo la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica. Non è perciò imprenditore colui che produce beni o servizi che eroga gratuitamente, così come non sono considerate imprese le associazioni che gestiscono gratuitamente un ospedale ecc. sarà viceversa considerato imprenditore il gestore di un ospedale, con metodo economico.

4) …E dalla PROFESSIONALITA’.

Ovvero esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. Quindi non è imprenditore chi compie un’isolata operazione di acquisto e successiva vendita (non qualificata nemmeno come attività); ma non lo è nemmeno colui che compie una pluralità di atti economici coordinati, ma in modo occasionale (es. organizzazione di un unico evento sportivo). È invece considerato impeditore chi svolge un unico affare che però, per la sua

rilevanza economica, implica il compimento di molteplici e complesse operazioni (es. costruttore di un singolo edificio).

Ciò non vuol dire però che l’attività debba essere svolta continuativamente, è infatti considerato imprenditore chi svolge attività che, per loro natura, sono stagionali. È imprenditore anche colui che svolge una professione principale e al tempo stesso esercita attività d’impresa (es. professore anche proprietario di negozio); è inoltre possibile il contemporaneo esercizio di più attività d’impresa (es. agricola e commerciale) dello stesso soggetto.

Questi, sono i requisiti esplicitamente richiesti dall’art. 2082, si discute poi se siano necessari altri requisiti per far sì che si parli di imprenditore e impresa:

I. Lo scopo di lucro

È banale riconoscere che normalmente lo scopo dell’imprenditore è quello di realizzare profitto, bisogna però capire se tale requisito può essere definito giuridicamente come essenziale al fine di applicare la relativa disciplina. A tal proposito viene distinto il lucro soggettivo, ovvero il movente psicologico dell’imprenditore; dal lucro oggettivo ovvero il reale conseguimento di profitto e la sua successiva distribuzione. In quanto la disciplina dell’imprenditore ha tra le diverse finalità quella di tutelare i terzi che vengono a contatto con egli, deve essere basata su dati esteriori ed oggettivi e per questo non può

essere considerato come fondamentale lo scopo di lucro in senso soggettivo.

Sul piano oggettivo invece, sappiamo che requisito essenziale è lo svolgimento dell’attività d’impresa secondo metodo economico ovvero con lo scopo di pareggiare costi e ricavi; diverso è invece il metodo lucrativo, ovvero l’obbiettivo di un effettivo eccesso dei ricavi sui costi. È stato dunque fissato come unico requisito essenziale il metodo economico e non quello lucrativo. Questo perché la nozione di imprenditore è una nozione unitaria che comprende al

suo interno diverse tipologie di impresa soggette alla stessa disciplina e per questo deve essere essenziale solo ciò che è comune a tutte. Per esempio:

- l’impresa pubblica, è tenuta ad operare secondo criterio di economicità, ma non è preordinata alla realizzazione di profitto;

- l’impresa mutualistica, è rivolta alla realizzazione di un vantaggio patrimoniale dei soci, ma non si può ritenere finalizzata ad eccedere i ricavi sui costi;

- l’impresa sociale, ha il divieto di distribuire gli utili in qualsiasi forma, ma si richiede allo stesso tempo che svolga l’attività con metodo economico.

Si conclude dunque che requisito minimo essenziale dell’attività d’impresa è l’economicità della gestione ma non lo scopo di lucro, permettendo dunque il

riconoscimento della qualità di imprenditore anche agli enti di diritto privato (associazioni e fondazioni) con scopo ideale o altruistico.

II. La destinazione al mercato dei beni e servizi prodotti

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Le imprese operano di regola per il mercato, ma bisogna capire se può essere considerata impresa anche quella “per conto proprio” ovvero che produce beni o servizi che non vengono destinati al mercato bensì ad uso e consumo personale. La destinazione della produzione al mercato non è richiesta in alcun dato legislativo, ma a contrariare ciò influisce molto la nozione economica di imprenditore in quanto intermediario tra proprietari dei fattori produttivi e consumatori. A causa di tale definizione economica, l’impresa per conto proprio non verrebbe considerata impresa, prevedendo la necessità che almeno una minima parte della produzione debba essere rivolta al mercato; l’idea opposta tenderebbe invece a definirla come impresa, tenendo però conto che NON sono considerate imprese per conto proprio:

- la cooperativa che produce soltanto per i propri soci, in quanto la società (persona giuridica) è soggetto distinto dai suoi soci (persone fisiche);

- le aziende costituite dallo Stato o enti pubblici per la produzione di beni o servizi da fornire dietro corrispettivo solo all’ente di pertinenza.

Al contrario, sono considerate vere e proprie imprese per conto proprio: la coltivazione del fondo per bisogni dell’agricoltore e familiari; la costruzione di

appartamenti non destinati alla vendita (c.d. costruzione in economia).

Anche in questo caso, prevalgono i caratteri oggettivi prevedendo dunque sotto la nozione di impresa con relativa disciplina, anche l’impresa per conto proprio in quanto, per esempio, vi può essere rapporto con i fornitori che necessita di essere tutelato nella stessa maniera delle altre imprese.

III. La liceità dell’attività svolta

L’attività svolta è illecita quando contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume; si devono però distinguere due casi:

Impresa illegale  l’illiceità dell’impresa è determinata dalla violazione di norme imperative che subordinano l’esercizio dell’attività solo con apposita concessione o autorizzazione amministrativa (es. Banca di fatto, ma senza autorizzazione Banca d’Italia; commercio senza licenza ecc.)

Impresa immorale  l’illiceità dell’impresa deriva dall’illiceità dell’oggetto stesso dell’attività (es. contrabbando, fabbricazione droga ecc.)

In entrambi i casi, l’illecito viene represso e sanzionato (a livello amministrativo e penale), però vi è una distinzione tra le due casistiche:

1) nel caso di impresa illegale questa può dar vita ad atti leciti e validi, per questo viene attribuita la qualità di imprenditore con la pienezza degli effetti

(sia per gli aspetti positivi che negativi) in quanto vi è necessità di tutelare anche la controparte.

2) nel caso invece di impresa immorale viene negata la qualità di imprenditore per evitare di dover tutelare in qualche modo l’autore dell’illecito; viene però considerato imprenditore solo per quanto riguarda gli aspetti negativi (potrà per esempio fallire). Stesso discorso vale per l’impresa mafiosa.

Impresa e professioni intellettuali:

Lo svolgimento di attività rispondente a tutti i requisiti fin qui esposti, non sempre porta all’acquisto della qualità di imprenditore, infatti, nel caso delle professioni intellettuali, il legislatore esclude in via di principio la qualità di impresa. Questo a causa di una visione sociale che circonda le professioni intellettuali, traducendosi sul piano legislativo in una disciplina peculiare a loro applicata (es. iscrizione agli albi, esecuzione personale della prestazione,

particolare criterio di determinazione del compenso ecc.).

Per far sì che un’attività venga considerata intellettuale non è sufficiente però il criterio formale, ovvero l’etichetta legislativa di attività intellettuale (es.

iscrizione all’albo); è decisivo invece il criterio sostanziale, ovvero il carattere intellettuale dei servizi prestati.

Per esempio il farmacista ad oggi è considerato imprenditore commerciale in quanto l’oggetto prevalente della sua attività è la compravendita.

L’art. 2238 c.c prevede “se l'esercizio della professione costituisce elemento di un'attività organizzata in forma di impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II.

In ogni caso se l'esercente una professione intellettuale impiega sostituti o ausiliari, si applicano le disposizioni delle sezioni II, III, IV, del capo I del titolo II.”

Quindi nel caso citato comma 1, es. un medico che gestisce una clinica privata nella quale lavora anche, troveremo applicazione della disciplina dettata per la professione intellettuale (nelle vesti di medico) e contemporaneamente della disciplina dell’imprenditore (nelle vesti di gestore della clinica).

Il comma 2 descrive invece il caso in cui il professionista, nello svolgimento della sua attività si avvalga di una vasta gamma di collaboratori e di un complesso di mezzi materiali; in tal caso vengono applicate le norme che disciplinano il lavoro nell’impresa, ma non la restante disciplina dell’impresa.

CATEGORIE DI IMPRENDITORI:

Il codice civile distingue due categorie di imprenditori in base all’oggetto dell’attività svolta: l’imprenditore agricolo e commerciale.

L’imprenditore commerciale è soggetto ad un’ampia ed articolata disciplina (il c.d. statuto dell’imprenditore commerciale); l’imprenditore agricolo è invece sottoposto alla disciplina dell’imprenditore in generale ed è dunque esonerato da tutti gli obblighi previsti dall’imprenditore commerciale (salvo l’iscrizione nel registro imprese), viene infatti considerata come nozione negativa per restringere il campo di applicazione dei duri obblighi.

IMPRENDITORE AGRICOLO

Inizialmente l’articolo 2135 c.c sembrava chiaro: chi coltivava il fondo, praticava la silvicoltura o l’allevamento del bestiame, era considerato imprenditore agricolo; con il tempo però l’impresa agricola tradizionale basata su queste attività, ha lasciato spazio all’impresa agricola industrializzata.

Tale impresa, può raggiungere anche notevoli dimensioni e di conseguenza avere necessità di tutela del credito alla pari delle altre imprese; al riguardo vi è un netto contrasto di opinioni:

- chi riteneva che l’impresa agricola fosse ogni impresa che produce specie vegetali o animali; ogni forma di produzione fondata sul ciclo biologico naturale - chi invece riteneva che fosse imprenditore agricolo solo colui che svolgeva attività di sfruttamento della terra e delle sue risorse, e di conseguenza fosse

imprenditore commerciale, colui che produce specie animali o vegetali in maniera artificiale, senza sfruttare la terra.

Nel 2001 il legislatore ha provveduto alla riforma dell’art. 2135 c.c tramite il D.lgs. 228/2001 dandovi un’impostazione discendente dalla prima corrente di idee, ispirata all’esigenza di contrastare l’abbandono delle campagne e favorire lo sviluppo tecnologico dell’agricoltura; attualmente l’art 2135 c.c cita:

E' imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le

attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge” Così come accadeva nel vecchio articolo, ancora oggi vengono distinte le attività agricole in:

 Attività agricole essenziali

Secondo la nuova norma, sono qualificabili attività agricole essenziali la produzione di specie vegetali o animali a prescindere dai metodi utilizzati; quindi:

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 Coltivazione del fondo, comprende anche orticoltura, coltivazioni in serra e floricoltura.

 Selvicoltura, si intende la cura del bosco per ricavarne i relativi frutti quindi non comprende l’estrazione di legname senza cura del bosco.

 Allevamento di animali, avendo sostituito il termine “bestiame” con “animali”, attualmente comprende, oltre all’allevamento di animali

tradizionalmente allevati, anche animali da cortile (polli, conigli…) e l’apicoltura. Inoltre non per forza deve essere attività volta ad ottenere prodotti agricoli (carne, latte…), ma viene considerata attività agricola anche l’allevamento di cavalli da corsa, o cani da addestramento. Infine non è necessario che gli animali siano allevati sul fondo stesso, né che vengano nutriti con mangimi ottenuti dal fondo (allevamenti in batteria); non è invece considerata attività agricola l’acquisto di animali all’ingrosso allo scopo di rivenderli.

 Acquacoltura, ha portato a comprendere anche l’imprenditore ittico ovvero colui che esercita attività di pesca professionale

 Attività agricole per connessione

Inizialmente venivano considerate attività connesse, quelle dirette alla trasformazione o alienazione di prodotti agricoli che rientrano nell’esercizio dell’agricoltura, e quelle considerate accessorie rispetto alle essenziali. Oggi il 3° comma dell’art. 2135 porta con sé una accezione più ampia di attività connessa, che comprende tutte le attività oggettivamente commerciali, ma vengono considerate agricole se svolte in connessione alle essenziali (es.

viticoltore che coltiva viti e produce vino). Per capire se un’attività commerciale, può essere qualificata come agricola, devono ricorrere due condizioni:

1. Connessione soggettiva  il soggetto che la esercita deve essere qualificato imprenditore agricolo per l’attività essenziale svolta; questa deve essere coerente con quella connessa (es. è impr. agricolo viticoltore che produce vino, ma è impr. commerciale viticoltore che produce formaggi)

2. Connessione oggettiva  è necessario che le attività abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale o servizi forniti con l’utilizzo prevalente di attrezzature dell’azienda agricola; a livello economico, l’attività connessa non deve prevalere su quella essenziale (es. è impr. agricolo l’agricoltore che fa anche agriturismo, solo se il fatturato della coltivazione, supera quello dell’agriturismo).

IMPRENDITORE COMMERCIALE

Art. 2195 c.c “Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione, nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:

1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;

2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;

3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;

4) un'attività bancaria o assicurativa;

5) altre attività ausiliarie delle precedenti.

Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano.”

Quindi, secondo i codice civile, è imprenditore commerciale colui che esercita le attività sopracitate:

1) La produzione di beni e servizi è tra gli scopi di ogni impresa, quindi si potrà parlare di impresa commerciale industriale, solo quando l’attività è qualificabile come industriale (es. automobilistiche, chimiche, edili, tessili ecc.).

2) Lo scambio di beni e servizi è tra gli scopi di ogni impresa, si potrà quindi parlare di impresa commerciale intermediaria quando il commerciante svolge funzione di intermediazione: commercio all’ingrosso se vende ad altri intermediari; commercio al minuto se vende ai consumatori.

3) Le imprese commerciali di trasporto producono servizi che consentono di spostare cose e persone da un luogo ad un altro, quindi è un ramo più specifico del generico punto 1 “produzione di beni o servizi”.

4) Le imprese bancarie hanno ad oggetto la raccolta di risparmi tra il pubblico e l’esercizio del credito; quindi si tratta di un intermediazione solamente di denaro, quindi è riconducibile alla generica impresa intermediaria del punto 2. Le imprese di assicurazione invece producono specifici servizi e può dunque essere ricompresa nella categoria più ampia del punto 1.

5) Le attività ausiliarie sono molto vaste, vengono comprese sicuramente: le imprese di agenzia, di mediazione, di deposito, di commissione, di spedizione, di pubblicità commerciale e di marketing. Anch’esse sono produttrici di servizi e per questo possono essere ricondotte al punto 1.

Ciò che emerge chiaramente da questo articolo è che i caratteri fondamentali dell’impresa commerciale sono racchiusi nei primi due punti in quanto i successivi sono specificazioni di questi; quindi, un’impresa per essere considerata commerciale deve avere il carattere industriale della produzione di beni e servizi, e il carattere intermediario dell’attività di scambio.

Per capire in maniera più precisa quali sono le imprese giuridicamente commerciali, e quindi il vero e proprio significato delle caratteristiche descritte, bisogna definire una terza categoria di impresa ne agricola ne commerciale: L’IMPRESA CIVILE.

Si tratta di una categoria non esplicitamente prevista dalla legge, ma si tratterebbe di un ulteriore modo per restringere il campo di applicazione delle norme sull’imprenditore commerciale in quanto l’imprenditore civile ne sarebbe esente. A tal proposito ci sono due opinioni opposte:

 Chi è a favore di ammetterla ritiene che il requisito dell’industrialità debba essere inteso nel senso di attività che impiega materie prime e le trasforma in beni; quindi sarebbero imprese civili quelle che producono beni e servizi senza trasformare materie prime (es. imprese minerarie per i beni; agenzie matrimoniali per i servizi), o più in generale, tutte le imprese ausiliarie di attività non commerciali. Per il carattere intermediario dell’attività invece,

ritengono debba ricorrere sia l’acquisto che la vendita di beni, quindi sarà imprenditore civile colui che vende beni propri (es. impresa finanziaria).

 La tesi contraria, nonché quella maggiore ed infatti quella presa per data, invece ritiene che per “attività industriale” si debba intendere ogni attività non agricola e che il concetto di intermediazione debba essere inteso in senso elastico, come equivalente di scambio (facendo riferimento al termine usato nell’art.2082). Si arriva perciò alla conclusione che l’art.2195 va letto come “è imprenditore commerciale ogni imprenditore non agricolo”.

PICCOLO IMPRENDITORE – IMPRESA FAMILIARE

Altro criterio di differenziazione della disciplina degli imprenditori è quello della dimensione, che distingue il piccolo imprenditore da quello medio-grande.

Il piccolo imprenditore è soggetto alla disciplina dell’imprenditore in generale, anche quando esercita attività commerciale (a esclusione dell’obbligo di iscrizione al registro delle imprese); si conclude quindi anch’esso in un modo per ristringere il campo di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Vi sono stati diversi problemi per la definizione di piccolo imprenditore i quanto definita sia dal codice civile che dalla legge fallimentare:

 CODICE CIVILE:

art. 2083 c.c “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività

professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.”

Quindi, la definizione di piccolo imprenditore secondo il c.c si basa sulla prevalenza del lavoro proprio e dei propri familiari rispetto, sia al lavoro altrui, sia al capitale investito nell’impresa (es. non è piccolo imprenditore un gioielliere che lavora da solo ma investe ingenti somme).

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 LEGGE FALLIMENTARE:

la definizione data, aveva riscontrato diversi problemi che derivavano principalmente dal fatto che la definizione si basasse su parametri monetari come: “è imprenditore colui che ha investito capitale inferiore a 900.000 lire” in forte contrasto con il codice, che portava quindi a situazioni in cui ad un unico soggetto veniva riconosciuta e al tempo stesso negata la qualità di piccolo imprenditore. Venne allora abrogata la definizione data dalla legge fallimentare, ma la presenza della sola definizione del codice, portava ad inconvenienti in sede di fallimento in quanto il criterio della prevalenza del lavoro proprio e familiare non era facilmente riconoscibile. Nel 2007 viene dunque reinserito un sistema di regole nella legge fallimentare: non viene più data una definizione di piccolo imprenditore, ma vengono solo individuati dei parametri dimensionali, al di sotto dei quali è previsto che l’impresa non fallisca. Quindi, in base all’attuale disciplina, non fallisce l’imprenditore commerciale che abbia i seguenti requisiti:

I. Aver avuto nei 3 esercizi precedenti, un attivo patrimoniale non superiore a 300.000 euro II. Aver realizzato, nei 3 esercizi precedenti, ricavi lordi non superiori a 200.000 euro III. Avere un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a 500.000 euro

Quindi, la definizione di piccolo imprenditore è solo una, ed è data dal codice, che definisce il criterio della prevalenza per far sì che chi viene qualificato piccolo imprenditore non sia soggetto allo statuto dell’imprenditore commerciale; la legge fallimentare interviene per specificare chi può essere dichiarato fallito, utilizzando criteri che non possono essere superati, per poter essere esenti dal fallimento.

L’IMPRESA ARTIGIANA

La piccola impresa, e soprattutto quella agricola e artigiana, godono di un articolata legislazione speciale di sostegno, in attuazione degli artt. 44-45 Cost.

queste leggi speciali prevedono autonomi criteri di identificazione delle imprese destinatarie, che spesso non coincidono con quelli fissati dall’art.2083.

Quando nacquero queste leggi, si ebbero diversi problemi soprattutto per quanto riguarda le imprese artigiane, in quanto non erano in armonia né con ciò

che è previsto dal codice civile, né dalla legge fallimentare ed andava infatti a fissare dei criteri propri, in contrasto con essi.

I problemi furono superati con la legge quadro per l’artigianato 443/1985 che contiene una propria definizione di impresa artigiana basata su:

 L’oggetto dell’impresa, che può essere qualsiasi attività di produzione di beni (anche semilavorati) o prestazioni di servizi (con alcune esclusioni)

 Il ruolo dell’artigiano nell’impresa, è previsto egli svolga “in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo” senza però che venga considerato il fattore della prevalenza rispetto agli altri fattori produttivi

Viene poi stabilito il numero massimo di dipendenti, e specificato che l’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana.

È prevista la qualifica di impresa artigiana anche alle società cooperative e SNC, a condizione che la maggioranza dei soci svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale nel processo produttivo. È prevista poi per SRL unipersonali e alle SAS purché il/i soci/o siano tutti in possesso delle qualità previste per l’imprenditore artigiano e non siano soci di altre società. È stata ulteriormente estesa anche alle SRL pluripersonali, a condizione che la

maggioranza dei soci svolga in prevalenza lavoro personale nel processo produttivo e detenga la maggioranza del capitale sociale e degli organi deliberanti.

Rispetto alla precedente legislazione quindi, l’impresa artigiana è una categoria notevolmente ampliata, che non prevede più (come in passato) la

necessità di “natura artistica o usuale” dei beni prodotti, tanto che possono essere considerate imprese artigiane anche le imprese edili.

La legge quadro ha lo scopo di fissare principi direttivi che dovranno essere rispettati dalle regioni nell’emanazione di provvidenze; legge quadro e codice, non sono in completa armonia in quanto viene dato rilievo al lavoro personale dell’imprenditore nel processo produttivo, ma non è prevista la prevalenza

del proprio lavoro o dei propri familiari sul lavoro altrui o sul capitale investito come invece previsto dal codice.

Per questo motivo, attualmente, per far sì che l’artigiano sia sottratto allo statuto dell’imprenditore commerciale, deve rispettare i criteri dettati dalla legge quadro, ma anche quelli previsti dal codice e, per ciò che concerne il fallimento, dalla legge fallimentare. Quindi, se l’artigiano risponde ai criteri dettati dalla legge quadro, ma non dal codice e dalla legge fallimentare, allora sarà definito imprenditore artigiano non piccolo e quindi sottoposto allo statuto dell’imprenditore commerciale e la qualifica di “imprenditore artigiano” avrà validità solo per le provvidenze regionali.

In breve: l’impresa artigiana viene qualificata dalla legge quadro ai fini delle provvidenze regionali  una volta dichiarata impresa artigiana (categoria che rientra negli imprenditori commerciali) il codice civile definisce se si tratta di piccolo imprenditore o meno, in base al criterio della prevalenza  se è definito piccolo imprenditore, è sottratto allo statuto dell’imprenditore commerciale, altrimenti vi è sottoposto  in caso di fallimento, i criteri dettati dalla legge fallimentare decideranno se l’impresa è soggetta a fallimento o meno (a prescindere dal fatto che fosse “piccolo imprenditore”)

L’IMPRESA FAMILIARE

È impresa familiare l’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado (nipoti) e gli affini entro il secondo grado (cognati) dell’imprenditore (cosiddetta famiglia nucleare); non va confusa con la piccola impresa, vi può essere piccola impresa non familiare o impresa familiare

non piccola.

Il lavoro della famiglia nell’impresa è un fenomeno largamente diffuso, che ha avuto necessità di tutela in quanto spesso si trasformava in abusi e ingiustizie. Il legislatore ha voluto dunque predisporre una tutela minima del lavoro familiare nell’impresa contenuta nell’art.230-bis c.c; vengono così riconosciuti ai membri della famiglia nucleare che lavorino in modo continuato nella famiglia o nell’impresa (equiparati il lavoro domestico a quello d’impresa e il lavoro della donna a quello dell’uomo) alcuni diritti:

Diritto al mantenimento, secondo le condizioni patrimoniali della famiglia

Diritto di partecipazione agli utili, in proporzione alla quantità di lavoro prestato nell’impresa o nella famiglia

Diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda (sempre in proporzione al lavoro prestato)

Diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o trasferimento dell’azienda

Diritto di partecipazione alle decisioni di gestione straordinaria e di particolare rilievo (adottate a maggioranza dei familiari partecipanti) Nonostante ciò, l’impresa familiare è ritenuta impresa individuale di proprietà esclusiva dell’imprenditore-datore di lavoro; anche gli atti di gestione ordinaria infatti sono di sua competenza esclusiva. L’imprenditore nei confronti di terzi agisce in nome e per conto proprio, non in nome di rappresentante della famiglia, per questo gli effetti degli atti posti in essere ricadranno solo su di lui e sarà pienamente responsabile delle obbligazioni contratte.

IMPRESA COLLETTIVA – IMPRESA PUBBLICA

Ultimo criterio di differenziazione della disciplina delle imprese è rappresentato dalla natura giuridica del soggetto titolare dell’impresa, si distinguono:

 IMPRESA SOCIETARIA

Si può parlare di società per l’esercizio di attività agricola; o società commerciali per l’esercizio di attività agricole o commerciali.

L’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale alle società, è diverso rispetto all’applicazione per l’imprenditore individuale in quanto:

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- parte della disciplina dell’imprenditore commerciale viene applicata alle società qualunque sia l’attività svolta (iscrizione registro imprese e tenuta

scritture contabili) mentre sono invece esonerate dal fallimento se non superano le soglie previste;

- nelle SNC e SAS la disciplina dell’imprenditore commerciale trova applicazione anche nei confronti degli altri soci (SNC) o dei soci accomandatari (SAS), il fallimento della società comporta dunque il fallimento dei singoli soci.

 IMPRESA PUBBLICA

Attività d’impresa può essere svolta anche dallo Stato o altri enti pubblici (Artt. 41-43 Cost.); ai fini dell’applicazione della disciplina d’impresa si distingue:

Imprese-organo  lo Stato o un ente pubblico territoriale, svolge direttamente attività d’impresa con proprie strutture organizzative e con (più o meno ampia) autonomia decisionale e contabile; l’attività d’impresa è dunque secondaria rispetto ai fini istituzionali, è il caso infatti soprattutto di imprese erogatrici di servizi pubblici (acqua, luce, gas…)  sono esonerati dall’iscrizione al registro delle imprese e dalle procedure concorsuali.

Enti pubblici economici  la P.A può dar vita ad enti di diritto pubblico il cui compito principale è l’attività d’impresa; fino al 1990 erano il nucleo delle imprese pubbliche, poi è stato avviato un processo di privatizzazione formale (trasformati in SPA con partecipazioni statali) per poi arrivare a privatizzazione sostanziale (vendita delle quote di partecipazione pubbliche)  sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore (o commerciale se svolge attività commerciale) con l’esonero dal fallimento e dal concordato preventivo.

Società a partecipazione pubblica  società private con quote di appartenenza pubblica (totalitaria, di maggioranza o di minoranza)  applicata la disciplina nello stesso modo previsto per le imprese societarie.

 ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI

Sono enti no profit, ovvero non aventi scopo di lucro bensì scopi ideali, ma qualificabili lo stesso come imprese in quanto perseguono tali scopi con metodo economico; la grande differenza sta nel fatto che i ricavi derivanti dallo svolgimento dell’attività economica non possono essere distribuiti tra i soci.

L’attività svolta può essere qualificabile anche come commerciale, ma distinguiamo due casi:

1. quando l’attività principale è di tipo commerciale (es. associazione che organizza spettacoli sportivi a pagamento per la divulgazione di uno sport); in questi casi l’ente acquista la qualità di imprenditore commerciale a tutti gli effetti ed è sottoposto alle relative conseguenze e statuto.

2. quando l’attività commerciale ha carattere accessorio rispetto all’attività ideale (es. ente religioso gestisce anche istituto di istruzione privata); anche in

questo caso, nonostante le idee contrarie, è stabilito che si acquisti con pienezza di effetti la qualità di imprenditore commerciale.

Quindi in entrambi i casi tali enti che svolgono attività commerciale (principale o accessoria) sono soggette allo statuto dell’imprenditore commerciale e quindi anche al fallimento; a tal proposito è previsto che il fallimento di un’impresa collettiva senza scopo di lucro non comporti il fallimento di chi

risponde illimitatamente per le relative obbligazioni.

Nel 2006 nasce la disciplina dell’IMPRESA SOCIALE, non si tratta di un nuovo tipo di ente, bensì una qualifica che gli enti di diritto privato possono

assumere a certe condizioni, e che comporta l’applicazione di una disciplina speciale.

“Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private […] che esercitano in via stabile e principale un’attività economica

organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi di utilità sociale.

I due elementi caratterizzanti sono lo svolgimento di attività di utilità sociale, e l’assenza dello scopo di lucro; nonostante ciò tali imprese svolgono l’attività secondo metodo economico e possono conseguire un avanzo dei ricavi sui costi, ma tale avanzo dovrà essere destinato allo svolgimento dell’attività o all’incremento del patrimonio dell’ente. Fondi e riserve non possono essere distribuiti a vantaggio di coloro che fanno parte

dell’organizzazione, in nessun momento (durante, allo scioglimento, alla cessazione o in caso di fondazioni o scissioni).

Possono utilizzare qualsiasi forma di organizzazione privata e qualsiasi tipo societario; inoltre, più imprese sociali possono formare tra loro un gruppo. Non possono essere imprese sociali le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni che erogano beni a favore dei soci.

La responsabilità patrimoniale dei partecipanti può essere limitata anche quando la forma giuridica impiegata prevedrebbe la responsabilità illimitata. Questo accade solo quando il patrimonio netto è superiore ai 20.000 euro; altrimenti rispondono personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell’impresa.

 Sono soggette a regole speciali indipendentemente dalla natura agricola o commerciale dell’attività: devono iscriversi in un’apposita sezione del registro imprese, devono redigere le scritture contabili, e in caso di insolvenza sono soggette a liquidazione coatta amministrativa anziché fallimento.

Devono costituirsi per atto pubblico, contenere: oggetto sociale, assenza dello scopo di lucro, denominazione dell’ente, requisiti e regole per la nomina dei componenti delle cariche sociali, modalità di ammissione ed esclusione dei soci, e forme di coinvolgimento dei lavoratori e destinatari dell’attività nelle decisioni che possono riguardare le condizioni di lavoro o la qualità delle prestazioni erogate

Previsto un sistema di controlli interno fatto da alcuni sindaci con il potere di ispezionare e controllare in qualsiasi momento l’operato dell’ente; e controlli esterni dal Ministero del Lavoro che può ispezionare ed eventualmente levare la qualifica di impresa sociale.

IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ D’IMPRESA:

L’individuazione del soggetto cui è imputabile la disciplina dell’attività d’impresa (statuto generale dell’imprenditore/ statuto speciale dell’imprenditore commerciale) non presenta problemi: diventa imprenditore colui che esercita personalmente attività d’impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi.

Il problema si presenta quando gli atti sono svolti da un altro soggetto dietro contratto di mandato, si possono distinguere:

 Mandato con rappresentanza  un mandante conferisce il potere di rappresentanza ad un mandatario, per lo svolgimento di singoli atti in suo nome (gli effetti ricadono sul rappresentato o mandante)

 Mandato senza rappresentanza  il mandatario, compie singoli atti in nome proprio ma per conto del mandante (gli effetti ricadono sul rappresentante, anche se i terzi erano a conoscenza del contratto di mandato)

Quindi, quando gli atti d’impresa sono compiuti tramite rappresentanza (volontaria o legale) è considerato imprenditore il rappresentato e non il rappresentante (es. madre che gestisce impresa in quanto rappresentante legale del figlio minorenne: gli atti d’impresa sono decisi e compiuti dalla madre, ma è imprenditore e quindi soggetto al fallimento, il figlio minore).

Può accadere che si presenti una situazione analoga al mandato senza rappresentanza, è la cosiddetta teoria dell’imprenditore occulto, ovvero vi è una dissociazione tra il soggetto cui è formalmente imputabile la qualità d’imprenditore (imprenditore palese) e il reale interessato nonché colui che decide e prende i profitti derivanti dall’attività (imprenditore occulto).

Questo modo di operare non crea problemi se i creditori vengono pagati, ma ne crea invece quando l’imprenditore palese non ha possibilità di pagare i

debiti (o per impossibilità economica o perché si tratta di SPA o SRL con capitale irrisorio).

I creditori potranno chiedere il fallimento dell’imprenditore palese in quanto gli obblighi ricadevano su di lui, ma ricaveranno poco e questo va a discapito

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dei piccoli creditori che non sono riusciti a costringere l’imprenditore occulto a garantire personalmente i debiti contratti dall’imprenditore palese.

Parte della dottrina ha ritenuto di poter diminuire i pericoli per i creditori distinguendo la disciplina del mandato senza rappresentanza da quella applicata

all’attività d’impresa in modo tale da poter imputare all’imprenditore occulto i debiti contratti in nome dell’imprenditore palese e di esporlo al fallimento.

Altri fanno invece riferimento al principio ricavabile da alcune norme in materia di società che prevede “chi esercita il potere di direzione di un’impresa se ne assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni”; in questo caso dunque sono responsabili verso i creditori sia il

prestanome sia l’imprenditore occulto, ma è esposto a fallimento soltanto il primo.

La teoria dell’imprenditore occulto invece prevede che oltre ad essere entrambi responsabili nei confronti di terzi, sono anche entrambi esposti al fallimento; quindi se fallisce il prestanome, fallisce con egli l’imprenditore occulto. Questa piena parificazione è giustificata dall’art.147 legge fallimentare:

I. Socio occulto di società palese: se fallisce una società falliscono anche i soci limitatamente responsabili, sia palesi che occulti

II. Socio occulto di società occulta: se fallisce un imprenditore individuale, e successivamente si scopre avere altri soci occulti, falliscono anche loro Si arriva dunque alla conclusione che viene attribuita responsabilità ed esposizione al fallimento di chiunque, palesemente o occultamente, domini un’impresa a lui formalmente non imputabile.

L’INIZIO E LA FINE DELL’IMPRESA:

La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività d’impresa. Non è dunque sufficiente l’intenzione di dare inizio

all’attività anche se questa fosse accompagnata da richiesta di autorizzazioni amministrative necessarie o iscrizioni a registri.

Una volta iniziato l’esercizio dell’attività, si acquisisce automaticamente la qualità d’imprenditore indipendentemente dalle intenzioni del soggetto o dall’iscrizione al registro imprese.

Nonostante le controversie dovute al fatto che l’esercizio di attività d’impresa è la ragione che fa costituire una società, il principio dell’effettività

dell’esercizio dell’attività d’impresa si ritiene applicabile anche alle società.

Bisogna ora capire, quando inizia effettivamente l’attività, al riguardo bisogna distinguere due situazioni che portano a conclusioni differenti:

 Se il compimento di atti tipici d’impresa non è preceduto da fase organizzativa percepibile (es. affitto locali, acquisto macchinari), allora solo la ripetizione nel tempo di atti d’impresa omogenei e coordinati, renderà certo che si tratti di attività professionalmente esercitata.

 Se il compimento di atti tipici d’impresa è preceduto da una fase organizzativa percepibile (es. stabilimento industriale) anche un solo atto di esercizio sarà sufficiente per segnare l’inizio dell’attività

Si discute poi sulla possibilità di anticipare l’inizio dell’impresa alla fase preliminare di organizzazione; infatti, anche l’organizzazione della produzione è attività tipica imprenditoriale e pone dunque esigenze di tutela del credito alla pari di quelle che sorgono durante l’esercizio. Per questo motivo si ritiene siano definibili atti d’impresa anche gli atti di organizzazione ma solo se per il loro numero e la loro significatività manifestano in modo non equivoco lo stabile orientamento dell’attività verso un determinato fine produttivo non ancora realizzato.

Un singolo atto di organizzazione non sarà sufficiente perché una persona fisica diventi imprenditore ma lo sarà invece per una società.

Per quanto riguarda la fine dell’impresa, viene attuato l’analogo principio di effettività secondo il quale la qualità di imprenditore si perde con l’effettiva cessazione dell’attività d’impresa; questo è chiaro per l’imprenditore individuale ma ha portato diverse controversie per quanto riguarda la sua

applicazione alle società.

La fine dell’impresa è normalmente preceduta dalla fase della liquidazione, questa fase è disciplinata per le società ma non per l’imprenditore e viene considerata come esercizio dell’impresa e per questo si riteneva che la qualità d’imprenditore si perdesse con la chiusura della liquidazione nonché

l’effettiva disgregazione del complesso aziendale.

La versione originaria dell’art.10 l. fall., disponeva che l’imprenditore commerciale può essere dichiarato fallito “entro un anno dalla cessazione d’impresa”.

 Per quanto riguarda l’imprenditore individuale, l’articolo perdeva di significato in quanto se l’impresa dovesse ritenersi in vita fino a quando sopravvivono passività, allora l’anno per la dichiarazione di fallimento inizierebbe a decorrere quando ormai era impossibile l’insolvenza

 Per le società invece, coloro che ritenevano che esse diventano imprenditori con la sola costituzione, automaticamente affermavano che perdessero la qualità di imprenditore con la cancellazione dal registro delle imprese; dopo di che iniziava a decorrere l’anno. Il problema era che si riteneva che la società fosse esposta al fallimento fino a quando non fosse stato pagato l’ultimo debito, di conseguenza se creditori ritardatari avanzavano dopo la cancellazione, l’impresa poteva comunque fallire (nonostante abbia cessato l’attività da diversi anni).

Questi problemi portarono l’intervento della Corte Costituzionale e la conseguente riforma del 2006 e poi del 2007 che ha portato all’attuale formulazione dell’art. 10 l. fall. “Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se

l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.

In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di

dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma.”

Quindi attualmente la cancellazione dal registro delle imprese è condizione necessaria affinché l’imprenditore individuale o collettivo benefici del termine annuale per la dichiarazione di fallimento; di conseguenza le società irregolari e quelle occulte, sono soggette a fallimento senza limiti di tempo.

Ugualmente l’imprenditore individuale è esposto al fallimento fino a quando non estingue tutti i debiti.

Per quanto riguarda la situazioni previste dal secondo comma, non è necessaria soltanto la cancellazione dal registro imprese bensì deve essere accompagnata dall’effettiva cessazione dell’attività d’impresa tramite disgregazione del complesso aziendale altrimenti non decorre il termine annuale.

CAPACITA’ E IMPRESA:

La capacità all’esercizio di attività d’impresa si acquista con la pina capacità di agire (18 anni) e si perde in seguito a interdizione o inabilitazione. La capacità di agire è un presupposto per l’acquisto della qualità di imprenditore e quindi per esempio il minore che ha occultato la sua minore età, non

diventa imprenditore nemmeno se i contratti conclusi sono validi.

Esistono poi casi di incompatibilità per l’esercizio di attività commerciale mentre si ricoprono determinate cariche (es. avvocato, notaio); la violazione di questi divieti non preclude l’acquisto della qualità di imprenditore ma espone a sanzioni amministrative. Analogamente, un soggetto inabilitato

temporaneamente a causa di bancarotta o ricorso abusivo al credito in caso di fallimento, non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore.

È possibile l’esercizio di attività d’impresa da parte di incapace (minore o interdetto) o soggetti limitatamente capaci di agire (inabilitato, minore

emancipato, beneficiario di amministrazioni di sostegno) con l’osservanza di precisa disposizioni dettate in materia.

Per quanto riguarda l’attività agricola, il codice non prevede regole specifiche e verranno dunque applicate quelle generali riguardanti il compimento di atti

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giuridici da parte di incapaci.

Per l’attività commerciale è invece prevista una specifica disciplina ispirata alla disciplina sull’amministrazione del patrimonio degli incapaci regolata in modo da garantire conservazione e integrità del patrimonio stesso; la disciplina si differenzia caso per caso:

a) Minore: vi sono procedure e cautele diverse a seconda che il minore sia rappresentato da genitore o da tutore; una volta intervenuta l’autorizzazione definitiva del tribunale a procedere l’attività d’impresa che il minore ha ereditato o gli è stata donata, il genitore o il tutore diventa automaticamente legittimato a compiere tutti gli atti di ordinaria o straordinaria amministrazione che rientrano nell’esercizio dell’impresa. La richiesta di specifica autorizzazione sarà necessaria solo per gli atti che non sono in rapporto mezzo-fine per la gestione dell’impresa (es. vendita immobile di sede).

b) Interdetto: valgono le stesse regole dettate per il minore sottoposto a tutela; la richiesta alla continuazione può anche riguardare un’impresa iniziata dallo stesso interdetto prima dell’interdizione.

c) Inabilitato: nonostante la sua capacità di agire sia limitata agli atti di ordinaria amministrazione, anche per lui è prevista la possibilità di sola

continuazione dell’attività e non di inizio; una volta autorizzata l’inabilitato esercita personalmente l’impresa, con l’assistenza del curatore e con il suo consenso per atti che eccedono l’ordinaria amministrazione. All’autorizzazione può essere subordinata l’autorizzazione alla nomina di un institore (direttore generale) scelto dall’inabilitato con consenso del curatore; in questo caso i due concorreranno insieme alla gestione dell’impresa.

d) Minore emancipato: a differenza degli altri, egli può ricevere l’autorizzazione ad iniziare una nuova impresa commerciale ed acquisisce in tal modo la piena capacità di agire; potrà dunque esercitare l’impresa senza assistenza del curatore anche per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione anche se eccedono l’esercizio dell’impresa. Tale disciplina ha però perso molto rilievo nella sua applicazione a livello pratico.

e) Amministrazione di sostegno: colui che ne beneficia ha capacità di agire per tutti gli atti per cui non è prevista l’assistenza dell’amministratore di sostegno; quindi potrà iniziare o continuare attività d’impresa senza assistenza, salvo diversa previsione da parte del giudice tutelare.

Le autorizzazioni emanate dal tribunale e i provvedimenti di revoca della stessa, sono soggetti all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese; inoltre, l’esercizio autorizzato dell’attività d’impresa determina l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale da parte dell’incapace.

L’inabilitato e il minore emancipato la acquisteranno grazie al fatto che esercitano personalmente l’attività, mentre il minore e l’interdetto la

acquisteranno in quanto tutti gli atti d’impresa sono svolti a loro nome dal rappresentante legale.

Acquisendo la titolarità di imprenditore commerciale, di conseguenza l’incapace sarà soggetto a fallimento e gli effetti patrimoniali che porta; un caso che solleva alcune problematiche è il fallimento dell’imprenditore minore. Infatti, se l’impresa fallisce sono previste sanzioni penali e incapacità personali a carico del fallito: le incapacità personali (es. esclusione da alcune professioni come avvocato), ricadono per forza sul minore in quanto imprenditore; per le sanzioni penali invece si può applicare la disciplina dettata dalla legge fallimentare per l’institore in caso di fallimento dell’impresa, che punisce i reati fallimentari dell’institore in quanto rappresentante generale (così come lo è il rappresentante legale del minore).

LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE

L’imprenditore commerciale è sottoposto ad una particolare disciplina in parte comune agli altri imprenditori (statuto generale dell’imprenditore), ed in parte propria e specifica (statuto speciale dell’imprenditore commerciale) dovuta all’importanza dell’attività svolta.

1) LA PUBBLICITA’ LEGALE

Tutti gli operatori dei vari mercati da sempre avvertono la necessità di avere informazioni veritiere e non contestabili sulle altre imprese con cui entrano in contatto per avere certezze sul rapporto d’affari da instaurarsi. Per rispondere a tale esigenza la legge prevede l’obbligo per le imprese commerciali (e anche agricole) di rendere pubblici determinati atti o fatti riguardanti l’impresa allo scopo di essere accessibili a terzi (pubblicità notizia) ma anche di essere opponibili a chiunque (pubblicità legale).

Il registro delle imprese nasce come mezzo di riordino e come strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali. Per molti anni però tale istituto non trovò applicazione, vi fu così il cosiddetto regime transitorio, durante il quale furono fatti moltissimi

tentativi di riforma in materia, tutti falliti. A seguito di una riforma nel 1997 il registro imprese divenne pienamente operante, portando alcune modifiche:

- non è più strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali, ma strumento di informazione di tutte le altre imprese; viene infatti estesa

l’iscrizione a imprenditori agricoli, piccoli imprenditori e società semplici: inizialmente con effetto di pubblicità notizia, poi con effetti di pubblicità legale.

- la tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio e le informazioni sono consultabili da chiunque sui loro sistemi informatici.

- è tenuto con tecniche informatiche in modo da assicurare completezza e organicità della pubblicità e garantire tempestività delle informazioni.

L’ufficio del registro delle imprese è istituito in ciascuna Provincia presso le Camere di Commercio ed è retto da un conservatore (segretario generale o altro dirigente della Camera di Commercio) nominato dalla giunta. L’attività dell’ufficio è svolta sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del

tribunale della provincia. Attualmente il registro imprese è articolato in una sezione ordinaria e in altre sezioni speciali.

Sono tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria:

 Imprenditori commerciali NON piccoli

 Tutte le società (anche se non svolgono attività commerciale), ad esclusione delle società semplici

 I consorzi tra imprenditori con attività esterna

 I gruppi europei con sede in Italia o le società estere con sede dell’amministrazione in Italia

 Le reti di imprese dotate di soggettività giuridica e gli enti pubblici che hanno per oggetto (esclusivo o principale) un’attività commerciale Sono poi presenti diverse sezioni speciali il cui numero è andato via via crescendo come conseguenza di leggi speciali:

1. Sezione speciale degli imprenditori agricoli e dei piccoli imprenditori: (inizialmente aveva funzione di pubblicità-notizia ma poi è diventata legale) per imprenditori agricoli individuali, piccoli imprenditori e società semplici; sono inoltre annotati gli imprenditori artigiani (nonostante siano già iscritti al loro albo) ma se questi non sono qualificabili come piccoli imprenditori o sono società artigiane, dovranno essere anche iscritti alla sezione ordinaria.

2. Sezione speciale delle società tra professionisti: (sola funzione di pubblicità-notizia) per società tra avvocati e società tra professionisti

3. Sezione speciale dei soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento: è dedicata alla pubblicità dei legami di gruppo, si iscrivono società o enti che esercitano attività di direzione o coordinamento o che ne sono soggette (in aggiunta all’iscrizione al registro cui sono singolarmente tenute) 4. Sezione speciale delle imprese sociali

5. Sezione speciale degli atti di società di capitali in lingua straniera: le società di capitali possono pubblicare la traduzione in altra lingua degli atti che sono obbligate a iscrivere o depositare (in italiano). La pubblicazione della traduzione è facoltativa e non va a sostituire l’obbligo della pubblicazione in italiano; in caso le due versioni differiscano, il terzo può avvalersi della versione straniera cui ha fatto affidamento.

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6. Sezione speciale delle start-up innovative e degli incubatori certificati: sono start-up innovative le società di capitali o cooperative costituite da meno di 4 anni aventi come oggetto lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.

L’iscrizione alla sezione è condizione necessaria per far sì che vengano sottoposte alla disciplina speciale dettata dal codice per questo tipo di società.

Allo stesso scopo si iscrivono le società che offrono sevizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ovvero gli incubatori certificati.

Gli atti e i fatti da registrare sono specificati da una serie di norme e variano a seconda della struttura dell’impresa, in generale riguardano: elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa, struttura e organizzazione della società e ogni modifica di atti già iscritti. È invece previsto il principio di

atipicità delle iscrizioni secondo il quale non si possono iscrivere atti NON previsti dalla legge.

Le iscrizioni devono essere fatte nel registro della Provincia in cui ha sede l’impresa e può avvenire su richiesta dell’interessato o d’ufficio nel caso in cui l’iscrizione è obbligatoria ma l’interessato non provveda all’iscrizione. Può essere inoltre disposta la cancellazione d’ufficio per quanto riguarda

un’iscrizione avvenuta senza le condizioni previste dalla legge, o per un’impresa che ha cessato l’attività e non ha provveduto alla cancellazione.

L’iscrizione è eseguita entro 10 giorni dalla protocollazione della domanda, prima però l’ufficio del registro deve controllare la legalità formale dell’atto ovvero che sia soggetto a iscrizione e che la documentazione sia regolare. In caso di rifiuto all’iscrizione, l’ufficio deve emanare un provvedimento motivato; il richiedente potrà dopo 8 giorni fare ricorso al giudice del registro e successivamente può essere proposto ricorso al tribunale. Stesso rimedio è esperibile contro il decreto del giudice dell’ufficio che dispone la cancellazione o l’iscrizione d’ufficio.

L’inosservanza dell’obbligo di iscrizione è punita con sanzioni amministrative pecuniarie e con sanzioni indirette.

Per quanto riguarda gli effetti prodotti, è necessario distinguere tra:

 L’scrizione nella sezione ordinaria ha sempre funzione di pubblicità legale e, a seconda dei casi, può avere effetti diversi:

Efficacia dichiarativa  è sempre prevista, comporta che tutti gli atti e i fatti iscritti nella sezione ordinaria possono essere opponibili a tutti dal momento della registrazione (efficacia positiva immediata), in questo modo i terzi non potranno eccepire l’ignoranza dell’atto o fatto iscritto. In caso di mancata iscrizione il fatto non può essere opposto a terzi (efficacia negativa) salvo dimostrazione che i terzi ne fossero a conoscenza.

Efficacia costitutiva  è prevista solo in alcuni specifici casi, e si può distinguere in: efficacia costitutiva totale (tra le parti e tra terzi) ad es.

l’iscrizione dell’atto costitutivo delle società di capitali e delle società cooperative che prima di ciò non esistono; o parziale (solo per i terzi) ad es.

la delibera di riduzione del capitale sociale di una SNC, in quanto se non è messa a conoscenza dei terzi non produrrà effetti.

Efficacia normativa  è prevista per le SNC e SAS in quanto esse esistono anche se non registrate (società irregolari) ma in tal caso non potranno essere sottoposte al regime giuridico di autonomia patrimoniale previsto; è dunque condizione necessaria per far sì che venga loro applicato.

 L’iscrizione nelle sezioni speciali invece non produce questi effetti in quanto ha solamente funzione di certificazione anagrafica e pubblicità notizia;

questa disciplina è stata però modificata per quanto riguarda gli imprenditori agricoli e le società semplici esercenti attività agricole. Attualmente infatti, anche l’iscrizione di tali tipologie di imprese, ha efficacia di pubblicità legale (e quindi dichiarativa) nonostante sia una sezione speciale.

Le società di capitali e le cooperative sono sempre state soggette ad una disciplina leggermente differenziata che è stata poi soppressa nel 1997

sottoponendole dunque alla medesima disciplina generale; sono però rimaste due differenze:

- Per le società di capitali, non vale l’opponibilità immediata degli atti e fatti iscritti, ma devono passare 15 giorni prima che questi siano opponibili - Alcuni atti delle società di capitali e delle cooperative prevedono la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (es. convocazione assemblea SPA)

2) LE SCRITTURE CONTABILI

La vita delle imprese è caratterizzata da continui cambiamenti dovuti a scelte e valutazioni economiche; la programmazione razionale dell’attività d’impresa presuppone quindi una costante informazione e controllo sull’andamento degli affari. Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione in termini quantitativi e/o monetari, dei singoli atti d’impresa, della situazione patrimoniale dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta (utile o perdita); inoltre rappresentano un mezzo di garanzia per i terzi in contatto con l’impresa. Tali documenti contribuiscono dunque a rendere efficace l’organizzazione e la gestione aziendale e sono infatti tenuti spontaneamente da qualsiasi imprenditore; è tuttavia un obbligo per:

 Tutti gli imprenditori commerciali al di fuori di quelli piccoli

 Tutte le società (tranne SS), anche se svolgono attività non commerciale

 Enti pubblici ed enti di diritto privato diversi dalle società, che svolgano attività commerciale anche se in via accessoria

 Le imprese sociali, indipendentemente dal tipo di attività svolta

Il problema si è presentato nel decidere quali fossero le scritture contabili obbligatorie, in quanto ogni attività è diversa; per questo motivo è stato stabilito il principio generale secondo il quale ogni imprenditore deve tenere le scritture contabili richieste dalla natura e dimensione dell’impresa (es. libro mastro, libro cassa, libro magazzino ecc.). È stato però stabilito che, in ogni caso, devono essere tenuti:

 Libro giornale: registro cronologico-analitico dove vengono indicate giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa nell’ordine in cui sono state compiute.

 Libro degli inventari: registro periodico-sistematico redatto all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente aggiornato periodicamente (in Italia ogni anno al 31/12); ha la funzione di fornire il quadro della situazione patrimoniale dell’imprenditore perciò deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e passività dell’imprenditore anche estranee all’impresa.

Il libro giornale è la base per la formazione del Conto Economico mentre il libro degli inventari, dello Stato Patrimoniale; questi insieme costituiscono il bilancio dell’impresa, ovvero un prospetto contabile riassuntivo, dal quale devono risultare con evidenza e verità la situazione complessiva del patrimonio alla fine di ciascun anno, e gli utili conseguiti o le perdite subite nel medesimo arco di tempo. La redazione del bilancio è disciplinata in tema di SPA, con norme che fissano il contenuto e i criteri di valutazione delle singole voci; si ritiene che tutti gli imprenditori debbano osservare tali disposizioni.

Per garantire affidabilità delle scritture contabili, e fare in modo che non vengano modificate, è previsto che vengano tenute secondo alcune norme ad esempio: senza spazi bianchi, senza interlinee, senza abrasioni e in modo che le parole cancellate restino leggibili. La possibilità di tenere attualmente le scritture contabili con sistemi informatici, ha ridotto tali regole prevedendo soltanto la marcatura temporale e la firma digitale dell’imprenditore sul

documento informatico; inoltre le scritture contabili e le corrispondenze commerciali devono essere tenute per almeno 10 anni.

L’inosservanza di tali formalità rende le scritture irregolari e giuridicamente irrilevanti; inizialmente non vi erano controlli, con il tempo però si è ritenuto importante come forma di tutela per i soggetti esterni ed è stato dunque inserito un controllo esterno per alcuni tipi di imprese. L’obbligo di tenuta delle scritture contabili non comporta alcuna sanzione generale e diretta ma ne prevede alcune eventuali e indirette come il fatto che l’imprenditore che non le

tiene regolarmente non può utilizzarle come mezzo di prova in suo favore e, se dovesse fallire, sarà soggetto alle sanzioni penali previste per la bancarotta.

Le scritture contabili sono destinate a rimanere in via di principio nella sfera interna dell’imprenditore per garantirne il segreto; fanno esclusione i bilanci delle società di capitali e delle cooperative, che devono essere iscritti nel registro imprese e le società soggette a controllo di un ente pubblico. In via

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