• Non ci sono risultati.

E LUI CHE LO HA RACCONTATO (GV 1,18) - NARRARE LA PAROLA-

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "E LUI CHE LO HA RACCONTATO (GV 1,18) - NARRARE LA PAROLA-"

Copied!
11
0
0

Testo completo

(1)

Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie 25-28 novembre 2019

E’ L

UI CHE LO HA

R

ACCONTATO

(G

V

1,18) - N

ARRARE LA

P

AROLA

-

0. INTRODUZIONE (DON VITO)

P

RIMA

P

ARTE

: “D

IRE

D

IO

…”

OBIETTIVO:

• i catechisti CONFRONTANO il proprio modo di “dire Dio” con i modelli comunicativi della SPIEGAZIONE e del RACCONTO.

1.1.COME DIRE DIO?

Che “DIRE DIO” non sia solo una ma LA sfida della catechesi è cosa nota tanto da spingere Zelindo Trenti - uno dei più noti catecheti italiani - a scrivere qualche anno fa un libro intitolato proprio così:

“Dire Dio”…

Una sfida di cui gli evangelisti stessi sono perfettamente consapevoli visto che lo stesso Giovanni, nel suo prologo, ammette quella che sembra una insormontabile difficoltà di partenza «Dio nessuno l’ha mai visto» (Gv 1,18a). Eppure, come ben sappiamo, questa costatazione certo non scoraggia l’evangelista visto che, poi, scrive ben ventuno capitoli del suo vangelo “DICENDO DIO” !

Ma come fa, l’apostolo, a “poter dire” ciò che è “invisibile”? La chiave sta in un “TITOLO” ma anche in un VERBO che troviamo nel prosieguo del vv 18 e che non è di facile traduzione:

«Dio nessuno l’ha mai visto, il Figlio unigenito è lui che evxhgh,satoexeghésato» (Gv 1,18).

Chi si celi dietro al titolo di “Figlio unigenito” è, ovviamente Gesù Cristo ciò che, invece rimane più oscuro è il verbo utilizzato da Giovanni che è - per certi versi - ambiguo visto che evxhge,omai/ exegèomai presenta un ventaglio molto ampio di significati: rivelare1, ma anche riferire, spiegare, far conoscere, raccontare, fare l’esegesi…

E’per questo che all’inizio di questo nostro incontro è importante chiederci COME DIRE DIO? 1.2.CHI È DIO?

• Per provarci ti chiedo la disponibilità a metterti in gioco…

CHI È DIO PER TE? Prenditi qualche momento e prova a rispondere a questa domanda che è un classico in campo teologico…

MOMENTO DI SCRITTURA INDIVIDUALE

• Tra le tante ecco due possibili risposte:

CATECHISMO DI PIO X DT. 26,5-9

“Dio è l’essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra”

“Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande forte e numerosa. Gli egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la

1 Così nella nuova tradizione CEI del 2008

(2)

nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione;

il Signore ci fede uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele”

BREVE ATTIVITÀ

- Che differenza notate tra le due risposte?

- Quale immagine di Dio ne scaturisce?

- Che “impatto” ha su di te?

1.3.SPIEGARE O NARRARE?

In effetti i due testi ci propongono due modi differenti per “DIRE DIO”…

A)SPIEGARE/DEFINIRE

Il Catechismo di Pio X opta per una modalità che potremmo chiamare dello spiegare/definire:

Il suo punto forza è attingere alla precisione della definizione2 interpellando innanzitutto la ragione. In questo senso possiamo dire che il linguaggio della definizione - prendendo alla lettera la domanda: CHI È DIO?– cerca, appunto, di dirlo spiegando, “circoscrivendo, limitando, cioè definendo” la sua identità.

Tuttavia il suo rischio è il mettere in secondo piano la vita che, a sua volta, è fatta non solo di ragionamenti logici ma anche di relazioni, di emotività e, soprattutto, di ESPERIENZA (in effetti chi di noi nella quotidianità ha incontrato un “essere perfettissimo”?) …Insomma nella vita non tutto è così lineare e piano come in una definizione!

E’ per questo che la definizione/spiegazione, sebbene sia il linguaggio giustamente privilegiato dalla ***

teologia (accademica) e dallo studio, non risulta sempre essere il più adeguato per DIRE DIO specialmente in contesto catechistico laddove l’aspetto esistenziale/relazionale gioca una ruolo fondamentale visto che - come ci ricorda il DB – la catechesi è primariamente chiamata a promuovere non un sapere bensì una “mentalità di fede3”.

B)NARRARE

Per contro, nel testo di Dt si respira un’aria del tutto diversa visto che ci mette di fronte ad una categoria comunicativa che deve essere ben chiara a chiunque si accosti alla Bibbia: in essa non riscontrerà quasi mai il bisogno di formulare delle ‘DEFINIZIONI’ (=definizioni dottrinali).

In altre parole la Scrittura evita di rispondere direttamente alla domanda: CHI È DIO? Optando invece per un’altra via che individua nel RACCONTO il suo linguaggio peculiare.

In questo modo la Bibbia persegue tre obiettivi:

Da una parte, mantenendo vivo il ricordo delle meraviglie compiute da JHWH nella storia del suo popolo, radica Israele in un PASSATODI SALVEZZA” che non deve essere dimenticato4.

D’altro canto questo “passato di salvezza” non viene inteso in senso “archeologico” bensì di

ATTUALITÀ PERMANENTE: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli così, infatti, prosegue Dt 4,9.

2 dal latino “definire” = limitare, circoscrivere

3 Cfr nr 36-38. In particolare: “ravvivare e sviluppare la fede, per renderla esplicita ed operosa in una vita coerentemente cristiana” n°37

4 tanto che “dimenticare” considerato è uno dei peccati può grandi che possa commettere un israelita: Guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto (Dt 4,9a);

(3)

E’ per questo che la domanda a cui gli autori biblici rispondono non è tanto Chi è Dio5? Bensì

COSA HA FATTO DIO PER ME? Per questo concludere con Soggin che “la Bibbia non è tanto interessata alle spiegazioni, quanto alla storia6 ed è quindi nella storia, cioè in RELAZIONE CON LA VITA, che Israele fa la propria esperienza religiosa”.

Da qui, allora, il rinnovato interesse della catechesi per il “raccontare” perché è in questo modo che si può DIRE/RACCONTARE DIO dentro ad un coinvolgimento “vitale” sia del catechista che del catechizzato.

Un bell’esempio di catechesi narrativa è contenuto in At. 2,32ss dove Pietro, subito dopo il prodigio della Pentecoste, tiene un lungo discorso alla folla di Gerusalemme che tocca tre snodi fondamentali:

a) Dapprima dichiara:

32 Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni In questo modo SI COINVOLGE IN PRIMA PERSONA.

b) Poi prosegue:

33 (Gesù) innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso".

Così COINVOLGE DIRETTAMENTE I SUOI INTERLOCUTORI:

c) E accade che “All’udire tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Cosa dobbiamo fare fratelli?”

In questo modo PROVOCA UNA REAZIONE IN CHI ASCOLTA

Tutto questo ci dice che – pur assumendoci tutti i rischi del caso - Dio va innanzitutto RACCONTATO dentro ad una RELAZIONE.

1.4.IL LINGUAGGIO UTILIZZATO NELLA MIA RISPOSTA Ora potresti chiederti:

• Nella mia risposta ho fatto “teologia” o “catechesi”? Cioè: ho definito/spiegato o, come ha fatto Pietro a Pentecoste, ho raccontato?

• Se lo dovessi riscrivere pensando ad un incontro di catechesi o di annuncio con un adulto cambierei qualcosa alla luce di ciò che abbiamo detto/sperimentato?

• Eventuale momento di RI-SCRITTURA…

• Libera risonanza/lettura

1.5.E’LUI CHE LO HA RACCONTATO

Ora capiamo perché, anziché il più usuale e diretto “διηγέομαι /dieghèomai7” (= raccontare, descrivere parlare di..), Giovanni utilizza quel verbo così “ambiguo” (= evxhge,omai/ exegomai) sì…perché – così come sono molti i molti contesti della vita - molti possono essere i modi per DIRE DIO…Tuttavia se, oltre all’AT, andiamo a ripercorrere la vita stessa di Gesù possiamo osservare come Egli non abbia certo utilizzato delle speculazioni

“accademiche” per parlare di Dio8: Egli, fondamentalmente, HA RACCONTATO il Padre…come? Ce lo dice Luca all’inizio degli Atti degli Apostoli “con tutto quello che Gesù fece ed insegnò” (At,1,1)… Ecco, dunque, come, in UN CONTESTO CATECHISTICO andrebbe tradotto Gv 1,18:

« Dio nessuno l’ha mai visto, il Figlio unigenito è lui che ( evxhgh,satoexeghésato» LO HA RACCONTATO (Gv 1,18).

Ed è proprio in questo orizzonte, quello del racconto, che intendiamo muoverci oggi…

5 Come insegna sia Giovanni che Es 33,19ss

6 Non dobbiamo dimenticarci che noi cristiani crediamo in un DIO INCARNATO che, cioè ha accettato di FARSI STORIA!

7 Verbo utilizzato soprattutto da Mc e Lc e dall’autore della lettera agli ebrei (= 8 volte)

8 Tant’è vero che Egli, ancora dodicenne, nel giorno della sua fuga nel tempio a Gerusalemme nonostante le lusinghe dei “maestri” decise di ritornare a Nazareth con la sua famiglia (cfr. Lc 2,41-50)

(4)

SECONDA PARTE:RACCONTARE DIO PIÙ CHE UN GESTO POTÈ UNO SGUARDO

LA DONNA CURVA OBIETTIVI:

I catechisti FANNO ESPERIENZA:

• di una ri-narrazione biblica

• delle proprie “curvature di cristiano/catechista”

RICONOSCONO

• le occasioni di “rialzamento” accadute nella loro storia MATERIALE:

• La scheda di lavoro

2.0.INTRODUZIONE

Dopo tanta teoria è tempo di un po’ di pratica…L’ascolto di ciò che ha da raccontarci una donna della Bibbia…

2.1. CURVA DA DICIOTTO ANNI

Diciotto pesach senza poter incrociare gli sguardi dei nostri invitati al seder pasquale….

• Settantadue stagioni con lo sguardo incollato a terra, senza mai poter godere di quei lunghi tramonti che solo il cielo della mia terra, la dolce Galilea, può regalare…

• Novecentosettantadue shabbat senza poter seguire il lento ma inesorabile movimento della yad, quella piccola manina d’argento che – in modo sapiente e deciso - il lettore fa scorrere sulla pergamena per non rendere impure le sue mani a contatto con il testo sacro…

• Tanto a chi poteva interessare guardarmi negli occhi, curva e rattrappita come oramai ero ridotta? A mio marito, Eliezer il pastore no di certo, visto che, con la scusa delle greggi da badare, a casa non c’era mai….

Già…Diciotto lunghi anni…Finché qualcosa accadde e, molto, molto di più che un ***

gesto potè uno sguardo….

2.2. L’INSEGNAMENTO DI UN PADRE

Ma, per poter spiegare il tutto per bene devo iniziare dal principio….Da quando, fin da bambina, ero irresistibilmente attratta dalla Torah, la Legge di Dio.

Ne avevo sentito parlare proprio a casa, da papà”: “Tienilo bene a mente Davìd: la Torah non è una Legge che un re impone ai suoi sudditi ma è l’insegnamento che un padre dà ai propri figli…e ‘Adonaj – Benedetto sia il suo nome sempre! – è proprio come un padre per noi…sì, un padre che vuole indirizzarci verso il bene! E’

per questo che anche tu, Davìd, come ogni uomo che ha celebrato il bar mitzvah, d’ora in poi, per tutti gli shabbat della tua vita, andrai in sinagoga, cinquantaquattro volte all’anno, per imparare la Torah ed ascoltare cosa ha da consigliarti ‘Adonaj.”

(5)

2.3. QUESTO TU DOVRAI INSEGNARE AI TUOI FIGLI!

Però la cosa che più non capivo è che, quando papà diceva queste, cose non si rivolgeva mai a me ma sempre a mio fratello Davìd!

“Ma come?” Gli chiesi un giorno un poco stizzita “Adonaj non è forse il Dio di tutti? Non è forse Colui che ha creato l’umanità intera, uomo o donna che sia?”

“Che discorsi! Ma certo che ‘Adonaj ha creato tutti! E a tutti ‘Adonaj ha dato un compito particolare” Mi spiegò papà con un tono – a dir la verità - meno amorevole del solito: “E alla donna ne ha assegnato uno ben preciso: essere moglie e madre.

E tu proprio questo farai da grande: sarai moglie di Eliezer, il pastore, e madre di molti figli che porteranno avanti il nome della famiglia di tuo marito. Per questo è alla casa che dovrai pensare e non alla sinagoga: quella è faccenda per noi maschi! Così ha voluto ‘Adonaj ed è questo che tu dovrai insegnare ai tuoi figli”.

2.4. HAMACOM

Ricordo che non osai ribattere nulla a papà. Anche se l’idea di sposare Eliezer, il pastore, non mi attirava affatto; anche se non mi convincevano per niente quei suoi discorsi sulla differenza tra l’uomo e la donna….

E poi – a dire il vero - trovavo che ci fosse una evidente contraddizione tra le parole che aveva detto a Davìd: “andrai in sinagoga, cinquantaquattro volte all’anno, per imparare la Torah”, e quelle che aveva rivolto a me: “è questo tu dovrai insegnare ai tuoi figli….”

Cosa mai avrei potuto insegnare ai miei figli se ignoravo la Torah, l’unico vero insegnamento che potesse orientare verso il bene?

Non è forse vero che il nostro Dio dopo i tempi dell’esilio aveva scelto proprio le Scritture come hamacom, cioè come luogo sacro d’incontro tra la sua Maestà e il Suo popolo, Israele?

2.5. LA PRIMA TRASGRESSIONE

Fu così che, visto che mi si negava questa libertà, decisi di arrangiarmi da sola.

Ricordo che una mattina compii la mia prima piccola trasgressione: appena finite le faccende domestiche non mi ritrovai presso il pozzo del paese con le amiche, come facevo al solito, ma corsi là, alla sinagoga, nascosta dietro ad una palma da dattero e da lì spiai tutto quello che accadeva dentro a quelle mura….

Quanto mi affascinava quel macom! Luogo di incontro e di studio! Luogo in cui gli argini del tempo vengono abbattuti: l’antico che abbraccia il nuovo ed il nuovo che si nutre dell’antico…Luogo di dibattito, di educazione e d’incontro ma, soprattutto, luogo di preghiera e di lode ad ‘Adonaj…nostro Dio!

2.6. INDAGARE LA PAROLA DI ‘ADONAJ

Certamente tu che hai studiato la Parola mi puoi capire…sì…puoi comprendere il piacere di poter sentir scorrere sotto le tue dita la lieve ruvidezza delle pergamene…e l’inconfondibile odore di quell’inchiostro che solo gli scribi possono preparare ….

E poi il sottile crepitìo dei pennelli sui rotoli aperti che devono tracciare, senza il minimo errore, le lettere sacre. Tutto questo vidi durante il mio primo giorno di appostamento….

(6)

Non solo ma, osservando i talmidim, cioè i giovani studenti curvi sugli antichi testi, mi parve di sentire quella quieta eccitazione che dà l’indagare la parola di

‘Adonaj…Era come…come se davvero potessi parlare con haShem, sì, l’ineffabile e impronunciabile Suo Nome…

2.7. DUBBI NOTTURNI

Quella notte non riuscii a dormire e mille pensieri mi frullarono per la testa….

• Perché ‘Adonaj mi ha messo nel cuore questo irrefrenabile desiderio di conoscenza e mi ha fatto donna?

• Ma davvero la Sua bontà disegna ruoli così rigidi, invalicabili negandomi questa libertà?

• E poi, non potevo essere una buona moglie e madre pur studiando la Torah?

• La mia famiglia non sarebbe certo andata in rovina se avessi partecipato alla funzione mattutina dello shabbat come fanno tutti coloro che hanno celebrato il bar mitzvah!

2.8. LAMAD/LIMMED

Ancora molti appostamenti seguirono quei miei dubbi notturni e, durante quel tempo dietro la palma, ebbi modo di osservare gli occhi attenti dei talmidim sulla voce ferma ed autorevole del rabbino che, a sua volta, non smetteva mai di fissarli, uno ad uno, mentre esponeva loro i quattro livelli del pardés9: l’esegesi rabbinica delle Scritture.

Ricordo che ero perdutamente affascinata da quel suo muoversi verso di loro...un dinamismo che impregnava ogni suo gesto, ogni sua parola ma, soprattutto, ogni suo sguardo….Sì! Era come se i suoi occhi si compiacessero della loro presenza, confermandoli e riconoscendoli uno per uno…

Ah! Come avrei voluto anche io sentirmi riconosciuta da papà in quella mia scelta!

Tuttavia a questo suo movimento, specularmente, ne corrispondeva un altro che pareva quasi diffondersi per contagio e che si traduceva nelle molte domande che gli studenti gli ponevano e, alle quali, con mia grande sorpresa, il rabbino spesso evitava di rispondere, limitandosi talvolta a lunghi silenzi che sembravano scavare nella profondità della sua anima…..Chissà, forse stava cercando le parole giuste per una buona risposta o, magari, quelle obiezioni erano esse stesse nutrimenti a cui il suo cuore stava attingendo….

Fatto sta che una volta gli sentì dire che, in verità, l’insegnante non ha il compito ***

di dare risposte e che un incontro è davvero ben riuscito solo se sa suscitare quesiti, perché – disse proprio così il rabbino – “sono le domande quelle porte che ci aiutano a varcare il Mar Rosso che è dentro di noi…”

D’altronde” proseguì ancora il maestro “come ben sapete imparare (lamad) e insegnare (limmed) sono due verbi gemelli che si basano sulle tre medesime consonanti visto che - nella nostra lingua, l’ebraico - le vocali non contano, infatti:

lamed10 è simbolo di movimento e dinamismo,

9 Il Pardes (in ebraico פרדס, "frutteto") viene citato nel Talmud (Chaghigà 14 b), nello Zohar (1. 26 b) ed in altri testi esegetici come il luogo del cammino mistico affrontato dai quattro rabbini Simeon ben Azzai (II sec dC), Simon ben Zoma, Elisha Ben Avuyà (conosciuto come Akher, "l'altro", perché divenuto poi eretico) e Rabbi Aqiva che disse loro:

"Quando sarete giunti alle lastre di marmo puro non gridate: Acqua, acqua!". I suoi quattro livelli sono: Peshat (פשט: semplice): letterale, Remez (רמז: allusione): allegorico, Drash (דרש: esposizione): omiletica, Sod (סוד: segreto): esoterico.

10 lo studio

(7)

mentre mem11 è simbolo di introspezione e profondità

e, infine dalet12 è simbolo di passaggio…

Insomma sia lamad che limmed contengono i tre ingredienti fondamentali sia di chi educa sia di chi è educato:

• la curiosità e la disponibilità al movimento ( lamed)

• la profondità e l’autenticità nel guardarsi dentro (mem)

• e il coraggio e la creatività dell’andare oltre (lamed) 2.9. LA DOMANDA È LA RISPOSTA!

All’udire quelle parole mi balenò un’idea: se, come dice il rabbino, la domanda è la risposta, allora non avrei dovuto temere nel porgliela! Ma certo! Quello null’altro era che il chiaro invito a prendermi la libertà di porgli quella domanda! Già una domanda potesse finalmente farmi incontrare quella risposta! Cioè quella parola che, finalmente, mi potesse liberare! Forse lui non avrebbe fatto come papà…No…lui di certo non l’avrebbe svalutata; magari l’avrebbe accolta…sì…guardandomi con quello stesso sguardo compiaciuto con cui scrutava ogni giorno i suoi studenti nella beit knesset!

2.10. LA TERRA E LA COSTOLA

Mentre correvo verso la sinagoga con la ferma idea di incontrarlo, ancora non sapevo che, quella mattina, sarebbe stata l’inizio della mia rovina!

Ricordo che il rabbino - visibilmente imbarazzato nel farsi vedere parlare in pubblico con una donna e, per giunta, non ancora sposata - si tenne a debita distanza limitandosi ad ascoltarmi, infastidito, senza mai incrociare il suo sguardo con il mio e, quando gli chiesi: “Ma ‘Adonaj non è forse il Dio di tutti? Non è forse Colui che ha creato l’umanità intera, uomo o donna che sia?” La sua risposta mi raggelò: “Ma come fai a non sapere che è piaciuto ad ‘Adonaj - Benedetto sia il Suo Nome sempre! - di creare l’uomo e donna da materie talmente differenti che ne determinano irrimediabilmente la loro natura?

• L’uomo è fatto di terra e dunque la sua intelligenza si presenta duttile e flessibile come la sostanza da cui proviene: molto adatto, dunque, a studiare e comprendere la sua Parola;

• mentre, come ben sappiamo, la donna proviene da un osso, la costola di Adamo, e, di conseguenza, la sua intelligenza è rigida, bloccata, per niente adatta a penetrare i segreti della Torah….”

2.11. PIÙ CHE LE PAROLE POTÈ UNO SGUARDO

Fu da quel momento che qualcosa in me iniziò irrimediabilmente a piegarsi: prima nel mio cuore e poi, gradatamente, nel mio corpo…Sì, perché in quel dialogo agghiacciante ancor più che le sue parole mi ferì quel suo sguardo: assente, lontano anzi…evitante, uno sguardo che mi faceva sentire come…trasparente, simile al tohu we habohu cioè al nulla prima della Creazione…

Già…Fu proprio da quel mattino che il peso di tutti quegli sguardi mancati, di ***

quei miei desideri continuamente frustrati e di tutti quei riconoscimenti negati, iniziarono pian piano a scavare un vuoto dentro di me fino ad accartocciarmi il

11 l’acqua

12 la porta

(8)

corpo ma, soprattutto, il cuore…Sentii che mi si negava la dignità di esistere, la libertà di “esserci”, così come di essere confermata nei miei sentimenti più profondi….

Una parola di libertà? No, quella non poteva esistere per me, donna assetata della parola di Dio…

Se vuoi puoi riportare alla memoria, come sta facendo questa donna, le curvature della tua storia di catechista o, se preferisci, della tua vita

Ce n’è una sulla quale ti va di sostare?

Se vuoi puoi darle un nome______________________________

2.12. UNA CAROVANA DAL NORD

Ma, nonostante ciò, ti assicuro che mai mancai ad uno shabbat….forse perché (nonostante non lo volessi ammettere nemmeno a me stessa) in cuor mio non avevo mai rinunciato a poter trovare quella parola…anche se il disinteresse dei miei compaesani nei miei confronti era totale…anche se lo stesso Adonaj continuava a starsene muto, chiuso nei suoi cieli impenetrabili …Se non fosse che, quella mattina, una carovana di pellegrini provenienti dal nord, irruppe all’improvviso nella nostra piccola sinagoga e accadde che, ad un certo punto, prese la parola uno di loro, un certo Jeshu, che pare provenisse da Nazaret.

2.13. PIÙ CHE UN GESTO POTÈ UNO SGUARDO

"Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (Mt 13,53)

…queste furono le prime parole che l’uomo della Galilea pronunciò ma che – piegata e persa in quell’inaspettato trambusto – non riuscii bene capire… Finché sentì come un manto di silenzio avvolgere tutta l’assemblea e, la netta, forte, percettibile sensazione di essere guardata…

Possibile che proprio io, quella anonima donna curvata dalla noncuranza della gente, fossi, all’improvviso, catapultata al centro dell’attenzione?

E poi, per quale motivo?... Da sempre tutti mi conoscevano e, da sempre, tutti mi evitavano…

Eppure, tra tutta quella folla, ciò che nitidamente percepii fu un solo sguardo su di me: il Suo, quello di Jeshu…il profeta di Nazareth…..Nessuno mi aveva mai guardato così: io, la donna con la mania della Torah, io, la donna malata e curva, l’unica che si azzardava ad entrare in quel luogo solo maschile!

Fu in quel preciso momento che qualcosa si aprì in me…sì qualcosa mosse…Non dal collo, né dalle spalle e nemmeno dalla schiena…ma - così come diciotto anni prima - fu dal cuore che tutto ripartì! Già…più che un gesto potè uno sguardo….

Quando poi Jeshu mi chiamò a sé uno stupore ignoto mi pervase: Lui non si vergognava di me! Lui non temeva di farsi vedere in pubblico con una donna, persino se era afflitta da uno spirito maligno! Poi, quando, imponendomi le mani, mi disse: Donna, sei liberata dalla tua malattia! Scoppiai a piangere…Sì perché avevo capito immediatamente a quale malattia il Maestro di Nazaret si riferiva: no, non era quella del corpo ma quella che, da diciotto lunghi anni, infettava la mia anima: il bisogno di essere guardata, riconosciuta, confermata…insomma il bisogno di una parola su di me che, aprendomi, mi liberasse!

(9)

E, nel momento in cui mi accorsi che, dopo tanto tempo, potevo sentire le lacrime rigarmi il volto e scorrermi giù, lungo il collo mi resi conto di essere dritta, non solo nel cuore ma anche nel corpo!

C’è stato uno sguardo che, nella tua vita, ti ha rialzato?

E quale potrebbe essere lo sguardo che ti potrebbe aiutare a raddrizzare la tua “ curvatura” di catechista?

2.14 LAMAD/IMPARARE

Allora mi sovvennero le prime parole pronunciate da Jeshu:

"per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (Mt 13,53)

tanto che non potei fare a meno di collegarle a quelle che, molti anni prima, avevo udito dal rabbino quando parlò ai suoi studenti del significato delle tre consonanti di lamad/limmed - cioè imparare e insegnare in ebraico - e, rivedendo lo stile che aveva agito Jeshu nei miei confronti quelle stesse lettere brillarono nel mio cuore di luce antica e, nello stesso tempo, nuova….

Ma certo! Finalmente il mio desiderio di imparare la Torah era stato esaudito! Sì perché io, sebbene donna, sono stata talmidah, cioè allieva di un rabbino, e non di uno qualsiasi, ma dello stesso Jeshu, il più grande e potente di tutta la Galilea!

E poi: non è forse vero che:

• quando mi ha raddrizzata nel cuore e nel corpo Jeshu ha ingenerato in me il dinamismo della lamed?

E quando mi ha accolta mi ha iniziata alla acquatica profondità della mem?

E, infine, non mi ha spinto oltre la soglia della dalet (la porta) quando ho finalmente trovato il coraggio di glorificare Dio in sinagoga?

2.15 LIMMED/INSEGNARE

Non solo ma anche Lui ha incarnato – ma con ben altra autorità rispetto al nostro rabbino – le tre lettere del verbo limmed/insegnare: Sì, perché è stato Lui che:

per primo, ha mosso il suo sguardo verso di me (=lamed)

ed è stato ancora Lui che ha trovato dentro di sé (=mem), nel suo cuore, quelle parole di guarigione.

• E, infine, accogliendo me, donna e malata, ha oltrepassato i rigidi confini della Torah (=daleth)…

Ritorna alla tua curvatura di catechista

E prova a farla incontrare con le tre consonanti evocate dal rabbino e rilette da Gesù con il suo stile:

- l/LAMED = andare verso cioè: “movimento, dinamismo, curiosità, “decentramento”

- מ /MEM = andare dentro cioè: “profondità, introspezione, sguardo interiore, riflessione,

“autenticità” ;

-ד/DALETH = andare oltre cioè “attraversare, oltrepassare, evolvere, varcare una soglia,

“superare gli schemi”, “creatività”

Che effetto provoca in te questo incontro?

Prenditi qualche momento per assaporarlo

(10)

2.16. RIPARTIRE DAL CUORE

Allora non è dalle labbra e nemmeno dai gesti, ma è proprio da lì, dal cuore, che tutto può ripartire affinché tu possa lasciarti guardare da Colui che davvero può raddrizzare le tue curvature….

Io, in quel giorno l’ho imparato, e oggi te l’ho voluto raccontare perchè anche tu, entrando nel movimento del lamad/limmed, il movimento di Jeshu...possa trovare e pronunciare quella parola…sì quella parola che ti APRE, cioè ti libera.

2.17. PROCLAMAZIONE DI LC 13,10-13

10 Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. 11C'era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. 12Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: "Donna, sei liberata dalla tua malattia". 13Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. (Lc 13,10-13)

2.18. RISONANZA FINALE

• Anche tu, se vuoi, puoi condividere una parola di APERTURA cioè di libertà che la vicenda della donna curva ti ha suggerito…

2.19.CONCLUSIONE

TERZA PARTE :PERCHÉ E COME (RI)-NARRARE? 3.1.RISONANZE RISPETTO ALLESPERIENZA DI NARRAZIONE

3.2.INDICAZIONI PASTORALI (VITO) 3.3.COME RI-NARRARE?

Ovviamente non esistono ricette “pre-definite” tuttavia può essere utile indicare un possibile percorso che - almeno nella mia esperienza – ha conosciuto due fasi:

3.3.1.LE TRE “P” DI BASE DEL BUON NARRATORE

La prima la vorrei sintetizzare così: “tre P di base del buon narratore”

Provare: che significa disponibilità a mettersi in gioco e sperimentare. Ovviamente questa scelta può scattare anche se se ne è sperimentata l’efficacia su se stessi…

Pazientare: il ché implica il lasciarsi temprare dall’esperienza accettando la frustrazione dell’errore;

Personalizzare. Per cogliere che significa questa terza “P” occorre partire la una premessa fondamentale: anche se stasera non abbiamo avuto il tempo di sperimentarlo – non dobbiamo mai dimenticarci che RACCONTARE È SEMPRE UN RACCONTARSI. Questo vale, ovviamente se utilizziamo una narrazione della quale siamo gli autori originali (come quella che avete sentito stasera) ma anche se decidete ( e all’inizio ve lo consiglio vivamente) di appoggiarvi a ri- narrazioni già fatte13. Il ché significa modificarle in base al contesto, ai destinatari e, soprattutto, alla propria sensibilità e percorso di fede.

13 cfr il ciclo di Barbon-Paganelli “Ti racconto di Gesù”; Ti Racconto di Gesù che compie prodigi; Ti racconto di Gesù che si manifesta; Ti racconto del mio incontro con Gesù (EDB)

(11)

E’ a questo punto che possiamo confrontarci con la seconda fase:… ***

3.3.2. LALFABETO DEL BUON NARRATORE

1) Avere presente a chi si vuole narrare (destinatari)

2) Brano biblico oggetto della ri-narrazione: delimitarlo con precisione mettendo a fuoco la sua la cornice narrativa (da cosa è preceduto? Da cosa è seguito?).

3) Con il metodo narratologico individuare i vari protagonisti (“attori”) e relativi “verbi“ facendo per fare emergere l’intreccio narrativo.

4) Darsi il tempo per studiare l’interpretazione autentica del testo (confronto con commentari, esperti etc…)

5) Evidenziare il messaggio principale che, nel testo rinarrato, si vuole fare passare (in base ai destinatari). Gli altri messaggi individuati (un testo biblico ne può contenere diversi) non vanno trascurati ma, comunque, tenuti sullo sfondo per evitare di ingenerare confusione od un eccesso di comunicazione…

6) Far parlare il testo evitando di moralizzare (=tradurre immediatamente il messaggio in comportamenti) ma, attraverso domande aperte, sollecitare le persone ad una riflessione graduale e “delicata”.

7) Giocando con i cinque sensi (sollecitati soprattutto all’inizio del testo) aiutare le persone ad entrare nella storia possibilmente partendo da una situazione che sia loro famigliare..

8) Hai tre possibilità di scegliere il personaggio narratore:

- farlo coincidere con il personaggio principale del testo biblico (evitare però personaggi troppo impegnativi come lo stesso Gesù)

- inserirti in uno di quegli “spazi bianchi”14 che spesso la Bibbia offre al suo attento lettore (personaggio marginale/secondario)

- inserire un testimone esterno che, però, sia credibile/compatibile con il testo di riferimento15.

9) Impiegare il discorso diretto: il personaggio/testimone racconta ciò che vede, sente e fa in prima persona.

10) Le finestre: che - aprendosi in corrispondenza di alcune parti cruciali della ri-narrazione – pongano domande, provocazioni, riflessioni che aiutino l’uditore ad identificarsi col narratore passando così dal racconto al coinvolgimento personale senza soluzione di continuità.

3.4.CONCLUSIONE

E’ nel racconto, dunque, che la nostra fede si può contagiare, nutrire, e, soprattutto, trasmettere…perché…

Dio è sempre il Dio di qualcuno…il Dio di Abramo, di Mosè, di Elia,..il Dio di Gesù Cristo…il Dio nelle nostre madri e dei nostri padri..Ed io non posso conoscerlo senza ascoltare ciò che questi hanno raccontato di Lui avendolo ascoltato – (Enzo Bianchi)

14 Per “spazi bianchi” si intendono quegli elementi narrativi che, sovente, paiono marginali o, magari, appena abbozzati e che possono invece costituire delle preziose “fessure”

attraverso le quali è possibile interagire in maniera vitale, e dunque, attualizzante con il testo stesso. Esempi di “spazi bianchi” potrebbero essere l’illustre Teòfilo, destinatario dell’intera opera lucana (Vangelo ed Atti), oppure l’anonimo ragazzo, servo di Elia (cfr. 18,43; 19,3).

15 Ad esempio nel discorso della montagna si può far parlare una persona tra la folla….

Riferimenti

Documenti correlati

La versione riassunta da Fozio ricorda in numerosi punti quella di Teopompo, tra- mandataci dagli scholia all‘Idillio V di Teocrito 92 , ma non presenta due elementi per noi

Il nesso tra comunione eu- caristica e irruzione della grazia divina nell’intimo del cuore ritorna più volte negli insegnamento di don Bosco: la troviamo nel Giovane provveduto,

Per loro impulso i Cooperatori non solo sostennero le opere salesiane, ma collaborarono coi parroci in attività di carattere caritativo o religioso, soprattutto a beneficio

dopo l’arcivescovo gli comunicò che non avrebbe ammesso alle ordi- nazioni membri della Società Salesiana finché avessero continuato a essere ospiti nelle sue case due chierici

point de son mou|vemens mais seullement se laisse | remuer, ainsy un cœur 68 ambarque | sur la volonte et providence de | Dieu il na plus ocun vouloir, | par son election

Nella sua Storia ecclesiastica, don Bosco presenta Francesco di Sales prima di tutto come il missionario del Chiablese, che conquista “con le sole armi della dolcezza e della

Un altro bene poi che non è venuto dai soci, ma che è di massima impor- tanza pei superiori e quasi direi un loro secreto, si è questo, che in questo modo [attraverso le Compagnie]

Tale reazione ci pare doversi attribuire a due fattori: da una parte la solidità della formazione ricevuta fin dall’adolescenza e consolidata con gli indirizzi ascetici e mistici