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RISOLUZIONE DAGA, M5S CAMERA, PER INVESTIRE IN AGRICOLTURA PER POPOLAZIONI AFRICA

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RISOLUZIONE DAGA, M5S CAMERA, PER INVESTIRE IN AGRICOLTURA PER POPOLAZIONI AFRICA

A t t o C a m e r a R i s o l u z ione in commissione 7-01029 presentato da DAGA Federica, M5S, mercoledì 22 giugno 2016, seduta n. 640 che impegna ad adoperarsi, nelle opportune sedi europee e a livello nazionale, affinché sia promossa la coerenza delle politiche con gli obiettivi di sviluppo, garantendo che politiche settoriali come quelle commerciali, di investimento, agricole, energetiche e climatiche non finiscano per promuovere forme di

«accaparramento» della terra;

Le Commissioni III e VIII, premesso che:

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il 18 maggio 2016, si è tenuta alla Farnesina la Prima Conferenza Ministeriale Italia – Africa, organizzata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in collaborazione con l’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). La conferenza ha riunito a R o m a i g o v e r n i d i o l t r e 5 0 P a e s i a f r i c a n i , i l o r o rappresentanti permanenti presso l’Onu a New York e i responsabili di circa 15 tra organizzazioni internazionali del sistema delle Nazioni Unite e organizzazioni regionali;

la Conferenza ha messo sul tavolo argomenti centrali per l’Africa, come la sostenibilità economica e socio-ambientale, le migrazioni, la pace e la sicurezza. Dal punto di vista dei leader africani, il tema più sentito è quello della cooperazione economica;

durante la Prima conferenza ministeriale Italia – Africa il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato «Abbiamo nostalgia del futuro perché vediamo l’Africa non come una minaccia, ma come la più grande opportunità per l’Europa. A noi questo rapporto preme non solo per una questione etica e d i g i u s t i z i a . M a a n c h e p e r u n a v i s i o n e p o l i t i c a e strategica.[…] «Chi pensa di risolvere costruendo muri non si accorge che sta solo imprigionando se stesso. Dobbiamo fare di più, innanzitutto a livello economico. Siamo disponibili a fare grandi investimenti dal punto di vista tecnologico, energetico e delle pmi. Dobbiamo investire negli scambi culturali e puntare sulle infrastrutture (…) le dighe, sì, ma anche la banda larga»;

come già sottolineato nelle premesse della risoluzione n.

6-00176, a prima firma del deputato De Rosa, l’agricoltura industriale incide negativamente sul cambiamento climatico, facendo uso di sistemi meccanizzati ad alta intensità energetica e a combustibili fossili e, a sua volta, ne è influenzata, visto che le monocolture geneticamente omogenee, su cui si basa, non sono resilienti; diversamente, i sistemi di gestione agroecologici – varietà di tecniche agricole, come

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agricoltura biologica, sinergica, sostenibile o permacultura –, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull’efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresentano un modello alternativo sostenibile, socialmente equo, resiliente ai cambiamenti climatici; con riferimento alla risorsa acqua, gli effetti più evidenti del surriscaldamento globale consistono in una progressiva riduzione delle precipitazioni, accompagnata da una marcata accentuazione degli eventi estremi di breve durata con conseguente alternanza di piogge alluvionali e prolungate siccità e con tutto ciò che questo comporta per il dissesto idrogeologico e la carenza di acqua rispetto al fabbisogno; a causa dei frequenti quanto repentini cambiamenti delle c o n d i z i o n i c l i m a t i c h e s i a s s i s t e a u n p r o g r e s s i v o intensificarsi dei fenomeni di dissesto e instabilità dei versanti (su 712.000 frane censite in Europa nel 2012, 486.000 ricadono nel territorio italiano e di cui oltre l’80 per cento è localizzato nei territori montani), con gravi problemi di sicurezza, incolumità pubblica e di tutela e mantenimento degli equilibri ecologici; secondo recenti studi delle Nazioni Unite i cambiamenti climatici possono intensificare o generare conflitti per risorse quali cibo, acqua, terre da pascolo, e potrebbero divenire, in un futuro non troppo remoto, la causa principale degli spostamenti di popolazione, sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali; il dramma dei rifugiati climatici è sempre più preoccupante, determinato dalla stretta relazione tra degrado ambientale, mutamenti climatici e contesto socio-economico. Per il Rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre pubblicato nel 2013, di oltre 32 milioni di persone costrette alla mobilità per effetto di disastri naturali, il 98 per cento sono profughi climatici e provenienti da Paesi poveri; nel 2060, il Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) prevede che solo in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici e che gli sviluppi connessi al clima in alcune aree dell’Africa potrebbero contribuire a un inasprimento della crisi dei profughi nel Mediterraneo;

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come già premesso dalla risoluzione Spadoni n. 7-00791, a prima firma della deputata nei Paesi in via di sviluppo, dal 2001, circa 227 milioni di ettari di terre sono state vendute o affittate a investitori internazionali; secondo le ricerche effettuate dalla Land Matrix Partnership, la maggior parte di queste acquisizioni di terreni è avvenuto negli ultimi due anni e l’incremento recente degli accordi di acquisizione delle terre può essere spiegata a seguito della crisi dei prezzi alimentari del biennio 2007/8, dopo il quale investitori e governi hanno ricominciato a interessarsi all’agricoltura dopo decadi di indifferenza; questo interesse nasconderebbe cause importanti: le terre acquisite sono destinate alla produzione di cibo per l’esportazione o di biocarburanti. In questi e molti altri casi si può parlare di

«accaparramento di terre» o land grabbing; la definizione più c i t a t a d i l a n d g r a b b i n g è q u e l l a c h e e m e r g e d a l l a Dichiarazione di Tirana, siglata da governi, organizzazioni internazionali e gruppi della società civile che hanno preso parte a una grande conferenza sulle regolamentazioni dei diritti fondiari nel maggio del 2011: «acquisizioni o concessioni di terra … (i) in violazione di diritti umani, in particolare i pari diritti delle donne; (ii) non basate sul consenso libero, preventivo e informato di chi utilizza quella terra; (iii) non basate su una valutazione rigorosa, o che non tengono conto degli impatti sociali, economici e ambientali, inclusa la loro dimensione di genere; (iv) non basate su contratti trasparenti che specificano impegni chiari e vincolanti sulle attività, i posti di lavoro e la condivisione dei benefici; (iv) non basate su una pianificazione efficace e democratica, su una supervisione indipendente e su una partecipazione significativa di tutti gli attori»;

essendo la scarsità delle risorse un nuovo fronte per l’economia, i capitali e chi li controlla sono già entrati in competizione per l’accaparramento e la speculazione sulle risorse naturali. Il modello di crescita illimitata ha reso tali risorse non solo scarse, ma ne ha anche compromesso la

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qualità. Le élites finanziarie stanno avviando un processo di finanziarizzazione delle risorse naturali al fine di creare nuove classi di asset finanziari basati su nuove commodity fittizie (habitat, specie, biodiversità) che complementino quelle esistenti. Questo approccio produrrà anche una nuova ondata di partnership finanziarie pubblico-private, spesso per il finanziamento delle infrastrutture fisiche e finanziarie, che aumenteranno la mercificazione dei beni comuni;

il 28 luglio 2010 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha votato una dichiarazione nella quale: Dichiara il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani;

invita gli Stati e le organizzazioni internazionali a fornire risorse finanziarie, competenze e tecnologie, attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale in particolare verso i Paesi in via di sviluppo, al fine di incrementare gli sforzi per fornire acqua potabile sicura, pulita, accessibile e disponibile e servizi igienico-sanitari per tutti;

l’acqua è una risorsa vitale, alla base della catena alimentare da cui dipendono, per qualità e quantità, lo stato di salute degli esseri viventi e l’equilibrio ecosistemico: la sua gestione è cruciale ai fini della sicurezza idrica.

Quest’ultima, al centro del dibattito scientifico e politico, può assumere significati diversi e riferirsi a differenti scale spaziali: disponibilità idrica; vulnerabilità al rischio; sostenibilità e bisogni umani con riferimento all’accesso e alla sicurezza alimentare, collegata anche ai cambiamenti climatici. Tale aspetto assume particolare interesse per l’accresciuta vulnerabilità della regione del Mediterraneo e le conseguenti tensioni fra gli attori sociali, politici ed economici. Del resto, anche la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza del 2011 annovera i mutamenti climatici e la scarsità di risorse idriche fra i nuovi fronti di minaccia argomentando come «la scarsità delle

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risorse idriche quale fattore limitante dello sviluppo, suscettibile di ridisegnare alcuni scenari di politica internazionale, si riflette nel contempo sulla disponibilità delle risorse alimentari»;

i dati dell’Onu dicono che la popolazione mondiale cresce di circa 80 milioni di persone ogni anno, e che, secondo le previsioni, raggiungerà i 9,1 miliardi entro il 2050; di questi, 2,4 miliardi vivranno in Africa subsahariana e i cambiamenti climatici non potranno che esacerbare i rischi associati alle variazioni della distribuzione e della disponibilità delle risorse idriche;

secondo le stime, il 20 per cento delle falde acquifere mondiali è sovrasfruttato con gravi conseguenze tra cui fenomeni di subsidenza e intrusione di acqua salata;

le perdite economiche dovute ai rischi causati dall’acqua sono fortemente cresciute nell’ultimo decennio. Dal 1992 a oggi, inondazioni, siccità e tempeste hanno condizionato la vita di 4,2 miliardi di persone (il 95 per cento di tutte le persone colpite da una qualunque catastrofe naturale), causando danni per 1,3 trilioni di dollari americani (pari al 63 per cento del totale dei danni causati);

gli investimenti in infrastrutture idriche rivestono fondamentale importanza per dispiegare appieno il potenziale di crescita nelle fasi iniziali dello sviluppo economico di un paese. Con la riduzione dei vantaggi marginali dell’ulteriore sviluppo, si rende necessario spostare gradualmente l’attenzione verso la costruzione di capacità umane e istituzionali volte al miglioramento dell’efficienza e della sostenibilità idrica e in grado di garantire un maggiore sviluppo economico e sociale. Ma tali investimenti devono essere indirizzati verso politiche di generazione del reddito per i piccoli produttori al fine di stimolare la crescita economica nelle zone rurali. A titolo di esempio, il tasso interno di rendimento sugli investimenti dei progetti di

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irrigazione su vasta scala in Africa centrale è pari al 12 per cento, mentre per gli investimenti in progetti di irrigazione di piccola scala nel Sahel il tasso è pari al 33 per cento (UN-Water, 2013);

le grandi infrastrutture, come ad esempio le dighe, possono comportare una perdita della biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici, pur dipendendo spesso proprio da questi ultimi per mantenere i propri livelli prestazionali. La sfida consiste nel gestire le risorse idriche in modo da conservare un mix vantaggioso di infrastrutture naturali e artificiali e la fornitura dei relativi servizi;

l’elemento portante di numerose economie africane è l’agricoltura, fortemente dipendente da una pluviometria imprevedibile e fortemente variabile e solamente il 5 per cento dei terreni coltivabili africani viene irrigato;

la regione è sempre più dipendente dalle importazioni. Nel 2011 i Paesi africani hanno speso 35 miliardi di dollari americani per l’importazione di alimenti (ad eccezione del pesce), mentre la quota di commercio intra-africano è inferiore al 5 per cento (Africa Progress Panel, 2014);

è sicuramente un dato appurato che favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli dell’Africa Sub sahariana, riducendo gli impatti derivanti dai disastri ambientali dovuti al cambiamento climatico, avrà effetti positivi anche sulla riduzione del numero dei profughi climatici,

impegnano il Governo:

ad assumere iniziative per favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli dell’Africa sub-sahariana, riducendo gli impatti derivanti dai disastri ambientali dovuti

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al cambiamento climatico, con il fine di generare effetti positivi anche sulla riduzione del numero dei profughi climatici;

a favorire la cooperazione economica tra l’Italia e l’Africa finalizzata allo sviluppo di piccole e medie imprese e alla diversificazione dell’economia africana in modo da poter creare più posti di lavoro soprattutto per i giovani, con conseguenze positive anche rispetto al contrasto delle capacità di aggregazione dell’estremismo islamico;

ad adoperarsi, nelle opportune sedi europee e a livello nazionale, affinché sia promossa la coerenza delle politiche con gli obiettivi di sviluppo, garantendo che politiche settoriali come quelle commerciali, di investimento, agricole, energetiche e climatiche non finiscano per promuovere forme di

«accaparramento» della terra;

a dare crescente supporto ai Paesi africani, attraverso l’attivazione di specifici programmi di cooperazione internazionale finalizzati al trasferimento tecnologico e di conoscenze, affinché vengano poste le basi per la creazione di modelli di sviluppo sostenibile liberi dalla dipendenza delle fonti fossili;

a promuovere la gestione sostenibile del suolo nelle aree soggette a migrazione attraverso meccanismi atti a salvaguardare e migliorare l’agricoltura locale, attraverso pratiche sostenibili, resilienti e, allo stesso tempo, efficienti e socialmente eque, in grado di sostenere le sfide ambientali e alimentari future;

a favorire forme di cooperazione tra i piccoli produttori italiani e quelli africani, attraverso scambi di buone pratiche ed esperienze col fine di promuovere una agricoltura sostenibile sia per la produzione alimentare, che per il ruolo fondamentale nella mitigazione dei cambiamenti climatici e dei danni naturali, promuovendo, a livello normativo e

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finanziario, lo sviluppo di politiche agricole più sostenibili e incoraggiando le comunità locali a gestire la produzione e il consumo delle proprie risorse nell’ottica degli obiettivi ambientali;

a promuovere progetti di sostegno all’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, gestiti attraverso forme di cooperazione decentrata e partecipata dalle comunità locali dei Paesi di erogazione e dei Paesi di destinazione, con l’esclusione di qualsiasi profitto o interesse privatistico, e ad assumere iniziative per riconsiderare invece gli investimenti previsti in grandi opere infrastrutturali come le dighe che sono in fase di progettazione nel continente africano e che avranno un forte impatto ambientale e antropologico in termini di biodiversità e diritti dei popoli indigeni;

a sostenere i progetti di cooperazione che includano attività di formazione, di microcredito e di «capacity building» nel comparto ingegneristico e in settori tecnici e manifatturieri di alta specializzazione, a sostegno della piccola e media impresa.

(7-01029) «Daga, Scagliusi, Terzoni, Mannino, Zolezzi, Busto, De Rosa, Micillo, Vignaroli, Spadoni, Del Grosso, Di Battista, Manlio Di Stefano, Grande, Sibilia».

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