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SOMMARIO COME ABBONARSI O INVIARE UN OFFERTA TRAMITE POSTA TRAMITE BANCA. ANNO LXXXII - n. 3 LUGLIO - AGOSTO - SETTEMBRE

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ANNO LXXXII LUGLIO - AGOSTO - SETTEMBRE 2021

Poste Italiane s.p.a. Spediz. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI

UNA NUOVA CREAZIONE 3

“Possiamo davvero iniziare a credere che proprio dentro a ciò

che stiamo vivendo,

c’è la chiave per la nostra felicità,

per sempre”

(2)

BOLLETTINO TRIMESTRALE EDITO DAI PADRI AGOSTINIANI

Poste Italiane s.p.a.

Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI Iscritta al R.O.C. con il n. 22214 del 13/04/2012

Direttore Responsabile P. Massimo Giustozzo osa

Redazione, progetto grafico e impaginazione Miriam Alberga

Collaboratori di Redazione Maria Anguissola, Costanza Signorelli,

Marina Locatelli, Stefano Mazzocchi, Paolo Masciocchi, P. Giuseppe Cacciotti osa, P. Giuseppe Scalella osa, Alessandro Spalletti

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ANNO LXXXII - n. 3 LUGLIO - AGOSTO - SETTEMBRE

2021

SOMMARIO

EDITORIALE

IL SUO AMORE È PER SEMPRE di P. Massimo Giustozzo osa

PER INTERCESSIONE DI S. RITA PICCOLI GRANDI SEGNI

testimonianza

PICCOLI SANTI TRA NOI

FRANCESCO PIO, APOSTOLO DELL’AMORE di Costanza Signorelli

INTERVISTA CON...

IL POLICLINICO E LA PANDEMIA di Padre Massimo Giustozzo

PENSIERO GIOVANI

PICCOLE GIOIE di Alessandro Spalletti

22 MAGGIO SANTA RITA

FOTO DELLA FESTA

SANT’AGOSTINO L’UNITÀ NELLA CARITÀ di P. Giuseppe Cacciotti osa IL SANTUARIO

IL DIACONO VINCENZO DI MARTINO di Paolo Masciocchi

IL PUNTO SULL’ECONOMIA LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE di Stefano Mazzocchi

LA BELLEZZA CHE NON PASSA MARIA REGINA DEL CIELO E DELLA TERRA di Maria Anguissola

I GIOVANI DI SANTA RITA LA CARITÀ È UN CUORE VIVO di Costanza Signorelli FILM/TI CONSIGLIO

NOMADLAND di Marina Locatelli

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EDITORIALE

di PADRE MASSIMO GIUSTOZZO OSA

IL SUO AMORE È PER SEMPRE D

obbiamo attendere la fine della pan-

demia per tornare a sperare? Occor- re che le cose tornino “come prima” per poter essere nuovamente felici? E’ obbli- gatorio che il mondo intero sia vaccinato contro il covid-19 perché possiamo dirci al sicuro e salvi?

Cari lettori di Santa Rita, tante e simili do- mande sorgono nel cuore, guardando i volti della nostra umanità ferita e soffe- rente, in questo momento di prova che tutto il mondo sta attraversando.

C’è chi ha perso gli affetti più cari e chi non sa più come mantenere la famiglia, c’è chi sta fallendo nel lavoro e chi si sen- te già fallito nella vita, ci sono anziani an- gosciati per il futuro e giovani già persi nel presente... insomma, pare che ognu- no di noi, oggi, abbia un serio motivo per sentire la terra tremare sotto i piedi e con essa le certezze di sempre.

E allora: dov’è l’Amore di Dio? Ovvero, è ancora possibile sperare in un Bene pre- sente?

Sembra che l’umanità intera, cosciente o meno, alzi al cielo questo unico, grande grido: dov’è finito l’Amore di Dio oggi, adesso, per me?

C’è un bellissimo Salmo che risponde per- fettamente a questa urgenza del cuore, che sentiamo accendersi in questo tempo così difficile ed insieme così prezioso.

E’ il Salmo 136 (135) detto anche “Credo

di Israele” o “Grande litania di ringrazia- mento” e pare essere il canto che Gesù stesso ha intonato nell’ultima Pasqua celebrata con i discepoli, durante l’istitu- zione dell’Eucaristia. «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi»

(cfr Mt 26,30; Mc 14,26)

Ebbene, si tratta di un grande inno di lode che celebra il Signore nelle molte- plici manifestazioni della sua bontà lungo la storia degli uomini e per i suoi conti- nui interventi in favore del suo popolo.

Dalle meraviglie della Creazione, alla nascita della storia di Israele, dai grandi fatti dell’Esodo, alla conquista della Terra Promessa, in questa preghiera, per tutti i 26 versi, non si fa altro che lodare e rin- graziare il Signore «perché il suo amore è per sempre»!

Dunque, occorre domandarsi: se è stato possibile per Israele riconoscere l’Amo- re misericordioso di Dio perennemente all’opera, dentro ai travagli della propria storia, perché non può essere così anche per noi oggi? Cosa ci impedisce di con- siderare questo attuale momento di crisi come perfettamente inserito nel piano di salvezza di Dio per ogni uomo?

E’ vero, questa pandemia, con tutto ciò che ne consegue, sta seminando soffe- renza a morte ovunque, ma se Gesù stes- so, andando a soffrire e a morire in Cro- ce, ha avuto bisogno di lodare l’eterno

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Amore del Padre, perché noi non seguiamo il Maestro?

Infatti è proprio così: questo

“Amore per sempre” di Dio per la sua creatura, sta alla ra- dice più profonda della nostra fede e Lo si può riconoscere e godere solamente dentro alla fase storica che stiamo viven- do. Detto in altre parole: se l’Amore di Dio non è vero, non

è reale, non si incarna oggi per me, per te, per ogni uomo, allora non è vero mai.

Questo Salmo, dunque, ci dice con forza che non dobbiamo attendere la morte, né tantomeno la fine di ogni virus che minaccia la nostra vita biologica, per po-

ter vivere di questo “Amore di Dio per sempre”. E’ vero esat- tamente il contrario: è proprio nella pandemia, nella crisi, nella grande prova che siamo più profondamente innestati in questo Amore che ci guari- sce e ci salva già ora!

Questa verità, cari amici, ci dà una grandissima speranza:

perché, se diveniamo certi che l’Amore di Dio per noi sta operando ora, in questo preciso istante, per la nostra personale salvezza, allora possiamo dav- vero iniziare a credere che proprio dentro a ciò che stiamo vivendo, c’è la chiave per la nostra felicità, per sempre.

1 Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre.

2 Rendete grazie al Dio degli dèi, perché il suo amore è per sempre.

3 Rendete grazie al Signore dei signori, perché il suo amore è per sempre.

4 Lui solo ha compiuto grandi meraviglie, perché il suo amore è per sempre.

5 Ha creato i cieli con sapienza, perché il suo amore è per sempre.

6 Ha disteso la terra sulle acque, perché il suo amore è per sempre.

7 Ha fatto le grandi luci,

perché il suo amore è per sempre.

8 Il sole, per governare il giorno, perché il suo amore è per sempre.

9 La luna e le stelle, per governare la notte, perché il suo amore è per sempre.

10 Colpì l’Egitto nei suoi primogeniti, perché il suo amore è per sempre.

11 Da quella terra fece uscire Israele, perché il suo amore è per sempre.

12 Con mano potente e braccio teso, perché il suo amore è per sempre.

13 Divise il Mar Rosso in due parti, perché il suo amore è per sempre.

14 In mezzo fece passare Israele, perché il suo amore è per sempre.

15 Vi travolse il faraone e il suo esercito, perché il suo amore è per sempre.

16 Guidò il suo popolo nel deserto, perché il suo amore è per sempre.

17 Colpì grandi sovrani,

perché il suo amore è per sempre.

18 Uccise sovrani potenti,

perché il suo amore è per sempre.

19 Sicon, re degli Amorrei,

perché il suo amore è per sempre.

20 Og, re di Basan,

perché il suo amore è per sempre.

21 Diede in eredità la loro terra, perché il suo amore è per sempre.

22 In eredità a Israele suo servo, perché il suo amore è per sempre.

23 Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché il suo amore è per sempre.

24 Ci ha liberati dai nostri avversari, perché il suo amore è per sempre.

25 Egli dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre.

26 Rendete grazie al Dio del cielo, perché il suo amore è per sempre.

SALMO 136 (135) Inno all’amore e alla bontà di Dio

EDITORIALE

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S

ono un ragazzo di 41 anni “ritornato”

in chiesa da circa una decina di anni.

Mi allontanai dalla Chiesa durante l’adole- scenza in seguito ad una pre-

matura dipartita di un geni- tore. Ricordo che mi sentivo come se fossi stato punito da Dio per qualcosa di sbagliato fatto. Avevo 12 anni quando persi mia madre Anna Rita e dentro di me si scatenò un piccolo inferno. Era come se mi sentissi abbandona- to dalla fonte dell’amore, nonostante avessi intorno a me una famiglia che non

mi ha mai fatto mancare il calore e l’amo- re. Circa una decina di anni fa, un giorno ero a casa di mia nonna Maria, che ogni sera alle 18 recitava i rosario, ricordo che non capivo bene la sua forte fede, ma quei dubbi mi hanno aiutato a ritrovarla. Quel giorno mentre ero in cortile con la nonna, vidi arrivare in bicicletta il nuovo parroco del mio paese, non riesco a descrivere cosa mi si è mosso dentro. Fino a quel momen- to, la mia vita era un piccolo disastro, ma quell’incontro è stato come una chiamata a tornare nell’ovile. In seguito andai a con- fessarmi dopo anni che non lo facevo e tor- nai a partecipare alla Santa Messa, la mia vita si riempì di Luce, ero riuscito a capire da dove venisse quella forza che aveva la nonna. Grazie ad un’altra Maria, ho sco- perto il santuario di Santa Rita di Milano nel quale ho iniziato a frequentare le ado- razioni del giovedi sera ed alcuni ritiri spiri- tuali con Padre Massimo. Ricordo che era- vamo a Cascia e durante una catechesi ci

esortò, al nostro ritorno a casa, ad andare incontro ai fratelli e alle sorelle ad annun- ciare il Vangelo in un qualche modo. Face- vo parte del consiglio pasto- rale del mio paese, ricordo che durante una riunione i catechisti lamentavano lo scarso interesse dei ragazzi alle lezioni. Nel ritiro di Ca- scia sentivo che avrei dovuto, con l’aiuto di Dio, fare qual- cosa per la mia comunità, in- vocai l’intercessione di Santa Rita ed ebbi l’intuizione di affidarci come comunità alla Madonna di Oropa affinchè le giovani generazioni riscoprissero la bel- lezza del Vangelo. Abbiam commissionato un quadro che è stato portato in pellegri- naggio dal mio paese fino al Santuario, 75 chilometri a piedi dalle 5 della mattina alle 18 circa. Eravamo 12 tra ragazzi e ragaz- ze a portare simbolicamente le intenzioni dei parrocchiani ai piedi della Madonna nel giorno del pellegrinaggio comunitario. Il quadro è poi tornato con noi ed è stato posizionato all’interno della chiesa parroc- chiale del paese. Scopro pochi giorni fa che a fianco del quadro, sabato 22 maggio ver- rà posizionata una nuova statua di Santa Rita, donata al parroco da una fedele, un ulteriore piccolo grande segno della pre- senza della Santa degli impossibili. Da ot- tobre scorso ho iniziato a fare catechismo ai bambini delle elementari, con l’impegno di far scoprire ai più piccoli la bellezza del Vangelo, percorso che mi sta rafforzando nella Fede facendomi riscoprire la potenza della Parola che guarisce e da la Vita.

PICCOLI GRANDI SEGNI

Se desiderate, spedite eventuali testimonianze pubblicabili su grazie ricevute per intercessione di Santa Rita all’indirizzo santaritamilano@gmail.com

Riceviamo questa testimonianza su fatti di grazia avvenuti per intercessione di Santa Rita e con gioia la condividiamo:

PER INTERCESSIONE DI S. RITA

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di COSTANZA SIGNORELLI

PICCOLI SANTI TRA NOI

FRANCESCO PIO,

APOSTOLO DELL’AMORE

F

rancesco Pio nasce a Villaricca (Napoli) il 6 luglio del 2013 e subito si capisce che è un bambino speciale. Mamma Car- mela infatti non può più avere figli per via di due tumori consecutivi all’utero, che gli sono costati la perdita di due bambini in grembo. Eppure, quando la vita deve esplodere in tutta la sua potenza, lo fa proprio laddove sembra regnare la mor- te e così Francesco, dopo una gravidanza travagliatissima, vede la luce.

«Sin da piccolissimo Francesco aveva una capacità di amare che lasciava tutti a boc- ca aperta», racconta mamma Carmela.

«Noi in napoletano dicevamo: “Chillù co- nosce i sentimenti”, perché nonostante fosse un bambino piccolissimo, davvero Francesco sapeva leggere nei cuori.

All’età di quattro anni il bambino inizia ad avere un dolore alla gambina. I geni- tori, allora, in preda alla preoccupazione consultano una gran numero di speciali- sti, fino al terribile responso: un tumore di circa 15 centimetri per cui la scienza non dà alcuna speranza di guarigione.

La situazione è di quelle in cui sembra

esserci una sola via: la disperazione. Ma poi- ché i disegni di Dio sono imperscrutabili,

accade che è proprio in questa dramma- tica circostanza che si manifesta in modo eccezionale l’Amore di Dio nella vita umile e nascosta di questo piccolo bambino na- poletano.

A margine di una difficilissima operazio- ne di 9 ore, in cui i medici dell’ospedale Santobono di Napoli, asportano il tumore, Francesco si sveglia e dopo aver detto alla mamma di sentirsi bene, indica subito il Rosario tra le mani di lei e sussurra deciso:

“Quello è mio”.

«Rimasi senza parole – spiega Carmela – anche perché io non avevo mai pregato prima di allora con mio figlio, tantomeno il Rosario. Quello lo tenevo tra le mani quasi per caso: me lo aveva dato mia sorella prima dell’operazione». Eppure, poco tempo dopo il bambino si rivolge nuovamente alla mamma così: “Mamma ti prego, facciamo le tante Ave Maria!”, Carmela comprende suo figlio solo quan- Un bambino di soli 4 anni e mezzo ci raggiunge e ci tocca

nel profondo del cuore. Francesco Pio viene a dirci che dob- biamo essere forti, che non è questo il tempo di lamentarci della vita, pur nelle sue durezze, ma è il tempo di rendere grazie al Signore perché il Suo Amore è infinitamente gran- de e vince la morte. Ogni morte, anche la tua.

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do lo vede sventolare in alto il Rosario con la manina. Cosa sta accadendo a quel bam- bino? Nessuno ancora può comprendere. Fatto sta che, da quel momento, il Rosario diventa il suo fedelissimo

compagno di viaggio, Francesco non lo abbandonerà mai più.

Ma il Rosaio di Maria è solo il principio di un cammino sorprendente che nel giro di soli tre mesi porta Francesco in Paradiso e conduce tutta la sua famiglia sulla via della fede e dell’abbandono alla Volontà di Dio.

«Vedendo come si comportava mio figlio di quattro anni, come affrontava la ma- lattia e la sofferenza – racconta Carmela –anche io iniziai a pregare sempre di più, a convertirmi dietro a lui. Devo essere sin- cera, io non pregavo per chiedere la gra- zia che mio figlio guarisse, ma ho sempre pregato perché si compisse la volontà di Dio».

Di “mamma adorata”, però, Francesco non ne aveva una sola. “Sempre più spes- so iniziò a parlarmi dell’Altra sua Mam- ma”, continua Carmela. “A volte lo vede- vo nel sonno che sorrideva beato con un volto luminoso, al risveglio mi raccontava di essere stato con l’Altra sua Mamma e mi raccontava: “Lei viene sempre da me, mi accarezza il viso e mi dice che starò bene”. Francesco diceva che Lei lo porta- va in un prato meraviglioso, con tanti altri bambini vestiti di bianco».

La Madonna con amore e discrezione porta Francesco direttamente tra le brac- cia di Suo Figlio Gesù. Un pomeriggio, in- fatti, dopo un esame, Francesco racconta

che nel macchinario della scintigrafia Gesù bambino gli aveva fatto compagnia e anche Lui, come “l’altra Mamma”, gli aveva detto che presto sarebbe stato bene. Piano piano, dai suoi racconti, si comprende che Gesù entra sempre più profondamente nella vita di Francesco, il quale inizia a vedere sensi- bilmente il Signore, con le fattezze di un bambino della sua stessa età.

Soprattutto è Gesù che lui invoca con for- za negli ultimi tempi e che si rende a lui presente, specialmente nei momenti di sommo dolore. Francesco per via del suo terribile tumore, infatti, aveva dei dolori fortissimi, ma non lo diceva mai. «Io me ne accorgevo – spiega Carmela - solo per- ché lo vedevo alzare gli occhi al cielo e sussurrare: “Gesù dove sei? Gesù aiuta- mi!”. Allora capivo che la sofferenza era grande ed anche i medici mi dicevano che non si spiegavano come un bambi- no così piccolo potesse sopportare dolori tanto forti, che avrebbero fatto ribellare chiunque. Allora gli chiedevo: “France- sco cosa ti fa male?”. “Niente mamma!

Adesso passa! Tu non ti preoccupare”. Mi ripeteva così e poi lo vedevo che all’im- provviso si calmava e il suo volto diventa- va luminoso. Francesco è stato veramente forte, ci ha insegnato che bisogna essere forti nella vita, ringraziare Dio per tutto e sorridere sempre». Francesco Pio è nato al Cielo il 27 febbraio 2018. La nascita al Cielo del bambino è stato il principio di una Vita Nuova. (Per saperne di più, Face- book: Francesco Pio – Apostolo di Maria e del Rosario)

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D: Il suo ruolo di responsabilità al Po- liclinico, cosa le ha insegnato nello specifico in questa pandemia?

Mi ha insegnato tante cose, come dico spesso. Ci ha insegnato che in ospedale, soprattutto durante la prima ondata, la cosa più importante, per aiutare e salvare le persone era correre più veloce del vi- rus, e, quindi, trasformare l’ospedale per renderlo più fruibile. Nella seconda e nel- la terza ondata, dove avevamo imparato grazie all’esperienza della prima, più che correre veloci era importante organizzarsi bene. Ma al di là di quello che è la par- te sanitaria, è quello che ci ha insegnato invece da un punto di vista umano e dei rapporti con gli altri è che siamo inesora- bilmente e inequivocabilmente tutti uniti e legati uno all’altro, per cui un atteg- giamento, un modo di comportarsi, un modo di fare impatta su tutti gli altri.

D: Come pensa che le istituzioni pos- sano recuperare il gap tra le nuove generazioni e le istituzioni? Che cosa si può fare visto che il nostro Arcive- scovo ha detto che siamo di fronte a una catastrofe educativa?

Io penso che le istituzioni ma anche l’o-

spedale stesso debbano cercare di coin- volgere i giovani. Il fatto di avere un ra- gazzo di diciotto anni mi aiuta a capire e comprendere di più il loro mondo, anche se io sono sempre rimasto legato al mon- do dei ragazzi e al loro modo di fare, di ragionare: quindi faccio meno fatica ad affrontare tutto questo, vedo che tanti colleghi e anche tanta parte politica forse fa un po’ più fatica e continua a ragiona- re come se il mondo fosse quello di tren- ta-quaranta anni fa. In realtà, sono cam- biate tante cose e bisogna aprirsi, capire, ragionare e coinvolgere i ragazzi, cercare di parlare il loro linguaggio. Poi nella fat- tispecie particolare dell’ospedale è com- plesso perché l’ospedale è un luogo di sofferenza, un luogo che i ragazzi perce- piscono - per loro che si sentono ancora

CURARE E CONSOLARE:

il Policlinico e la pandemia

Abbiamo il piacere di intervistare il Presidente della Fondazione IRCCS Ca’ Granda - Ospedale Maggiore - Policlinico di Milano, Dottor Arch. Marco Giachetti.

INTERVISTA CON…

di PADRE MASSIMO GIUSTOZZO OSA

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invincibili- lontano dalla loro mentalità, dal loro modo di essere. Abbiamo tanti ragazzi ricoverati e quando toccano con mano queste cose, si rendono conto che la vita può essere anche crudele, triste, brutta e quindi lì è il momento in cui puoi forse toccarli su qualcosa di utile, di coin- volgerli nell’aiutare anche i loro coetanei che abbiano delle difficoltà.

D: Alla luce di questa esperienza che cosa non va della sanità italiana?

Parlare di sanità italiana è un po’ com- plesso, perché è molto regionalizzata e quindi dipende molto da regione a regio- ne. Io sono convinto e sono un grande fautore dell’autonomia delle regioni nella gestione della sanità, che ciò che è più vicino al territorio, è sempre più effica- cie ed efficiente di ciò che è lontano e centralizzato. A livello nostro regionale, sicuramente quello che va migliorato è l’assistenza capillare sul territorio che è mancata, perché siamo arrivati a metà del guado di una riforma che non si è mai completamente attuata. Il tema della medicina territoriale è la sfida del futuro e che dobbiamo affrontarla per primi, per- ché abbiamo in Lombardia degli ospedali fantastici con dei medici e degli operatori sanitari incredibili. Andrebbero poi po- tenziate le risorse da destinare alla ricerca destinata alle scienze della vita che sono importantissime per la nostra salute e per il nostro futuro che sono sempre molto poche e spesso allocate senza una pro- grammazione mirata.

D: Quale uomo è stato curato in que- sta pandemia: quello biologico, il so- ciale o l’uomo spirituale?

Abbiamo cercato all’inizio, essendo la medicina una scienza, di curare l’uomo fisico dal punto scientifico come essere umano, come essere vivente, di garantir- gli di sopravvivere al virus: abbiamo se- condo me curato un po’ meno tutto l’al- tro aspetto, quello spirituale, dell’essere, quello psicologico. Il motto del nostro ospedale nell’800 che a me piace molto era “curare spesso, guarire qualche vol- ta, consolare sempre”. Questo, secon- do me, è una bella summa di quello che dovrebbe essere il ruolo della sanità: c’è la componente fisica ma anche la com- ponente psicologica che in questo caso è stata molto impattante, vuoi perchè ci ha costretti in casa, ci ha allontanato dal- la socializzazione e lascia degli strascichi con delle cicatrici enormi in chi è stato in terapia intensiva. Dovremmo anche pren- derci un po’ più in carico del “consolare sempre” che dovrebbe fare la differenza su una sanità che deve essere scientifica ma strettamente dipendente dalla cura della mente, dell’anima e della coscienza.

Devono andare sicuramente di pari passo perché una malattia ti lascia degli strasci- chi. Io lo dico sempre ai miei medici ed infermieri che un sorriso, una gentilezza spesso cura più di tante medicine, quindi li invito sempre ad avere un approccio più umano. La pandemia finirà sicuramente ma lascerà tante cicatrici a livello psicolo- gico. La crisi che inesorabilmente si aprirà da un punto di vista economico-finan- ziario impatterà moltissimo sul sociale e ancora una volta sulle persone. In futuro dobbiamo sempre piu’ lavorare in sim- biosi, in equipe di gruppo, avendo una visione più olistica della malattia che è più corretta. Abbiamo capito che non c’è

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INTERVISTA CON…

più il medico che ti cura solo l’appendici- te o ti cura solo il cuore: tutti si devono consultare insieme, in gruppi, in équipe, assolutamente multidisciplinare perché la salute dell’uomo è un insieme di elementi da considerare.

D: A questo punto parliamo di fede.

Non ce n’é una sola e visto che Mila- no è una città aperta a tutte le religio- ni e culture, ha potuto riscontrare tra i malati, se e come l’aiuto della fede ha avuto un influsso o meno?

Sicuramente. Io penso che ci siano decli- nazioni o metafore diverse per raccontare l’esperienza di Dio: Dio dovrebbe essere uno solo e poi declinato, a seconda dei luoghi in cui si vive, dei background cul- turali eccetera, secondo metafore diverse.

Io trovo che quella cristiana sia quella un po’ più azzeccata rispetto alle altre, però ritengo normale per quanto detto che Dio sia declinato in diversi modi.

Le nostre chiese dell’ospedale, quando è stato possibile frequentarle, hanno re- gistrato una presenza superiore: è stata così trasversale, universale la sofferenza e la paura per questa pandemia, che ci si è aperti anche per chi non crede tan- to a trovare una speranza ulteriore, un qualcosa che magari si è trovato e poi si è abbandonato finita la malattia, finito il momento di disperazione. Sicuramen- te come sempre nei momenti di grande sconforto la fede aiuta tanto ed è un’an- corà ulteriore di salvezza, di speranza e di visione futura.

D: All’inizio della crisi ogni uomo o donna erano più aperti a pensare che forse bisognava cambiare lo sti-

le di vita, rimettersi in discussione, si criticava un po’ lo stile occidentale, il modo con cui stiamo vivendo. Negli ultimi 6 mesi sembra ci sia la corsa all’oro, attraverso il vaccino, ma tutte le riflessioni che si erano fatte all’ini- zio sembrano abbandonate. Non tro- va che questa forse è la più grande sconfitta nei confronti della pande- mia?

Sono d’accordo perché all’inizio si è scrit- to e parlato tanto, tutti noi dicevamo che questa pandemia ci avrebbe cambiato tanto, tornando a vivere in armonia con noi stessi. Nei primi mesi, quando il lock- down era molto duro, abbiamo sicura- mente ragionato così: poi con la seconda ondata è cambiato tutto. I miei medici, infermieri che nella prima ondata erano stati giustamente considerati dei gran- dissimi eroi, nella seconda andata non lo erano piu’ dando tutto per scontato ed inondandoli di critiche assolutamente in- giustificate.

E’ cambiato davvero l’atteggiamento e ho notato, se possibile, una maggiore con- flittualità tra gli esseri umani post pande- mia. Lo vedo anche nei ragazzi, secondo me siamo, se è possibile, peggiorati sotto questo punto di vista: c’è molta più catti- veria, c’è forse molto più egoismo perché si tende a vedere forse che tutto può fini- re da un momento all’altro e allora voglio godere al massimo di quello che ho e ho paura che l’altro me lo porti via. Sicura- mente sono d’accordo con lei, che sia aumentata la conflittualità e sia diminuito questo senso di unione e di coesione. Io credo che solo insieme ci possiamo salva- re sanitariamente, umanamente e psico- logicamente.

(11)

S

ono quelle piccole briciole di luce, che compaiono una ad una nella notte ne- ra e la rendono bella, bella, più bella di un giorno di sole. Non solo quando siamo in campagna, in montagna, e se ne vedo- no a migliaia, ma anche quando siamo a Milano e dalla nostra finestra si vede so- lo un angolo di cielo e c’è l’inquinamen- to luminoso e di stelle se ne vedono solo tre o quattro. Ma sono belle, belle, belle lo stesso. Ed è bello guardarle.

Questa volta ho pensato di cercare qual- cosa per ringraziare anche in questo pe- riodo. L’ho fatto un po’ come si fa un esercizio, qualcosa in cui serve impegnar- si per riuscire. Ma è bello anche lasciarsi sorprendere e scoprire che qualche altra volta viene da sé. È un modo per guar- dare per una volta a quelle piccole cose di cui tutti parlano. Cose su cui spesso si passa sopra senza neanche pensarci. O anche riuscire a riconoscere i momenti in cui gli altri guardano alle piccole cose. E imparare da loro.

Stavo parlando con un amico, quando mi ha raccontato di come il rapporto con suo fratello minore fosse molto migliorato nei mesi di lockdown. È passato dall’essere il fratello maggiore, noioso e lontano, ad essere un amico.

Un altro amico mi raccontava di aver vi- sto l’importanza di festeggiare gli avve- nimenti felici. Se non c’è la possibilità di fare una vera festa di laurea, si potrà co-

munque festeggiare con qualche amico.

Ed è molto, molto più che non festeggia- re per niente.

Io ricordo di come il nonno mi abbia sor- riso l’ultima volta che l’ho visto, prima di andarsene. E La prima volta che sono an- dato a correre dopo non aver potuto far- lo per mesi.

Non perché bisogna sempre dire, per forza, che ogni periodo è un periodo positivo. O facile. Senza cercare di fa- re qualcosa di utile. Ma per guardare a quelle situazioni che ci rendono più uma- ni e che ci fanno sorridere quando le ri- cordiamo.

Inutili. Ma sorridenti.

PENSIERO GIOVANI

di ALESSANDRO SPALLETTI

PICCOLE GIOIE

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Foto della festa di S.RITA nel Santuario di Milano, 22 Maggio 2021

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Foto della festa di S.RITA nel Santuario di Milano, 22 Maggio 2021

(14)

L’

unità nella carità è il centro della vita agostiniana. La regola afferma: «Il mo- tivo essenziale per cui vi siete insieme riu- niti è che viviate unanimi nella casa e ab- biate una sola anima e un sol cuore protesi verso Dio» (Regola di Sant’Agostino, 3).

Questo frammento richiama un passo de- gli Atti degli Apostoli (At 4,32), al quale Agostino ha aggiunto «verso Dio» («in Deum»). Per il Vescovo di Ippona la comu- nità non è semplicemente un “condomi- nio”, una “coabitazione”, ma un gruppo di fratelli accomunati dal desiderio di ricer- care Dio, coinvolti in quella continua “ten- sione” che le nostre Costituzioni ribadi- scono con molta chiarezza: «Il fondamen- to della vita agostiniana è la vita comune, nella quale tutti i fratelli donandosi gli uni agli altri, costruiscono il cammino verso Dio, nel servizio di tutti e nella comunione del loro beni, perfezionando sé stessi col dono della grazia divina» (Cost., 6).

E ancora, «il fine dell’Ordine consiste nell’essere uniti concordemente in fra- ternità e amicizia spirituale, cercando e onorando Dio e lavorando al servizio del popolo di Dio» (Cost., 13).

È la norma delle Costituzioni che fa pre- cedere la preghiera e la dimensione con- templativa a qualsiasi impegno lavorativo, culturale o pastorale, perché la vita cristia- na può rinnovarsi ogni giorno e fiorire se la cura dell’interiorità e la lettura conti-

nua delle Sacre Scritture vengono prese come impegno primario e quotidiano (cfr.

Cost., 19).

In questi brevi richiami l’atteggiamento principale che viene richiesto è lo sguardo rivolto verso Dio, attraverso la via dell’in- teriorità, che trova il suo “manifesto” nel famoso passo del De vera religione 39,72:

l’appello accorato di Agostino a non la- sciarsi disperdere dagli allettamenti del mondo, per impegnarsi diligentemente a purificare il cuore ritornando in sé stessi:

«Non uscire fuori di te, rientra in te stesso;

la verità abita nell’uomo interiore».

La cura della propria interiorità è una re- sponsabilità che riguarda ogni fratello, quella condizione necessaria alla comuni- tà perché essa non si riduca a una sempli- ce coabitazione, ma diventi il luogo dove

«[…] emerge la comunione spirituale, senza la quale vale poco la comunione della coabitazione locale» (Cost., 28).

Quindi la preghiera personale autentica e la condivisione della fede sono le premes- se per vivere in un clima di amicizia in Cri- sto, di franchezza, dialogo e sana apertura mentale, per porre quelle condizioni che offrono la possibilità di vivere con libertà interiore e serenità (cfr. Cost., 29-30).

Agostino insiste tante volte su questo pun- to. La motivazione principale che lo portò a fondare la comunità di Tagaste e a con- tinuare l’esperienza della vita comune an-

di PADRE GIUSEPPE CACCIOTTI O.S.A.

SANT’AGOSTINO

L’UNITÀ NELLA CARITÀ

Uno sguardo sulla spiritualità agostiniana

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che dopo l’ordinazione episcopale, emer- ge chiaramente dalle sue parole: «Non voglio magnificare il Signore da solo, non voglio amarlo da solo, non voglio abbrac- ciarlo da solo» (Esp. ps., 33,d.2,6). E anco- ra: «Orsù, fratelli, fate vostra la mia avidi- tà, partecipate con me a questo desiderio;

amiamo insieme, insieme bruciamo per questa sete, insieme corriamo alla fonte di ogni conoscenza. Aneliamo perciò come il cervo alla fonte» (Esp. ps., 41,2).

Queste parole, piene di slancio e passio- ne, non devono ingannarci. Il vescovo di Ippona più volte dovette confrontare i suoi ideali con la mediocrità della realtà, con quelle carenze che egli stesso confes- sò apertamente. In un passo della Lettera 78, non pretende che la sua comunità sia migliore dell’arca di Noè, né della casa di Abramo, né della comunità degli aposto- li riuniti intorno a Gesù: «Come difficil- mente ho incontrato nel mondo perso- ne migliori di quelle che avevano fatto progressi spirituali nei monasteri, così non né ho trovate peggiori di quelle che nei monasteri avevano tradito la propria vocazione» (Lett, 78,8-9). Gli stessi sen- timenti emergono nei toni severi di un al- tro passo: «Non potranno quindi abitare in vita comune se non coloro che hanno perfetta la carità di Dio. Coloro che non posseggono la perfezione della carità di Cristo, una volta riuniti insieme, non mancheranno di odiarsi e di crearsi delle molestie, saranno turbolenti e propaghe- ranno agli altri la propria irrequietezza, né ad altro baderanno che a captare di- cerie sul conto di terzi. Saranno come un mulo indomito, attaccato al carretto. Non

solo non tirerà, ma a furia di calci lo scon- quasserà» (Esp. ps., 132,12.).

Il possesso della perfetta carità è delle persone semplici, di coloro che hanno un cuore indiviso, che non si lasciano dissi- pare perché tendono all’unità interiore, a quell’unità che li fa essere monaci, anche lì dove c’è tanto rumore e degrado, an- che quando il tempo è segnato da avver- sità come la presente pandemia.

I valori della preghiera costante, della so- brietà, della frugalità, dell’umiltà, dell’ac- coglienza, dell’interiorità, della prepara- zione culturale, della cura degli ambienti comuni e dell’apostolato, sono le nostre

“radici” da cui trarre linfa per una testi- monianza di vita autentica e attrattiva, costituita intorno alla “radice” principa- le, quella della carità, da cui dipende l’u- nità tra i fratelli, l’unità che ci custodisce da tutte quelle amarezze che potrebbero disperderci.

Agostino ne era consapevole e scrivendo a Girolamo, ribadìl’importanza dei fratel- li, della loro vicinanza, dell’unità che li cu- stodisce: «Ti confesso che trovo quanto mai naturale abbandonarmi interamen- te all’affetto di tali persone, soprattutto quando sono oppresso dagli scandali del mondo: nel loro cuore trovo riposo sce- vro di preoccupazione essendo persuaso che in esso c’è Dio» (Lett, 73,10).

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Il Diacono Vincenzo Di Martino, testimone di vita attiva

La

comunità religio- sa agostiniana ha vissuto, nei giorni successivi alla Santa Pasqua, la chiamata al Padre del Diacono Vincenzo Di Martino, che per tanti anni ha contribuito al soste- gno delle necessità pastorali e liturgiche del Santuario di San- ta Rita. Il ricordo del particolare servizio è divenuto una testimo- nianza della fede che Padre Francesco Maria Giuliani ha consegna- to alla comunità dei fedeli con calde parole di commiato, nell’o- melia della Santa Mes- sa funebre presieduta dal Vicario episcopale Mons. Carlo Azzimon- ti lo scorso 15 aprile.

Dentro alla disponibili- tà e alla responsabilità delle attività ecclesiali, è emersa la personali- tà di un uomo pratico,

in grado di accomodare tante questioni com- plesse della vita quoti- diana della parrocchia, partendo dalla fiducia nella Grazia di Dio. Uno dei privilegi di questa disposizione d’animo, emerso dalle parole del Parroco, è poter rende- re meno gravoso e più ricco il percorso dei re- ligiosi e di tutta la co- munità dei fedeli. In questo tratto di fiducia, sono state ricordate le parole del Vangelo di Giovanni, nell’incontro tra Gesù e Nicodemo.

Nel passo (Gv. 3, 1-13), il Signore rammenta a un maestro d’Israele cosa significhi vedere il Regno di Dio, nascendo una seconda volta, dal- lo Spirito. Si tratta di un percorso che permette di assecondare e realiz- zare ciò che Dio vuole.

Gesù ammonisce sul- la comprensione delle

IL SANTUARIO

di PAOLO MASCIOCCHI

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questioni concrete in questa dimensione su- periore dato che, per testimoniare la real- tà celeste, ha inteso parlare anche di cose terrene, così da invita- re tutti a partecipare coscientemente della vita nello Spirito, con lo sguardo sulla realtà.

Ecco allora che nella propensione naturale e spirituale di Vincenzo Di Martino al contribu- to pratico, il Parroco ha

riconosciuto l’ammonimento di Gesù a rendere giustizia in ciò che è visibi- le, già guardando oltre. In tal senso la testimonianza del Diacono del Santua- rio è stata preziosa, dato che era votata a far sì che tutto fosse pronto, acco- gliente, degno della sacralità, laddove chiamato a dare il proprio contributo.

Ciò accadeva sia nell’organizzazione delle attività liturgiche e pastorali del calendario parrocchiale, sia nella cate- chesi e nella dimensione più raccolta del dialogo comunitario. Con una certa commozione, è stato ricordato anche il desiderio di Vincenzo, uomo concreto, di parlare talvolta con insistenza dottri- nale delle cose celesti, della Trinità, dei risvolti ultimi della presenza di Dio nella vita. Questi aspetti, non così immediati da cogliere tra le qualità organizzative tanto apprezzate dalla comunità, erano dunque la conseguenza di un preciso percorso di fede. Da questi dettagli si

comprende la ragione di una certa ri- servatezza manifestata sulle questioni di salute, negli ultimi giorni, quasi a non voler interferire sulla continuità di un giusto rapporto con coloro ai quali era solito dar conto di attività e soluzioni.

Per indole di servizio, la salute diveniva affare di Dio e di quell’ultimo tratto da condividere solo con Lui nel personale calvario. E si comprende allora anche la ragione dell’affidamento finale, in una preghiera personale composta dal Dia- cono pochi giorni prima della chiama- ta, perché anche la debolezza potesse divenire un dono da offrire (S. Paolo, 2 Cor.12). La comunità è grata di questa testimonianza: possa il Signore riempi- re il cuore dei fedeli e dei familiari del nostro Diacono, per guardare al mondo nascendo dallo Spirito, rammentando quanto sia gradita a Dio la vita attiva nel servizio, e per i frutti spirituali che essa può concedere ogni giorno.

(18)

La

Riforma del Terzo Settore, avviata nel 2016, procede, seppur lenta- mente, verso la sua piena attuazione; ciò significa che con tutta probabilità nei prossimi mesi saranno operative le nuove regole destinate a delineare non soltanto un nuovo assetto organizzativo, ma an- che la disciplina fiscale e contabile degli enti che operano nel bellissimo mondo del volontariato e dell’associazionismo in genere.

L’impostazione di fondo della Riforma è sostanzialmente condivisibile in quan- to è tesa al pieno raggiungimento di alcuni principi-chiave che governano la vita associativa, come la democraticità dell’ente, l’apertura all’ingresso di nuo- vi associati che condividano le finalità dell’associazione e si impegnino a contri- buire al loro perseguimento, la necessità che sia sempre salvaguardata la preva- lenza dell’apporto dei volontari rispetto ai lavoratori dipendenti, la trasparenza contabile e la correttezza sotto il profilo tributario delle attività svolte.

Un ulteriore aspetto in merito al quale non solo gli amministratori dell’associa- zione ma anche gli stessi associati sono chiamati a una riflessione preventiva at- tiene al corretto inquadramento delle attività sotto il profilo giuridico, contabile e fiscale: se l’ente decide di promuove-

re una campagna di raccolta fondi nella piazza del paese, offrendo beni di modi- co valore in che termini si può parlare di un’attività istituzionale, esente da tassa- zione, e non piuttosto commerciale? La legge incentiva tali attività, purché svolte entro determinati limiti.

Tali scelte dovranno di conseguenza riflet- tersi in una rendicontazione idonea a far comprendere sia all’interno dell’associa- zione che all’esterno l’attuale situazione economica e finanziaria in cui versa l’ente.

Il tutto assumerà un significato ancor più importante con l’avvento del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUN- TS), che a quanto pare dovrebbe essere operativo già nelle prossime settimane:

almeno, questo è l’auspicio di tutti. L’i- scrizione al Registro – che sarà gestito a livello regionale – di per sé non è obbli- gatoria, ma rappresenta comunque una condizione per poter usufruire: 1. del- le agevolazioni fiscali di favore riservate dallo Stato agli enti non commerciali, e quindi anche del regime forfettario intro- dotto dalla Riforma; 2. del beneficio del cinque per mille dell’Irpef; 3. del nuovo regime di detrazioni e deduzioni ricono- sciute ai soggetti – sia privati sia imprese e società – che effettuano erogazioni li- berali destinate ad essere impiegate per il raggiungimento delle finalità istituzionali.

La RIFORMA

del TERZO SETTORE

IL PUNTO SULL’ECONOMIA

di STEFANO MAZZOCCHI

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LA BELLEZZA CHE NON PASSA

di MARIA ANGUISSOLA

Si

festeggia il 22 agosto la solennità della Beata Vergine Maria Regina, un’occasione di grande consolazione per noi figli che viviamo nel mondo, perché partecipiamo nella gioia al destino più bello e insperato che sia mai stato riserva- to ad una creatura.

È una festa che ci riguarda tutti, perché dà profondità e dignità a tutta la nostra vita e ci tocca tanto più intimamente quan- to più conosciamo nelle vicissitudini della nostra esistenza la bellezza della mater- nità di Maria. Come sappiamo, essa non è esclusivamente limitata al Figlio, ma si è estesa sotto la Croce a tutto il Corpo mistico, cioè a tutti noi.

Madre dei viventi, Madre di Misericordia, è Lei che restituisce con amore ogni pri- vilegio ricevuto per i meriti del Suo Figlio e a noi, figli e figlie sue, si dona intera- mente.

Secondo il disegno di Dio, tutte le grazie ci vengono elargite attraverso la sua in- tercessione, perché possiamo procedere sul nostro cammino di salvezza.

È lei che ci protegge, è Lei che ci rallegra, è Lei che non ci abbandona e ci segue passo passo: sotto il suo sguardo amore- vole è bello vivere ed è bello contemplar- la, pensando che anche noi siamo attesi al fine della nostra vita dall’abbraccio del- lo Sposo.

Misteriosamente Maria ci rende lieti e col- mi di ogni grazia, ci sostiene anche nel

dolore quando nelle difficoltà e nelle si- tuazioni più intricate e tristi, scopriamo dentro di noi un cuore di bambino che canta il Magnificat.

Non è una letizia superficiale, ma è un fiu- me profondo e possente che ci conferma nella fede: Dio fa nuove tutte le cose e possiamo rinascere, possiamo conoscere un ritorno alla vita proprio quando tutte le vie appaiono sbarrate.

In modo particolare, in quest’anno critico per quanto riguarda la speranza, anno di grande stanchezza e smarrimento, anno in cui non avremmo che da affliggerci stando alla logica del mondo, vogliamo farci attraversare dallo sguardo pieno di Amore di questa nostra Madre e imparare da Lei a confidare, ad attendere e a custo- dire nel nostro cuore domande e desideri.

Con sovrabbondante grandezza, Dio dà compimento ad ogni promessa, ci colma di ogni bene, ci cerca, si prende cura di noi e accoglie i nostri atti d’amore mol- tiplicandone la portata e l’estensione a dismisura.

Ma ora lasciamoci condurre dalla sensi- bilità di un pittore salernitano del XV se- colo, Pietro Befulco, ammirando la rap- presentazione della Incoronazione della Vergine custodita a Milano nella Chiesa di Santa Maria Segreta.

Nel fuoco dello Spirito Santo la mano di Dio Padre e le mani del Figlio posano la corona sul capo della Madonna, che della

Maria Regina del Cielo e della Terra

(20)

Santissima Trinità è Sposa, Madre e Figlia:

Sposa dello Spirito Santo, Madre del Fi- glio, Figlia del Padre Celeste.

Il suo volto splendente d’Amore è posto al centro di tutto il dipinto così come ognu- no di noi è al centro del Cuore di Dio.

Donaci o Signore lo sguardo profondo di

chi sa scorgere i segni del Tuo Amore, la tenacia di chi li cerca e li raccoglie come perle preziose, la generosità d’animo di chi li custodisce per offrirli agli smarriti di cuore! Donaci di saper assomigliare alla Nostra Madre, nata per amare, nata per servire, nata per donare tutto di sé!

“al Re piacerà la tua bellezza”

“Maria da parte sua serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”

LA BELLEZZA CHE NON PASSA

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I GIOVANI DI SANTA RITA

di COSTANZA SIGNORELLI

LA CARITÀ

È UN CUORE VIVO A

ccade che, tra quelli di Santa Rita a

Milano, un gruppo di ragazzi sulla ventina, da qualche mese, si reca ogni mercoledì sera nelle vie appresso al Duo- mo. Non ci vanno, come al solito, per una birretta e un po’ di svago, ma per incon- trare i senza-tetto che su quelle vie del centro hanno costruito nottedì la loro di- mora, fatta di coperte e qualche pezzo di cartone.

Divisi in piccoli gruppi e sparsi su percorsi differenti, i giovani portano ai bisognosi beni di prima necessità: cibo, indumenti e qualche bevanda per ristorarsi. Ma spesso capita che gli offrano la loro stessa com- pagnia, ascoltando i racconti di un’uma- nità ferita ancor prima nel cuore, che nel portafoglio.

«Devo ammettere che la cosa mi stupi- sce» - racconta padre Marco, il sacerdote agostiniano che segue i ragazzi nel per- corso. «Mi è capitato di fare diverse pro- poste educative ai ragazzi, ma in questa riconosco che è scattato un interesse ed una fedeltà particolari. È un momento che unisce ragazzi anche molto diversi tra loro».

Ed è proprio parlando con i ragazzi che si scopre il perché. «Il primo giorno sono rimasto scioccato!», racconta Andrea.

«Non solo perché ho visto tanta povertà che non immaginavo, ma ancor di più

perché ho visto che quei poveri si aiuta- no tra di loro, fino a donarsi, nel bisogno, tutto il poco che hanno! Allora mi sono domandato: perché loro che non hanno nulla sono capaci di condividere tutto ed io che ho molto, con i miei amici, non lo faccio?». Evidentemente Andrea non par- la solo di uno scambio di beni materiali tra i senza-tetto, ma fa cenno ad una condi- visione della vita che in fondo è ciò che desidera per sé.

Gli fa eco Matteo che sottolinea: «A vol- te sembra quasi che il cibo sia una scusa che loro hanno per poter parlare con noi...

Sembra che più di tutto, quei poveri ab- biano bisogno di compagnia, di un con- forto, di qualcuno che li ascolti».

Poco dopo, qualcosa di simile, la ripete anche Giacomo che senza giri di parole confessa: «Se fossi da solo non andrei, ma il fatto che man mano, aiutando i poveri, si sta creando un gruppo di amici, è la vera ragione che mi spinge ad andare sempre».

Orsola invece racconta che l’urgenza di aiutare i bisognosi è nata in lei sin da bam- bina: «Quando ero piccola mia madre, pri- ma di dormire, mi diceva sempre questa frase: “Casa dolce casa, letto dolce letto”.

Ed io ho sempre pensato: e chi il letto non ce l’ha?».

Dai diversi racconti, diviene sempre più chiaro che l’incontro con i senza-tetto è

(22)

I GIOVANI DI SANTA RITA

un momento in cui i ragazzi scoprono loro stessi: il bisogno del povero, sfacciato e dirompente, diventa lo strumento più pre- zioso per mettere a nudo i loro veri biso- gni, spesso nascosti. E lo scambio di beni materiali diventa il trampolino per giunge- re a qualcosa di più profondo che vive in loro.

Ma soprattutto, è entusiasmante vedere come in questo “gioco di carità” e “po- vertà”, è il Signore che opera e che, pia- no-piano, allarga il cuore di questi ragazzi, in cui Lui stesso desidera entrare. E’ Lui, infatti, il vero mendicante della storia, che desidera ardentemente il loro cuore, il cuore di ogni uomo, e fa di tutto per conquistarlo.

DIO E’ CARITA’

C’è una santa che questo segreto l’ha capito alla perfezione e avendo accolto l’Amore di Dio nel suo cuore è diventata un gigante della Carità, aiutando milioni di uomini e donne ad uscire dalla miseria, del corpo e dell’anima.

Madre Teresa di Calcutta, in un bellissi- mo dialogo del 1968 con il card. Angelo Comastri, allora neo sacerdote, ci rivela il cuore della carità cristiana: accogliere Dio dentro di sé, per donarlo al mondo.

***

«Quante ore preghi al giorno?», chiese Madre Teresa al giovane.

Il sacerdote un po’ imbarazzato rispose:

«Madre, celebro ogni giorno la Santa Messa, recito ogni giorno il breviario. Re- cito anche ogni giorno il Rosario e lo fac- cio volentieri perché l’ho imparato da mia madre».

Madre Teresa strinse nelle sue mani rugose la corona del rosario che portava sempre con sé. Poi fissò il sacerdote con i suoi oc- chi pieni di Luce e di Amore e disse: «Non basta, figlio mio! Nell’amore non si può vivere al minimo indispensabile: l’amore esige il massimo!».

Il sacerdote allora, quasi per giustificarsi, replicò: «Madre, da lei mi aspettavo che mi chiedesse: quanta carità fai?».

All’improvviso il volto di Madre Teresa si fece molto serio e con una voce decisa disse: «E tu credi che potrei fare la cari- tà se non chiedessi ogni giorno a Gesù di riempire il mio cuore d’amore? Credi che potrei andare per le strade a cercare i po- veri se Gesù non comunicasse il fuoco del Suo Amore alla mia anima?».

Poi scandendo bene ciascuna parola, ag- giunse: «Leggi il Vangelo: Gesù per la preghiera sacrificava anche la carità! E sai perché? Per insegnarci che, senza Dio, sia- mo troppo poveri per aiutare i poveri!».

***

Così parlava una Santa che ha consumato la vita per poveri. Madre Teresa, tra i suoi poveri, ha imparato ad essere la più po- vera e così ha permesso a Dio di renderla talmente ricca e potente da cambiare il mondo. Questo è il nostro augurio per i ragazzi della caritativa di Santa Rita e, con loro, per tutti noi!

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FILM/ TI CONSIGLIO

di MARINA LOCATELLI

NOMADLAND P

iano piano le attività stanno riaprendo

e finalmente si pensa anche ai luoghi di cultura e quindi musei, teatri e cinema. A me mancavano cinema e mostre. Guardavo in televisione i vari trailer dei film per decide- re con quale iniziare e sono stata attirata da un volto, da uno sguardo quello di Frances Mc-Dormand, volto rugoso, intenso, malin- conico e nello stesso tempo dolce, che nel film Nomadland interpreta Fern. Non mi ha spinto alla visione il fatto che il film avesse vinto il Leone d’Oro né che avesse vinto l’O- scar ma quel volto mi attirato.

Nomadland è la storia di una donna di mezz’età che dopo la morte del marito e la chiusura della fabbrica, che teneva viva Empire la città in cui viveva, decide di viaggiare per gli stati americani con un piccolo van dove carica tutte le cose che per lei hanno ancora un significato, come un vecchio piatto che gli regalò il padre per la sua maturità. Fern non è nomade per scelta consapevole, ma per necessità.

Alla domanda di una sua ex-alunna che le chiede se è una senza tetto risponde no è una “senza casa” che non è la stessa cosa.

Quando si rivolge agli uffici del lavoro che le propongono la pensione anticipata ri- sponde: “No, voglio lavorare a me piace la-

vorare!”. In questo viaggio, dove si sposta per lavorare seguendo la stagionalità dei lavori (Amazon, la raccolta delle barbabie- tole ecc) incontra una comunità di persone come lei che hanno fatto la scelta di una vita di precarietà, di miseria, ma a contatto con la natura e con il proprio essere. Un gruppo di persone che nella loro precarietà, nella loro miseria si fanno comunità e soste- gno gli uni per gli altri. Fern lavora sempre, si prende cura delle cose e delle persone che incontra anche se mantiene come un distacco affettivo per non rischiare la stan- zialità il ritorno ad una vita scandita dagli altri e non dal suo essere e il suo bisogno.

Fern non parla tanto, ma il suo volto tra- smette tutte le emozioni che vive. La foto- grafia del film, le inquadrature i primi piani dei volti dei personaggi è emozionante. E’

un film, che ti fa pensare, che ti porta in un viaggio in un mondo interiore in continua lotta con un presente provocante. E credo che in questo tempo di pandemia, tutti noi chi più che meno abbia fatto questo viag- gio, magari seduti sul proprio divano, alla ricerca del senso della nostra vita e del re- ale valore delle cose. Chi più chi meno in questo tempo ha scoperto in cosa si trova l’essenzialità della propria vita.

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Riferimenti

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