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Sud. Vitangelo Ardito Vincenzo Bagnato Ivo Caruso. Ciranna Salvatore Damiano Valerio De. Simonetta. Caro Nicoletta Faccitondo Matteo Iannello Alberto

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S u d 3|2020

Edizioni Quasar Vitangelo Ardito · Vincenzo Bagnato · Ivo Caruso Simonetta Ciranna · Salvatore Damiano · Valerio De Caro Nicoletta Faccitondo · Matteo Iannello · Alberto Lanotte · Stefania Liuzzi · Francesco Maggio · Giovanna Mangialardi · Francesco Martellotta · Nicola · Martinelli Carlo Martino · Vincenzo Maselli · Walter Mattana Ludovico Micara · Patrizia Montuori · Johan Nielsen · Kris Scheerlinck · Yves Schoonjans · Giulia Spadafina Pietro Stefanizzi · Leonardo Rignanese · Giuseppe Tupputi

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Gli articoli pubblicati nella Rivista sono sottoposti a referee nel sistema a doppio cieco.

Quaderni di Architettura e Design

Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura – Politecnico di Bari

www.quad-ad.eu Direttore Gian Paolo Consoli

Responsabile scientifico della Sezione Design Rossana Carullo

Caporedattore Valentina Castagnolo

Comitato scientifico

Giorgio Rocco (Presidente), Antonio Armesto, Salvatore Barba, Michele Beccu, Vincenzo Cristallo, Daniela Esposito, Riccardo Florio, Angela Garcia Codoner, Maria Pilar Garcia Cuetos, Roberto Gargiani, Imma Jansana, Loredana Ficarelli, Fabio Mangone, Nicola Martinelli, Giovanna Massari, Dieter Mertens, Carlo Moccia, Elisabetta Pallottino, Mario Piccioni, Christian Rapp, Raimonda Riccini, Augusto Roca De Amicis, Michelangelo Russo, Uwe Schröder, Fani Mallochou-Tufano, Claudio Varagnoli

Comitato Editoriale

Roberta Belli Pasqua, Francesco Benelli, Guglielmo Bilancioni, Fiorella Bulegato, Luigi Maria Caliò, Rossella de Cadilhac, Fernando Errico, Federica Gotta, Francesco Guida, Gianluca Grigatti, Luciana Gunetti, Matteo Ieva, Massimo Leserri, Monica Li- vadiotti, Anna Bruna Menghini, Giulia Annalinda Neglia, Valeria Pagnini, Beniamino

Polimeni, Gabriele Rossi, Rita Sassu, Lucia Serafini Redazione

Mariella Annese, Tiziana Cesselon, Nicoletta Faccitondo, Antonello Fino, Antonio Labalestra, Domenico Pastore

Anno di fondazione 2017

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Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l., via Ajaccio 41-43, 00198 Roma (Italia) http://www.edizioniquasar.it/

ISSN 2611-4437 · eISBN (online) 978-88-5491-096-6 Tutti i diritti riservati

Come citare l’articolo:

Matteo Iannello

Architettura e riforma scolastica nel Cantone Ticino

L’istituzione della scuola media unica nei progetti di Livio Vacchini, Aurelio Galfetti e Mario Botta

Matteo Iannello, Architettura e riforma scolastica nel Cantone Ticino. L’istituzione del- la scuola media unica nei progetti di Livio Vacchini, Aurelio Galfetti e Mario Botta, QuAD,

3, 2020, pp. 143-161.

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Editoriale Gian Paolo Consoli

Architettura

7

Paesaggi e città del Sud. Identità e contraddizioni Ludovico Micara

Festìna lente. Tradizione e innovazione architettonica in Terra di Bari tra xvi e xviii secolo

Alberto La Notte

Il Moderno e la Provincia. Riflessioni grafiche su uno spazio mai nato: la Casa del Balilla di Luigi Moretti a Bitonto

Salvatore Damiano

La Marsica nel Novecento. Trasformazione, marginalità e sperimentazione

Simonetta Ciranna, Patrizia Montuori 13

29

51

71

Sommario

3|2020

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Quaderni di Architettura e Design 3|2020

89 109

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177 193

209

229

243

Una dama dell’architettura a Palermo Francesco Maggio

In forma di sfinge. L’ossario di Barletta e gli spomenik jugoslavi: tra identità locali e linguaggi universali Giuseppe Tupputi

La lingua autentica e la lingua straniera. Le origini dell’architettura di Aris Konstantinidis

Vitangelo Ardito

Architettura e riforma scolastica nel Cantone Ticino.

L’istituzione della scuola media unica nei progetti di Livio Vacchini, Aurelio Galfetti e Mario Botta

Matteo Iannello

Dispositivi sul margine. La soglia in alcune opere di Umberto Riva nel contesto meridionale

Nicoletta Faccitondo

La lentezza come valore della temporalità Valerio De Caro

South going North. Designing for communities, from Santiago-de-Chile to Ljubljana

Johan Nielsen, Kris Scheerlinck, Yves Schoonjans

Abitare la Puglia. Criticità e sfide per nuovi modelli abitativi nel Mezzogiorno

Giovanna Mangialardi, Nicola Martinelli, Giulia Spadafina

Terra cruda e scarti agricoli. Materiali edili efficienti made in Puglia

Stefania Liuzzi, Francesco Martellotta, Pietro Stefanizzi

Recensioni

La cultura dello spazio urbano. I saperi dell’urbanistica tra Italia e Francia

Leonardo Rignanese

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Sommario 3|2020

Design

Gio Ponti e il design spagnolo. La modernità “a Sud” negli anni ’50 e ’60 tra Italia e Spagna

Vincenzo Bagnato

Sud come Nord. Il Meridione nel cinema industriale degli anni Sessanta

Walter Mattana

African Design Wave. Paradigmi estetici, materici e identità di un Sud glocale

Ivo Caruso, Carlo Martino, Vincenzo Maselli 253

273

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Architettura e riforma scolastica nel Cantone Ticino

L’istituzione della scuola media unica nei progetti di Livio Vacchini, Aurelio Galfetti e Mario Botta

Matteo Iannello

Archivio del Moderno | USI - [email protected]

The school architecture in Cantone Ticino has been the focus of a wide renovation programme from the post-war period onwards and until the end of the 1970’s. It symbolized a testing ground and a privileged field of action for an entire generation of young architects. They were willing to compare, even through competitions, on a design theme that pushed new ideas providing a wide margin of expe- rimentation architecturally speaking. In a context where the interlocutors are hygienist, pedagogues, pediatricians, child psychologists and according to an approach that will be more and more interdisci- plinary, the architects have the role of responding to the community and teaching needs that were de- veloping, after a long gestation, even in the small region at the south of Switzerland. The school archi- tecture in Ticino is very broad and complex both for quality and quantity. We would like, therefore, to focus on the reform programme initiated following the adoption of the law regarding the establishment of the Scuola Media Unica (SMU) evaluating the result through the two most significant example:

the Scuola Media in Losone (1972-1974) and the Scuola Media in Morbio Inferiore (1972-1977).

Dal dopoguerra in poi e fino alla fine degli anni Settanta del Novecento, l’architettura scolastica nel Cantone Ticino è stata al centro di un vasto programma di rinnovamento, rappresentando un banco di prova ed un campo di azione privilegiato per un’intera generazione di giovani architetti dispo- sti a confrontarsi - anche attraverso la pratica del concorso - su un tema progettuale che sollecitava nuove soluzioni e offriva, proprio dal punto di vista architettonico ed espressivo, ampio margine di sperimentazione. In un contesto in cui gli interlocutori sono igienisti, pedagoghi, pediatri, psicolo- gi dell’infanzia - secondo un’impostazione che assumerà progressivamente un carattere sempre più interdisciplinare - gli architetti hanno il ruolo di rispondere attraverso il progetto a quelle nuove istanze didattiche e comunitarie che si stavano affermando, dopo lunga gestazione, anche nel piccolo Cantone a sud della Svizzera. Nell’ambito di un panorama articolato e complesso, per quantità e qualità, come quello relativo all’architettura scolastica in Ticino, vogliamo qui puntare l’attenzione sul programma di riforma avviato in seguito all’approvazione del nuovo disegno di legge sull’istitu- zione della Scuola media unica (SMU) e valutarne gli esiti attraverso due tra gli esempi più signifi- cativi: la scuola media di Losone (1972-1974) e la scuola media di Morbio Inferiore (1972-1977).

Keywords: Swiss architecture, Cantone Ticino, school architecture, teaching method, history of architecture

Parole chiave: Architettura svizzera, Cantone Ticino, architettura scolastica, metodo didattico, storia dell’architettura

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Dal dopoguerra in poi e fino alla fine degli anni Settanta del Novecento, l’architettura scolastica nel Cantone Ticino, la regione più a sud della Svizzera, è stata al centro di un vasto programma di rinnovamento, rappresentando un ban- co di prova ed un campo di azione privilegiato per un’intera generazione di gio- vani architetti disposti a confrontarsi – anche attraverso la pratica del concorso – su un tema progettuale che sollecitava nuove soluzioni e offriva, proprio dal punto di vista architettonico ed espressivo, ampio margine di sperimentazione.

L’analisi di un ambito articolato e complesso come quello connesso all’ar- chitettura scolastica – in cui coesistono cultura storica (politica ed economica), storia della pedagogia e storia dell’architettura e del progetto – offre la possibi- lità di considerare l’architettura nel Cantone Ticino da un angolazione certa- mente parziale ma allo stesso tempo, e proprio per la sua complessità, capace di inserirla all’interno del più ampio ambito europeo e internazionale, individuan- done modelli di riferimento e originalità dei singoli apporti1.

In un contesto a vocazione interdisciplinare, in cui gli interlocutori sono igienisti, pedagoghi, pediatri, psicologi dell’infanzia2, gli architetti hanno il compito di rispondere attraverso il progetto a quelle nuove istanze didattiche e comunitarie che si stavano affermando, dopo lunga gestazione, anche nel picco- lo Cantone3. In generale, per dirla con le parole di Aurelio Galfetti: «Le scuole costruite in Ticino tra il 1950 e il 1980 sono frutto di un incontro, in un mo- mento particolarissimo, di molte energie e, in particolare, di due pulsioni molto diverse tra loro ma convergenti verso un obbiettivo comune: quello di rinnovare e migliorare la qualità dell’insegnamento»4. Questi obiettivi avranno modo di concretizzarsi, in particolare, attraverso la progettazione delle scuole dell’infan- zia e della scuola media unica5.

Impulso determinante allo sviluppo della moderna edilizia scolastica è dato da Alfred Roth con la pubblicazione del volume The new school / Das neue Schulhaus / La nouvelle école6. L’opera, edita nel 1950, viene ristampata negli anni seguenti con aggiornamenti e integrazioni a testimonianza della grande fortuna critica che la accompagnerà non solo tra gli architetti svizzeri. Si trat- ta di un vero e proprio vademecum di riferimento per architetti, pianificatori, autorità scolastiche e politiche, enti promotori di concorsi e giurie, dal quale trarre le soluzioni tecniche e spaziali necessarie per mettere a punto delle nuove tipologie scolastiche7. Ma c’è di più; il volume di Roth porta con sé una nuova idea di educazione e di architettura il cui sviluppo avviene ora in maniera pa- rallela, rappresentando una missione etica, estetica e funzionale allo stesso tem- po: l’educazione come strumento di progresso umano e sociale si coniuga con l’architettura che diventa il mezzo per tradurre costruttivamente questo nuovo modello sociale.

Tutti temi che Roth declina da par suo e sintetizza nel terzo e conclusivo capitolo del suo libro il cui intento è evidente fin dal titolo: The importance of physical environment for the aesthetic and moral education of youth. Scrive Roth:

«Education and life must be considered as one whole; The moral behaviour of

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man is the main goal of education; Aesthetic education is a necessary premise to moral education; Aesthetic education means visual education through the medium of beautiful things»8.

Se il nuovo programma scolastico aveva offerto agli architetti svizzeri della cosiddetta “avanguardia” «l’agognata possibilità di saldare finalmente una rela- zione con il mondo della scienza e della tecnica»9, dagli anni Cinquanta in poi la necessità di costruire un importante numero di nuove scuole per far fronte alla carenza di strutture e al progressivo aumento degli studenti10, unitamente alla necessità di dare forma compiuta ai nuovi programmi di riforma didattica, costituisce quel campo d’azione che Bruno Reichlin ha paragonato ad una vera e propria palestra:

Dal dopoguerra in poi, par lecito affermare, l’edilizia scolastica ha costituito la grande palestra dove si è formata, esercitata e confrontata l’architettura svizzera, in quei tornei che sono i concorsi d’architettura; dove, tra primi premi, mandato d’esecuzione, classifiche, segnalazioni, si venivano a definendo carriere e filiere, famiglie e cani sciolti in quel grande agone che rappresenta la professione d’ar- chitetto11.

Una “palestra” progettuale sostenuta, nel Ticino, dalle politiche del Dipar- timento della Pubblica Educazione12 che, su sollecitazione di Rino Tami13, pri- mo maestro dell’architettura ticinese, sarà campo d’azione per i più giovani ar- chitetti: Mario Botta, Mario Campi, Giancarlo Durisch, Aurelio Galfetti, Flora Ruchat-Roncati, Luigi Snozzi, Livio Vacchini, tutti impegnati a più riprese nello studio e nell’elaborazione dei nuovi complessi scolastici. Questo “esercizio”, a partire dagli anni Sessanta, sarà determinante per lo sviluppo dell’architettura ticinese contribuendo allo stesso tempo alla costruzione di una nuova idea di territorio e di città.

Nell’ambito di un panorama articolato e complesso, per quantità e qualità, come quello relativo all’architettura scolastica in Ticino, vogliamo qui puntare l’attenzione sul programma di riforma avviato in seguito all’approvazione del nuovo disegno di legge sull’istituzione della Scuola media unica (SMU) e va- lutarne gli esiti attraverso due tra gli esempi più significativi: la scuola media di Losone (1972-1974) e la scuola media di Morbio Inferiore (1972-1977).

A conclusione di una preliminare fase di studio, nel dicembre del 1970, il Dipartimento della Pubblica Educazione inoltra ufficialmente al Gran Consi- glio (il parlamento cantonale) il progetto di messaggio e disegno di legge relati- vo all’istituzione della scuola media unica14 che, aggiornato e integrato (1972), sarà sottoposto alla valutazione di una Commissione speciale15 e infine, dopo lunga gestazione ed un intenso e animato dibattito politico, approvato nell’ot- tobre del 197416.

Si vuole così avviare quel processo di democratizzazione scolastica che – forte delle conquiste politiche e sociali successive al 1968 – superi finalmente quella “discriminazione” legata ad una struttura didattica in cui alle scuole mag-

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giori – a carattere “popolare” e uniformemente distribuite sul territorio – si con- trapponeva l’insegnamento “elitario” – per frequenza e numero delle strutture – dei ginnasi, che davano accesso agli studi superiori.

Sebbene infatti, con l’approvazione della legge scolastica del 1957, si affer- masse il principio di interscambiabilità tra scuola maggiore e ginnasio – proce- dendo ad una riorganizzazione complessiva delle strutture e dei criteri di ammis- sione – le possibilità di scelta, e quindi di prospettiva, offerte a ciascun alunno rimanevano ancora legate alle condizioni socio-economiche di appartenenza.

La nuova scuola media obbligatoria, in cui insegnamento e materiale didat- tico sono gratuiti per tutti gli allievi, mira invece ad assicurare a ciascuno di essi

«una valida formazione morale, culturale e civica di base e la possibilità di scelte e di orientamenti scolastici in conformità delle sue attitudini e dei suoi interes- si»17. In tal modo, il percorso scolastico avrebbe permesso di scoprire e svilup- pare le qualità di ciascun allievo nel rispetto delle differenze individuali. Con la riforma, la scuola media si suddivide in due cicli biennali: un primo di “osserva- zione” in cui vengono raccolti e studiati gli elementi necessari a comprendere le attitudini e le capacità di ogni allievo, e un secondo ciclo di “orientamento” che, sulla scorta dei risultati ottenuti nel primo biennio, indirizza gli allievi in vista degli studi futuri.

Con l’approvazione del disegno di legge vengono inoltre fissate, ed è l’a- spetto che qui più ci interessa, le direttive per la costruzione delle nuove sedi scolastiche. Ogni scuola, con una distribuzione capillare sul territorio, costitui- sce una comunità di vita e di lavoro, un centro aperto alle esigenze della colletti- vità. Questa variabilità di fattori comporta l’introduzione di ambienti flessibili, come aule didattiche speciali e locali per le attività artistiche e tecnico-manuali, per servizi amministrativi e parascolastici, spazi e attrezzature sportive interne ed esterne e biblioteche. Un’esperienza che nel complesso si farà carico di inter- pretare contenuti pedagogici, tipologici, progettuali e costruttivi con uno sforzo organizzativo ed economico dettato dalle necessità, ma i cui esiti travalicheran- no il ristretto ambito cantonale, ponendo l’esperienza ticinese all’avanguardia in ambito europeo.

Si tratta quindi di compiere un notevole sforzo finanziario, di gestione e di pianificazione, che il Dipartimento della Pubblica Educazione imposta secondo due fasi: una prima a carattere «urgente» prevede la realizzazione di prefab- bricati (Agno, Locarno e Viganello) e strutture collegate ad edifici già esistenti che possono così essere riadattati; ed una seconda fase definita di «sperimen- tazione» con lo studio e la realizzazione di edifici tipo come possibili modelli di riferimento per valutare costi, sistemi costruttivi e tempi di attuazione per i futuri interventi18.

Secondo le direttive del Dipartimento della Pubblica Educazione, ogni gruppo di progettisti – con il coordinamento dell’architetto ginevrino Paul Waltenspühl, professore al Politecnico Federale di Zurigo – avrebbe dovuto re- alizzare tre complessi scolastici integrando la parte architettonica con uno stu-

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dio di carattere generale impostato nel rispetto delle nuove direttive cantonali in materia di edilizia scolastica. In particolare ciascuno dei tre componenti del gruppo – professionisti indipendenti associati per l’occasione secondo quella prassi che assegnava ad ogni partito politico al governo la possibilità di indicare un progettista – avrebbe dovuto progettare autonomamente una sede scolastica avvalendosi del supporto “critico” degli altri due. Una prassi unica sia per quanto attiene la condivisione politica della riforma sia per il suo sviluppo progettuale affidato in maniera congiunta a giovani progettisti.

La necessità di avviare le procedure in tempi stretti spinge il Dipartimento a costituire fin da subito i gruppi di lavoro assegnando nel 1972 la progettazione delle prime tre sedi scolastiche ancora prima che il nuovo disegno di legge sia uf- ficialmente approvato (1974): agli architetti Eros Martignoni, Giampiero Mina e Guido Tallone è così assegnato il progetto delle scuole di Canobbio; a Vittorio Pedrocchi, Flora Ruchat-Roncati e Livio Vacchini quello di Losone e infine al gruppo composto da Mario Botta, Bruno Brocchi e Sergio Pagnamenta quello di Morbio Inferiore19.

Nonostante le premesse fossero delle migliori e la scelta di approdare ad una elaborazione attraverso un lavoro “critico” sviluppato in maniera congiunta avesse l’obbiettivo di garantire strutture scolastiche adeguate e coerenti con le nuove impostazioni didattiche, ognuno dei tre progetti è da considerarsi espres-

Fig. 1. Livio Vacchini, Progetto di una scuola.

Processo di lavoro, maggio 1972 (AdM, LV).

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sione del lavoro di un singolo progettista nonostante i componenti avessero di partenza un ruolo paritario all’interno del gruppo:

Il neo tuttavia di questa organizzazione è l’urgenza con cui queste sedi devono essere costruite. Scadenze impellenti che obbligano gli architetti a veri “tours de force” e rendono impossibile qualsiasi collaborazione effettiva tra i membri dei gruppi di lavoro, che oltretutto sono professionisti indipendenti associati per l’occasione. Il ruolo del coordinatore diviene quindi una “corvée” in qualità di consulente, e l’intera organizzazione, ottima sulla carta, si svuota di significato20. L’analisi condotta da Paolo Fumagalli restituisce dubbi e interrogativi che animano il dibattito intorno alla realizzazione delle nuove sedi scolastiche21. Certo è che al netto delle inevitabili critiche e delle considerazioni generali in merito a scelte di natura prettamente politica, la risposta progettuale offerta con la realizzazione delle prime sedi scolastiche è quanto di più significativo potesse realizzarsi. Nella messe di scuole realizzate, che ci riserviamo di analizzare in altra sede, la lettura comparata dei progetti di Livio Vacchini e Aurelio Galfetti per le scuole di Losone (1972-1974) e di Mario Botta per le scuole di Morbio Inferiore (1972-1977) consente di tracciare un utile bilancio dell’impatto deter- minato dal nuovo approccio progettuale e legislativo all’architettura scolastica ticinese.

Entrambi sviluppano dal punto di vista spaziale, funzionale e costruttivo un programma che travalica gli aspetti prettamente architettonici proponendo un’interpretazione di uno specifico indirizzo didattico e pedagogico che è mo- Fig. 2. M. Botta, Scuola

media a Morbio Inferiore. Piano di situazione, 1972 (DF- SL, Bellinzona).

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Fig. 3. M. Botta, Scuola media a Morbio Inferiore. Progetto definitivo, pianta piano terra, luglio 1974 (DF- SL, Bellinzona).

dello di vita individuale e sociale allo stesso tempo. Il modo in cui questo pro- gramma viene declinato denuncia due differenti approcci progettuali: da una parte Losone22 con gli edifici disposti a disegnare una grande piazza pubblica porticata, dall’altra Morbio con la lunga stecca delle aule quale elemento regola- tore per una nuova strategia di sviluppo urbano.

Se il “processo di lavoro”23 messo a punto da Vacchini e Galfetti prende le mosse dalle definizioni di “educazione” come strumento per «comprendere il nostro rapporto con le cose» e “spazio architettonico” quale mezzo per «stabi- lire molteplici e svariate relazioni con “il tutto” (uomini, città, paesaggio)» per approdare solo in ultima battuta all’inserimento nel paesaggio e al disegno del piano di situazione (fig. 1), Mario Botta ribalta la questione. Il suo progetto si sviluppa da un’attenta analisi del territorio e delle condizioni di crescente urba- nizzazione che negli anni hanno trasformato – degradandolo progressivamen- te – l’ambiente rurale che da Chiasso si inerpica sulle colline circostanti, con lottizzazioni disordinate e prive di qualità che hanno finito per compromettere l’equilibrio tra uomo e ambiente, alterando quei valori storici-ambientali che per Botta sono fondamento del valore dell’habitat24 (fig. 2).

In tale ottica – scrive Botta nella relazione – l’architettura viene così ad essere assunta come strumento conoscitivo, critico e operativo per la realizzazione di un nuovo equilibrio ambientale. Con questo impegno si riconosce all’architettura

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un ruolo che supera la rispondenza diretta di una utilizzazione sociale immediata per porsi progressivamente come momento per la consapevolezza dei limiti e delle possibilità offerte dall’attuale sviluppo. Rispetto all’intorno, l’intervento architettonico costituisce un’occasione non per costruire in UN SITO, ma come strumento per costruire QUEL SITO, per fare in modo dunque che l’architettu- ra entri a far parte della nuova configurazione geografica inscindibilmente legata ai valori di storia e di memoria propri di quel luogo, quale espressione e testimo- nianza delle aspirazioni e dei valori della attuale cultura25.

Fig. 4. M. Botta, Scuola media a Morbio Inferiore. Progetto definitivo, piante e sezioni del nucleo didattico, luglio 1974 ca («Lotus» 11, 1976).

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Botta affronta dunque la questione dal punto di vista urbano e il progetto diviene l’occasione per ragionare ad una scala che guarda al disegno del territorio e al ruolo dell’architettura nel definire nuovi rapporti spaziali indirizzandone le future trasformazioni26. Un approccio analogo a quello che caratterizza il suo progetto di concorso per la nuova sede delle scuole elementari ai Saleggi a Locar- no (1970)27, un segno evidente di come al di là dell’esplicita volontà di costruire

«quel sito», Botta ricorra alla messa a punto di una tipologia in cui la struttura dello spazio interno, i percorsi, le visuali e le relazioni tra gli ambienti, abbiano la capacità di definire un forte riferimento urbano28.

Il lungo corpo destinato alle attività didattiche della scuola di Morbio è ri- solto dalla giustapposizione di otto unità, singoli elementi che nel loro succedersi definiscono l’immagine civica del complesso segnato al piano terra dal sistema dei porticati che senza soluzione di continuità disimpegnano sui lati est ed ovest gli atri di accesso (fig. 3). Ogni unità accoglie al primo piano gli ambienti destinati

Fig. 5. Scuola media a Morbio Inferiore, vista del lungo cannocchiale prospettico interno al blocco delle aule (foto Alo Zanetta, AMB).

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Fig. 6. Livio Vacchini, Aurelio Galfetti, Scuola media a Losone, pianta piano terreno, (AdM, LV).

alla didattica con quattro aule comuni aperte verso l’esterno e collegate, grazie ad un sistema di pannelli lignei scorrevoli, a spazi di relazione condivisi29; al secondo piano trovano invece spazio le aule speciali e i corridoi che collegano gli ambienti dell’edificio per la sua intera lunghezza. Nel complesso le singole unità costruttive sono progettate con spazi destinati ad accogliere cento studenti e l’insieme di due unità costituisce un «nucleo didattico» completo, capace di funzionare auto- nomamente. Unica eccezione il blocco di testa a sud, articolato su quattro livelli, dove trovano posto tutte le attività di interesse collettivo30 (fig. 4).

La scansione ritmica dei lunghi prospetti segnati dai telai che cadenzano il passaggio da un’unità all’altra è sovvertita nell’organizzazione interna in cui il sistema di percorsi, passerelle, affacci, ambienti comuni e di relazione, disegnano una sezione longitudinale visivamente continua: un’articolata sequenza spaziale esaltata dalla luce che i grandi lucernari proiettano sulle lisce superfici in cemento armato a faccia vista. Botta costruisce cosi l’intero asse come una vera e propria promenade; un lungo cannocchiale prospettico che dilata e comprime lo spazio (fig. 5). Una compressione e una dilatazione che si risolvono tutte nella struttura spaziale interna senza creare in apparenza un sistema di relazioni altrettanto ar- ticolato verso l’esterno. Viceversa, Botta affida ai diversi corpi di fabbrica e alle loro relazioni reciproche la costruzione di un “limite”, verso la città e verso la forra boscosa: un “limite” che determina quelle relazioni con il contesto che radicano l’opera al luogo e costruiscono un «nuovo equilibrio ambientale» testimonian- do allo stesso tempo l’attenzione al disegno del sito e della città in scala ridotta.

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Fig. 7. Livio Vacchini, Aurelio Galfetti, Scuola media a Losone, pianta primo e secondo livello, sezioni, (AdM, LV).

Diverso è l’approccio di Vacchini e Galfetti nella scuola di Losone, dove la costruzione prende le mosse dalla definizione della singola unità che compone il complesso scolastico. Si tratta di una struttura autonoma, funzionalmente e costruttivamente, ripetuta quattro volte per comporre una grande piazza quale elemento di aggregazione tra tutti gli allievi: «un complesso dal carattere “cit- tadino” dove gli edifici si affacciano lungo le strade alberate e dove i giardini e le piazze sono accessibili al pubblico»31 (fig. 6).

La regolarità dei fronti – segnati dal ritmo orizzontale e verticale della struttura metallica e dall’alternanza di superfici vetrate e pannelli metallici di tamponamento – è scardinata nell’organizzazione spaziale interna32. Quella che potrebbe risultare una mera sovrapposizione di piani identici viene qui negata dalla composizione e dall’articolazione dei diversi ambiti. In questo caso, quindi, il processo progettuale parte dalla definizione dell’unità e procede lavorando dall’interno verso l’esterno:

La legge interna determina la forma di ogni singolo elemento il quale a sua volta è in rapporto con il tutto sino a perdere il carattere di “parte”. … Flessibilità e variabilità – scrive ancora Vacchini – non sono un concetto astratto che si riduce alla possibilità di spostare le pareti divisorie interne come in una costruzione per uffici ma sono considerate qualità intrinseche dello spazio architettonico. Uno spazio qualitativamente valido è anche flessibile poiché esso è pensato in funzione ai bisogni fondamentali dell’uomo33.

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L’applicazione di questi due concetti passa attraverso la disposizione degli ambienti interni ed esterni alle aule, la cui struttura vuole allo stesso tempo resti- tuire nella sua articolazione continua quella complessità di relazioni e rapporti che caratterizza lo scambio fra gruppi di allievi. L’uso di uno spazio a doppia altezza per le aule – già adottato, benché in tutt’altro contesto pedagogico, da Flora Ruchat-Roncati nella scuola dell’infanzia a Chiasso34 – non è un’assoluta novità, ma il modo in cui viene qui proposto, articolando la sezione e deter- minando l’organizzazione dello spazio didattico, non ha precedenti: in basso lo spazio destinato alle attività frontali, in alto quello per le attività didattiche comuni (fig. 7). Questo sistema di relazioni determina i rapporti di visuale tra le aule e l’intorno attraverso una calibrata disposizione di elementi chiusi e vetrati:

al primo piano, ad altezza dello sguardo, nessuna relazione diretta con l’esterno;

si può intravederlo, invece, guardando verso il basso, attraverso le finestre a livello Fig. 8. Scuola media

a Losone, vista di una delle aule (foto Alberto Flammer, DF-SL, Bellinzona).

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Fig. 9. Scuola media a Morbio Inferiore, veduta del prospetto est del blocco delle aule (foto Alo Zanetta, AMB).

Fig. 10. Scuola media a Losone, vista della corte interna (foto Alberto Flammer, DF-SL, Bel- linzona).

del pavimento, oppure verso il cielo, attraverso le grandi vetrate del registro su- periore; queste ultime consentono, infine, nell’ultimo livello, dove vengono or- ganizzati gli ambienti per le attività comuni e dove ci si può affacciare sulle aule, di lasciar spaziare lo sguardo verso l’orizzonte (fig. 8).

Le scuole di Losone e Morbio Inferiore condensano al meglio le ricerche in ambito pedagogico, sociale e architettonico che animano il Ticino a partire dalla metà degli anni Sessanta, offrendo allo stesso tempo non solo un’idea di architettura ma di città. A Morbio, Botta costruisce un “limite” solo apparente e gli ambienti del lungo corpo delle aule si amplificano in un dialogo diretto e co- stante con l’intorno per costruire così «quel sito» (fig. 9); a Losone, Vacchini e Galfetti muovono dall’articolazione dello spazio interno per costruire una parte di città, un edificio dal carattere urbano con una varietà di prospettive verso la piazza, il filare di pioppi, la linea delle montagne (fig. 10).

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Due diversi “atteggiamenti” che si traducono nell’adozione di due differen- ti sistemi costruttivi, così “forti” da definirne allo stesso tempo l’immagine: la libertà plastica data dall’uso del cemento armato, al di là dei possibili riferimenti, concede a Botta quella libertà espressiva e di azione di cui ha bisogno; la scel- ta di una struttura interamente metallica con profilati imbullonati, adottata da Vacchini e Galfetti, è una sorta di autodisciplina35 per costruire un prototipo e sfruttare così al massimo le potenzialità che il lavoro artigianale offre.

Mario Botta, Livio Vacchini e Aurelio Galfetti declinano così i nuovi indi- rizzi funzionali traslando il carattere sperimentale – che definiva i programmi didattici – in architetture a loro volta “sperimentali”, architetture di straordina- ria qualità, “civiche”, capaci di incidere sulla società.

Nel Ticino degli anni Sessanta e Settanta era la città a servire da modello. In que- sto nuovo modo di pensare l’architettura, i corridoi diventavano vie, passages, piazze: per farla breve, degli spazi urbani in cui il sociale prendeva forma di ar- chitettura, e l’architettura assumeva un senso sociale. Si trattava di un modo ben preciso di tradurre in pratica l’impegno politico36.

Le parole di Martin Steimann restituiscono il senso e la portata cultura- le e civile di quel programma didattico e architettonico che abbiamo in parte raccontato. Un programma promosso dal governo cantonale che nella sua com- plessità ha permesso ad un piccolo territorio a “sud”, come è quello ticinese, di costruire una diversa e più aggiornata “immagine” – lontana da quegli stereotipi che storicamente hanno accompagnato il Ticino – che attinge al vasto reper- torio offerto dal movimento moderno ma lo assimila per rielaborarlo in forme nuove, proponendolo come modello per le future generazioni.

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▪Note

Desidero ringraziare Nicola Navone per avermi introdotto allo studio dell’architettura del Nove- cento nel Cantone Ticino, condividendo i suoi studi e le sue ricerche, introducendo temi e pro- tagonisti con straordinaria passione e generosità.

1 Il presente contributo, parte di uno studio più ampio dedicato all’architettura scolastica in Ti- cino, è stato elaborato nell’ambito del progetto di ricerca FNS (Fondo Nazionale Svizzero), tutt’ora in corso, “L’architettura nel Cantone Ticino 1945-1980”, promosso dall’Archivio del Moderno, Accademia di architettura, Università della Svizzera italiana e diretto da Nicola Na- vone (<https://www.ticino4580.ch>). Questo contributo attinge inoltre a quanto presentato e discusso nel seminario di studio “L’architettura scolastica nel Cantone Ticino 1945-1980” che si è tenuto il 14 maggio 2018 presso l’Accademia di architettura di Mendrisio nel quadro di tale progetto. Per uno studio dei caratteri costruttivi dell’edilizia scolastica ticinese, si rinvia a Graf, Cattaneo, Galliciotti 2011.

2 Gross 1970, pp. 609-624.

3 Ci riferiamo in particolare all’influenza eserci- tata dall’esperienza italiana, tedesca, olandese, al modello della “scuola attiva” propugnato dalla Montessori o al “giardino d’infanzia” di Friedri- ch Fröbel.

4 Galfetti 2011, pp. 8-9.

5 Gli aspetti igienici avevano in realtà già segnato con progetti di adeguamento e ammodernamento i vecchi complessi scolastici presenti nel Cantone Ticino ospitati in alcuni casi all’interno degli edi- fici comunali (case dei bambini) o in complessi la cui struttura architettonica rispondeva a logiche e tipologie di matrice prettamente ottocentesca.

6 Roth, 1950. Il libro, progettato per la parte grafica da Max Bill, è articolato in quattro sezio- ni. Attraverso una selezione di opere (ventuno nell’edizione del 1950, trentasei nell’ultima edi- zione del 1966), Roth presenta dei veri e propri casi esemplari, moderni e di qualità architettoni- ca fornendo dati, piante e sezioni, e corredando ogni progetto con una ricca documentazione fo- tografia. Al volume farà eco la mostra Das neue Schulhaus, organizzata dallo stesso Roth nel 1953 negli spazi del Kunstgewerbemuseum di Zurigo e inaugurata in concomitanza con l’aper- tura dei lavori del V Congresso internazionale di edilizia scolastica e di educazione all’aria aperta.

7 Reichlin 2008, p. 240.

8 Roth 1957, p. 267.

9 Reichlin 2008, p. 233.

10 L’aumento demografico della popolazione è collegato ad una crescita importante del numero delle nascite. Tra il 1960 e il 1970 gli alunni dei ginnasi e delle scuole maggiori erano aumentati complessivamente del 35% (passando da 6721 a 8702 allievi) e in particolare il numero degli studenti dei ginnasi era salito del 50 %.

11 Reichlin 2008, p. 242.

12 Nell’ordinamento federale elvetico l’istruzione pubblica compete ai singoli cantoni e nell’ambi- to dell’edilizia scolastica i cantoni sono responsa- bili della realizzazione delle scuole secondarie e superiori, mentre le scuole per l’infanzia e prima- rie soggiacciono all’iniziativa dei comuni.

13 Rino Tami era stato incaricato insieme a Paul Waltenspühl di redigere i progetti di tutte le scuole medie nel Cantone Ticino, incarico cui preferì rinunciare in favore dei più giovani col- leghi. Cfr. Galfetti 2011, p. 9.

14 Lurati 1971, pp. 728-730; Carloni 1975, pp. 23-25.

15 Werk 1975c, pp. 28-31. Il messaggio fu in prima istanza oggetto di una consultazione dei partiti politici, delle associazioni magistrali e dei docenti di tutte le scuole del settore medio. Cfr.

Il rapporto della Commissione speciale inserito nel Verbale del Gran Consiglio ticinese, sessione ordinaria primaverile, 21 ottobre 1974, pp. 1015- 1044.

16 Cfr. Disegno di legge sulla Scuola Media, ver- bale della XXXV seduta del Gran Consiglio, 21 ottobre 1974, p. 1072-1077. Il nuovo indirizzo sostituirà in maniera graduale le scuole maggio- ri, i ginnasi, le scuole di avviamento artigianale, agricolo e commerciale, nonché le scuole di eco- nomia domestica e i corsi preparatori.

17 Ivi, p. 1072.

18 Carloni 1975, p. 33.

19 A questi tre primi progetti seguiranno quelli per le scuole di Giubiasco (P. Waltenspühl, A. Mazzo- la), Agno (W. Ruprecht) e Savosa (M. Buletti, P.

Fumagalli). Cfr. Le nuove scuole medie nel Ticino.

Bilancio di un’esperienza di architettura, 1975.

20 Fumagalli, 1973, p. 139. L’incarico conferi- to con mandato diretto dal Dipartimento della

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Pubblica Educazione imponeva ai progettisti una fase di studio ed una elaborazione esecutiva da attuarsi in tempi straordinariamente brevi: sei mesi per il progetto, i piani ed il capitolato d’ap- palto e un anno per i lavori di costruzione e l’av- vio delle attività didattiche. L’impossibilità di rispettare tempi tanto compressi ha di fatto im- pedito ogni possibile elaborazione del progetto in maniera congiunta e condivisa. Ecco perché il progetto della scuola di Losone è da conside- rarsi frutto esclusivo del lavoro di Livio Vacchini che si è avvalso della collaborazione di Aurelio Galfetti mentre quello di Morbio Inferiore è l’e- sito del lavoro di Mario Botta che si è avvalso del contributo dell’ingegnere Erwino Kessel per lo sviluppo delle strutture.

21 Voglio qui segnalare il prezioso contributo offerto da Paolo Fumagalli che da direttore di

«Rivista Tecnica della Svizzera italiana» ha sostenuto la pubblicazione diversi fascicoli mo- nografici (tre in particolare quelli dedicati alle scuole secondarie) e articoli legati all’architettu- ra scolastica.

22 Svizzera italiana 1973b, pp.151-155. Il progetto del nuovo complesso scolastico, con gli edifici ordinati secondo due assi ortogonali sim- metrici, è stato strutturato in tre tappe secondo un programma che prevedeva un’attuazione per ambiti funzionali: scuola, palestre, servizi acces- sori. Quest’ultima fase, che riguardava in parti- colare la costruzione di un corpo con aule sup- plementari, mensa e uffici amministrativi, non venne infine realizzata rendendo in parte monca la lettura dell’impianto urbano originario. Cfr.

Iannello 2019.

23 La tavola intitolata Progetto per una scuola me- dia. Processo di lavoro, è datata maggio 1972 ed articola in nove punti testi e schemi grafici, Ar- chivio del Moderno, fondo Livio Vacchini.

24 Cfr. Lotus 1976, pp. 158-167; Dal Co 1985; Pizzi 1993; Iannello 2019b.

25 Botta 1972. La relazione è pubblicata in Botta 1975, p. 38; la citazione qui riportata è a p. 38.

26 Cfr. Svizzera italiana 1973a, pp.144-150.

27 Svizzera italiana 1971, pp. 626-639.

28 Un approccio in cui tornano alcune delle ri- flessioni portate avanti negli stessi anni da Vitto- rio Gregotti, che avevano trovato un primo mo- mento di sintesi con la pubblicazione, nel 1966, del testo Il territorio dell’architettura.

29 Si tratta di una soluzione già sviluppata, in for- me diverse, nella proposta concorsuale elaborata per Locarno.

30 Cfr. Iannello, 2019b.

31 L. Vacchini, Scuola media unica a Losone. Re- lazione, dattiloscritto, Archivio del Moderno, fondo Livio Vacchini. La relazione al progetto è pubblicata in Vacchini 1975; la citazione qui riportata è a p. 36.

32 Gli spazi interni sono organizzati su tre livelli collegati da un doppio sistema di scale: il primo, più generoso nelle dimensioni, collega il piano terra al primo piano; l’altro, costituito da quat- tro corpi per ogni blocco, collega a due a due gli spazi didattici tra le aule al primo e al secondo livello. Al piano terreno sono disposte le aule per la geografia e le scienze, i servizi e gli uffici dell’amministrazione, al primo piano le aule e i laboratori linguistici mentre all’ultimo livello gli spazi per le attività di ricerca comuni e indivi- duali. Cfr. Iannello 2019.

33 Vacchini 1975, p. 35. Si tratta di temi pre- senti nella ricerca portata avanti da Vacchini in quegli stessi anni e indagati sia nel progetto per le scuole di Locarno sia nella casa patrizia- le di Carasso, progettata con Luigi Snozzi. Cfr.

Franchini 2019.

34 Navone 2018, pp. 44-56.

35 Cfr. Haker 1980; Graf, Buzzi-Huppert 2019.

36 Steinmann 2010, p. 37.

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3|2020 Matteo Iannello, Architettura e riforma scolastica nel Cantone Ticino, pp. 143-161 159

▪Abbreviazioni archivistiche

AdM, LV = Archivio del Moderno, Fondo Livio Vacchini AMB = Archivio Mario Botta

DF-SL = Dipartimento Finanze - Sezione della logistica, Bellinzona

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<http://ticino4580.ch>

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