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CAPITOLO IV Le anfore dal III al VII secolo

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CAPITOLO IV

Le anfore dal III al VII secolo

Nel presente capitolo si procede alla presentazione di un gruppo di reperti anforici rinvenuti negli scavi del 1998 in Piazza dei Miracoli, la cui cronologia si colloca tra il III e il VII secolo1. In questa sede si è scelto di tralasciare la compilazione di un catalogo dei singoli frammenti diagnostici, per fornire invece un quadro complessivo delle tipologie individuate, con indicazioni relative alle aree di produzione, alla cronologia generale e alla distribuzione2. È doveroso specificare che, per non frammentare lo studio delle produzioni africane, si è scelto di inserire, nella sezione a esse dedicata, anche le tipologie di poco precedenti rispetto al periodo considerato.

Alla presentazione dei vari tipi segue un catalogo degli impasti. Per ciascuna area di produzione, viene fornita una descrizione dei corpi ceramici individuati in base alle caratteristiche facilmente rilevabili a occhio nudo, o con l’ausilio di una lente di ingrandimento, e facendo uso del tatto. Rinviando la caratterizzazione di tipo petrologico, in questa sede gli inclusi sono descritti in base al colore, alla grandezza e alla loro concentrazione nei campioni analizzati.Il colore delle argille è stato determinato mediante l’utilizzo delle Munsell Soil

Color Charts3.

Il capitolo si conclude con delle tabelle riassuntive che permettono la visione dei singoli materiali insieme alle US di provenienza.

1 Per lo studio delle anfore provenienti dallo stesso contesto, databili dal III sec. a.C. al III sec.

d.C., si rimanda alla tesi della dott.ssa Ornella Raffo.

2

Si desidera ringraziare i dott.ri Stefano Genovesi e Alessandro Costantini per il prezioso aiuto fornito nella fase preliminare della ricerca.

3 Si ringrazia la dott.ssa Simonetta Menchelli per aver acconsentito all’uso delle Munsell Soil Color Charts del Laboratorio di Topografia del Dipartimento di Scienze Storiche del Mondo

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22 Produzioni italiche

Anfora di Empoli

L’anfora di Empoli è un contenitore dal corpo piriforme che termina in un basso e piccolo puntale. L’orlo, a sezione circolare o semicircolare, presenta diverse varianti tipologiche4. Immediatamente sotto l’orlo, sul collo cilindrico o leggermente tronco-conico e sull’ampia spalla, si impostano le anse a nastro ingrossato, a sezione quadrangolare e striate longitudinalmente. Altro elemento caratteristico è la presenza di segni di tornitura piuttosto netti all’interno del collo.

Il contenitore vinario, riconosciuto inizialmente a Ostia5, deriva la sua denominazione dal centro della media valle dell’Arno dove, grazie al ritrovamento di scarti di fornace, è stato individuato il primo centro di produzione. Le analisi minero – petrografiche, inoltre, hanno permesso di attribuire la manifattura di quest’anfora anche al territorio pisano e volterrano6

, e suggeriscono la presenza di

ateliers anche in altri centri del Valdarno e dell’Etruria settentrionale7. L’inizio della produzione sembra potersi fissare nel II secolo, con un incremento dei commerci e un raggio di diffusione più ampio dal IV fino alla metà del V secolo. Non è inverosimile, comunque, che tali contenitori vinari venissero prodotti anche agli inizi del VI sec., ad esempio per il commercio di derrate alimentari con la Gallia esercitato dai navicularii Tusciae8. Già dal III secolo diffusa ampiamente a Ostia e Roma9, l’anfora soddisfaceva con il suo contenuto il fabbisogno dell’Urbe, ma giungeva anche nei mercati del Mediterraneo occidentale. Al di fuori della penisola italica essa è presente infatti a Tarragona10, a Marsiglia11, a Mariana12 in

Corsica, a Turris Libisonis13 e a Cartagine14. A Dianium, nella Tarraconense è,

4

Sei sono le varianti individuate da Cambi: CAMBI 1989, p. 564, tav. 2. Per una distinzione tipologica più recente si veda: VACCARO 2011, pp. 142 – 143.

5 MANACORDA 1977, pp. 237 – 238, figg. 279 – 280. 6 CHERUBINI - DEL RIO – MENCHELLI 2006, pp. 73 -74. 7

CAMBI 1989, p. 565.

8

CASS., Var. 4,5.

9 SAGUÌ - COLETTI 2004, pp. 243 - 246, tav. II.

10MARCÍAS SOLÉ - REMOLÀ VALLVERDÙ 2005, p.127 e fig. 2, nn. 1-4. 11

BIEN 2005, p. 286 e fig. 2, nn. 13-14.

12 PASQUINUCCI – MENCHELLI 2004a. 13 VILLEDIEU 1984, p. 178.

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infine, attestata una produzione di contenitori da trasporto per vino in impasto locale che imitano la morfologia delle anfore di Empoli15. In Etruria essa mostra elevati indici di presenza a Firenze16, a Fiesole17, a Luni, a Lucca, a Pistoia, nella valle dell’Albegna18

, a Vada19, nella baia di Portiglioni (Portus Scabris)20. A Pisa è documentata tra i ritrovamenti anforacei di San Rossore21 e di Piazza Duomo22, in livelli di III - VI secolo. A queste ultime attestazioni si aggiungono i frammenti provenienti dagli scavi del 1998, che constano di 32 orli, 10 puntali e 8 porzioni di ansa. E’ quindi confermata la notevole quantità di anfore di Empoli nelle stratigrafie della piazza, così come la loro rilevanza nell’economia di Pisa tardoantica.

Anche in questo contesto sono riconoscibili, sulla base della pluralità degli orli e dei puntali, diverse varianti. Si distinguono esemplari con orlo ad anello a profilo arrotondato (Tav. I, figg. 1, 2), o più squadrato (Tav. I, fig. 3), oppure a sezione triangolare (Tav., fig. 4), talvolta “a becco” (Tav. II , fig. 1); in altri casi l’orlo è estroflesso e segnato da uno spigolo all’esterno (Tav. II, fig.. 2). Generalmente gli orli presentano, inoltre, un’insellatura interna più o meno profonda. Tra i puntali, tutti cavi all’interno, sono identificabili due principali morfologie. Alcuni sono di forma cilindrica e formano una specie di piede ad anello (Tav. II, fig. 3); altri terminano con una punta più o meno arrotondata (Tav., figg. 4, 5). L’esistenza di più varianti delle anfore di Empoli, indice di una produzione con un basso livello di standardizzazione, non consente, allo stato attuale degli studi, una distinzione morfologica alla quale si possa attribuire anche valore cronologico. Tuttavia, analizzando i rinvenimenti del mitreo situato a S-E della Crypta Balbi23, si potrebbe ipotizzare che gli esemplari dalla forma più affusolata, con collo più lungo e orlo triangolare ben pronunciato e sporgente, siano da collocare nella fase tarda della produzione24.

15 GISBERT SANTOJA 1998, p. 394 e fig. 11, n. 4.

16 CANTINI 2007, pp. 235 - 236, 280 - 281, tavv. XVII - XVIII, nn. 16.8 - 16.21. 17

FAGGELLA 1990, pp. 255 – 257.

18 CAMBI 1989, pp. 564 – 566, con bibliografia. 19 v. n. 3

20

VACCARO 2011, p. 141 – 143, tavv. LXXVIII – LXXXV.

21

BARRECA - GIANNINI 2006, p. 68, n. 59.

22 COSTANTINI 2011, pp. 405 – 408, figg. 7.6 -14 e 9.1 – 4. 23 SAGUÌ - COLETTI 2004, p. 246, tav. II.

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L’esame con la lente di ingrandimento sembra permettere la distinzione di due impasti, entrambi abbastanza depurati, duri e poco porosi. La maggior parte degli esemplari hanno corpo ceramico color rosa - arancio, talvolta tendente al marrone, con pochi inclusi bianchi e bruni piccoli e lucenti di piccolissime dimensioni (Imp. 1). Pochi frammenti presentano invece un impasto beige, con rari inclusi bianchi piccoli e piccolissimi e lucenti anch’essi molto piccoli (Imp. 2).

Produzioni iberiche

Almagro 50

Questo contenitore ha come principale elemento distintivo anse, a sezione circolare o ellittica, applicate direttamente sull’orlo e sulla spalla stretta. L’orlo, a sezione triangolare, si imposta su un corto collo tronco – conico, distinto nettamente dalla spalla. Il corpo, cilindrico o piriforme, è leggermente svasato verso il fondo, dove si chiude con un piccolo puntale cavo tronco – conico.

La presenza all’interno di alcune di queste anfore, di un rivestimento interno resinoso e di resti organici25, ha chiarito che il contenuto fosse costituito da conserve di pesce. Analisi compiute sugli impasti hanno rivelato l'esistenza di diversi centri di produzione nella Spagna meridionale e nella Tarraconense. Inoltre, il ritrovamento di fornaci ha confermato l’esistenza di una produzione anche in Lusitania: ateliers sono stati individuati sia in Algarve, sia lungo le valli del Sado e del Tago26. Mayet ha distinto due produzioni principali: la A, originaria della Betica, e la B, lusitana27. Quest’ultima sembra differire dalla prima, oltre che per l’impasto, per alcuni aspetti morfologici: il profilo cilindrico, il collo più stretto e svasato, le anse non sempre impostate orizzontalmente sull’orlo e, negli esemplari più tardi, più larghe nella parte superiore. La circolazione delle anfore Almagro 50 prende avvio già dall’inizio del III secolo e pare esaurirsi nella prima metà del V. Essa interessa soprattutto l’area del

25

BOST et alii 1992, p 132; PARKER 1989.

26 REMOLÀ VALLVERDÙ 2000, pp. 187-189. 27 ETIENNE – MAYET 2002, pp. 137 – 141.

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Mediterraneo occidentale, dove, al di fuori della penisola iberica, si trovano attestazioni in Tunisia e in Francia28. In Italia, mentre Luni sembra costituire un mercato preferenziale per queste anfore, Roma e Ostia registrano un limitato numero di presenze, soprattutto nel periodo tardoantico29. Anfore Almagro 50, impeciate e piene di sardine integre, facevano parte del carico del relitto di Randello (RG)30.

A Pisa l’anfora è presente sia a San Rossore31 che a Piazza Duomo32. Dagli scavi effettuati nella piazza nel 1998 provengono quattro orli, di cui due conservano buona parte di un’ansa (Tav. III, figg. 1, 2). Uno di questi è realizzato in un impasto di colore beigee abbastanza depurato, che richiama l’impasto tipico della produzione A indicata da Mayet (Imp. 3). Altra caratteristica che accomunerebbe il nostro frammento alle Almagro 50 della Betica è la presenza di un bollo sulla parte superiore dell’ansa (Tav. , fig.). Esso per il momento non fornisce ulteriori informazioni, non essendo stati trovati confronti tra i bolli editi33, pertanto ci si limiterà a una descrizione. All’interno di un cartiglio, incompleto a causa della frattura dell’ansa, si dispongono tre grandi lettere a rilievo: L.I.A. Il cartiglio è a forma di rettangolo, leggermente irregolare sui lati lunghi e con gli angoli superstiti un po’ arrotondati. Le lettere sono separate da triangoli con il vertice rivolto verso il basso, posti come punti divisori. La lettera A è lacunosa, ma sembrerebbe essere percorsa da un’incisione diagonale nella sua parte destra. Momentaneamente risulta difficile stabilire, anche per la mancanza di confronti, se esistessero ulteriori lettere, andate perdute a causa della frattura.

Gli altri due orli, invece, presentano corpi ceramici più simili alla produzione della Lusitania. Uno è realizzato con un impasto di colore marrone rosato, dall’aspetto leggermente più grossolano, con la presenza di molti inclusi di quarzo e di mica e la tendenza a fratturarsi a scaglie (Imp. 4 ). L’altro mostra lo stesso corpo ceramico dei frammenti di Almagro 51 C provenienti dal contesto in esame (Imp. 6). 28 VILLA 1994, p. 378. 29 Ibidem. 30 PARKER 1989. 31 BARRECA - GIANNINI 2006, p. 76. 32 COSTANTINI 2011, p. 412. 33 ETIENNE – MAYET 2002, pp. 138 -139.

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Almagro 51C

Tra il secondo quarto del III e la prima metà del V secolo d.C. si colloca la produzione di questo contenitore di piccole dimensioni, le cui principali caratteristiche morfologiche sono: corpo piriforme, collo molto stretto che culmina in un orlo sporgente e sinuoso, anse a nastro impostate poco sotto o direttamente sopra l’orlo. Mayet distingue tra varianti (A, B, C), legate principalmente alla forma dell’orlo e del fondo e alle dimensioni della pancia34

. Il ritrovamento di alcune manifatture ne ha dimostrato l’origine lusitana35, ma le caratteristiche degli impasti rimandano a diversi centri di fabbricazione anche nella Spagna meridionale36. E’ ormai noto come l’Almagro 51C abbia costituito, dopo le Dressel 14, la forma più comune delle produzioni della Lusitania. La struttura economico – produttiva di queste aree e la morfologia generale dell’anfora suggeriscono che fosse utilizzata per il trasporto del garum.

Oltre che in Spagna e in Portogallo il contenitore è presente in molti siti del Mediterraneo, in Africa e anche nell’Europa centrale e nel Vicino Oriente37

. In Italia esso mostra una distribuzione ampia pur se quantitativamente limitata. Anfore Almagro 51 C sono infatti segnalate a Ostia, Luni, Albenga, Genova,

Turris Libisonis e nelle necropoli tardoantiche di Avellino e di Gricignano38. In Toscana si ritrovano a Viareggio39, Cosa40, Fiesole41 e Lucca42. A Pisa questi contenitori sono stati rinvenuti negli scavi delle navi a S. Rossore43, nella necropoli di via Marche44 e in Piazza dei Miracoli45.

Il contesto oggetto di questo studio ha restituito due orli, un puntale e una parete con attacco d’ansa. Uno dei due orli presenta profilo triangolare sporgente e

34 ETIENNE – MAYET 2002, pp. 143 – 147. 35 FABIAO – CARVALHO 1990, p. 59. 36 REMOLÀ VALLVERDÙ 2000, p. 152. 37

VILLA 1994, p. 380 – 383 con bibliografia.

38 Ibidem. 39 ZECCHINI 1971, p. 91. 40 CIAMPOLTRINI – RENDINI 1988, p. 530. 41 FAGGELLA 1990, p. 262. 42

CIAMPOLTRINI – SPATARO - ZECCHINI 2005, p. 330.

43 BARRECA - GIANNINI 2006, p. 76. 44 COSTANTINI 2010, p. 332.

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conserva parte dell’ansa, attaccata poco sotto; l’altro orlo, anch’esso a sezione triangolare, è più sottile e segnato da una cavità interna (Tav. III, figg. 3, 4). Essi sono caratterizzati da corpi ceramici di colore rosso chiaro o variabile tra il rosso e l’arancio, con moltissimi inclusi bianchi piccoli (Imp. 5) o pochi bianchi piccoli, molti grigi, molti piccoli lucenti (Imp.6). Il puntale è internamente cavo e presenta un impasto beige chiaro, forse relazionabile con la produzione betica di Almagro 51 C46 (Imp. 7).

Produzioni africane

Tripolitana I e III

Questo contenitore fa parte di una produzione anforaria, originaria della Tripolitania, che ha inizio nel I secolo d.C. e prosegue fino all’inizio del IV. Essa comprende due forme principali, la I e la III, che si differenziano in base alla forma dell’orlo e della spalla47

. Esse erano probabilmente adibite al trasporto di olio. La Tripolitana I è caratterizzata da orlo a doppio gradino poco svasato, collo cilindrico o leggermente tronco – conico, spalla segnata. Sul collo e sulla spalla si impostano le anse ad orecchia. Il corpo, di forma cilindrica, termina con un piccolo puntale cavo. L’anfora è prodotta dall’epoca augustea fino alla prima metà del II secolo e, come dimostrato dai dati di Ostia48, conosce un periodo di più intensa esportazione tra la fine del I secolo e l’inizio del II. A Pisa è rappresentata a Piazza Duomo come residuo. Si tratta di un frammento di uno spesso orlo a doppio gradino (Tav. IV, fig. 1), con impasto di colore rosso, duro e compatto, a superficie schiarita e con inclusi calcarei e di quarzo (Imp. 8).

La Tripolitana III succede al tipo I nella seconda metà del II secolo. Essa è caratterizzata da un orlo a doppio gradino meno massiccio, più alto e più svasato,

46 ETIENNE – MAYET 2002, p. 147. 47 BONIFAY 2004, p. 105.

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e da collo tronco – conico, impostato su una spalla non segnata. Questa produzione prosegue fino al IV sec. con una variante tarda, caratterizzata dall’aumento di volume della modanatura superiore dell’orlo.

L’anfora è distribuita soprattutto nel Mediterraneo occidentale. In Italia è attestata soprattutto a Roma e Ostia49. Nel contesto in esame è stato individuato un frammento di orlo pertinente a questo contenitore, confrontabile con esemplare dal sito di El HRi50 (Tav. IV, fig. 2). L’impasto è di colore arancio rosato, grigio in superficie, fine e compatto (Imp. 9)

Africana 1- “Africana piccola”

L’anfora Africana 1 è un contenitore di dimensioni ridotte, dal corpo cilindrico non molto largo, terminante con un piccolo puntale pieno. Anse dal profilo a bastone schiacciato si impostano sulla spalla e sul collo che culmina con un orlo convesso, rilevato e svasato. Prodotta dalla fine del II secolo fino al IV in numerosi ateliers della Tunisia centrale e settentrionale, era impiegata per l’esportazione di olio51

. L’anfora conosce un’ampia distribuzione nel Mediterraneo occidentale, dove è ben documentata a Roma e Ostia, ma raggiunge anche il Mediterraneo orientale e la Gran Bretagna52. Lo studio degli esemplari ostiensi ha consentito di distinguere tre principali varianti in base alla morfologia dell’orlo: A - orlo leggermente estroflesso, con profilo esterno convesso e profilo interno piano (fine II – inizio III secolo); B - orlo “articolato ad echino”, concavo all’interno e convesso all’esterno (fine II - prima metà III sec.); C - orlo semplificato e leggermente prominente (seconda metà del III – IV sec.) 53.

In Etruria attestazioni di anfore Africana 1 provengono, tra gli altri siti, dalla villa di S. Vincenzino a Cecina54, dal relitto di Giannutri55 e da Piazza

49 PANELLA 2001, pp. 211.

50 PEACOCK et alii, p. 191, fig. 13, 29. 51 BONIFAY 2004, p. 107.

52

PEACOCK – WILLIAMS 1986, p. 154 con bibliografia.

53 PANELLA 1973, pp. 575 – 579. 54

PAOLETTI – GENOVESI 2007, p. 388.

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Duomo a Pisa56. Gli scavi del 1998 hanno restituito due orli e due puntali pertinenti a questo tipo. Un orlo (Tav. IV, fig. 3) è direttamente confrontabile con uno degli esemplari di variante A, precedentemente individuati nella piazza, che si differenziano dalla forma canonica perché distinti dal collo per mezzo di un piccolo gradino e privi della concavità interna57. Il frammento è realizzato con un impasto color rosso - marrone (forse dovuto a eccessiva cottura), nel quale sono visibili pochissimi inclusi bianchi lucenti piccolissimi (quarzo) e bianchi (Imp. 9). L’altro orlo, con il caratteristico profilo a echino e fortemente convesso all’interno, è riferibile alla variante B (Tav. IV, fig. 4). Esso mostra un corpo ceramico arancio con pochi inclusi rossi medi e grandi, pochi bianchi piccoli, e pochi piccoli incolori (quarzo) e grigi (Imp. 10).

Africana II

Questa denominazione indica un gruppo di contenitori accomunati da un grande corpo cilindrico, massicce anse ad orecchia e puntale rigonfio, con orli che, invece, mostrano diverse dimensioni ed articolazioni. A partire dalla forma dell’orlo e del corpo, sono state riconosciute quattro varianti principali (A, B, C, D) a loro volta suddivisibili in sottotipi58. Prodotte in Tunisia tra la fine del II e il IV secolo d.C., queste anfore conoscono un’espansione nel Mediterraneo simile ai contenitori Africana I. L’alta produzione olearia della regione di provenienza (Bizacena e Zeugitana) e la presenza di un rivestimento resinoso su alcuni esemplari suggerirebbero che il contenuto fosse l’olio, ma diversi sono anche gli elementi a favore di un contenuto vinario59.

In Toscana anfore Africana II sono state individuate a Cecina60, Giglio Porto61, Luni62 e Vada63. Le attestazioni pisane provengono da S. Rossore64, dalla

56 COSTANTINI 2011, pp. 408 – 409. 57 Ibidem,fig. 9.9. 58 PANELLA 1973, pp. 460-633; BONIFAY 2004, pp. 107 – 117. 59 BONIFAY 2004, p. 111, 114, 117. 60 PAOLETTI – GENOVESI 2007, p. 388. 61 RENDINI 1991, p. 122. 62 LUSUARDI SIENA 1977, pp. 254-255. 63 PASQUINUCCI et alii 2004, p. 1102.

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necropoli di via Marche65, e da Piazza dei Miracoli66. A queste ultime si aggiungono i frammenti provenienti dagli scavi del 1998: quattro orli, un’ansa e cinque puntali; alcuni tra questi ultimi, tuttavia, potrebbero essere pertinenti anche ad anfore Keay 25. Tra gli orli, uno si presenta spesso e arrotondato e con profilo a mandorla, ed è pertanto attribuibile alla variante A, di fine II - metà del III secolo (Tav. V, fig. 1). Altri due orli, alti e con profilo esterno convesso, appartengono alla variante C, databile tra la metà del III e il IV secolo (Tav. V, figg. 2, 3). Un ultimo orlo, confrontabile con un esemplare dall’atelier di Thyna67, è probabilmente attribuibile alla variante D, che si colloca tra la metà del III e i primi terzi del IV secolo (Tav. V, fig. 3).

La maggior parte dei frammenti di Africana II è realizzata con un impasto di colore rosso, con molti inclusi bianchi piccoli e piccolissimi, molti bianchi lucenti piccolissimi (quarzo), pochi bianchi medi e grandi (Imp. 8).

Keay 11

L’anfora Keay 11 è un contenitore cilindrico, con spalla arrotondata sormontata da un alto collo tronco – conico e anse a orecchia. L’orlo presenta un profilo a S, con la parte inferiore più pronunciata e il labbro assottigliato68. Non si tratta dell’equivalente della Tripolitana III, come nella classificazione di Keay, ma è un tipo africano particolare, ben attestato alla fine del IV e nel V secolo d.C. a Roma69 e a Marsiglia70. A Savona, nella necropoli del Priamàr, viene identificata come esempio tardo di Africana II D, databile genericamente nel IV secolo d.C71. Nel contesto oggetto di questo studio la Keay 11 è rappresentata da due orli, confrontabili con un esemplare rinvenuto nella necropoli di via Marche72. Un frammento mostra un impasto color rosa – arancio, con rari inclusi bianchi e

64 ABELA 2000, p. 160. 65 COSTANTINI 2010, p. 330. 66 COSTANTINI 2011, p. 409. 67 BONIFAY 2004, p. 32 – 33, fig. 6. 68 KEAY 1984, FIG. 50, n. 2 69

WHITEHOUSE et alii 1982, Fig. 13, n. 175

70 BONIFAY 1986, Fig. 6, n.19

71 LAVAGNA E VARALDO 1988, 195-196, Fig. 15. 72 COSTANTINI 2010, p. 331, fig. 1.10.

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bianchi lucenti (Imp. 9). L’altro presenta un corpo ceramico marrone con pochi inclusi rossi medi e grandi, pochi bianchi piccoli, pochi piccoli grigi e incolori (Imp. 10).

Keay 25/ Africana III

A partire dalla fine del III secolo comincia la distribuzione di “contenitori cilindrici di medie dimensioni” che mostrano una derivazione formale dalle anfore del tipo Africana II. Originari della Zeugitana e della Bizacena, si diffondono nel Mediterraneo occidentale e orientale raggiungendo non solo i centri costieri, ma anche aree più interne, a testimonianza del grande impulso del commercio africano nel tardo impero73. All’interno di questa famiglia di contenitori, Keay ha individuato 29 varianti (da 25 A a 25 Z4) raggruppandole in sette sottogruppi74, i primi tre dei quali sono stati successivamente ripresi da Bonifay per riunirvi le varie forme attestate e scandirne l’evoluzione morfologica75

. In generale le anfore Keay 25 sono caratterizzate da corpo cilindrico abbastanza stretto, che si conclude con un puntale pieno, a volte abbastanza alto. Gli orli, estremamente vari, solitamente sono a corolla. Le anse sono a orecchia e si impostano sul collo cilindrico o tronco – conico, e sulla spalla stretta. Riguardo al contenuto, si ipotizza fosse vino o garum.

In Italia questi contenitori sono stati rinvenuti in gran numero in diversi centri, tra cui Ostia, Aquileia76 e, per quanto riguarda l’Etruria, a Vada77. A Pisa sono attestati presso le navi di S. Rossore78, nella necropoli di via Marche79. A Piazza Duomo vengono confermati gli elevati indici di presenza già rilevati nell’ambito degli scavi del 2003 -200980

. Nel contesto in esame, infatti, le Keay 25 rappresentano le anfore africane più frequenti e sono attestate in due delle tre

73

VILLA 1994, p. 389.

74 KEAY 1984, pp. 184-212. 75 BONIFAY 2004, p. 119.

76 VILLA 1994, p. 389, con bibliografia. 77

PASQUINUCCI et alii 2004, p. 1102.

78 ABELA 2000, p. 160. 79 COSTANTINI 2010, p. 330. 80 COSTANTINI 2011, pp. 409 – 411.

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varianti identificate. Al sottotipo A, databile tra la fine del III e l’inizio del IV secolo, appartengono due orli più verticali e massicci, di cui uno presenta un piccolo gradino sulla sommità esterna (Tav. …). Al sottotipo B (IV sec.) sono riferibili 6 orli, leggermente più estroflessi, con estremità incurvata verso l’esterno (Tav. fig…). Fa parte di questo gruppo anche un orlo lievemente più svasato degli altri (Tav. .. fig.), che potrebbe rappresentare una transizione tra il sottotipo B e il sottotipo C (fine IV – prima metà del V sec.). A questi frammenti si aggiungono anche un’ansa e numerosi puntali, non sempre distinguibili da quelli delle Keay 26 (infra). Per gli impasti si rimanda ai numeri 8, 9,10, del catalogo.

Keay 26 – Spatheion

A partire dal IV secolo le manifatture tunisine cominciano a produrre un’anfora con dimensioni abbastanza ridotte, che diventa una delle forme più frequentemente attestate nei contesti di V secolo di molti siti del Mediterraneo occidentale. Essa si contraddistingue per un corpo affusolato terminante in un alto puntale pieno, piccole anse a orecchia impostate sul collo cilindrico e sulla spalla appena accennata, e orlo solitamente a becco. In relazione alle dimensioni sono distinguibili tre sottotipi, all’interno dei quali la forma dell’orlo determina un’ulteriore suddivisione in varianti81

. Gli esemplari di maggiori dimensioni (spatheia 1 e 2) sono diffusi tra l’inizio del V e il VI secolo, mentre quelli di piccola taglia (spatheia 3) sono attestati tra la fine del VI e la seconda metà del VII. La merce commercializzata per mezzo di questi contenitori non è conosciuta, ma, tenuto conto della loro ampia diffusione, Bonifay ritiene più verosimile che si tratti di anfore vinarie82.

Le attestazioni di spatheia a Pisa si registrano a San Rossore83 e in Piazza Duomo84. Negli scavi del 1998 essi sono presenti nella variante più antica. Ad essa sono attribuibili tre frammenti di orlo, a sezione triangolare, leggermente

81 BONIFAY 2004, pp. 129. 82 Ivi, p. 129. 83 BARRECA - GIANNINI 2006, p. 81, n. 84. 84 COSTANTINI 2011, p. 411.

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pendente e svasato; in un caso l’orlo, più arrotondato, è sottolineato da un gradino (Tav. Figg. ). Sono probabilmente riferibili alla medesima variante anche un frammento di ansa e diversi puntali (Tav. figg.), tra i quali alcuni, di dimensioni leggermente più grandi, potrebbero essere pertinenti anche a Keay 25. Gli impasti ceramici sono diversi e si presentano, duri, poco porosi e di un colore che varia dal rosso, all’arancio al beige. Per la caratterizzazione si rimanda ai numeri 8, 9, 10, 11 del catalogo.

Keay 27

Quest’anfora appartiene alla famiglia dei “contenitori cilindrici di grandi dimensioni”, prodotti a partire dal V secolo, ma diffusi ancora nel VI e in alcuni casi anche agli inizi del VII secolo. È caratterizzata da corpo cilindrico molto allungato che si conclude con un corto puntale appiattito; l’orlo costituisce un prolungamento del lungo collo cilindrico, in prossimità del quale si impostano le anse. Sono note due varianti: la A, databile alla seconda metà del IV secolo, è contraddistinta da un orlo dritto o svasato, con rigonfiamento interno, e anse con attaccatura bassa; la B, inquadrabile nella prima metà del V secolo, presenta un bordo svasato e anse con attaccatura alta. La produzione, secondo Bonifay, è probabilmente originaria di un’area a ovest di Cartagine85.

In Piazza Duomo, all’unica attestazione proveniente dal recupero generale di area 800086, si aggiungono altri dueframmenti di orlo, riferibili alla variante A. L’impasto è di colore rosso chiaro o arancio, con pochi inclusi rossi medi e grandi e pochi bianchi, grigi e incolori piccoli (Imp. 10).

Keay 35

L’anfora Keay 35 è un contenitore con corto collo cilindrico o troncoconico, orlo a fascia molto aggettante, a volte ricurva verso il basso, piccole anse ad anello applicate sotto l'orlo e alla base del collo. Il grande corpo cilindrico termina con un corto e grosso puntale, conico o cilindrico. Prodotta nel territorio

85 BONIFAY 2004, p. 132.

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della città di Nabeul e forse anche in Bizacena87, è tra le “anfore cilindriche di grandi dimensioni” più frequenti nel Mediterraneo occidentale nei primi due terzi del V secolo. Si distinguono due principali varianti: la A, con orlo massiccio a sezione circolare, e la B, che presenta invece un orlo “a becco” sporgente verso l’esterno, talvolta pressoché orizzontale. Si ritiene che la forma A fosse adibita al trasporto di salsamenta e che, invece, la B fosse un’anfora olearia88.

In Etruria questo contenitore è documentato a Luni, Vada89, Firenze90. A Pisa è presente nella necropoli di via Marche91 e in Piazza Duomo92. Nel contesto in esame si possono segnalare due frammenti di orlo, entrambi appartenenti alla variante B, e un frammento di puntale (Tav. . figg.). Per l’impasto si veda il numero 8 del catalogo.

Keay 62 Q/ Albenga 11 – 12

Questo contenitore è stato separato dalle anfore raggruppate da Keay sotto il numero 62, a causa di evidenti differenze morfologiche93. L’anfora Keay 62 Q è più alta e slanciata, con un collo cilindrico e stretto, anziché tronco - conico e largo; il puntale è cilindrico a base appiattita, o con rigonfiamento ad anello meno accentuato rispetto al puntale tipico delle Keay 62. L’orlo, di cui esistono più varianti morfologiche, è formato da una fascia ingrossata, sormontata da un labbro triangolare ripiegato verso l’esterno. Le anse a orecchia sono abbastanza sottili.

La produzione delle Keay 62 Q si data tra l’ultimo terzo del V secolo e la prima metà del VI. Nelle stratigrafie di Marsiglia la comparsa di questo tipo precede quella delle Keay 62, e non si esclude che queste possano rappresentarne una derivazione94. L’area di origine non è stata individuata, ma si ipotizza si trovasse a poca distanza da Nabeul95. In Italia ritrovamenti significativi di

87 BONIFAY 2004, pp. 135. 88

Ibidem.

89 DEL RIO - VALLEBONA 1996, p. 491. 90 CANTINI 2007, p. 243. 91 COSTANTINI 2010, p. 331. 92 COSTANTINI 2011, p. 412. 93 BONIFAY - PIÉRI 1995, p. 102. 94 Ibidem. 95 BONIFAY 2004, p. 137.

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quest’anfora si registrano nel Battistero di Albenga96

, alle Arene Candide e a Pieve del Finale97. In Toscana si conoscono attestazioni sull’isola del Giglio98 , nella baia di Portiglioni (Portus Scabris)99e a Pisa, in Piazza dei Miracoli100.

Dalle indagini del 1998 proviene un frammento di orlo, parzialmente confrontabile con un reperto da Portus Scabris101. Esso è lievemente rientrante all’interno, nel punto di congiunzione con l’orlo; il labbro superiore è abbastanza ingrossato, tanto da unirsi quasi alla fascia sottostante. Il frammento è realizzato con un impasto rosa arancio con pochi inclusi visibili (Imp. 9).

Keay 62 A

Le anfore Keay 62 sono contenitori cilindrici di grandi dimensioni, caratterizzati da collo alto e per lo più troncoconico, dal quale l’orlo si distingue per mezzo di una strozzatura. Esso presenta un labbro ingrossato dal profilo variabile, per lo più caratterizzato da una risega o uno scalino lungo la faccia esterna. Le anse, di sezione genericamente ovale e dall'andamento a gomito, sono applicate alla metà del collo e sulla spalla. Il fondo è generalmente provvisto di un corto puntale a bottone. È frequente la presenza di linee orizzontali o ondulate graffite a pettine sul collo e sulla spalla, soprattutto negli esemplari più tardi.

Tra le varianti proposte dal Keay102, il tipo 62 A è quello maggiormente caratteristico dei contesti di VI secolo. Esso presenta un bordo più svasato con labbro triangolare pendente. Bonifay ritiene possibile distinguere tra gli esemplari originari di Nabeul, dal profilo più marcato e verticale, e quelli della Bizacena, dal profilo più arrotondato103.

In tutti i siti dove è presente, l’anfora Keay 62 A compare sempre in associazione con forme di Terra Sigillata Africana D. Sono note attestazioni a

96 PALLARÈS 1987. 97

MURIALDO 1993 – 1994, p. 224.

98 CELUZZA – RENDINI 1992, p. 114, Tav. IV, n. 123. 99

VACCARO 2011, p. 139.

100 COSTANTINI 2011, p. 414. 101

VACCARO 2011, p. 139, Tav. LXXVII, n. 3

102 Lo studioso suddivide questa famiglia di anfore nelle varianti da A aV, con almeno 20 tipologie

di orli e 15 di puntali: KEAY 1984, pp. 309-350, figg. 134-163.

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Marsiglia104 e nei relitti di La Palud (Port Cros)105 e di Filicudi106. Il contesto di Pisa Piazza Duomo ha restituito un orlo con corto labbro a sezione verticale e marcata risega nella parte inferiore esterna. Il frammento presenta un corpo ceramico di colore rosa violaceo, corrispondente al n. 10 del catalogo degli impasti.

Keay 61C

Questo contenitore è frequente dalla fine del VI alla prima metà del VII secolo. È caratterizzato da collo tronco - conico e da orlo a mandorla, con anse a sezione ellittica e dal profilo ribassato. Il fondo termina generalmente con un puntale troncoconico. In seguito a recenti analisi archeometriche l’area di produzione è stata recentemente circoscritta al sito di Enchir ech Chekaf, presso

Sullectum (Tunisia)107.

L’anfora è distribuita nel Mediterraneo occidentale in quantità modeste. Tra i rinvenimenti noti vi sono quelli della Catalogna, di Marsiglia108 e Sant’ Antonino di Perti109. A Pisa, in Piazza dei Miracoli l’anfora è attestata da un unico frammento di orlo, confrontabile con un esemplare rinvenuto a S. Antonino di Perti110. L’impasto, rosso chiaro con superficie schiarita, è duro e compatto e con pochi inclusi visibili (Imp. 8).

Keay 8A

Si tratta di un’anfora che, pur se in modeste quantità, compare regolarmente nei contesti di VII secolo avanzato del Mediterraneo occidentale e anche dell’Egeo111

. È caratterizzata da un orlo verticale, con labbro leggermente estroflesso, sottolineato da un gradino nel punto di congiunzione con il lungo

104 BONIFAY - PIÉRI 1995, p. 103, fig. 3, 23 -25. 105 BONIFAY 1998, p. 328.

106 ALBORE LIVADIE 1984, p. 96. 107

GANDOLFI et alii, p. 37.

108 BONIFAY - PIÉRI 1995, p. 105, fig. 4, 33 -35. 109 MURIALDO 1993 -1994, pp. 354 – 360. 110 GANDOLFI et alii, fig. 8, n. 2.

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collo cilindrico. Le anse, a sezione ellittica schiacciata, si impostano sul collo e sulla spalla. L’ampio corpo cilindrico termina in un puntale conico con rigonfiamento ad anello. Si ritiene che il contenitore sia una derivazione della Keay 61, e che rappresenti l’ultima fase evolutiva delle “anfore cilindriche di grandi dimensioni”112

. L’analisi degli impasti rivela una possibile differenziazione dei centri produttivi, dislocati in Tunisia113. L’anfora è frequente nei livelli più tardi del castrum di S. Antonino di Perti114, e un esemplare quasi integro è stato rinvenuto a Pieve del Finale115. In Piazza Duomo, lo scavo sul retro degli Uffici dell’OPA ha restituito un frammento di orlo attribuibile a questa forma (Tav., fig.), di impasto rosso chiaro con inclusi calcarei e di quarzo (Imp. 8 ).

Produzioni orientali

Late Roman 1

Tra le anfore di produzione orientale, la Late Roman Amphora 1 costituisce una delle forme più diffuse nei contesti mediterranei dal V fino al VII secolo inoltrato, specialmente nel periodo compreso tra la fine del V e il VI secolo. Si tratta di un’anfora presumibilmente vinaria116, a corpo ovoidale caratterizzato da ampie scanalature, prodotta lungo la costa della Siria, della Cilicia, ma anche in Caria e in alcune isole egee117. Dal punto di vista morfologico sono note due principali varianti, legate a una significativa evoluzione del diametro del collo nel corso del tempo. La più antica è la LRA 1 A, prodotta tra la metà del IV e l’inizio del VI secolo e notevolmente diffusa in tutto il Mediterraneo, soprattutto nella parte occidentale118. Essa si contraddistingue per

112 MURIALDO 2001, p. 267. 113 GANDOLFI et alii 2010, p. 38. 114 MURIALDO 2001, p. 267, Tav. 10 115 MURIALDO 1988, fig. 7.6. 116 PIÉRI 2005, pp. 81 – 85. 117 VILLA 1994, p. 401; PIÉRI 2005, p. 80. 118 PIÉRI 2005, p. 70.

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un collo corto e stretto, un orlo a fascia a sezione quadrangolare o circolare, e anse, a sezione rotonda o leggermente ovale, con marcata nervatura longitudinale; il corpo ovoide, rastremato verso il basso, termina con un fondo arrotondato con bottone terminale. Il diametro dell’imboccatura tende ad aumentare progressivamente durante tutta la seconda metà del V secolo, fino al definitivo affermarsi della seconda variante, la LRA 1 B. Le caratteristiche di questa forma, a sua volta divisa in due sottotipi, sono: corpo cilindrico, collo e imboccatura più larghi, orlo ispessito semplice (LRA 1 B1) o estroflesso (LRA 1 B2). Nel sottotipo LRA 1 B2, inoltre, le anse sono più ovali e prive di nervatura. La variante più tarda, databile tra il VI e il VII secolo, conosce anch’essa una notevole espansione nel Mediterraneo, ma è maggiormente rappresentata in Oriente piuttosto che in Occidente119.

La diffusione della LRA in Italia è documentata, in contesti di V - inizi VII secolo, a Roma, a Napoli, a Luni, a Genova, a S. Antonino di Perti120. In Toscana si conoscono attestazioni a Vada121, a Firenze122 e sull’isola del Giglio123. La presenza dell’anfora a Pisa, nell’area di Piazza Duomo124

, è confermata da tre frammenti di anse, alcune pareti scanalate e da una parte di collo con orlo a sezione circolare e attacco d’ansa. Per quanto riguarda quest’esemplare (Fig….), il diametro dell’imboccatura (9 cm) e l’assenza del gradino di distinzione tra orlo e collo suggeriscono che si possa trattare di una transizione tra la variante 1 A e la 1 B125. Le anse, a sezione circolare, sono percorse longitudinalmente dalla caratteristica nervatura (Fig….).

I frammenti descritti presentano un impasto beige o rosa arancio, con superficie tenera e polverosa e molti piccoli inclusi bianchi e neri (Imp. 16). Dall’esame delle pareti, inoltre, sembra possibile distinguere altri quattro corpi ceramici (Imp.15,17, 18, 19), anch’essi di colore variabile tra il beige e il rosa – arancio, che si differenziano sulla base di una maggiore o minore presenza di piccoli inclusi bianchi e bianchi trasparenti (quarzo), e piccolissimi lucenti (mica).

119PIÉRI 2005, pp. 75-76.

120 MURIALDO 1993-1994, pp. 235 – 236, con bibliografia. 121 DEL RIO –VALLEBONA 1996, p. 491.

122

CANTINI 2007, p. 236, 285, tav. XXII, nn. 16.77-16.88.

123 RENDINI 1991, pp. 111, 115, n. 125.

124 Cfr. COSTANTINI 2011, pp. 413 – 415, Figg. 12.7, 13 125 PIÉRI 2005, p.72.

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Late Roman 2

Verso la fine del IV secolo compaiono in Oriente i primi esemplari di LRA 2, la cui produzione è originaria della regione del Mar Nero, dell’Egeo settentrionale e delle isole di Samo e Chio126. Si tratta di un contenitore dal corpo globulare, con spalla ampia e collo tronco – conico su cui si impostano le anse a sezione ellittica. L’orlo generalmente è alto e svasato, leggermente rigonfio. Fitte solcature a pettine ricoprono la parte superiore del corpo, che termina con un fondo a bottoncino. Si distinguono tre varianti principali127. La prima (LRA 2 A), presenta un corpo quasi sferico, con spalla talvolta carenata, corto collo; l’orlo è “a imbuto”, con una concavità interna, le anse sono ricurve e a sezione sub - ellittica. Databile tra la fine del IV e la metà del VI secolo, essa mostra bassi indici di presenza nel Mediterraneo rispetto alle varianti successive. A partire dalla seconda metà del VI secolo, con la LRA 2 B, il collo del contenitore si allunga, l’orlo si restringe e il corpo diviene più ovoidale; il corpo è ora decorato da linee profondamente incise, in alcuni casi ondulate. La terza variante (LRA 2 C), diffusa dalla fine del VI secolo alla metà del VII, è caratterizzata da collo molto lungo, orli variamente articolati, e una decorazione a fasce di fitte scanalature a pettine o di onde incise. Verosimilmente essa servirà da modello per le “anfore globulari” diffuse nel Mediterraneo tra il VII e il IX secolo (infra). Rimane incerto quale fosse il contenuto di quest’anfora, dal momento che vi sono indizi a favore sia del trasporto di vino che di olio128.

In Etruria rinvenimenti di Late Roman 2 si conoscono a Luni129, a Vada130, a Firenze131. Ai frammenti già noti per Piazza dei Miracoli132, si aggiunge una parete con fitte scanalature, realizzata con impasto rosso giallastro (Imp. 20) che contiene molti piccoli inclusi bianchi e bruni, pochi bianchi medi, molti lucenti piccolissimi (mica). Questi ultimi sono ben visibili sulla superficie esterna del frammento, che si presenta di colore più chiaro, tendente al rosa.

126 PIÉRI 2005, pp. 90-91. 127 Ivi, pp. 86 – 89. 128 PIÉRI 2005, pp. 92-93; OPAIŢ 2004. 129 MURIALDO et alii 1999, pp. 34-35.

130 DEL RIO -VALLEBONA 1996, p. 492. 131 CANTINI 2007, p. 236, 285, tav. XXII, n. 16.89 132 COSTANTINI 2011, p. 419 (Figg. 15.4, 5)

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Late Roman 3

Probabilmente per derivazione dalle “anforette micacee” mononsate (già in commercio dal I secolo), a partire dal IV e fino al VI – VII secolo si afferma questo caratteristico tipo di anfora, prodotta sulla costa occidentale della Turchia, in una zona compresa tra Efeso e Sardi133. Essa è contraddistinta da collo alto e stretto, ampia spalla e corpo affusolato, ristretto verso il basso e terminante con un puntalino esternamente cavo; sul corpo sono inoltre visibili scanalature oblique. Le anse sono a nastro, impostate direttamente sul collo. La forma originaria, databile tra III e IV secolo, è monoansata. È alla fine del IV secolo che risale, invece, la forma biansata, la quale conosce la sua maggiore diffusione nel V secolo134. Data la sua capacità (6/8 litri), è probabile che quest’anfora fosse adibita al trasporto di vino pregiato oppure olii, unguenti, garum135. Sono noti anche esemplari più ridotti, della capacità di 1 o 2 litri136.

Dopo il periodo di massima incidenza raggiunto nel secolo precedente, nell’ambito del VI – VII secolo le esportazioni cessano. È questo l’andamento che si può riscontrare sia a Cartagine, che a Luni, Roma, Napoli e in diversi siti della Francia meridionale137. I siti dell’Etruria raggiunti da questo contenitore, oltre Luni, sono Firenze138, Vada139 e Pisa140. Dagli scavi del 1998 in Piazza Duomo provengono due anse e due pareti pertinenti a LRA 3 (Figg. …). I frammenti presentano un corpo ceramico fine, dal rosso chiaro al bruno, con abbondanti inclusi lucenti e qualche piccolo incluso bianco (Imp. 21).

133

LUSUARDI SIENA 1991, p. 124; MURIALDO 2005, p. 397.

134

PIÉRI 2005, pp. 94 - 95

135 VILLA 1994, p. 405; PIÉRI 2005, pp. 100 – 101. 136 PIÉRI 2005, p. 97.

137 MURIALDO 1993-1994, p. 235 con bibliografia. Per Roma si vedano anche le attestazioni

della Crypta Balbi: SAGUÌ 2002, p. 15.

138 CANTINI 2007, pp. 236, 285, tav. XXII, n. 16.90. 139 DEL RIO – VALLEBONA 1996, p. 492.

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Late Roman 8/ Samos Cistern Type

I contenitori raggruppati sotto questa denominazione sono accomunati dalle seguenti caratteristiche: collo cilindrico, anse a sezione ovale, corpo piriforme più svasato verso il fondo, che termina con un piccolo puntale pieno. Prodotte in un’area che si estende tra Samo e le coste occidentali della Turchia, queste anfore vinarie compaiono in Oriente dalla fine del III secolo141, diffondendosi nel Mediterraneo dal IV fino al VII secolo. Esse presentano un gran numero di varianti legate a differenze negli orli e nella forma. In ragione di questa eterogeneità è stato possibile operare una distinzione tipologica solo sulla base delle dimensioni142. È da sottolineare come, mentre gli esemplari di dimensioni maggiori non sembrano essere esportati in Occidente oltre la fine del V secolo o l’inizio del VI, quelli di piccola taglia sono ancora presenti nel corso del VII secolo. Fa parte di questa seconda categoria l’anfora Samos Cistern Type, ascrivibile alla fase più tarda della produzione (VI – VII secolo).

Nella nostra penisola l’anfora LRA 8 è attestata, nella prima variante, ad Aquileia, Ravenna, Roma; la seconda variante è stata rinvenuta a Napoli, Marano, Cuma, Roma, Ravenna, Luni143.

Dal contesto in esame proviene un puntale con scanalature, confrontabile con quello rinvenuto negli scavi già editi144, sulla base del quale non è possibile comprendere se l’esemplare intero rappresentasse un modulo o un sottomodulo del tipo. Il frammento presenta un impasto beige nel quale sono visibili numerosi inclusi bruni piccoli e medi, pochi bianchi piccoli e medi, molti lucenti piccolissimi (Imp. 22).

141 È stata supposta una derivazione dalle anfore Agorà M 273, prodotte in area egea tra il III e il

VI secolo.

142 PIÉRI 2005, pp. 133 – 134. 143 Ibidem, con bibliografia.

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42 Anfore globulari

I materiali più tardi del contesto in esame sono rappresentati da alcuni frammenti di anfore globulari. Con questa definizione si fa riferimento a un gruppo molto diversificato di contenitori di piccole dimensioni, con corpo ovoide, corto collo cilindrico o tronco - conico, e fondo convesso o umbonato. Queste anfore, diffuse a partire dalla seconda metà del VII secolo, possono essere considerate un’evoluzione dei contenitori tardoantichi del Mar Nero e del Mediterraneo orientale (LRA 1 e 2), rispetto ai quali viene modificato il rapporto tra l’altezza e la larghezza del vaso, privilegiando quest’ultima. .

A S. Antonino di Perti145 sono state individuate anfore globulari le cui argille sono riconducibili all’Africa e forse anche all’area mediorientale. Esse sono attestate anche in fasi tarde di Marsiglia e della Francia meridionale146, nello scavo della Crypta Balbi147 a Roma, in Italia meridionale e in Tunisia (Cartagine, Sidi Jididi)148. Anfore globulari erano inoltre prodotte in numerosi centri italiani, nelle regioni maggiormente soggette all’influenza bizantina: in Abruzzo (Castellana di Pianella)149, in Campania (Miseno, Ischia)150, in Puglia (Otranto)151, in Calabria e in Sicilia152. In Toscanai reperti anforici riconducibili a questo tipo, non numerosi, provengono da scavi recenti. Singoli fondi umbonati sono stati rinvenuti a Firenze153 e a Portus Scabris154, mentre a Pisa i primi frammenti sono venuti in luce a Piazza Duomo (due fondi e un orlo)155.

I materiali degli scavi del 1998 arricchiscono queste attestazioni con quattro frammenti. Il più rilevante è rappresentato da una porzione di collo

145

MURIALDO 1993 – 1994, pp. 229 -230; GANDOLFI et alii, pp. 39 – 41.

146 BONIFAY – PIERI 1995, pp. 105 - 106, 116. 147 PAROLI L. 1992, p. 360.

148 BEN ABED – BONIFAY – FIXOT – MICHEL D’ANNOVILLE – REYNAUD 1997, p. 24.

149

PETRONE – SIENA – TROIANO – VERROCCHIO 1994.

150

ARTHUR 1989, p. 87; DE ROSSI 2004, pp. 255 – 256.

151

ARTHUR 1992, pp. 103 – 110.

152 DI GANGI – LEBOLE 1998, pp. 763 – 766. 153 CANTINI 2007, p. 247, tav. XXIII, n. 16.94.

154

VACCARO 2011, p. 140, tav. LXXVII n. 5.

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cilindrico che conserva l’orlo arrotondato e un’ansa, a sezione ellittica schiacciata, con leggere scanalature longitudinali esterne (Fig. ….); da rimarcare è lo spessore molto ridotto della parete. Il frammento trova un immediato confronto tra le anfore rinvenute a S. Antonino di Perti, sia per la morfologia sia per l’impasto156. Il nostro esemplare presenta infatti un corpo ceramico marrone rossastro (forse eccessivamente cotto), con una tenue schiaritura esterna bruno chiara e con numerosi piccoli inclusi bianchi e trasparenti (quarzo). Gli altri tre frammenti sono pertinenti a fondi concavi (Figg. ….), tra i quali uno presenta, nella parte inferiore, un bottone poco rilevato (Fig. …). Gli impasti sono duri e vacuolati, di colore che varia dal rosa - arancio al marrone – arancio, con pochi inclusi bianchi e neri piccoli, e lucenti piccolissimi (Imp. 23). Nel caso del primo esemplare (Imp. 24), sembrerebbe probabile un’origine nordafricana. Relativamente agli altri corpi ceramici, invece, si potrebbe ipotizzare una provenienza dall’area del Mediterraneo orientale o anche dall’Italia centromeridionale. Tuttavia, essendo note le difficoltà nell’individuazione delle aree di produzione di queste anfore senza il ricorso alle indagini mineralogico – petrografiche, è preferibile rimandare la questione ad altra sede.

Riferimenti

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