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Capitolo 1: Brain Computer Interface, Neuroprotesi: Prospettive, Tendenze, Progetti.

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Academic year: 2021

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Capitolo 1: Brain Computer Interface, Neuroprotesi:

Prospettive, Tendenze, Progetti.

“Dapprima la tecnologia ha agevolato l’estroflessione delle capacità dell’uomo, in particolare di quelle cognitive, poi, pur continuando su questa strada che porta a una vera e propria disseminazione del corpo, è rimbalzata indietro a colonizzare e invadere il corpo1

.”

“La potenza dell’estroflessione sta per rovesciarsi come un guanto: dopo essersi estroflesso nel mondo con la forza di una tecnica dominatrice e ordinatrice, l’uomo occidentale vede tutto il mondo rifluire entro di sé, direttamente e letteralmente dentro il suo corpo.

Dopo l’esplosione dell’uomo nel mondo, l’implosione del mondo nell’uomo.

In questo modo, al corpo replicato si affianca il corpo invaso: la tecnica si insinua molecolaralmente, pezzo per pezzo, organo per organo, nel corpo dell’uomo, e lo trasforma in qualcosa che non è totalmente artificiale ma non può più nemmeno dirsi naturale2.”

Tutte le prospettive di ricerca a cui ci riferiremo nel corso di questa trattazione convergono nell’obbiettivo di progettare e realizzare sistemi bionici ibridi3 (Hibrid

1 Longo, 2005, p.36. 2 Caronia, 1996, p.73. 3

“Un sistema bionico ibrido, secondo la definizione data nel 6° Programma Quadro dell’Unione Europea (2003), serve per aumentare la capacità degli esseri umani, come la percezione dell’ambiente, la motricità, l’interazione con altri esseri umani e con l’ambiente. Questo obiettivo è conseguibile attraverso l’integrazione armonica di sistemi robotici con i sistemi di azione e percezione degli esseri umani che avviene utilizzando le interfacce bi-direzionali (invasive e non invasive) con il sistema nervoso.”ftp://ftp.cordis.europa.eu/pub/ist/docs/wp2003-04_final_en.pdf.

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Bionic Systems: HBS), sistemi che integrano componenti biologiche e componenti tecnologiche attraverso l’utilizzo di interfacce neurali dirette cervello - computer (Brain Computer Interface) o protesi neurali in grado di sostituire la funzionalità di alcune aree del cervello.

In questo capitolo cercheremo in primo luogo di illustrare le caratteristiche generali di un dispositivo BCI e le applicazioni legate al loro utilizzo.

Ci riferiremo poi specificamente a tre progetti di ricerca: due progetti che tra molti stanno evidenziando risultati positivi nelle prime fasi di sperimentazione e che rappresentano quindi una conferma dello sviluppo positivo di queste tecnologie e delle loro applicazioni terapeutiche e ai fini di un possibile biopotenziamento, e un terzo progetto di ricerca quello dell’ingegnere biomedico Ted Berger inerente la progettazione di un prototipo di memoria artificiale attraverso il quale si potrebbe rendere possibile nei prossimi anni un trasferimento (Mind Uploading) dei nostri contenuti mentali su un supporto tecnologico.

Da un punto di vista etico questo progetto è quello che maggiormente c’interessa ai fini della nostra trattazione, perché oltre a porsi finalità di tipo terapeutico, recupero della memoria in casi di patologie neurodegenrative, ci prospetta un concreto utilizzo di queste tecnologie al servizio di un possibile ampliamento delle prestazioni cognitive sul quale svilupperemo le nostre riflessioni etiche nei capitoli successivi.

1.1 Brain Computer Interface

Una Brain Computer Interface (BCI) è un’interfaccia uomo-macchina che, senza far uso dei normali canali di comunicazione del sistema nervoso centrale e periferico, è in grado di stabilire una modalità di comunicazione diretta tra il cervello e il mondo esterno.

In parole più semplici l'interfaccia computer cervello è un sistema che svolge, vicaria le funzioni normalmente assolte dal sistema nervoso periferico.

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Possiamo per esigenza di chiarificazione classificare le interfacce neurali in base alle loro applicazione in:

Sensoriali: Dispositivi che sostituiscono o integrano il funzionamento di uno o più sensi umani .

Sono un esempio: gli impianti cocleari che sostituiscono la funzione dell’udito umano, le retine artificiali per la vista.

Motorie: Dispostivi per attivare gli arti umani o per rimpiazzarli completamente. Sono un esempio: stimolatori neuromuscolari iniettabili, arti robotici, mappatura dell’attività cerebrale premotoria su sistemi robotici, stimolazione elettrica funzionale (FES):

Cognitive: Protesi neurali che mirano a sostituire/integrare il funzionamento del cervello in attività cognitive quali la memorizzazione di informazioni od il recupero di ricordi, o altre funzioni legate alla memoria.

Le interfacce neurali si distinguono poi da un punto di vista tecnico in invasive o non invasive4 a seconda che siano posizionate all’interno o all’esterno del cervello e in

periferiche e centrali a seconda che si connettano con il sistema periferico o centrale5.

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Le interfacce invasive sono costituite da una serie di elettrodi che vengono impiantati nella corteccia cerebrale e che permettono di registrare e trasmettere i segnali provenienti dall’area del cervello in cui si trovano, tipicamente nella corteccia motoria.Le interfacce non invasive , funzionano invece adattando le tecniche di visualizzazione celebrale detta anche di “brain imaging” come l’Elettro Encefalo Gramma (EEG), Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) che permettono di visualizzare i correlati anatomici e funzionali del cervello, e quindi di registrare i segnali alle intenzioni del soggetto.

5

Un approccio più tecnico, una classificazione delle interfacce neurali, in base a dimensioni parametri di invasività, simbiosi e direzione del flusso di informazione, viene fornita in S.Micera, J.Carpaneto,

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Sono sistemi costituiti da strumenti di rilevazione dei correlati dell’attività celebrale (come ad esempio gli impulsi elettrici normalmente registrati attraverso l’elettroencefalogramma) e programmi avanzati in grado di decodificare e classificare, attraverso algoritmi di calcolo, i segnali rilevati (input) in output emessi da una macchina, come ad esempio un computer o un arto artificiale.

Una BCI sfrutta le informazioni relative all’attività fisiologica cerebrale per comprendere e tradurre in comandi le intenzioni del soggetto, tramite i seguenti passi:

i. Definizione del protocollo sottostante la generazione del segnale di interesse;

ii. Acquisizione del segnale mediante elettroencefalogramma (EEG);

iii. Elaborazione del segnale acquisito;

iv. Utilizzazione dei risultati di tale elaborazione ai fini dell’esecuzione di un compito.

Un sistema BCI è in genere costituito da tre elementi: (i) Un sistema di acquisizione del segnale;

(ii) Un sistema per l’elaborazione dei dati acquisiti in tempo reale; (iii) Un’interfaccia utente.

Il metodo per la rilevazione dell’attività cerebrale - acquisizione del segnale:

Un sistema BCI cerca di riconoscere determinate attività celebrali che possono essere definite esogene (se generate da particolari stimoli esterni), endogene (se generate autonomamente dal soggetto mediante esercizi di concentrazione o immaginazione) e di associarle a comandi interpretabili da computer e tramite questo interagire con l’ambiente esterno.

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Il cervello è basato su una trasmissione bio-elettrica che avviene attraverso le sue cellule, i neuroni.

Le cellule nervose hanno lo stesso funzionamento, ma possiedono strutture diverse in relazione alla funzione che svolgono.

Un'attività mentale, come ad esempio decidere di muovere un arto in una certa direzione, dà luogo ad un'attivazione delle cellule nervose.

Affinché l'atto mentale possa essere decodificato è necessario in primo luogo che gli impulsi elettrici siano rilevati e in seguito mappati e tradotti, attraverso dei logaritmi, in informazioni.

Un primo problema sta nell'attribuire un certo significato ad un impulso elettrico rilevato in una determinata area del cervello. Tipicamente le sperimentazioni hanno riguardato la rilevazione dell'attività della corteccia motoria, ovvero della parte della zona corticale deputata al movimento.

Un secondo ordine di problemi riguarda la metodologia di rilevazione dell'attività neuronale.

I metodi per rilevare queste attività sono fondamentalmente tre:

i. Impiantare chirurgicamente degli elettrodi all'interno della corteccia cerebrale.

ii. Rilevare l’attività elettrica attraverso dispositivi collocati sulla superficie corticale.

iii. Rilevare l’attività cerebrale attraverso elettrodi collocati esternamente sulla scatola cranica come avviene in un normale elettroencefalogramma (EEG).

La terza metodologia, la meno invasiva, è attualmente anche la più utilizzata per la rilevazione dell’attività elettro-fisiologica del cervello.

È evidente però come i metodi più affidabili e più precisi di registrazione dei segnali siano anche i più invasivi e quindi al momento di difficile praticabilità con gli esseri umani se non in particolari situazioni sperimentali.

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Sul fronte delle metodologie invasive che impiegano elettrodi, la frontiera è costituita dalla miniaturizzazione delle tecnologie (microchip che racchiudono in una superficie sempre più ristretta un numero sempre maggiore di informazioni) e dalle recenti innovazioni nel campo delle tecnologie dei materiali; gli sviluppi che sembrano promettere nuove possibilità nella messa a punto di neuro- impianti sempre più sottili, flessibili e bio - compatibili.

Citiamo, a proposito dei materiali, un polimero, denominato Fuzzy, realizzato dai ricercatori del Macromolecular Science and Engineering Center dell'Università del Michigan.

La molecola “Fuzzy” grazie ai contorni irregolari, favorisce l'insediamento di cellule nervose intorno alla sua superficie, effetto che può essere ulteriormente amplificato attraverso l'uso di fattori di crescita neuronale.

Queste caratteristiche fanno sì che questo tipo di impianti, all'interno dei quali vengono collocati degli elettrodi, si integrino perfettamente con i tessuti nervosi del soggetto.

Un sistema per l’elaborazione dell’informazione in tempo reale; trasformare il pensiero in output digitale:

Per poter condizionare un comando dal segnale ricevuto, è necessario un sistema di elaborazione e codifica dei dati: questo sistema deve essere sufficientemente veloce da assicurare un’interazione immediata tra l’utente ed il computer, al quale ci si riferisce come elaborazione real-time. Aspetto fondamentale per emulare l’interazione istantanea del cervello con l’ambiente esterno, tramite gli strumenti naturali del corpo.

L’utente deve svolgere operazioni mentali specifiche e predeterminate affinché sia prodotto un segnale riconoscibile e associabile ad un comando specifico.

Va inoltre rilevato come i soggetti che utilizzano questo tipo d'interfaccia, necessitano di norma di un certo periodo d'addestramento per imparare a interagire con le periferiche di output.

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L'utilizzatore deve, infatti, familiarizzare con il protocollo sperimentale ed è inoltre necessario che i segnali emessi dal soggetto siano opportunamente individuati e classificati al fine di garantirne l'affidabilità e la rispondenza al compito (muovere il cursore di un mouse, aprire e chiudere un arto meccanico etc…).

Un'efficace interazione tra uomo macchina è quindi la risultante di un processo di apprendimento bi-direzionale.

La ricerca sulle BCI:

La ricerca su quest'area si è sviluppata prevalentemente in ambito neurologico: inizialmente lo scopo delle sperimentazioni è stato lo studio delle funzioni del sistema nervoso centrale e, successivamente, l'individuazione di un interfaccia che consentisse a persone con lesioni spinali o colpite da paralisi, ictus o altre patologie neurologiche (come ad esempio il morbo di Lou Gherig) e che non possono muoversi né comunicare, di acquisire un certo grado di controllo su alcune tipologie di azioni. Le BCI potrebbero permettere a chi è paralizzato ad esempio di muovere un arto artificiale o scrivere per mezzo di una tastiera virtuale muovendo il cursore del mouse sul monitor attraverso gli impulsi della corteccia cerebrale o ancora dirigere i movimenti di una carrozzina elettrica o gestire, attraverso un sistema di controllo ambientale, comuni apparecchiature domestiche.

I ricercatori sono a questo proposito ottimisti e confidano nel fatto che in un lasso inferiore ai dieci anni, chi è completamente paralizzato o è colpito da gravi malattie neuro - degenerative, potrà riguadagnare alcune delle abilità motorie e comunicative assenti o compromesse dalla patologia.

La ricerca scientifica in questo settore conta ormai quasi 30 anni; a partire dagli anni 80 il neurologo Georgopoulos dell'università del Minnesota condusse i primi pionieristici esperimenti con le scimmie registrando l'attività di singoli neuroni motori della corteccia frontale e parietale del cervello. Tuttavia queste ricerche hanno portato a risultati limitati, infatti, negli anni successivi si è passatala registrazione dell’attività di un singolo neurone, alla registrazione simultanea di più cellule

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nervose: anche il più semplice dei movimenti è infatti il risultato dell'attivazione di numerose cellule nervose collocate in aree diverse della corteccia.

Questo accorgimento ha reso possibile, durante la metà degli anni 90, il movimento di un braccio meccanico da parte di scimmie e topi.

Gli ultimi anni hanno visto una forte accelerazione nello sviluppo di queste tecnologie, alcuni di questi impianti stanno attualmente superando positivamente le prime fasi di sperimentazione, un impianto in particolare, Brain Gate, a cui faremo riferimento nei paragrafi successivi è stato recentemente immesso sul mercato.

1.2 BCI: Le applicazioni

Nella grande varietà ed eterogeneità che caratterizza i progetti attuali di ricerca riferibili alla realizzazione di BCI si possono distinguere, per una finalità puramente concettuale, due tendenze:

- Una tendenza che vede l’utilizzo di BCI come strumento efficace di interventi a finalità terapeutiche.

In questo senso la ricerca si impegna nella progettazione, costruzione e impianto di protesi artificiali, interfacciabili con il sistema nervoso, utilizzabili per ripristinare alcune funzionalità senso-motorie perdute a causa di incidenti o particolari patologie. Alcuni esempi di questo tipo di impianti sono: gli impianti cocleari, la retina artificiale che trasformano rispettivamente i suoni e la luce in impulsi nervosi sostituendo l’orecchio o la retina naturale dell’occhio.

In pratica gli impianti traducono suoni e immagini in segnali elettrici e li trasmettono alle regioni della corteccia celebrale che controllano la funzione uditiva o visiva; Altri esempi di questi impianti sono: protesi per gli arti, modulatori vocali, neurostimolatori per perdite di funzionalità cognitive legate a particolari patologie.

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- Una tendenza che vede nell’utilizzo di BCI uno strumento efficace per realizzare un ampliamento delle potenzialità fisiche e cognitive umane.6

In questo senso la ricerca si impegna nella progettazione di impianti che possano corredare il corpo di apparati che non gli sono propri, interfacciare il corpo con dispositivi tecnologici al fine di migliorarne le prestazioni psicofisiche.

Queste due tendenze sono evidentemente distinte per le finalità che si propongono, ma si trovano spesso a convergere, poiché quella che viene sviluppato come un impianto di tipo protesico di recupero di funzionalità fisiche, ad esempio la retina artificiale, potrebbe rappresenta un tentativo di utilizzare la stessa tecnologia per potenziare le prestazioni del nostro normale spettro visivo; viceversa impianti pensati per permettere al cervello di dialogare direttamente con il computer, possono essere utilizzati nella cura di alcune particolari patologie che inibiscono le funzionalità motorie di un individuo andando a ripristinare delle trasmissioni interrotte.

Questa distinzione sarà quindi funzionale esclusivamente per poter intraprendere una riflessione di tipo etico che tenga conto delle finalità preposte a questi progetti e al loro diverso grado d’invasività per valutare l’opportunità di avvallare alcuni progetti di ricerca rispetto ad altri.

La maggior parte di questi impianti non suscitano di per sé particolari preoccupazioni di ordine etico, sia in vista della loro progettazione per finalità mediche di recupero di potenzialità perdute, che di per sé giustifica il ricorso a questo tipo di impianti, sia perché non invasive per quello che riguarda la natura

6 Si utilizza il termine bipotenziamento per indicare tutta quella classe di interventi tecnici che si pongono come obbiettivo: (i) Il potenziamento delle capacità psicofisiche umane; (ii) Il prolungamento della vita attraverso il contrasto delle cause di invecchiamento; (iii) La possibilità di modificare il proprio stato d’animo a piacimento.Il bipotenziamento è un uso deliberato delle tecnologie e della medicina che si pone l’obbiettivo di estendere le capacità senso- cognitive umane e del corpo umano agendo direttamente su di esso, anche dotandolo di capacità che biologicamente non gli sono proprie.

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biologica e culturale umana, poiché rappresenterebbero solo l’integrazione nel nostro sistema biologico di protesi esterne che già utilizziamo.

Gli unici problemi che possono insorgere relativamente a questi impianti sono generalmente problemi di natura tecnica e operativa, oppure problemi inerenti ai possibili effetti collaterali legati al loro uso, rispetto a questi problemi però si possono utilizzare gli stessi argomenti etici di precauzione, informazione e controllo che si applicano a tutte le nuove terapie, sono problemi che riguardano adeguate fasi di sperimentazione.

L’idea invece di disseminare il corpo di impianti che permettono di rendere disponibili orizzonti percettivi che prima ci erano biologicamente preclusi, o che rendono possibile un’estensione di alcune funzionalità cognitive come la memoria, necessita invece di una peculiare riflessione, che si interroghi sull’idea stessa di ampliamento e sulle sue conseguenze per quello che riguarda la natura umana e la sua essenza.

Si tratta infatti di introdurre una modificazione sostanziale e rilevante della nostra ontologia e del nostro corredo biologico innato.

1.3 BCI e ampliamento delle prestazioni cognitive e percettive umane:

Attualmente sono due le principali prospettive applicative della bionica che utilizza BCI ai fini di un possibile ampliamento delle potenzialità fisiche e cogntive umane [Marchesini]:

(i) la bionica per l’ampliamento sensoriale (ii) la bionica per l’ampliamento cognitivo

Nella prima prospettiva la ricerca si muove studiando le caratteristiche sensoriali proprie di varie entità biologiche, in particolar modo delle varie specie animali, con

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l’obiettivo di trasformarle in impianti in grado di riprodurle applicabili al corpo umano.

Nella seconda prospettiva la ricerca si muove verso lo studio della possibilità di interfacciare un sistema biologico - il cervello - e un sistema tecnologico - il computer - con l’obbiettivo principale di rendere più immediatamente disponibili alla mente le potenzialità elaborative e mnemoniche che caratterizzano i sistemi informatici.

Entrambe le prospettive applicative si propongono non solo un’intensificazione di prestazioni già possedute dall’individuo umano ma un vero e proprio ampliamento di queste capacità, la possibilità cioè di corredare l’uomo di apparati che non gli sono propri.

Scrive Roberto Marchesini a proposito:

“Corredare l’uomo di nuovi estranei apparati percettivi significa rendere possibile nuove opzioni di organizzazione neurale, significa immergersi in una realtà sensoriale completamente nuova che ci permette non tanto di monitorare il mondo in maniera diversa ma di partecipare di una realtà che prima ci era preclusa.

La creazione e l’integrazione di strutture in grado di far dialogare direttamente il nostro cervello con il computer non significa soltanto modificare o migliorare l’interazione tra due sistemi, ma si tratta di una vera e propria operazione di incorporazione del computer nella mente, una sorta di estroversione del sé nel mezzo informatico7.”

L’integrazione, l’innesto, tecnologico-biologico, danno luogo ad una vera e propria simbiosi in cui non esistono più due singolarità che si interfacciano ma una fusione che genera un sostanziale modificazione del soggetto ricevitore.

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1.4 L’ampliamento sensoriale:

La ricerca sui sensi propri della varie specie animali ha portato alla scoperta di apparati percettivi del tutto peculiari, all’esistenza di ellissi percettive inaccessibili all’uomo:

 L’orientamento riferito al campo magnetico terrestre, tipico di molte specie di uccelli migratori.

 La capacità di avvertire l’attività elettrica, propria di molti predatori acquatici in grado di captare l’attività muscolare e il battito cardiaco di altri organismi in movimento.

 L’eclocazione ossia la facoltà di utilizzare l’onda sonora si ritorno per monitorare la realtà esterna propria di delfini e pipistrelli.

 La capacità di percepire la luce polarizzata, propria degli insetti.

 La comunicazione paraolfattiva, propria di alcuni mammiferi che dialogano attivamente mediante molecole volatili, i ferormoni, emessi dal carpo attraverso ghiandole specifiche.

Oltre ad una vastissima gamma di sensorialità peculiari delle varie specie, va rilevato anche il fatto che gli animali possiedono una capacità uditiva del tutto peculiare tarata su frequenze diverse da quelle umane, la vista si differenzia da quella umana sia sotto il profilo cromatico sia nella definizione dei dettagli, lo spettro dei colori che l’uomo può vedere costituisce una vera e propria finestra percettiva , delimitata dall’ultravioletto e dagli infrarossi, tutto ciò che sta oltre questi confini è per noi invisibile, l’olfatto poi è sicuramente il senso elettivo per la comunicazione: lo utilizzano per marcare il territorio, per monitorare la presenza di prede, competitori o predatori, per dialogare con il partner sessuale.

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“L’ibridazione permette nuove declinazioni dell’essere umano, introduce cioè elementi che ristrutturano la dotazione innata non più in termini di esaustività bensì come radice da completare in una pluralità di desinenze. La tecnologia ottica non diminuisce il portato conoscitivo dell’occhio ma rende l’occhio declinabile a una pluralità esperienziale che gli sarebbe stata negata stato se fosse stato applicato ad altri domini conoscitivi.

In questo senso l’ibridazione non estende bensì configura le pertinenze di acquisizione e interpretazione della conoscenza8

.”

È esattamente la possibilità di introdurre nuovi elementi, siano funzioni o percezioni, che modificano la dotazione innata a costituire il vero interesse dell’etica e della filosofia per questo tipo di tecnologie.

Tutte queste peculiarità sensoriali, che possono essere definite come biodiversità, sono preziose derivazioni del processo di evoluzione selezione che ha perfezionato gli apparati delle varie specie per garantirne la sopravvivenza.

La bionica oggi sta studiando la possibilità di tradurre in protesi tecnologiche le anatomie sensoriali degli animali per permettere all’uomo di sperimentare queste sconosciute ellissi percettive.

Da questo orizzonte nasce l’idea di un organismo iperumano corredato delle specificità percettive proprie di varie specie.

Il corpo umano quindi come sostrato biologico in cui integrare le più diverse potenzialità sensoriali.

È consequenziale avanzare delle riserve circa la plausibilità e le finalità intrinseche a questo progetto che potremmo definire iperumanistico.

In questa fantasia sensoriale non è difficile infatti rilevare la profonda contraddizione tra la pulsione edonistica del progetto ulatrasensoriale e l’incapacità di assegnare un significato alle strutture organiche deputate a raccogliere e a modulare la vita sensoriale dell’organismo.

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“ È vero che il telescopio e il microscopio superano l’occhio, ossia ci rendono visibili domini percettivi che biologicamente ci sarebbero preclusi, ma questa estensione è possibile grazie al multiforme sistema sensocognitivo che permette di acquisire segnali ottici.

Ma se è immaginabile un sistema visivo che oltrepassi le potenzialità risolutive e lo spettro di frequenza tipico della nostra vista, più problematica risulta la dotazione di altri sistemi percettivi (per esempio l’orientamento elettromagnetico, l’ecolocazione ecc.)9

Per poter attribuire un significato a questo ampliamenti l’obbiettivo è quindi quello di riuscire a tradurre questi segnali in altri sistemi fisico chimici a noi familiari.

Questo rimane però un problema di pertinenza delle neuroscienze e della neurotecnologia.

1.5 L’ampliamento delle potenzialità cognitive.

Il cervello e il computer sono sempre più proiettati verso un processo di evoluzione simbiontica, questo grazie soprattutto alle tecnologie legate alla ricerca sulle interfacce neurali, il che equivale a dire che lo sviluppo delle tecnologie informatiche andrà a creare le opportunità di modificare diacronicamente la carne della nostre mente.

L’obbiettivo principale in questo senso è quello di creare una simbiosi cognitiva tra cervello e computer.

La bionica di interfaccia si apre in questo orizzonte verso una molteplicità di applicazioni:

 La possibilità di ripristinare funzioni cerebrali compromesse;

 Il controllo diretto della mente umana sui sistemi tecnologici informatici;

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 La possibilità di aumentare l’estensione della memoria di lavoro;

 La possibilità di uplodare i nostri contenuti mentali per modificarli e per conservarli su supporti che li rendano non deperibili;

 La creazione di un interfaccia che permetta l’accesso diretto della mente alle reti informatiche e ai database informatici;

 La connessione permanente del cervello con la rete informatica.

1.6 Le BCI al servizio dell’intervento terapeutico: Brain Gate

Nell’Aprile del 2004, negli USA, la Food and Drug Administratio, organo di controllo e autorizzazione per tutto ciò che riguarda il settore biomedico, ha dato il via libera alla sperimentazione clinica su esseri umani di protesi bioniche per il cervello che sfruttano il principio delle cosiddette interfacce neurali.

È del luglio del 2006 la notizia della prima sperimentazione clinica positiva su un soggetto tetraplegico di un discusso impianto cerebrale, Brain Gate10, progettato dalla

Cybernetics Neurotechnology Systems del Massachusets11, in collaborazione con le

università di Brown e Stanford.

Si tratta di un dispositivo che permette di sostituire il comando manuale dei mezzi informatici con un comando celebrale diretto, mediante una serie di 96 elettrodi disposti sulla corteccia cerebrale capaci di monitorare l’attività neuronale e di trasmetterla ad un supporto elettronico come il computer in grado di interpretare queste informazioni e di eseguire i comandi. A seguito dell’impianto un paziente tetrapelgico è riuscito a utilizzare internet e scrivere email solo pensando alle operazioni che avrebbe voluto compiere.

Il New York Times ha recentemente riportato la notizia della messa sul mercato da parte della Cyberkinetics Inc. di questo particolare impianto capace di creare una connessione tra cervello umano e dispositivi elettronici esterni.

10 http://www.braingate.com/

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Brain Gate è un impianto in grado di rilevare e tener traccia dei segnali elettrici provocati dall’attività neuronale, pensato per intervenire in tutti quei casi in cui si ha una perdita o una compromissione delle funzioni motorie.

L’idea che sottende al progetto è quella di consentire a chi ha subito danni celebrali che hanno compromesso alcune funzioni motorie di comunicare e operare con un personal computer imparando a formulare ordini con il proprio pensiero, ordini captati dall’impianto e trasmessi a un computer in grado di eseguirli.

Si tratta di una protesi neuromotoria in titanio, un dispositivo composto da una matrice (array) di un centinaio di elettrodi capaci di monitorare l’attività di un alto numero di neuroni.

Gli elettrodi dello spessore di un capello penetrano alla profondità di un millimetro nella corteccia celebrale, captano i segnali prodotti dai neuroni dalla corteccia motoria e li inviano a un computer esterno. I neuroni di quest’area hanno la funzione di impartire istruzioni ai muscoli, attraverso la spina dorsale per compiere determinate operazioni.

Brain Gate sfrutta il fatto che anche a distanza di anni da un incidente o da una patologia che porta alla paralisi, la corteccia motoria continua ad inviare istruzioni ai muscoli: sono proprio queste istruzioni che continuano ad essere utilizzate per poter pilotare periferiche esterne.

L’aspetto innovativo rilevato e più entusiasmante di questo progetto, da un punto di vista medico, è la constatazione che il cervello di un individuo paralizzato, nel momento in cui esprime la volontà di muovere un arto, si attiva esattamente come se quell’arto fosse mobile.

Dal punto di vista neuronale, immaginare di spostare una mano è esattamente come spostarla realmente ha spiegato a Nature Leigh Hochberg della Brown University di Providence.

Il dispositivo viene istallato nella zona di corteccia adibita alle funzioni motorie attraverso una delicata operazione neurologica, che consiste nel praticare un piccolo

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foro nella scatola cranica al di sopra dell’orecchio con un diametro di poco più di due millimetri in modo da poter posizionare il front-end12. Questo risulta a diretto contatto

con la parte della corteccia e, mediante un bus digitale (cavo elettrico cablato opportunamente), viene collegato ad un computer che riceve le informazioni monitorate.

L’attività celebrale viene quindi letta e codificata con l’ausilio di un software dedicato; a questo punto si ha a disposizione un insieme di istruzioni rappresentative degli impulsi nervosi. L’impianto consente la raccolta dei segnali della corteccia, affinchè vengano elaborati e analizzati, producendo in questo modo un’interfaccia con un personal computer.

In questo modo, Brain Gate rappresenta un esperimento riuscito di comunicazione tra cervello e computer13.

Un apposito software riesce quindi a leggere l’attività celebrale del soggetto e trasformarla in istruzioni codificate.

12

Si definisce “front end” l’hardware complessivo necessario alla rilevazione del segnale celebrale ed il suo condizionamento finalizzato a renderlo trasmissibile ai successivi stadi di elaborazione digitale. 13 A parte le problematiche squisitamente tecniche, il maggiore ostacolo concettuale che questi studi avevano incontrato quando lo stesso è impossibile attraverso le periferiche fisiologiche, interrotte dal processo patologico causa della disabilità.Il segnale bioelettrico generato dalla corteccia cerebrale di una data area corticale, relativamente a un determinato compito “mentale”, è il risultato dell’elaborazione di complessi circuiti cellulari che coinvolgono un numero impressionante di neuroni e che sottendono anche il funzionamento di tutte le altre componenti cellulari non neuronali presenti nel tessuto nervoso. L’enorme numero di variabili che in diverso modo giocano su tali processi rende estremamente difficile interpretare in modo univoco, per poi utilizzarlo ai fini preposti, il messaggio generato dalla corteccia cerebrale E tuttavia, il risultato ottenuto da questi ricercatori - una prestazione motoria robotizzata corrispondente a quella mentalmente elaborata dal paziente - può essere considerato un punto di riferimento per lo sviluppo di ulteriori ricerche tese soprattutto a modellizzare attività della corteccia cerebrale in grado di produrre elaborati bioelettrici neurofisiologici corrispondenti a determinate prestazioni della vita relazionale e utilizzabili in quest’ottica nei casi di disabilità motoria suscettibili di un tale intervento.

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Si è scelto di far riferimento a questo impianto, nonostante il fatto che non sollevi particolari problematiche di ordine etico, perché rappresenta il primo concreto passo significativo di ordine tecnico nello sviluppo di questo tipo di tecnologie che si propongono di sfruttare le potenzialità della realizzazione di una simbiosi tra cervello e computer, attraverso la trasformazione del pensiero in output digitale.

L’obiettivo a lungo termine, limitatamente ai casi con lesioni nervose che causano paralisi motorie, è quello di poter inviare i comandi direttamente ai muscoli del paziente, scavalcando la lesione nervosa stessa all’origine della paralisi.

Il progetto di ricerca Brain Gate s’inserisce in una serie di ricerche attualmente diffuse in tutto il mondo e atte a coordinare le potenzialità del computer con l’utilizzo del corpo, attraverso la costruzione di BCI (Brain Computer Interface) di cui Brain Gate rappresenta un esempio efficace.

Gli studi in questo settore di ricerca in America sono coordinati dalla DARPA (Defence Advanced Reseerch Projects Agency), l’agenzia di ricerche finanziata dal Pentagono che ha stanziato cospicui fondi per questo scopo.

L’Unione Europea ha a propria volta attivato i FET (Future and Emerging Technologies), programmi specifici di finanziamento alla ricerca.

Esistono attualmente una grande varietà di progetti di ricerca riferibili ai laboratori di diverse università, alcuni in fase di sperimentazione altri in fase di progettazione, in questa molteplicità si possono distinguere interventi più o meno invasivi per raggiungere questo scopo.

Brain Gate rappresenta uno dei prototipi più invasivi poiché richiede l’impianto di un particolare microchip direttamente all’interno della corteccia celebrale, esistono però una famiglia di progetti definiti non invasivi che sfruttano altri principi anche se forse sono più modesti.

Ad esempio l’utilizzo della stimolazione magnetica transcranica, basata sull’applicazione di campi magnetici potenti di breve durata, in grado di alterare

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temporaneamente alcune funzioni cognitive, grazie ai quali ad esempio, pazienti colpiti da ictus all’emisfero cerebrale destro potrebbero migliorare il loro deficit. Altro esperimento non invasivo è infine quello che utilizza un casco di elettrodi capaci di trasmettere le onde celebrali a un computer.

1.7 Il controllo diretto della mente umana sui sistemi tecnologici informatici:

Tra i progetti di ricerca orientati verso la possibilità di esercitare un controllo diretto della mente sui sistemi tecnologici merita di essere citato il lavoro del professor Kevin Warwick14 della Reading University of London.

L’obiettivo primario di questa ricerca è stato quello di ottimizzare una capacità di dialogo tra il corpo e i dispositivi tecnologici esterni che possono ad esempio essere presenti in un ambiente di lavoro, rendendo questo dialogo diretto.

Il professor Warwick si è volontariamente sottoposto all’impianto di un microchip e di una microtrasmittente contenuti in una capsula di vetro nel proprio braccio sinistro.

L’obiettivo che stava alla base della sua sperimentazione era stabilire se fosse possibile tramite questo impianto, controllare automaticamente i dispositivi presenti nell’ambiente sfruttando l’interazione elettromagnetica.

L’idea base era quella di attivare / disattivare particolari dispositivi elettronici semplicemente con la nostra presenza assenza fisica.

Attraverso questo impianto che emetteva segnali che interagivano con un sistema di sensori dislocato nei locali dell’università, Warwick ha sperimentato la possibilità di rapportarsi ciberneticamente con porte e luci senza dover intervenire in prima persona.

Il passo successivo è stato individuato nel realizzare dispositivi in grado di dialogare non solo in modo cieco con i sensori esterni, ma anche di raccogliere le informazioni all’interno del sistema nervoso oppure rispetto alla composizione biochimica ematica, o ancora a livello

14 http://www.kevinwarwick.com/; Warwick, Kevin, QI: The Quest for Intelligence. Piatkus Books, 2001; I, Cyborg, University of Illinois Press, 2004; March of the Machines: The Breakthrough in Artificial Intelligence, University of Illinois Press, 2004.

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di sollecitazione di particolari apparati o organi e inviare le opportune richieste al sistema informativo operativo dell’infoambiente.

Visti i risultati di queste prime fasi di sperimentazione l’obbiettivo si è spostato sullo studio della possibilità di raccogliere in modo analitico le istruzioni che il cervello invia agli organi seno motori, per esempio al braccio e alla gamba, in modo da poterle registrare su un supporto di memoria esterna e poterle riutilizzare per ripristinare determinate funzionalità quando si renda necessario, ad esempio nel caso di un blocco del passaggio degli impulsi nervosi a seguito di una lesione del midollo spinale.

Fino a qui nessun particolare problema di ordine etico.

Ma lo stesso principio potrebbe essere applicato non soltanto per quello che riguarda il ripristino di funzionalità fisiche o mentali ma anche per repertoriare le diverse configurazioni dei vari stati mentali.

Questa repertoriazione ci metterebbe in grado di attivare volontariamente, riprodurre un determinato stato mentale, un’emozione particolare semplicemente inviando uno specifico segnale elettrico al cervello, il che ci metterebbe di fronte a capacità operative sulla nostra natura totalmente nuove da esplorare e u cui riflettere.

A questo punto non sarebbe fantascientifico ipotizzare di repertoriare le diverse configurazioni dei vari stati mentali, in modo tale da riprodurre un’emozione semplicemente inviando un segnale elettrico al cervello.

1.8 Un prototipo di memoria artificiale:

Tra i progetti di ricerca orientati verso la possibilità di costruire interfacce cervello computer BCI impianti neurali che rendano possibile la simbiosi tra chip elettronici e neuroni al fine di realizzare un possibile potenziamento delle funzioni cognitive, c’è un progetto che nel giugno 2007 ha reso noto l’esito positivo di una sperimentazione di notevole rilevanza per lo sviluppo di queste tecnologie, il più vicino al nostro interesse di ordine etico per queste tecnologie.

Alla Neural Lab dell’University of Southern California of Los Angeles, l’ingegnere biomedico Ted Berger ha progettato e sottoposto ad una prima fase di sperimentazione una prima versione

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di un chip cerebrale che inserito nel cervello dovrebbe poter svolgere una parte delle funzioni, quella relativa all‘ippocampo, sede della memoria ricognitiva.

Così lo definisce Ted Berger: “Si tratta di un chip in grado di riprodurre l’attività di elaborazione delle informazioni, i processi cognitivi superiori”.

È un dispositivo profondamente diverso dal punto di vista qualitativo rispetto ai dispostivi di cui abbiamo parlato nei precedenti paragrafi, si tratta infatti di un chip in grado di riprodurre l’attività di elaborazione delle informazioni del tessuto cerebrale, si tratta di intervenire sui processi cognitivi superiori.

È proprio l’obiettivo di concentrarsi sui processi cognitivi superiori a rendere particolarmente rilevante ai fini della nostra trattazione questo progetto.

Il chip di Ted Berger è una piastrina di silicio di tre millimetri con venticinque elettrodi in entrata e in uscita.

Viene posizionato nell’ippocampo15, la parte del cervello coinvolta nelle funzioni celebrali che riguardano la conversione di elementi della memoria a breve termine in elementi della memoria a lungo termine, della cosiddetta memoria ricognitiva, cioè di quelle etichette mnemoniche che ci permettono di associare un volto ad una voce o a un nome.

La finalità che ha mosso la ricerca in questa direzione era primariamente una sua possibile applicazione terapeutica anche se questi impianto si presta ad essere sviluppato anche nell’ottica di un ampliamento delle prestazioni cognitive, e soprattutto nello sviluppo di nuove operatività sui nostri contenuti mentali.

15 L'ippocampo è parte del cervello, localizzato nella zona mediale del lobo temporale. Fa parte del sistema limbico e svolge un ruolo importante nella memoria a lungo termine e nella navigazione .Nel morbo di Alzheimer, l’ippocampo è una delle prime regioni del cervello a soffrire dei danni; deficit di memoria e disorientamento sono i primi sintomi che compaiono. Lesioni all’ippocampo possono occorrere anche come conseguenza di mancanza di ossigeno (anossia), encefalite o epilessia del lobo temporale mesiale. Le persone che presentano danni estesi al tessuto ippocampale possono mostrare amnesia, cioè incapacità di formare o mantenere nuovi ricordi.Gli psicologi e i neuroscienziati generalmente concordano nell’affermare che l’ippocampo svolge un ruolo importante nella formazione di nuove memorie riguardanti eventi vissuti (memoria episodica o memoria autobiografica). Alcuni ricercatori preferiscono considerare l’ippocampo come parte di un più ampio sistema mnemonico del lobo temporale mediale, responsabile in generale della memoria dichiarativa (ricordi che possono essere esplicitamente verbalizzati — questi includerebbero, per esempio, la memoria semantica oltre che la memoria episodica.

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In un cervello sano, i segnali che portano le informazioni provenienti dai sensi entrano nell’ippocampo, vengono elaborati nella loro intensità e nella sequenza temporale e in uscita vengono inviati in un’altra parte del cervello dove si depositano come memoria permanente. Per quello che riguarda l’ippocampo poi i suoi neuroni sono tra i primi a subire i danni del morbo di Alzheimer, ragione per cui le persone che ne soffrono hanno vuoti di memoria e difficoltà di orientamento.

Le cellule dell’ippocampo, inoltre, sono estremamente vulnerabili a interruzioni anche brevi del rifornimento di ossigeno, per esempio in seguito a un ictus.

Anche traumi e attacchi di epilessia possono danneggiare l’ippocampo e compromettere la sua funzionalità.

Lo sviluppo di un chip del genere avrebbe conseguenze rivoluzionarie per quello che riguarda la sua possibile applicazione in ambito biomedico: consentirebbe infatti di superare i vuoti di memoria, i deficit del linguaggio e le difficoltà di orientamento e coordinamento

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L’obbiettivo del gruppo di ricerca di Berger è quello di sostituire una parte, una slice dell’ippocampo con un chip VLSI ( very large scale integrated) biomimetico.

Il chip infatti interverrebbe prelevando i segnali celebrali prima della parte malata o danneggiata, elaborandoli allo stesso modo dei neuroni naturali e reinserendoli poi nella parte di ippocampo affinchè vengano inviati a destinazione.

Una prototipo di memoria artificiale, insomma, che può registrare i ricordi e ritrasmetterli al cervello come avviene con la memoria naturale.

Lo stato della progettazione :

Un primo stadio della progettazione di questo chip è consistito nell’adottare un approccio sperimentale all’analisi del comportamento dell’ippocampo.

Una delle difficoltà maggiori insite in questo tipo di progetti è la mancanza di una profonda conoscenza dei meccanismi di funzionamento della memoria naturale, sapere come vengono memorizzati i ricorsi con quali segnali e con quali codici, per poi poter pensare di copiarla elettronicamente.

La mancanza di tutte queste nozioni ha portato i ricercatori ad affiancarsi a questo ambizioso progetto con un approccio di tipi sperimentale allo studio di queste aree.

È stata collegata una porzione di tessuto cerebrale di topo ad un dispositivo elettrico in grado di fornire una serie di 1000, 2000 impulsi di tutti i tipi, anche nelle loro sequenze temporali, e sono stati analizzati i segnali che il tessuto produce in uscita.

Questo approccio, comunemente noto come «scatola nera», permette di descrivere il comportamento di un dispositivo, naturale o artificiale, ignorando completamente cosa c’è dentro al dispositivo stesso. Dall’analisi dei segnali in uscita, Vasilis Marmarelis, un ingegnere biomedico che partecipa al progetto di Berger, ha sviluppato una serie di modelli matematici di complessità crescente che riproducono l’attività di un singolo neurone e di gruppi di cellule via via più numerose.

Questi modelli sono serviti come base per la realizzazione di chip in grado di emulare perfettamente la risposta dei circuiti naturali dei campioni di tessuto, pur essendo concettualmente molto diversi, tanto che negli ultimi esperimenti non è stato più possibile distinguere i segnali prodotti in uscita dal chip da quelli delle cellule dell’ippocampo di topo messe in provetta.

Per il momento, Berger e il suo gruppo di ricercatori stanno lavorando sui tessuti celebrali di un topo, fettine di ippocampo spesse 400 micron.

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A parte le dimensioni sostiene Berger la struttura dell’ippocampo di un topo è del tutto analoga a quella umana.

I passi successivi previsti, porteranno alla sperimentazione su una cavia viva, a cui la memoria verrà disabilitata con un farmaco per verificare se il chip impiantato sarà in grado di ripristinare le funzioni mnemoniche: si considererà riuscito l’esperimento se si otterrà dall’animale un comportamento uguale a quello che avrebbe avuto al di là di questo intervento.

Entro cinque anni l’ingegner Berger conta di passare alle sperimentazioni su primati in modo da rendere sempre più accessibile la possibilità di sperimentazione sull’uomo.

Al di là dello stato di avanzamento delle sperimentazioni, e della tempistica che porterà a dei risultati rilevanti per quello che riguarda l’uomo, possiamo comunque tentare di tracciare un quadro delle possibilità che si dischiuderebbero per l’uomo intraprendendo questo particolare percorso evolutivo, e dei possibili problemi che si legano a questi esiti.

Al di là dell’utilizzo medico, questo dispositivo può essere utilizzato per finalità diverse da quella di recupero di funzionalità mnemoniche compromesse.

Questa particolare neuroprotesi ci potrebbe infatti mettere nella condizione tecnica di uplodare i nostri contenuti mentali, di trasferirli dal cervello ad un supporto artificiale esterno aprendo la strada a una vasta gamma di nuove operatività sulla nostra mente. La prospettiva di sostituire l’ippocampo con un dispositivo elettronico sposta il problema da “protesi come strumento” a “protesi come elemento che prende decisioni”, ci pone quindi rispetto ad interrogativi nuovi con cui ancora non ci siamo mai adeguatamente confrontati.

Usufruire di un dispositivo esterno per poter conservare una copia dei nostri contenuti mentali, rappresenterebbe: la possibilità di intervenire su questi dati per modificarli volontariamente, la possibilità di annullare l’oblio, la possibilità di creare copie della nostra mente indeteriorabili, prefigurare una possibile era dell’immortalità elettronica attraverso la fuga dal biologico.

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Tra tutte le possibilità di applicazione legate alle BCI abbiamo scelto di concentrarci su una in particolare che riguarda la possibilità di sfruttare queste interfacce al fine di realizzare un possibile ampliamento delle prestazioni cognitivo, inteso nel senso di ampliamento delle possibilità operative sui nostri contenuti mentali.

Ciò che caratterizza i progetti di ricerca associati al termine M.U.16(Mind Uploading,

definito occasionalmente anche mind transfer, whole brain emulation (WBE), whole body emulation), è l’intento di realizzare il trasferimento dei dati contenuti nel nostro cervello su un supporto esterno informatico, capace di riprodurre la simulazione della complessità del cervello umano, al fine di sfruttare le potenzialità di questi dialogo secondo diversi obbiettivi e finalità.

Questa procedura consisterebbe nel riuscire a "lavorare" sul cervello umano, considerato come un computer, per caricare "software" specifici, realizzare "script" automatici, fare copie di "back up" del "file system" di cui la mente sarebbe composta. Da un punto di vista tecnico l’uploading consiste in una sorta di lettura e scanning della struttura neurale del cervello, nelle sue diverse componenti cellulari e sinaptiche; esguito lo scannig, quelle medesime computazioni neurali, ovvero le informazioni contenute a livello di neuroni devono poi poter essere riconfigurate su un supporto elettronico esterno.

Il concetto fondamentale su cui si basa il M.U. è che la mente, e quindi l’attività mentale, debba il suo insorgere all'attività del cervello, o addirittura che non sia nient’altro che il risultato funzionale dell’attività del cervello.

Secondo questo presupposto l’attività del cervello può essere riprodotta su un qualsiasi substrato che sappia presentare le giuste connessioni e i medesimi algoritmi computativi.

Il trasferimento della mente dal cervello a un computer è perciò basato su una sorta di scanning della struttura neurale nelle sue diverse componenti cellulari e

16

Il primo riferimento a questo tipo di pratica si trova in un testo di Hans Moravec, Mind Children , (1988).

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sinaptiche, al fine di poter configurare su un supporto elettronico le medesime computazioni neurali.

Secondo questa convinzione di stampo materialista, l’attività cerebrale è completamente riducibile ai suoi processi fisiologici, in opposizione ad un antiriduzionismo di stampo dualista che ritiene che la mente esista in modo separato dal cervello, ma che in qualche modo sia ad esso connessa.

I successi compiuti negli ultimi anni nel campo delle neuroscienze sembrano confermare la tendenza ad una lettura in chiave materialista dei nostri processi cognitivi superiori.

Grazie ai nuovi strumenti di cui siamo a disposizione per indagare il funzionamento del cervello i neuorscienziati sono riusciti a decodificare alcune particolari funzioni del cervello umano, anche quelle meno automatiche come l’immagazzinamento di dati, offrendo una descrizione in termini chimici e fisiologici anche di funzioni molto complesse che difficilmente sembravano riducibili a questi meccanismi, ad esempio la risposta emotiva a determinati stimoli.

L’impatto più immediato con le neuroscienze lo abbiamo nel riscontro farmaceutico. Apatia, timidezza, eccitazione, fino a poco tempo fa erano stati mentali, oggi sono stati chimici regolabili farmaceuticamente ma con molte controindicazioni, domani saranno probabilmente dati regolabili mediante l’utilizzo di un sistema informatico che li elabora e li trasforma.

Umore, sentimenti, autocosicenza, intuizione degli universali sono in realtà per i neuorscienziati più estremi operazioni del cervello, operazioni da censire oggi, da riprodurre artificialmente domani.

In questa prospettiva la mente può essere considerata, sotto molti aspetti il software del nostro cervello.

Si tratta quindi di una somma di dati, la memoria, e algoritmi, il comportamento che da origine ad un oggetto astratto e molto complesso, formato essenzialmente da “informazioni”.

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Così come hardware e software non hanno il benchè minimo problema a comunicare tra loro, così non hanno nessun problema a comunicare tra loro mente e cervello. Non siamo quindi di fronte al classico dualismo cartesiano.

L'evidenza del materialismo sembra imporsi con forza.

Quasi ogni aspetto della mente (temperamento, memoria, appetito, etc...) può esser distrutto da danneggiamenti di specifiche aree del cervello. Le tecniche attuali di visualizzazione possono anche rilevare attività cerebrale correlata col pensiero. Tuttavia, la questione di come esattamente avvenga l'insorgenza della coscienza a partire da materia non cosciente rimane uno dei problemi fondamentali della neuroscienza conseguentemente delle intelligenze artificiali.

1. 10 Le tecniche utilizzate per realizzare il Mind Uploading:

Per realizzare l’uploading due sono gli approcci che generalmente vengono chiamati in causa: un approccio che ha caratterizzato una prima fase di sperimentazioni prevede la sostituzione ovvero la distruzione del sostrato biologico, un approccio che è adottato dai più recenti progetti di che consiste nell’effettuare una semplice copia della configurazione biologica mantenendo quest’ultima inalterata.

- Procedure distruttive di Mind Uploading

Mind Uploading tramite la procedura microtomica:

La proposta che richiede il minor avanzamento possibile rispetto alla tecnologia corrente prevede questo procedimento: il cervello del paziente (possibilmente l'intera testa) è solidificata con l’ iniezione e diffusione ad esempio di paraffina, oppure congelata alla temperatura dell'azoto liquido.

Successivamente, il cervello è tagliato in fette molto sottili. Ogni fetta è sottoposta a scanning computerizzato utilizzando uno strumento dalla risoluzione molto alta (per

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esempio un microscopio elettronico, metodo già usato sia con il cervello di Einstein che con quello di Lenin.)

Il computer usa questi dati per ricostruire la circuiteria del cervello del paziente su un substrato artificiale (probabilmente dell'hardware appositamente dedicato alla simulazione cerebrale).

La simulazione viene "attivata" ed il paziente si ritrova in un nuovo corpo. Questa procedura richiede un’ estensione relativamente modesta della tecnologia già attualmente disponibile. La ricostruzione anatomica a partire dall'analisi di diverse sezioni è già eseguita da diversi anni.

Attualmente, solo un pezzo molto minuscolo di tessuto può essere sottoposto, volta per volta, a scanning, in questo modo ed alla risoluzione necessaria per permettere la ricostruzione dei circuiti. Il processo è sia lento che intensivamente laborioso.

I ricercatori stanno attualmente lavorando per automatizzare il processo, aumentandone la velocità e la dimensione del campione. Questi sviluppi possono attualmente permettere lo scanning di un intero cervello ma questo tipo di procedura necessita di grandi investimenti, perché particolarmente costosa.

A titolo cautelativo va detto che potrebbe non essere sufficiente catturare semplicemente la struttura dei neuroni e delle loro interconnessioni; informazioni rilevanti per il funzionamento sono senza dubbio contenute in caratteristiche come, per esempio, i tassi di sostanze chimiche nelle sinapsi e la distribuzione dei canali ionici nelle membrane cellulari. Tecniche di colorazione probabilmente permetteranno la lettura di tutte le variabili rilevanti durante lo scanning, ma è comunque un aspetto da tenere ben presente.

Mind Uploading tramite la procedura di Nano-Sostituzione

Secondo questa proposta di procedura, miliardi di microscopiche nano-macchine sono iniettate nel cervello, dove esse si insediano nei neuroni o in prossimità di essi. Ogni macchina monitora l'attività di input/output del suo neurone, finché diviene

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uccide il neurone e prende il suo posto. Questa proposta sembra buona e in qualche modo sembra più semplice da realizzare rispetto alla procedura microtomica. Ma le macchine avranno probabilmente problemi con gli sbalzi notevoli di dimensioni dei neuroni e delle loro aree di interconnessione. Un neurone può avere inputs su molti millimetri d'estensione (dell'area sinaptica) e può avere connessioni anche lunghe un metro. Come può una minuscola macchina (più piccola di una cellula) monitorare tutti questi inputs, o raggiungere tutti questi punti di output? Dovrebbe avere una capacità di accrescimento quasi altrettanto grande di quella dei neuroni stessi, e svilupparsi nella stessa forma. Però i promotori della nanotecnologia dichiarano che quasi ogni cosa è possibile.

Mind Uploading tramite la procedura di Moravec

Hans Moravec ha proposto una procedura peculiare. Un chirurgo robot è equipaggiato con un manipolatore che si divide ricorsivamente e sempre più finemente in subdiramazioni, fino a risultare costituito da miliardi di dita sensibili di scala nanometrica.

Il paziente deve rimanere sveglio con la testa serrata in una, mentre il nanorobot chirurgo penetra col suo manipolatore nella testa del paziente. Le minuscole dita del manipolatore cominciano a scostare via cellule di tessuto, esponendo il cervello ma suturandone mano a mano i vasi sanguinei così che le dita non lavorino creando troppa confusione.

Con i sensori elettrici e chimici posizionati sulla punta delle dita, il manipolatore monitora l'attività di tutte le cellule esposte del cervello. Quando il computer del robot ha memorizzato tutto quello che esse stanno facendo, configura una simulazione per riprodurre la loro attività. Il nano-robot manipolatore rimuove le cellule e, ancora una volta per mezzo delle sue nanodita, connette il rimanente tessuto cerebrale alla simulazione. Livello dopo livello esso procede in questa modo fino a che la testa del paziente è svuotata ed è tutta "trasferita" nella simulazione.

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Procedure non-distruttive di Mind Uploading

La maggior parte delle procedure di Mind Uploading proposte, distruggono il cervello durante il processo, slice dopo slice, livello dopo livello, o neurone dopo neurone.

Tali procedure soffrono di due inconvenienti:

i. Si dispone di una sola possibilità per tentare il processo (e quindi un fallimento implica che il contenuto del cervello su cui si è tentata la procedura è perduto per sempre).

ii. Non si può fare una copia di riserva del proprio cervello mentre si è ancora in vita nella propria forma biologica.

Le tecniche non distruttive dovrebbero evitare entrambi i problemi; queste procedure in qualche modo cercano di eseguire lo scanning del cervello nella sua condizione forma attiva e biologica, senza distruggerlo (alcune delle procedure non distruttive attualmente possibili, tuttavia, potrebbero richiedere un cervello inattivo, ma non lo danneggerebbero; cio' evita il primo problema ma non il secondo).

Varie tecniche non distruttive sono state proposte:

Olografia ai Raggi Gamma, che usando una sorgente di raggio gamma coerente, produca una registrazione tridimensionale della struttura del cervello con una risoluzione quasi a livello di dimensione atomica. L'informazione risultante dovrebbe essere interpretata da un’elaborazione al computer per poter produrre una ricostruzione funzionale.

Olografia ai Raggi X, che lavora in modo simile alla precedente ma con complicazioni differenti. Sorgenti laser ai raggi X sono molto difficili da produrre, anche in linea solo teorica (ma anche generare sorgenti laser di raggi Gamma è difficile).

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Queste proposte, per essere attuate, richiedono metodologie più esotiche delle attuali, per produrre raggi X coerenti. Sfortunatamente, sia i raggi X che quelli Gamma possiedono circa 100 volte l'energia necessaria a vaporizzare qualsiasi cosa essi colpiscano, per cui queste tecniche non sono poi così "non distruttive" come sembrerebbe.

MRI (Visualizzazione basata sulla risonanza magnetica ossia Magnetic Resonance Imaging), una tecnica che utilizza un gradiente magnetico ripido per causare emissioni di onde radio da atomi nel cervello (di solito atomi di idrogeno), le quali sono raccolte ed analizzate per produrre una mappa tridimensionale della distribuzione degli atomi stessi.

Attualmente la MRI viene usata su soggetti umani viventi (purtroppo a loro insaputa con la SCUSA della diagnosi precoce), con una risoluzione di circa 1 mm. La tecnologia magnetica probabilmente permetterà una sufficiente risoluzione mediante l'uso di protoni. Comunque è stato suggerito che l'Elio-3 dovrebbe diffondersi nelle cellule abbastanza rapidamente da permettere risoluzioni sufficienti per il mind uploading.

Inoltre, l'MRI potrebbe essere usato con la procedura di dissezionamento in sezioni seriali, ottenendo grande risoluzione (ma questa non sarebbe piu' una tecnica non distruttiva).

L'interferometria Biofotonica, come l'olografia, prende vantaggio dall’ interferenza del fotone per recuperare informazioni riguardo il campione. E' stato suggerito che la risoluzione non dipende dalla lunghezza d'onda della radiazione luminosa utilizzata. Questo è quasi vero in astronomia, dove una risoluzione di un millesimo di secondo di grado corrisponde a svariati parsec di distanza dagli oggetti che sono visualizzati. Nel cervello, però, si vuole una risoluzione adeguata di oggetti molto più piccoli di quelli astronomici e la scelta di una lunghezza d'onda adeguata fa la differenza. Le incertezze posizionali sono dovute alla lunghezza d'onda utilizzata nella sonda

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cerebrale e per ottenere la risoluzione adeguata bisogna spostarsi verso lunghezze d'onda necessariamente nella banda dei raggi X o gamma, come discusso già prima. Mappatura delle Correlazioni, in cui sonde nanometriche in numero di circa 10^12, sono iniettate nel fluido cerebrospinale; ognuna si insedia in un neurone a caso e monitora la sua attività. Ad intervalli regolari, la sonda secreziona un codice binario "chimico", che codifica il "numero seriale" d’identificazione della sonda e lo "stato corrente" della cellula neuronale che la ospita. Questi codici sono raccolti e registrati su un periodo di tempo esteso e le correlazioni fra stati cellulari sono usati per dedurre inferenzialmente la connettività funzionale del cervello.

Il lavoro di Randal Koene sull'estrazione delle regole dalle reti neurali appare indicare che gli intervalli di emissione delle informazioni di stato e posizionali sui neuroni potrebbero non essere sufficienti per ricostruire tutta l'informazione contenuta in una rete neurale17.

1.11 Possibili ampliamenti cognitivi legati al Mind Uploading:

La possibilità di realizzare concretamente un operazione di Mind Uploading, ovvero di realizzare un dialogo bidirezionale diretto tra la mente e i sistemi informatici esterni, ci apre verso una vasta gamma di opportunità di intervento sulle normali prestazioni cognitive del nostro cervello, impensabili allo stato attuale.

Il Mind Uploading in questo senso ci permetterebbe di poter sfruttare le potenzialità non solo mnemoniche ma anche elaborative tipiche di un sistema informatico.

Possiamo tentare di fare una stima dei possibili utilizzi di questa possibilità di dialogo diretto:

Ampliamenti della capacità di gestione e organizzazione dell’informazione: - Capacità di archiviazione e gestione mentale di basi di dati.

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Ampliamenti della capacità di comunicazione: - Accesso a diversi moduli di linguaggio - Telepatia

- Possibilità di connettersi direttamente a internet

- Possibilità di realizzare la costruzione di un intelligenza collettiva

Ampliamenti della capacità di memoria: - Incremento della capacità di memoria

- Piena operatività sui nostri contenuti mentali - Possibilità di annullare l’oblio

- Possibilità di cancellare definitivamente dati indesiderati - Rimozione di emozioni

In poche parole realizzare il Mind Uploading significherebbe avere una piena padronanza della nostra vita psichica e della gestione delle sue performance.

Non si tratta quindi di sostituire l’attività mentale dell’uomo con quella di un computer, quanto piuttosto di facilitare il lavoro dell’uomo, ad esempio nella gestione delle risorse informative come nella capacità di acquisire informazione. Come per il nostro computer, le facoltà di un individuo uploaded potrebbero essere potenziate aumentando la capacità di memoria dell’hardware, integrando il nostro sistema con software sempre più perfezionati, inserendo al suo interno determinate prestazioni esattamente come fossero un optional.

Per esempio la capacità di interpretare altri linguaggi, la conoscenza di particolari discipline, l’innesto di sistemi esperti; modificare la memoria, sia quella episodica che quella procedurale, il tutto come oggi inseriamo, cancelliamo, modifichiamo un particolare file.

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Tra tutte le possibili applicazioni legate al Mind Uploading quelle che riguardano la memoria necessitano di essere trattate in modo specifico, nella misura in cui intervenendo su caratteristiche essenziali della nostra ontologia e dalla nostra identità personale assumono un interesse di carattere etico.

A differenza di un computer, il cervello umano non è dotato di quello che viene definito disco fisso, non è quindi in grado di salvare lo “stato di sistema” su un disco che ne memorizza lo stato e le caratteristiche attuali.

Tutte le informazione e algoritmi che compongono il nostro “software - mente” vivono in una memoria che più che a un disco fisco, è tecnicamente equivalente alla RAM dei computer: se si toglie l’alimentazione, nel caso del cervello l’ossigeno, questa memoria perde irrimediabilmente le sue informazioni, e anche supposto che possa resistere a questo reboot ci troveremo di fronte ad un sistema che non ha più memoria di ciò che è stato prima.

Si è messi nella condizione di reimparare a mangiare, respirare, camminare.

Il Mind Uploading riuscirebbe in questo senso a superare questo limite biologico e strutturale del nostro cervello come hardware, vicariando questa funzione su un hardware esterno.

Si potrebbe in questo modo con un banale back&restore, ristabilire la situazione compromessa esattamente come il software dati di un PC.

Se questa tecnica fosse resa possibile si potrebbero realizzare delle operazioni sui nostri contenuti mentali che sarebbero sembrate fantascientifiche fino a poco tempo fa.

Si potrebbero creare copie indetriorabili della nostra memoria, si potrebbe trasferire il nostro software mentale da un corpo ad un altro, si potrebbero creare molte copie della stessa mente.

Una volta consolidata questa tecnica di trasferimento dei contenuti mentali non sarebbe impossibile pensare alla progettazione di un sistema operativo che ospiti un programma di simulazione di una realtà artificiale (magari una simulazione del

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nostro universo fisico ed il nostro ambiente sociale) in cui far “rivivere” le copie della nostra mente, in una sorta di Second Life.

1. 13 Mind Uplading e Life Extension

Alla possibilità di uplodare i proprio contenuti mentali, di trasferirli su un supporto diverso dal cervello umano si lega la possibilità di poter avere una copia indeteriorabile della propria memoria, si fa un passo decisivo verso quella che viene definita “l’era dell’immortalità elettronica”.

Uno dei punti caldi della ricerca scientifica contemporanea riguarda la cosiddetta “ life extension”, ossia le diverse modalità che potranno permettere nell’immediato futuro una considerevole estensione cronologica della vita di ciascun individuo. Non esiste un concetto univoco di “immortalità”, la si può immaginare in varie forme: come sottrazione al degradamento biologico e psichico, come sopravvivenza delle funzioni psichiche superiori, come liberazione dai fardelli biologici per un esistenza immateriale, come possibilità di vivere in diverse realtà.

Proprio per la difficoltà di identificare l’immortalità in una specifica forma o modo d’essere le strade intraprese per perseguire questo utopico cammino di ricerca sono molteplici anche se convergenti e sono diverse le discipline che si sono impegnate in questo orizzonte ognuna con i propri specifici obbiettivi.

Il concetto di immortalità sta mutando profondamente da semplice desiderio di autoconservazione e sopravvivenza a desiderio di andare oltre i propri limiti biologici e fisici in generale.

È quell’idea che spaventa molto perchè è la strada che porta l’uomo verso l’immortalità passando attraverso un processo che potremmo definire di “disumanizzazione”, il prezzo da pagare per fuggire i propri limiti ed andare oltre, verso quei modelli di esistenza che vengono definiti postumani e rispetto ai quali il mind uploading rappresenta una delle prospettive più realistiche e promettenti.

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