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2. James Barclay e il Corvo Quello di James Barclay in Italia è un nome totalmente sconosciuto, ma è senza dubbio uno degli autori di spicco del panorama fantasy

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2. James Barclay e il Corvo

Quello di James Barclay in Italia è un nome totalmente sconosciuto, ma è senza dubbio uno degli autori di spicco del panorama fantasy del Regno Unito.

Amante della lettura fin da piccolo, il primo ad avvicinarlo al mondo del

fantasy e della fantascienza è stato suo fratello Mike, quando James aveva circa

tredici anni. Ma è la passione per i libri che gli fa prendere già all’età di undici anni la decisione di voler diventare uno scrittore. Perché il suo sogno diventi realtà, però, James Barclay dovrà aspettare il 1999.

Il suo primo romanzo viene inviato a numerose case editrici, ma le lettere di risposta contengono soltanto rifiuti. L’unica a concedere uno spiraglio è la Gollancz di Londra che lo invita cordialmente a riproporre il proprio manoscritto una volta sistemati alcuni problemi di natura contenutistica, tra i quali la incompletezza del mondo appena creato. Lo stesso autore, in un intervista, ammette che il suo colpo di fortuna è stato quello di avere un ex compagno di scuola e di college che lavorava come editor. È facile pensare che questo lo abbia aiutato in modo consistente e in un certo senso lo ha fatto: lo ha costretto a lavorare più sodo. Anche se l’editor fosse stato disposto a pubblicare il suo manoscritto, il rischio sarebbe stato troppo grande. Se il libro si fosse rivelato un fiasco, l’editor sarebbe stato subito accusato di favoritismo. Per questo motivo il suo libro viene sottoposto all’esame di più editor alla Gollancz, e finalmente, nel maggio del 1998, James Barclay riceve la telefonata che gli cambia la vita. Così nel 1999, all’età di trentaquattro anni, vede finalmente dato alle stampe Dawnthief, il primo volume della trilogia fantasy di The Chronicles

of The Raven. Il libro racconta le vicende di un gruppo ben consolidato di mercenari,

sei uomini e un elfo, i migliori combattenti del mondo in cui vivono, Balaia. Essi decidono di accettare un ultimo lavoro prima di ritirarsi definitivamente dalle scene, all’età di trent’anni. Ma le cose si rivelano più complicate del previsto e il gruppo, che ha il nome di Raven, Corvo, si ritrova a tentare di salvare il mondo da un male antico e oscuro.

Da allora, James Barclay ha pubblicato altri sei libri dedicati ai componenti del Corvo: alla prima trilogia ne è seguita una seconda, The Legends of The Raven, completata qualche anno più tardi da un volume conclusivo intitolato Ravensoul. Dal momento in cui è diventato uno scrittore a tempo pieno, nel 2004, l’autore inglese si è affermato come scrittore di genere: ha scritto una duology, secondo la definizione

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dello stesso autore, nello stile del fantasy epico, The Ascendants of Estorea, e due novelle, Light Stealer e Vault of Deeds. Inoltre ha dedicato una nuova trilogia, intitolata Elves, agli elfi, già introdotti nei libri che vedono come protagonisti il gruppo del Corvo.

Come è stato anticipato nell’introduzione, questo studio si incentra sui volumi dedicati ai mercenari del Corvo, che hanno fatto la fortuna di questo autore.

James Barclay racconta che l’ispirazione per i suoi libri è dovuta a un gioco di ruolo chiamato “Dragon Quest”, al quale partecipava da ragazzo insieme ad alcuni suoi amici. Ciò che maggiormente lo ha influenzato non sono state le ambientazioni e le missioni che dovevano essere svolte, bensì i personaggi: Barclay è rimasto talmente impressionato dalla passione che ciascuno di loro metteva nell’interpretazione del proprio ruolo da voler fare in modo che ogni personaggio vivesse. In questo modo sono nati i guerrieri del Corvo.

Il barbaro Hirad Coldheart, il Guerriero Ignoto, l’elfo julatsano Ilkar, il mutaforma Thraun, il mago xeteskiano Denser e la maga dordoveriana Erienne, questi sono i nomi dei principali componenti di questo gruppo. Sono combattenti di professione, consapevoli delle loro capacità e della loro forza, ma comunque leali nei confronti dei loro nemici: «Uccidere, mai assassinare»1 è il loro Codice. A tenerli insieme un solido legame di lealtà, rispetto, amicizia e onore pressoché indistruttibile. Anche se provengono tutti da luoghi diversi e con l’evoluzione della storia alcuni dei componenti cambiano, l’aderenza a questi principi è ciò che fa dei nuovi arrivati dei degni membri del Corvo. Sono pronti a sacrificarsi gli uni per gli altri senza esitazione e per questo la fiducia è un valore fondamentale per loro. Sono dei veri eroi, coraggiosi e disposti a immolare la propria vita per il mondo che amano. Questo è ciò che fanno gli eroi. A renderli davvero incredibili è il loro realismo; come tutti noi, anche loro sono in qualche modo schiavi delle emozioni: amano, odiano, gioiscono e soffrono. E proprio come noi si ammalano e muoiono. Non sono supereroi e questo li fa apparire ancora più straordinari, perché le loro vite sono esposte a un rischio reale, che tuttavia sono disposti a correre per fare ciò che ritengono giusto. James Barclay è riuscito a non commettere l’errore che molti autori

fantasy commettono, quello di affezionarsi troppo ai propri personaggi. Anche se è

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bello quando succede, è inverosimile che alla fine tutti i protagonisti sopravvivano e lui, da appassionato lettore, ne è consapevole.

Questo senso di familiarità che si prova nei confronti dei personaggi viene sicuramente rafforzato dal fatto che l’autore inglese dedica due trilogie e un volume conclusivo al Corvo. La serie si basa sulla presenza nei vari libri degli stessi protagonisti, il che non solo fa in modo che il lettore venga coinvolto rapidamente nella storia, ma consente anche allo scrittore più spazio per approfondire altri aspetti della vicenda. Non c’è infatti alcun bisogno di una parte introduttiva, la quale di solito è causa di un lento ritmo in avvio. A parte i personaggi, però, i libri dedicati agli eroi di James Barclay sono tenuti insieme da una trama fatta di azioni e conseguenze che non si disperdono mai nel nulla. Mano a mano che si leggono i vari romanzi, è facile infatti notare come ogni cosa rimasta in sospeso in un volume viene risolta in uno di quelli successivi. Anche se i libri della serie del Corvo possono essere letti senza un ordine preciso, seguire la sequenza di pubblicazione aiuta a capire meglio i personaggi e le varie vicende e senza dubbio chiarisce cosa davvero significa fare parte di questo gruppo e perché è tanto amato. Cominciando dal primo libro si ha un’idea migliore di chi sono e soprattutto del continente in cui vivono. Il continente settentrionale di Balaia è diviso a metà dalla catena dei Monti Blackthorne, quindi da un lato ci sono le quasi sconosciute Terre dell’Ovest, mentre dall’altro si svolge la maggior parte delle vicende narrate. A est esistono quattro città College rappresentanti ciascuna di un tipo di magia diversa: Julatsa, il luogo dove anche gli elfi coltivano i propri poteri, Lystern, Dordover e Xetesk. Quest’ultimo viene chiamato anche College Oscuro per le sue pratiche non proprio condivisibili: un esempio sono i Protettori, guerrieri mascherati quasi invincibili, le cui anime un tempo appartenevano a uomini e che, dopo la morte vengono legate fra loro nel Pozzo delle Anime e tenute sotto controllo dai Demoni.

È intorno a queste quattro città che si sviluppano gli intrighi che spesso muovono le storie raccontate da James Barclay.

Come abbiamo anticipato precedentemente, la prima trilogia dei mercenari del Corvo prende il nome di The Chronicles of The Raven e inizia proprio nel 1999 con Dawnthief. Segue l’anno successivo il secondo volume, Noonshade. Si ritiene che il secondo libro di una trilogia sia quello più complicato da scrivere, poiché di solito l’autore dedica la prima metà a riassumere cosa è successo nel primo libro e la seconda a spiegare ciò che sarà importante nel terzo. James Barclay invece confessa

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di aver avuto pochissimi problemi con Noonshade, anche perché il fatto di essere stato pubblicato gli aveva fatto guadagnare fiducia in se stesso. Ed effettivamente la tensione nel libro non cala nemmeno per un istante. La storia riprende letteralmente pochi minuti dopo la sconfitta dei Lord Stregoni. Gli eroi non hanno nemmeno avuto il tempo di curarsi le ferite dell’ultima battaglia che una nuova e terrificante minaccia incombe su di loro. Il lancio dell’incantesimo che ha distrutto i nemici, il Ruba Aurora, ha provocato uno squarcio dimensionale che, se non verrà chiuso al più presto, aprirà le porte di Balaia a migliaia di draghi inferociti. Guidati dal drago Sha-Kaan e dalla sua stirpe, la cui sopravvivenza è intimamente legata a quella del continente settentrionale, il Corvo deve trovare il modo per richiudere lo squarcio.

L’ultimo volume della trilogia esce nel 2001 con il titolo di Nightchild. Questa volta la storia si arricchisce di uno sfondo decisamente personale. Sono passati quattro anni dall’ultima volta che i mercenari del Corvo hanno combattuto insieme, ma ora dovranno riunirsi perché Denser ed Erienne hanno bisogno del loro aiuto. La loro bambina, Lyanna, è nata con il potere dell’Unica Via, una magia che racchiude tutte le altre quattro, e Dordover, avvertendo questo come una minaccia al potere magico dei quattro College, è decisa a ucciderla. Il College Oscuro di Xetesk sarà quasi un alleato per il Corvo, dal momento che inizia una guerra con Dordover proprio per impedire questo omicidio. Ma in realtà il suo scopo è un altro: quello di imporsi come unico College detentore della magia. Fra intrighi e guerre aperte, i mercenari dovranno combattere una disperata battaglia per cercare di salvare la bambina sull’isola elfica di Herendeneth, casa delle ultime posseditrici dell’Unica. La fine del romanzo lascia l’amaro in bocca. Molte sono le cose rimaste in sospeso: i draghi sono ancora prigionieri della dimensione degli uomini così come i Protettori, nonostante le promesse di Xetesk, sono ancora schiavi del College Oscuro, in più il Cuore di Julatsa, fonte della sua magia, è ancora sepolto a seguito di un’invasione e i poteri dei suoi maghi potrebbero indebolirsi. Ma, cosa più importante, l’Unica è ora rinchiusa nella mente di Erienne, che non sa se sarà mai in grado di domarla e la guerra fra Xetesk e Dordover sta devastando Balaia.

Queste sono le tematiche che James Barclay si ritrova a dover affrontare nella seconda trilogia, The Legends of The Raven, più profonde e complicate di quelle a cui si era dedicato fino a quel momento. Oltre a questo, inserisce nuovi personaggi e nuovi luoghi, come il continente elfico di Calaius.

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Di questa trilogia, pubblicata negli anni immediatamente successivi alla prima, fanno parte Elfsorrow, di cui parleremo più diffusamente nel prossimo capitolo, Shadowheart e Deamonstorm.

In Italia di James Barclay è stata pubblicata solo la prima trilogia dedicata ai mercenari del Corvo. In realtà nel nostro paese si è deciso di eliminare il titolo della saga. The Chronicles of The Raven, che avrebbe preso il nome di Le Cronache del

Corvo. Al suo posto il legame fra i tre volumi è stato sottolineato dalla presenza

all’interno dei loro titoli di una specifica che richiama il Corvo. Per la casa editrice Nord, nel 2010 è uscito La compagnia del Corvo, nel 2011 Il sortilegio del Corvo e infine nel 2012 La notte del Corvo. Tutti questi romanzi sono stati tradotti da Adria Tissoni.

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2.1 Barclay e la contaminazione di genere

Se si prendono in esame le tecniche narrative e alcuni tratti peculiari dei romanzi dedicati al Corvo, sembra che James Barclay si collochi al di fuori degli schemi che sono stati delineati nel primo capitolo. In realtà, come vedremo meglio, egli si colloca un po’ in ognuno di essi.

Lo stesso Barclay, in alcune interviste, non si attribuisce quasi mai nessuna delle etichette classiche che sono state presentate fin’ora. Tutto ciò trova probabilmente radici nelle motivazioni che lo hanno spinto a dedicarsi alla scrittura di romanzi fantasy. Egli ammette di essere stato spronato dalla frustrazione provata nei confronti dei libri di questo genere che venivano pubblicati quando era ragazzo. Nessuno di essi soddisfava le sue aspettative; il libro che davvero avrebbe voluto leggere non esisteva. Da qui deriva probabilmente anche la filosofia che traspare dalle interviste rilasciate dall’autore: egli, dichiara prima di tutto, di scrivere cose che lui stesso amerebbe leggere. Non scrive romanzi fantasy per esporre e magari inculcare negli altri la propria morale o le proprie idee politiche o religiose (anche se per sua stessa ammissione è ovvio che la propria mentalità si inserisca, anche involontariamente, nella narrazione). Non si dedica a questo genere nemmeno perché al momento economicamente redditizio, come appare essere invece la pratica per più di uno scrittore, a giudicare dal tipo di volumi che si trovano le librerie e dalla loro quantità. Ha sempre scritto opere fantasy e ne è orgoglioso. James Barclay ama ciò che il fantasy stesso regala: una fuga per lui in quanto scrittore e per il lettore, e soprattutto il grande divertimento che offre a quest’ultimo. L’autore non ha lo scopo principale di insegnare qualcosa o fare la predica a qualcuno. Vuole che il pubblico si diverta, che sia emotivamente coinvolto dai suoi personaggi e dalla loro storia e che si lasci trasportare e si perda in essa. È anche per questo che la gente adora lui e i suoi romanzi. Non pretende che al di sotto della mera narrazione vengano scovate inesistenti contestazioni della società o fughe da una realtà opprimente come accade in alcune critiche. Ciò che scrive è ciò che vuole dire.

Tentare di inserire l’autore inglese in una categoria definita di fantasy risulta complicato anche per chi si occupa di commentare i suoi libri. Alcune recensioni definiscono i suoi romanzi sui mercenari di Balaia inizialmente Heroic fantasy, mentre in seguito li nominano come standard per il Sword and Sorcery. E questo

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anche all’interno del medesimo articolo. In ogni caso, i volumi dedicati al Corvo possono essere considerati una lettura preziosa per gli appassionati di entrambi i sottogeneri. Tutto ciò è reso possibile dal fatto che i personaggi di James Barclay assumono, senza uno schema preciso, caratteristiche tipiche sia degli eroi dell’Heroic

fantasy che del Sword and Sorcery.

Dato che nel corso dei vari romanzi numerosi sono i personaggi che entrano a far parte del Corvo e nel corso della vicenda lo abbandonano o muoiono, per quest’analisi sono stati presi in considerazione soltanto i membri storici della compagnia di mercenari: il Guerriero Ignoto, Hirad Coldheart, Ilkar, Denser ed Erienne.

Gli eroi di Barclay sono individui fisicamente e mentalmente forti, alla continua ricerca di azione, in quanto mercenari. Anche se questa loro situazione evolve con il succedersi degli eventi, il Corvo rimane a tutti gli effetti un gruppo che viene pagato per fare ciò che sa fare meglio, cioè combattere. Nonostante la paga sia ormai un lontano ricordo, quando il lettore li incontra in Elfsorrow, questi mercenari sono ancora i più grandi guerrieri in circolazione. Nell’etichetta stessa di mercenari è inclusa la concezione di una vita ai margini della società: del barbaro Hirad non si sa praticamente nulla, Ilkar è stato più di cento anni lontano da casa per divergenze con la sua famiglia, Denser è un mago della città College di Xetesk, ma è cresciuto con un’educazione diversa focalizzata sull’apprendimento del lancio del sortilegio chiamato Ruba Aurora, Erienne viene ritenuta a pieno titolo maga di Dordover solo quando fa comodo al proprio College e l’Ignoto fugge dalla sua casa e dal suo stesso nome per tentare di sottrarsi al proprio destino. Tutto ciò, però, non vieta loro di far parte di una famiglia, il Corvo, legata da vincoli ancora più forti di quelli del sangue: l’amicizia, la fiducia reciproca, il sacrificio incondizionato nei confronti degli altri membri.

In quanto emarginati dalla società, non ne condividono nemmeno la morale o, per essere corretti, non condividono le scelte che i quattro College e altre città fanno proprie, di volta in volta. Anche se in quanto mercenari non possono essere definiti totalmente buoni, i componenti del Corvo hanno il senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Quando devono salvare il mondo la loro scelta non è dettata dalla pura voglia di combattere, ma nemmeno sono costretti dal destino o da una divinità a farlo. La decisione di salvare Balaia deriva da motivazioni quasi sempre personali: la morte o la malattia di un amico, il peso della responsabilità di aver scagliato male un

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incantesimo, il tentativo di salvare una bambina in pericolo. Se si osserva attentamente, Elfsorrow potrebbe già essere definito una deviazione dallo standard, perché, come vedremo, il Corvo agisce per fermare la piaga che colpisce gli elfi e non per arrestare la guerra che devasta Balaia, obbiettivo che in un comune Heroic

fantasy sarebbe la missione dell’eroe.

Il personaggio che forse più si accosta al Sword and Sorcery è Hirad. Egli infatti è l’unico che quando gli altri accennano a volersi ritirare, sente che senza quella parte della sua vita la propria esistenza perde ogni senso, senza contare che sciogliere la famiglia per lui significherebbe rimanere solo, al contrario degli altri che hanno un posto dove tornare. In quanto personaggi dotati del senso di responsabilità e sacrificio tipico dell’Heroic fantasy sappiamo che costoro poi cambieranno idea e si prodigheranno per salvare il mondo.

Oltre a una rappresentazione arbitraria dei propri eroi, senza cioè un’aderenza a uno schema specifico di tipologia fantasy, è chiaro che James Barclay preferisce contaminare anche le modalità identificate da Farah Mendlesohn, troppo rigide se prese singolarmente.

I romanzi di James Barclay rientrano senza dubbio nella categoria dell’immersive fantasy. L’autore inglese crea un intero mondo, collocato nella tipica ambientazione pseudo-medievale e perfettamente funzionante a diversi livelli. Egli dà origine a una società totalmente integrata con la magia e con una delle figure più rappresentative del genere fantasy, gli elfi. Il lettore viaggia per il continente settentrionale (e oltre) come se lui stesso fosse un abitante di quei luoghi. Il punto di vista collocato direttamente nella testa dei personaggi ed espresso alla terza persona ci aiuta a prendere parte alla vicenda, che è dichiaratamente lo scopo dello scrittore britannico. Inoltre, offrendo l’opportunità di “adagiarsi nella mente” di diversi personaggi, anche i più cattivi, è assolutamente geniale. In questo modo il lettore viene messo a conoscenza delle vere motivazioni delle azioni che vengono svolte nel corso della narrazione. Per esempio, ai fini del giudizio sul personaggio di Yron in

Elfsorrow, è fondamentale essere testimoni dello stupore e dell’angoscia che prova

quando scopre a cosa hanno portato le sue azioni. Sarebbe stato troppo facile raccontare gli eventi solo dal punto di vista del Corvo; tutto in quel caso sarebbe apparso bianco o nero. Così facendo, invece, Barclay approfondisce la psicologia dei suoi personaggi e rende il suo universo ancora più completo. Non ci sono individui

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cattivi che si scontrano con dei buoni, bensì uomini, donne ed elfi con un carattere ben delineato, un’etica e delle ambizioni che guidano le loro scelte.

L’autore ha sfruttato nel migliore dei modi anche la tecnica di mostrare qualcosa prima, eventualmente, di fornire una spiegazione. Questo aiuta a realizzare quell’irony of mimesis di cui parla tanto Farah Mendlesohn, cioè quell’immedesimazione all’interno del nuovo universo tramite la condivisione di conoscenze con i personaggi. È sufficiente l’uso di queste tecniche narrative, che soppiantano così le lunghe e dettagliate descrizioni tipiche del portal-quest fantasy.

A proposito di questo sottogenere, James Barclay fa affidamento proprio sul

fantasy forse più utilizzato. La trama de La compagnia del Corvo prevede infatti che

i mercenari si mettano alla ricerca di tre preziosi oggetti indispensabili alla formulazione di un incantesimo in grado di salvare il mondo dal ritorno dei malvagi Lord Stregoni. Per riuscire a compiere questa missione, gli eroi sono anche costretti a dover attraversare un portale che li conduce in un mondo totalmente diverso da quello che conoscono, stravolto dalla devastazione e abitato da mostruosi uomini-uccello. La narrazione si arricchisce di descrizioni che ci giungono a turno dai diversi personaggi e la loro incredulità e il loro terrore traspaiono dai dialoghi e dal racconto di ciò che vedono. La stessa cosa accade in Il sortilegio del Corvo, quando il gruppo deve avventurarsi nella dimensione dei draghi; lo stupore e la meraviglia sono ampiamente veicolati dalla descrizione della casa dei draghi.

L’autore si serve con abilità anche delle réverie. Accade infatti in ognuno dei sette libri di trovare esempi di questa strategia, soprattutto nei momenti decisivi della narrazione: «Per Denser fu la realizzazione del sogno di tutta una vita. Lanciare il Ruba Aurora e affrontarne la complessità in tutte le sue sfaccettature era stato entusiasmante come aveva immaginato»2.

Anche nei romanzi dedicati al Corvo capita di imbattersi in mappe e profezie, com’è consuetudine nei portal-quest fantasy, ma James Barclay si riserva di sfruttare questi elementi deviando dal loro standard. All’inizio di ogni volume, infatti, è disegnata la mappa di Balaia, ma come veniamo a scoprire da La notte del Corvo, questo non è l’unico continente dell’universo creato dallo scrittore inglese. Esiste l’isola di Herendeneth e la nazione elfica di Calaius, ma l’autore preferisce in qualche modo non mostrarcele. Nel medesimo libro viene anche citata una profezia secondo la quale «[q]uando l’Innocente cavalcherà gli elementi e la terra sarà inerte e

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lacerata, avverrà la Separazione e dal caos nascerà l’Unica che mai più cadrà»3

. Se la piccola Lyanna è davvero causa di devastazione perché non riesce a controllare il proprio potere, il resto della profezia è destinato a non compirsi mai, anche se questo si scoprirà solo nella trilogia successiva. L’Unica infatti sopravvive in Erienne che però, una volta rimasta la sola detentrice non riuscirà mai a domare davvero questa grande magia.

Ma James Barclay riserva ulteriori sorprese con l’aderenza a una terza tipologia di fantasy. Come è stato spiegato nel capitolo precedente, l’immersive

fantasy può ammettere un’intrusione, che però non è portatrice dell’elemento

fantastico, bensì solo di una deviazione dalla norma. Lo scrittore britannico, invece, si libera anche da questo “vincolo”. All’inizio de Il sortilegio del Corvo, Balaia è sotto la minaccia di un’invasione di draghi tramite uno squarcio dimensionale. Quando il drago Sha-Kaan oltrepassa il portale che divide le due dimensioni per avvertire gli esseri umani, questi ultimi sono in preda al panico perché non erano a conoscenza dell’esistenza dei draghi. La reazione dei personaggi è la stessa di quella dei protagonisti di un tipico intrusion fantasy. La presenza del drago semina il panico e i membri del Corvo sono i primi ad averne paura, cercando una via di fuga come Hirad o rimanendo paralizzati come Ilkar. In realtà la compagnia era già a conoscenza dell’esistenza dei draghi, da quando aveva incontrato Sha-Kaan in una situazione che può essere definita a metà fra il portal-quest e l’intrusion fantasy. All’epoca infatti Hirad era finito per sbaglio nella dimensione dove c’era Sha-Kaan e i suoi amici avevano assistito alla scena tramite l’apertura. I draghi a Balaia erano considerati un mito, almeno fino a questo momento. La lingua in entrambi in casi viene sfruttata per esprimere lo stupore e la paura dei protagonisti. L’aspetto sorprendente è che James Barclay riesce a veicolare delle emozioni molto forti pur mantenendo il punto di vista di vista dell’immersive fantasy, facendo confluire in una terza persona collettiva una sensibilità indviduale.

A questo punto risulta sempre più evidente come la tecnica di scrittura di James Barclay sia puramente il frutto della sua passione. Questa analisi lo descrive come un contaminatore di sottogeneri fantasy, ma per la mentalità che traspare dalle sue interviste, non sembra affatto esserne consapevole.

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Una cosa di cui è cosciente, però è la compresenza di elementi che appartengono convenzionalmente al fantasy. James Barclay non tenta di liberarsene, anzi, condanna apertamente chi cerca di ribellarsi a queste convenzioni e finisce invece poi per realizzare pallide imitazioni di elfi, nani e quant’altro. Il suo scopo è quello di intrattenere il lettore, che deve trovarsi a suo agio nel mondo descritto dall’autore. Questo non è possibile se invece bisogna perdersi in descrizioni lunghe e dettagliate come quelle che richiederebbe la creazione di una razza del tutto nuova. James Barclay non ha rinunciato agli elfi, né ai draghi, i più grandi stereotipi del

fantasy, ma li ha fatti suoi. Ha dato vita a una società elfica profondamente religiosa

e rispettosa della natura a cui sono profondamente legati i propri dèi, dando vita anche a gruppi di combattenti addestrati esclusivamente per proteggere la fede e il loro isolamento dagli stranieri. Infine ha inserito i personaggi in un nuovo ambiente, la foresta pluviale, e ha fatto di essi degli ottimi guerrieri che non necessariamente praticano la magia, il tiro con l’arco o l’equitazione. Ma il modo migliore per integrare questa figura nella storia, confessa l’autore, è quello di non rimarcare costantemente che si sta parlando di elfi, del resto nessuno sottolinea che gli esseri umani sono tali, cioè, appunto, umani. Quando si incontra un elfo per la prima volta questa informazione viene data con molta naturalezza insieme al suo nome proprio. Da quel momento in poi la sua “razza” viene data per scontata.

In conclusione, vorrei tornare alla definizione che James Barclay dà di se stesso in quanto scrittore. Posto di fronte a una domanda diretta, egli si è definito un autore di heroic action fantasy. Il ritmo della sua narrazione è sempre incalzante e intenso, per rendere l’azione nel migliore dei modi; il suo mondo è basato sullo

sword and magic fighting. I suoi libri sono infatti ricchissimi di scontri e, come

conseguenza, di violenza, perché lo stesso scrittore non crede sia giusto indorare la pillola quando si tratta di descrivere gli effetti di determinate azioni. Ma la grande importanza riservata alla lotta e ai combattimenti non va a scapito né della trama, sempre ben delineata e impregnata di realismo, né dei personaggi. Questi ultimi non sono dei semplici manichini a cui è affibbiata un’etichetta: eroe o antagonista. Gli eroi di James Barclay sono a tal punto complessi che quando il lettore legge le loro avventure, accade quanto è descritto bene prorio dallo stesso Barclay: «they are

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reading about family and that makes the wounds hurt, the tears sting and the laughter the purest of releases»4.

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