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1. LE POLITICHE DISTRIBUTIVE DELLE IMPRESE DEL SETTORE MODA1

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1. LE POLITICHE DISTRIBUTIVE DELLE IMPRESE DEL SETTORE

MODA1

Il prodotto venduto dalle imprese appartenenti al settore della moda ha un ciclo di vita molto breve, risulta quindi importante che questo raggiunga il consumatore prima che diventi “fuori moda”. Per questo motivo per le imprese appartenenti a questo settore è importante scegliere il giusto canale distributivo in modo che la soluzione individuata permetta all‟azienda di mettere a disposizione in modo adeguato il prodotto, sia ai clienti sia ai vari intermediari di cui si serve.

Antonio Foglio nel suo libro parla infatti di una politica distributiva che possiede due funzioni: la funzione commerciale, che riguarda la scelta dei canali distributivi e la funzione logistica, che riguarda una serie di attività ad essa connesse, come lo stoccaggio e il trasporto dei prodotti, la consegna e le attività di postvendita.

In questa prima parte2 prenderemo in considerazione la funzione commerciale, andando a studiare i canali distributivi per mezzo dei quali è possibile trasferire i prodotti dal luogo di produzione al luogo di acquisto. Con la distribuzione e la vendita l‟azienda dovrà rispondere alla domanda del mercato facendo pervenire nelle migliori condizioni, nel momento giusto e nel numero maggiore di punti vendita, i suoi prodotti.

Il canale distributivo

Il canale commerciale/distributivo viene definito come il complesso degli operatori attraverso i quali si attua il processo di commercializzazione dei prodotti. Gli operatori possono essere: le stesse aziende produttrici, i grossisti, i dettaglianti e gli agenti. In base al modo con il quale vengono combinate le varie figure, possiamo avere due canali distributivi: canale indiretto (con circuito lungo e circuito corto) e il canale diretto. Il canale indiretto con circuito lungo (impresa-grossista-dettagliante-consumatore) prevede più intermediazioni tra l‟impresa produttrice e il consumatore. In questo circuito sono presenti sia il grossista che il dettagliante: il grossista acquista la merce dall‟impresa e poi la rivende al dettagliante, il quale successivamente la rivenderà al cliente finale. Esiste però una variante a questa forma tradizionale di circuito lungo, ovvero il caso in cui si inseriscano nell‟intermediazione gli agenti. Questi operano secondo due possibilità: o contrattano direttamente con l‟impresa e poi rivendono al grossista, oppure si inseriscono tra il grossista e il dettagliante. Il grossista infatti

1 Sicca L. 1972 da pag.189 a 227, Foglio A. 2001 e 2007, Castaldo S. – Mauri C. 2005 2

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acquisisce la proprietà dei prodotti che gli vengono venduti dall‟impresa; questi soggetti invece vendono i prodotti per conto dell‟azienda, senza però assumere la proprietà di essi. Sono retribuiti attraverso una percentuale sulle vendite oppure in base alle funzioni svolte o secondo una provvigione fissa per unità vendute. I vantaggi che possono essere ottenuti dall‟azienda che decide di avvalersi di queste particolari figure sono: una riduzione delle spese di vendita, uno stretto controllo dei prezzi e delle condizioni di pagamento e una maggior cura nella vendita del prodotto. Solitamente le imprese che scelgono di avvalersi del circuito lungo sono quelle che hanno l‟obiettivo di ridurre il più possibile le spese di trasporto, di assicurazione, di stoccaggio e per la scorta dei prodotti. Infatti nel caso in cui il dettagliante tratti prodotti a bassa rotazione non è tenuto ad effettuare un grosso stock, invece quando i prodotti trattati sono ad alta rotazione lo stock viene creato per fornire al consumatore un prodotto sempre attuale. L‟impresa produttrice però può anche decidere di vendere i propri prodotti attraverso il canale indiretto con circuito corto (circuito corto: impresa-dettagliante-consumatore). L‟impresa all‟interno di questo canale ha due opzioni:

1) può vendere ad una centrale oppure ad un gruppo d‟acquisto i propri prodotti3; 2) può vendere al dettagliante i propri prodotti saltando il grossista; in questo modo

l‟impresa può beneficiare di svariati vantaggi: l‟ottenimento di sconti derivanti dalla vendita al dettagliante di quantitativi elevati di prodotti, margini di profitto più alti e un controllo maggiore sull‟attività distributiva; infine raggiunge uno stretto contatto con il cliente che le permette di individuare subito le esigenze e le caratteristiche del target di riferimento (Sicca L. 1972);

Negli ultimi anni infatti abbiamo assistito al progressivo accorciamento del canale distributivo nell‟ambito della moda. Fino a non molti decenni fa il ruolo chiave nello sviluppo delle aziende di abbigliamento lo possedeva il grossista, il cui compito consisteva nell‟acquistare dalle diverse aziende produttrici i prodotti (nel nostro caso abiti) per poi rivenderli ai vari punti vendita, i quali trattavano direttamente con il cliente. Con l‟accorciamento del canale, il ruolo del grossista è stato inizialmente ridimensionato e successivamente eliminato del tutto. Da qui la possibilità per l‟impresa di avvalersi del canale diretto con cui vendere al consumatore i suoi prodotti attraverso propri punti vendita al dettaglio. Questo ha reso sicuramente più complicata e articolata l‟attuale rete distributiva, poiché, eliminando completamente il grossista, si sono rese

3 la centrale trasmette l‟ordine e il produttore provvede direttamente alla spedizione ai diversi punti di

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Fig. 1 Le possibili politiche distributive

Fonte: Foglio A., “Il marketing della moda: politiche e strategie di fashion marketing”, Franco Angeli, Milano 2007

necessarie modifiche al sistema distributivo. L‟eliminazione di questa figura però ha reso più agevole per l‟impresa, rispetto al passato, il possesso di informazioni relative alla clientela4. Infatti con un canale distributivo lungo l‟informazione, per arrivare all‟impresa, impiega molto più tempo poiché dal cliente questa deve passare per le mani del dettagliante, poi del grossista e infine all‟impresa. Inoltre, in questo modo è possibile per l‟impresa ridurre le distorsioni delle informazioni che possono crearsi tra un passaggio e l‟altro del canale.

Risulta quindi intuibile che oggigiorno la distribuzione è diventata una variabile sempre più rilevante per le imprese, poiché una scelta errata del canale distributivo (in cui l‟azienda opererà) potrebbe tramutarsi anche nel fallimento dell‟impresa stessa. In particolare le imprese appartenenti al settore della moda, oltre a quanto sopra descritto, devono mettere in atto una politica distributiva che si sposi con l‟immagine del marchio che viene percepita dai consumatori al fine di poter creare una forte brand identity. Per questo motivo risulterà facilmente comprensibile l‟importanza della scelta corretta del canale distributivo. L‟impresa potrà dunque scegliere se servire il mercato attraverso il canale diretto, nel quale l‟azienda opera senza intermediari rivolgendosi direttamente al consumatore, o il canale indiretto, in cui l‟azienda serve i propri clienti attraverso uno o più intermediari5.

4 La figura sicuramente più informata circa i gusti e le esigenze del cliente, è sicuramente il dettagliante

poiché è l‟unico soggetto del canale che ha un contatto diretto con il consumatore.

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1.1 Il canale diretto e il negozio monomarca6

Come già accennato le imprese che decidono di avvalersi di questo canale servono il cliente direttamente attraverso i propri punti vendita7; per questo motivo il marchio dell‟industria coincide con l‟insegna (negozio monomarca). Sono molte le imprese di alta moda, come Max Mara, Ferrè, Armani, Gucci etc., che prendono in considerazione la vendita dei propri prodotti attraverso catene di negozi di loro proprietà e con il loro marchio. Infatti nel mondo della moda non bisogna dimenticare che spesso la motivazione che spinge il consumatore ad acquistare il prodotto è rappresentata proprio dal marchio del prodotto o del punto vendita; infatti il negozio monomarca fa sviluppare nel consumatore la store loyalty proprio grazie alle sensazioni di piacere, gratificazione, assistenza che questo punto vendita può dare.

La gestione di punti vendita propri implica un cospicuo impegno finanziario da parte dell‟impresa, che deve essere tradotto nel controllo dell‟organizzazione al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. Non sempre infatti la scelta di tale strategia ha portato alle aziende che l‟hanno intrapresa dei benefici in termini di redditività, in quanto è stato sottovalutato l‟aspetto dei costi di gestione e è mancata la creazione di competenze manageriali specifiche.

L‟impresa che decide di operare secondo questa strategia dovrà tenere contemporaneamente in considerazione tutte le leve del marketing mix al fine di far percepire in modo omogeneo l‟immagine di marca ai consumatori appartenenti ai vari mercati in cui l‟impresa opera.

Il vantaggio principale di questa opzione consiste nella possibilità di ottenere rapidamente importanti informazioni (continuamente aggiornate) relative ai prodotti venduti, riuscendo così ad individuare quelli che sono stati bestselling e quelli che invece non hanno avuto sufficienti consensi. Queste informazioni sono di vitale importanza per il retailer che potrà così modificare l‟assortimento sulla base delle preferenze dei consumatori, in quanto le informazioni ottenute dalla ricerca spiegano quelli che sono i comportamenti di acquisto dei clienti. Inoltre, in questo modo l‟azienda avrà un incremento del valore dell‟immagine percepito dal cliente.

6

(Romanazzi 2005, Castaldo S. – Mauri C. 2005 , Burresi A. Aiello G. Guercini S. 2006)

7 Oggi noi sappiamo che le imprese si avvalgono non solo del punto vendita monomarca tradizionale per

servire il cliente, ma, con l‟avvento delle nuove tecnologie, sono utilizzati per la vendita anche i siti Internet e i cataloghi.

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L‟acquisizione di queste informazioni identifica però anche lo svantaggio di questa opzione, poiché si presuppone che l‟impresa sostenga un consistente impegno finanziario nella raccolta dei dati e nella loro successiva elaborazione, senza considerare che, in base ai risultati della ricerca, potrebbero essere necessarie delle modifiche al sistema distributivo o al punto vendita richiedendo così ulteriori investimenti finanziari per l‟impresa.

L‟azienda che decide di operare attraverso un negozio monomarca, dovrà innanzitutto definire l‟ampiezza e la profondità del suo assortimento.

Con il termine ampiezza si fa riferimento al numero delle differenti linee di prodotto presenti all‟interno della gamma offerta, mentre con il termine profondità si identifica il numero di prodotti che compongono la singola linea (Burresi A. Aiello G. Guercini S. 2006).

Solitamente nei punti vendita monomarca si prediligono assortimenti ampi e profondi; questo non implica però il fatto che l‟assortimento offerto debba essere uguale in tutti i punti vendita gestiti, infatti esso tende a variare in base alle esigenze dei consumatori e alle caratteristiche del mercato di riferimento (condizioni climatiche, cultura, etc.). Inoltre se l‟impresa ha deciso di internazionalizzarsi8, e quindi opera non solo sul mercato nazionale ma anche nei mercati esteri, è possibile che adotti un posizionamento globale, ovvero mantenga inalterato il proprio assortimento di prodotti in ciascun paese in cui opera, oppure un posizionamento multinazionale, in cui l‟impresa adatta il proprio assortimento alle esigenze dei consumatori del paese di destinazione. Considerazioni simili possono essere fatte sui prezzi, in quanto può essere vantaggioso per l‟azienda adattare i prezzi in base ai contesti competitivi del mercato di riferimento, ma, contemporaneamente, potrebbe essere necessario standardizzarli per dare un‟immagine coerente dell‟azienda e dei suoi prodotti.

1.1.1 I format distributivi del canale diretto9

I format distributivi di un canale diretto (negozio monomarca) possono essere suddivisi in funzione della superficie di vendita:

a) flagship store

8 Per quanto riguarda l‟internazionalizzazione si veda il paragrafo 1.4 9

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b) self standing store c) shop in shop (o corner) d) vendite per corrispondenza e) vendite online

a) Flagship store: vengono detti anche “negozi bandiera”: sono in genere negozi di grandi dimensioni, dai 300 ai 400 metri quadrati, situati in località prestigiose a livello internazionale (sia nei centri storici che nei centri commerciali). L‟assortimento di questi negozi è molto ampio e tendente al total look e ad un immagine del punto vendita che richiama tutto il mondo della marca. A negozi di questo tipo non si chiede di rispettare rigidi vincoli di fatturato, anzi molto spesso sono oggetto di forti investimenti finanziari da parte delle aziende che li creano in quanto sono considerati degli ottimi canali di comunicazione dove tutte le variabili in oggetto possono essere controllate direttamente dall‟azienda stessa e quindi gestite in modo ottimale e tempestivo. Questi punti vendita prevedono un personale dedicato e gestito direttamente;

b) Self standing store: sono negozi la cui superficie di vendita è compresa tra i 50 e i 200 metri quadrati, collocati nelle vie principali delle città internazionali oppure all‟interno degli shopping mall, degli aeroporti o dei centri commerciali. Presentano, nel loro insieme, una certa omogeneità sia in termini di layout interno e aspetto esterno, sia per quanto riguarda le politiche della marca. Questi negozi possono essere sia di proprietà della marca sia in franchising;

c) Shop-in-shop o corner: sono punti vendita di proprietà con dimensioni ridotte che variano dai 10 ai 100 metri quadrati. Solitamente sono collocati all‟interno di una struttura commerciale (department store) e offrono un offerta abbastanza ampia di prodotti. Oramai da anni i grandi marchi del prêt-à-porter e dei cosmetici si avvalgono di questa tipologia di punti vendita, creando la convivenza di marchio industriale e marca insegna. Il distributore solitamente preferisce la marca insegna poiché gli permette di effettuare una selezione fra diversi brand;

d) Vendite per corrispondenza: l‟azienda propone la sua offerta attraverso un catalogo che contiene tutti i prodotti del marchio. Generalmente si fa riferimento a prodotti standardizzati in modo tale da non aver bisogno di adattamenti per la vendita.

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Coloro che vendono i prodotti sono le aziende specializzate e i grandi magazzini che dispongono di un catalogo;

e) Vendite on line: questo canale si è diffuso attraverso la rete e oggigiorno è sempre più utilizzato da parte dei consumatori per l‟acquisto dei prodotti che a loro interessano. L‟offerta delle aziende attraverso questo canale prevede, come nel caso precedente, prodotti standardizzati che non richiedono perciò adattamenti. Ad ogni modo, sono sempre di più le aziende che mettono comunque a disposizione la possibilità da parte del cliente di ordinare anche abiti su misura. Poiché le prospettive di scenario future sono rosee le imprese stanno creando vetrine online in cui esporre i propri prodotti e vendere direttamente su internet al consumatore.

L‟azienda può affidarsi anche ad un venditore dipendente, il quale negozia per conto di essa. Tale venditore conosce i prodotti dell‟azienda e il settore in cui essa opera, perciò collabora con essa riportando le informazioni relative al mercato e ai consumatori. Le politiche aziendali verranno adeguate sulla base delle informazioni e dei suggerimenti che questa figura evidenzierà.

Al venditore può essere affidata una zona geografica precisa in cui vendere i prodotti: in questo modo egli ha un maggior contatto con i clienti e con l‟area di mercato presa in considerazione; inoltre con questa soluzione possono essere ridotti i costi operativi. In alternativa è possibile affidare al venditore la responsabilità di una linea di prodotti: in questo caso è possibile anche avere più venditori che nella stessa area geografica smerciano agli stessi clienti prodotti simili (ad esempio si comportano in questo modo tutte le imprese di grandi dimensioni che hanno cataloghi di prodotti molto diversificati e con più collezioni).

Infine abbiamo una terza modalità di vendita che può essere affidata a questo soggetto: al venditore viene affidata la responsabilità di un gruppo di clienti omogenei, come la grande distribuzione o il dettaglio tradizionale.

1.2 Il canale indiretto e i negozi multimarca10

Attraverso il canale indiretto l‟impresa vende i propri prodotti al cliente tramite gli intermediari. Questo canale offre svariate possibilità all‟impresa: il confronto con i

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concorrenti, l‟utilizzo del know-how acquisito dagli intermediari attraverso la vendita di prodotti simili, la possibilità di adattare le politiche commerciali sulla base delle specifiche esigenze dei punti vendita.

Solitamente questa strategia è intrapresa da aziende le cui piccole dimensioni non permettono la possibilità di vendita tramite un canale diretto, poiché non sarebbe possibile per l‟impresa riuscire a sostenere le spese necessarie per poter operare con quel tipo di strumento.

Il canale indiretto si avvale di negozi multimarca ovvero negozi in grado di offrire al loro interno una varietà di marche che permettono di soddisfare le esigenze di tutti i clienti, inclusi quelli “difficili”. Infatti in questi negozi il consumatore ha la possibilità di costruire in piena autonomia il proprio stile, combinando capi e accessori di diverse marche; ciò ovviamente non gli è possibile all‟interno di negozi monomarca poiché sono rare le singole marche che offrono un assortimento la cui combinazione è in grado di creare uno stile. Sono molti i punti vendita che adottano tale strategia, anche se si prevede che in futuro sopravvivranno solo quelli che sapranno trasformarsi in monomarca, differenziandosi quindi dai concorrenti (Cappellari 2008).

1.2.1 I format distributivi del canale indiretto11

I format distributivi all‟interno del canale indiretto possono essere classificati a seconda della specializzazione merceologica, della localizzazione, della superficie di vendita, dell‟ampiezza e della profondità dell‟assortimento, del livello di prezzo.

Di seguito sono riportate le tipologie più diffuse:

a)

Negozi specializzati tradizionali: assicurano un assortimento ristretto ma profondo, provvisto di prodotti di marca nonché un‟elevata assistenza al cliente. Prevedono inoltre anche una politica di premium price giustificata dalla specializzazione per target (uomo, donna, bambino) e/o per merceologia (abbigliamento formale, abbigliamento sportivo, accessori, calzature). È il formato che ad oggi nei paesi industrializzati mostra di soffrire di più il processo di integrazione a valle delle marche industriali, anche se in Italia, nonostante una forte flessione di tali negozi, questi continuano ad essere competitivi. Devono però cercare di adattarsi alle nuove esigenze del mercato sfruttando in

11

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particolare le nuove tecnologie, importanti alleate per la sopravvivenza degli stessi. Un esempio di questa tipologia di negozi è Luisa Via Roma a Firenze;

b)

Department store12: tipologia di punto vendita caratterizzata da una superficie di vendita di dimensioni medio – grandi e dalla presenza di aree specifiche per ogni merceologia. Convivono all‟interno di questa tipologia di punto vendita prodotti sia di marca che di insegna del distributore. Solitamente sono ubicati nei grandi centri urbani e hanno una clientela abituale, che spesso viene ambita dai diversi department store. Sono svariati gli esempi di department store stranieri che possiamo proporre come Macy‟s, la Lafayette, Harrod‟s; fra quelli italiane invece ricordiamo La Rinascente;

c)

Grandi superfici specializzate: sono caratterizzate dalla focalizzazione su

poche categorie merceologiche, ma per ognuna di queste l‟assortimento è ampio e profondo. Al suo interno possono essere presenti sia prodotti di marca che private label e insegne. Questa tipologia di vendita è rivolta ai clienti di qualsiasi fascia di prezzo, in quanto gli articoli presenti in assortimento hanno prezzi che variano dal primo prezzo al prezzo medio-alto. Un esempio di questa categoria è il francese Decathlon.

d)

Magazzini popolari: questi punti vendita sono caratterizzati da un assortimento

ampio e profondo di prodotti, i quali possono essere sia di marca che unbranded. I prezzi di tali prodotti sono bassi dato che l‟obiettivo principale di questa forma di vendita è la convenienza di prezzo;

e)

stocchisti e outlet aziendali: questi format sono nati per soddisfare l‟esigenza

delle imprese nello smaltimento delle rimanenze delle stagioni passate. Lo stocchista presenta un assortimento multimarca, mentre l‟outlet è focalizzato su

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Si definisce grande magazzino un esercizio commerciale al dettaglio, operante nel non alimentare, che dispone di una superficie di vendita superiore ai 400 metri quadrati e con almeno cinque comparti distinti ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori merceologici diversi ed in massima parte di largo consumo. Il numero dei grandi magazzini presenta un trend di crescita positivo (vedi pag 30 Castaldo 2005). All‟interno di tale format si è soliti inserire anche i magazzini popolari che rappresentano il tentativo di replicare la formula del grande magazzino su una superficie minore e con un assortimento di qualità inferiore e quindi con una politica di pricing più conveniente. In Italia le principali insegne di Grandi Magazzini sono Coin e Rinascente che controllano 478 punti vendita per un totale di 790 metri quadrati di superficie di vendita (vedi pag 31 Castaldo 2005).

Il gruppo Coin ha due insegne ovvero: Coin che ha una dimensione media di 2.300 metri quadrati e Oviesse con una superficie media di 1.200 metri quadrati. Il Gruppo Rinascente è composto invece da tre diverse insegne: Rinascente con 4.860 metri quadrati di superficie dedicata alla vendita, contro i 1.752 di UPIM ed i 245 di BluKids.

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una sola marca, ed è solitamente gestito direttamente dall‟impresa industriale. Questi tipi di format sono diffusi sia all‟estero, per esempio nei paesi anglosassoni, sia in Italia, in particolare al nord e nel centro (Outlet di Barberino, Val di Chiana). Queste tipologie di format si sono diffuse negli anni e oggi sono quelle che più mettono in pericolo gli esercizi commerciali tradizionali, i quali sono obbligati a modificare la loro offerta per rimanere competitivi;

f)

mercati ambulanti: questa tipologia di format possiede un assortimento ampio

ma poco profondo, con prezzi bassi.

Riepilogando, in figura sono riportati i format distributivi del canale diretto e indiretto:

La scelta del canale distributivo e dei suoi specifici format non è però univoca: oggi infatti le imprese spesso decidono di servire il mercato abbinando sistemi di offerta differenti in base alla logica di servizio del retailer e alle caratteristiche del cliente e del

Fig. 2 Sbocchi del dettaglio moda

Fonte: Foglio A., “Il marketing della moda: politiche e strategie di fashion marketing”, Franco Angeli, Milano 2001

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prodotto. Molte aziende operano attraverso negozi multimarca ma contemporaneamente si avvalgono anche di negozi monomarca di proprietà o concessi in franchising (distribuzione mista), ottenendo così svariati vantaggi come ad esempio la soddisfazione delle esigenze del cliente tramite un‟offerta più mirata, il rapido riassortimento dei capi bestselling, la possibilità di trarre informazioni sui capi più venduti (da entrambe le tipologie di negozi: monomarca e multimarca), in modo da poter modificare o adattare l‟assortimento e la produzione in base ai dati individuati (Saviolo, Testa 2005).

1.3 La scelta del canale distributivo

1.3.1 I fattori che influenzano la scelta del canale

La scelta del canale distributivo inoltre può essere influenzata da svariati fattori13, i quali possono riguardare sia le caratteristiche del prodotto, del mercato e dell‟impresa produttrice, sia gli obiettivi che l‟impresa si propone di perseguire. Di seguito sono riportati i principali fattori di influenza; occorre però fare presente che non esistono dei criteri precisi con i quali la scelta potrà essere effettuata, né si è si ha la certezza di raggiungere i risultati ambiti mediante la preferenza di un canale piuttosto che dell‟altro, poiché ogni caso preso in considerazione è diverso dagli altri.

Fattori che influenzano la scelta del canale distributivo:

I. le caratteristiche del prodotto: queste possono interessare:

a) il valore unitario: i prodotti a basso valore unitario sono destinati ad un numero elevato di consumatori, di conseguenza la distribuzione di questi ultimi avverrà tramite il canale indiretto, poiché si ha la necessità di collocare i prodotti in un numero elevato di punti vendita (distribuzione estensiva14).

Per i prodotti con un elevato valore unitario (come le marche note Gucci, Armani etc..) invece è preferibile il canale diretto, in cui la vendita dei capi d‟abbigliamento avviene tramite punti vendita di proprietà dell‟impresa;

b) deperibilità del prodotto dovuta all’evoluzione tecnologica o ai gusti dei consumatori: in questo caso le imprese adottano canali diretti, in quanto

13 Foglio A. 2001 e 2007 , Sicca L. 1972 14

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il rischio di detenzione delle scorte è molto alto e può essere sostenuto solo dai produttori;

c) stagionalità di produzione e di consumo: anche in questo caso le imprese prediligono canali diretti poiché si verificano problemi di stoccaggio delle merci invendute durante la stagione (ad esempio i capi estivi rimasti invenduti a Ottobre/Novembre);

d) grado di accettazione del mercato: solitamente le imprese che decidono di lanciare un nuovo prodotto sul mercato utilizzano un canale diretto poiché è difficile che i dettaglianti, che vendono i prodotti già affermati sul mercato, si facciano carico di una così grossa responsabilità. Per quanto riguarda i prodotti ad alto valore unitario non ci sono problemi dato che questi vengono distribuiti tramite un canale diretto, mentre per i prodotti nuovi a basso valore unitario l‟impresa può affidare a dei grossisti/dettaglianti definiti “propagandisti” il compito di far conoscere il prodotto. Di solito i propagandisti non vendono il prodotto, ma si preoccupano solo di promuoverlo; nel caso in cui ricevano ordini da parte dei clienti sono però tenuti a passare l‟ordine all‟impresa produttrice;

II. le caratteristiche del mercato: con l‟espressione caratteristiche del mercato si fa riferimento:

a) alla dimensione del mercato: quando il mercato di riferimento è grande le aziende sono più propense ad entrare su di esso tramite un canale diretto, potendo così recuperare i costi sostenuti tramite le vendite di grandi quantità di prodotti; viceversa se il mercato è piccolo il canale preferito è quello indiretto;

b) alla copertura geografica: l‟impresa vende i propri prodotti in diverse aree geografiche (non solo quella nazionale ma anche quella internazionale15) perciò è opportuno creare un sistema distributivo in grado di soddisfare le esigenze dell‟impresa tenendo in considerazione sia la scelta di canali diretti che indiretti a seconda delle necessità. Infatti solitamente se il mercato è concentrato geograficamente si adotta un

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canale diretto dato che è più semplice raggiungere tutti i punti vendita, quando invece i clienti sono sparsi su aree geograficamente molto distanti si tende ad adottare un canale indiretto;

c) al target di riferimento: oggigiorno uno stesso prodotto può essere venduto a consumatori appartenenti a classi sociali differenti16: occorre quindi valutare bene la scelta del canale sulla base delle diverse classificazioni dei consumatori; per questo motivo potrebbero essere previsti anche canali misti;

d) alla frequenza degli acquisti: se la frequenza degli acquisti è elevata occorrerà fare da parte dell‟impresa una valutazione in termini di tempistiche e di costi. Infatti una frequenza elevata d‟acquisto si traduce in un elevato numero di visite al venditore e se il grossista non è in grado di poterle effettuare occorrerà considerare per l‟impresa un canale diretto;

e) alle caratteristiche dell’atto d’acquisto: si fa riferimento agli acquisti d‟impulso e agli acquisti programmati, Per quanto riguarda gli acquisti d‟impulso l‟impresa deve curarne particolarmente l‟esposizione in quanto essa può essere incisiva sulla scelta d‟acquisto da parte del consumatore, quindi l‟impresa potrebbe preferire un canale diretto controllando essa stessa il materiale pubblicitario e l‟esposizione presso il proprio negozio, mentre per l‟altra tipologia di prodotti l‟impresa può affidarsi agli intermediari;

III. le caratteristiche dell‟impresa produttrice: fanno parte di questa categoria:

a) la capacità finanziaria dell’impresa: l‟impresa potrebbe non disporre delle risorse finanziarie necessarie per poter adottare un canale diretto dato il consistente impegno economico che richiede; per questo motivo potrebbe essere portata a scegliere un canale indiretto non avendo altre alternative;

16 Sempre di più oggi i consumatori creano il proprio stile d‟abbigliamento combinando prodotti a basso

valore unitario con prodotti ad alto valore. Non è un caso infatti se girando per la città notiamo molte persone che indossano una maglietta/camicia di Zara, pantaloni di H&M , borsa di Gucci o Prada e scarpe di Jimmy Choo.

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b) la reputazione dell’azienda: è possibile che gli intermediari presenti sul mercato non siano disponibili poiché operano con altre imprese concorrenti, si deduce perciò che maggiore sarà la reputazione dell‟azienda, e quindi il suo potere contrattuale, maggiore sarà la possibilità per l‟impresa di poter scegliere se adottare il canale diretto o indiretto;

c) le politiche di prezzo aziendali: la politica di prezzo assume un ruolo fondamentale in quanto le aziende che seguono politiche di prezzo elevate (limitando la vendita a fasce alte di mercato) possono utilizzare canali più costosi attraverso un sistema distributivo esclusivo o selettivo, senza quindi la presenza di intermediari o con un numero il più possibile ridotto di essi. Stesso discorso non è possibile fare per le imprese che invece seguono politiche di prezzo basse, che puntano cioè su una penetrazione del mercato e che quindi richiedono la presenza di intermediari (grossisti per la maggior parte dei casi) che avendo la possibilità di trattare più prodotti possono ridurre l‟incidenza dei costi di distribuzione;

IV. gli obiettivi dell‟impresa17: è possibile individuare 3 diversi gradi di diffusione dei prodotti sulla base degli obiettivi dell‟impresa:

a) distribuzione intensiva: con questa strategia l‟impresa tenta di collocare il proprio prodotto presso tutti gli intermediari disponibili. L‟obiettivo infatti è quello di coprire totalmente il mercato, raggiungendo tutti i consumatori. Vi sono ovviamente dei rischi collegati a questa modalità di copertura, poiché per l‟impresa è difficile controllare la propria immagine e il proprio posizionamento sul mercato non potendo vigilare sull‟operato di ciascun distributore;

b) distribuzione selettiva: l‟impresa effettua una selezione degli intermediari presso i quali desidera distribuire i propri prodotti; è ovvio che così facendo i rischi della distribuzione intensiva non sono più presenti, ma si crea il rischio di non coprire del tutto il mercato;

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c) distribuzione esclusiva: l‟ultima strategia adottabile da parte dell‟impresa può essere la creazione di accordi di esclusività con i propri intermediari. Si parla di una particolare forma di distribuzione selettiva che collega, in modo esclusivo, l‟intermediario con l‟impresa supponendo che l‟intermediario venda solo i prodotti dell‟impresa in questione e non quelli di altri concorrenti. Una forma di questa tipologia di copertura del mercato può essere il franchising.

1.3.2 Il franchising18

Molti autori hanno fornito una propria definizione di franchising, tra queste è stata riportata quella di Burresi A., Aiello G. e Guercini S.: “ il franchising è una forma di collaborazione continuativa per la distribuzione di beni e servizi tra un‟impresa (franchisor) e uno o più imprenditori (franchisee), giuridicamente ed economicamente indipendenti l‟uno dall‟altro”19

. Come accennato nel paragrafo precedente, il franchising può essere considerato anche una forma di distribuzione esclusiva, la quale prevede un accordo tra il franchisee e il franchisor in cui il franchisor concede al franchisee: l‟utilizzo della propria formula commerciale, il know-how, il brevetto, il marchio commerciale, dietro corrispettivo e a determinate condizioni.

Esistono tre tipologie di franchising:

1) franchising di distribuzione: contratto attraverso il quale vengono trasferiti, dal franchisor al franchisee, i prodotti finiti. Il franchisor trasmette al franchisee il know-how e la licenza di insegna20, il franchisee invece si impegna a fare uso della licenza secondo quanto stabilito dal franchisor, e a pubblicizzare e a vendere i prodotti ai clienti;

2) franchising di servizi: contratto attraverso il quale il franchisee mette a disposizione dei consumatori finali un servizio il quale è realizzato secondo le istruzioni trasmesse dal franchisor. Il servizio riporterà l‟insegna del franchisor e verrà creato attraverso il know-how di quest‟ultimo, che verrà costantemente

18

Il franchising si è sviluppato negli anni Novanta tra le imprese di marchio noto, in seguito si è diffuso anche tra le imprese di media notorietà fino ad arrivare a conquistare anche il segmento più basso.

19 Burresi A. – Aiello G. – Guercini S. 2006

20 Attraverso la licenza di insegna è possibile per il cliente identificare l‟impresa del franchisee con quella

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aggiornato per fornire l‟erogazione di un servizio al passo con le innovazioni tecnologiche;

3) franchising industriale: contratto attraverso il quale viene data la possibilità al franchisee di acquistare il diritto/dovere di produrre un determinato bene, nei limiti e nelle modalità stabilite dall‟accordo, tramite un procedimento di fabbricazione (identificato da un marchio) di cui è proprietario il franchisor. I principali vantaggi che il franchising prevede per il franchisor sono: la possibilità di avere il controllo della rete di vendita e delle attività di marketing senza un rilevante impegno finanziario, la possibilità di ottenere performance attraverso il recupero del know-how tecnico e commerciale, la collaborazione con fornitori motivati e integrati nel contesto locale, la possibilità di non sostenere i costi fissi che si vengono a creare con punti vendita di proprietà.

I vantaggi invece per il franchisee sono: la possibilità di creare una nuova attività commerciale con un impegno e un rischio modesto, la possibilità di fare una continua attività di ricerca che consente di sviluppare i nuovi prodotti o servizi, la gestione condivisa con il franchisor delle attività di marketing, finanziarie e contabili.

Occorre far notare che il contratto di franchising presenta delle atipicità, infatti non sono rari, soprattutto nell‟ambito del settore moda, casi in cui si assiste ad una tendenza, nelle strategie distributive delle imprese, ad affiancare punti vendita in franchising a punti vendita di proprietà; in questo caso non si fa riferimento ad una rete distributiva pura, costituita soltanto da punti vendita in franchising, ma ad una rete mista.

1.4 La scelta di internazionalizzare21

Le imprese oggigiorno si trovano a dover far fronte in tutti i mercati in cui operano ad una concorrenza intra-type; ciò le ha portate a valutare la possibilità di andare ad espandersi su mercati esteri. Questa scelta deriva dal fatto che per molti anni le imprese, per sopravvivere sul mercato nazionale, hanno sottratto quote di mercato alle aziende che vendevano prodotti con le tradizionali forme distributive, attraverso l‟utilizzo di format innovativi. Purtroppo però col tempo il mercato si è saturato e questo ha portato le nostre imprese ad interrogarsi sulla possibilità di espandersi all‟estero. L‟internazionalizzazione è un fenomeno relativamente recente che ha iniziato a svilupparsi intorno agli anni Ottanta con una progressiva accelerazione fino ai giorni

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nostri. Infatti con le condizioni di mercato attuali e la crisi che si è abbattuta un po‟ in tutto il mondo, sembra quasi impossibile che le imprese possano mantenersi competitive senza dover ricorrere ad uno sviluppo fuori dai confini nazionali.

Con il termine internazionalizzazione si intende l‟espansione di un‟impresa al di fuori dei confini nazionali. Questa modalità di crescita prevede una gradualità di impegno: infatti l‟impresa che si affaccia per la prima volta sul mercato estero andrà ad operare in territori geograficamente vicini e con caratteristiche simili a quelli del mercato di origine (distanza psichica), per poi in una fase successiva impegnarsi in mercati geograficamente lontani e con caratteristiche differenti da quello di origine. Questa strategia è da sempre molto utilizzata da parte delle imprese industriali, risulta invece più recente (più o meno dalla metà degli anni Ottanta) l‟applicazione di questa da parte delle imprese commerciali, anche se vi è una progressiva accelerazione dell‟utilizzo ai nostri giorni. Le ragioni che spiegano il differente atteggiamento da parte di queste due tipologie di imprese sono svariate e vanno ricercate nelle modalità operative attraverso le quali esse possono decidere di operare all‟estero. Infatti, mentre le imprese industriali possono avvalersi di forme di internazionalizzazione poco impegnative e con bassi rischi, la stessa cosa non è possibile a quelle commerciali che sono soggette ad un rischio maggiore e a forme di internazionalizzazione più complesse.

Nello specifico, per quanto riguarda l„internazionalizzazione delle imprese appartenenti al settore moda, Hollander22 parla di uno sviluppo di una rete distributiva all‟estero tramite l‟apertura di punti vendita collocati nelle vie più prestigiose delle città principali dei paesi sviluppati come gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna. L‟obiettivo per queste imprese è infatti quello di situare i punti vendita (di proprietà o di altro format) in un luogo famoso in modo da poter sfruttare il prestigio dell‟ubicazione e accrescere la reputazione e/o la percezione di esclusività dello stilista o della casa di moda. L‟operatività all‟estero delle imprese appartenenti a questo settore di solito si svolge attraverso una prima fase di internazionalizzazione della produzione, per poi passare ad una seconda fase in cui viene internazionalizzata anche la distribuzione. Inizialmente infatti si utilizzano importatori o distributori locali per la vendita dei prodotti, poi quando il prodotto/marchio si è affermato si procede alla creazione di proprie reti di vendita. Le imprese produttrici italiane (e francesi) hanno iniziato ad operare sul territorio straniero attraverso l‟esportazione o tramite il rapporto diretto con imprese di

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distribuzione locali; soltanto dagli anni Ottanta in poi operano tramite alleanze distributive, join venture o punti vendita di proprietà. Le prime ad internazionalizzarsi sono state le griffe, poi le industrie di moda di fascia medio-alta e quelle di fascia medio-bassa.

1.4.1 Le fasi dell’internazionalizzazione23

L‟internazionalizzazione è un‟attività complessa, il cui il grado di avanzamento dell‟impresa in tale processo può essere articolato tre fasi:

1) Riluttanza: in questa prima fase l‟impresa ha delle perplessità nel mettere in atto l‟internazionalizzazione. Le motivazioni alla base riguardano il mercato interno, il quale potrebbe offrire ancora opportunità all‟impresa, oppure le disponibilità economiche dell‟impresa stessa, non sufficienti a sostenere la crescita sul mercato straniero;

2) Prudenza: in questa seconda fase il retailer ha deciso di internazionalizzare e lo fa partendo dalla crescita sui mercati con distanza geografica e psichica ridotta. In questo modo per il retailer si riducono notevolmente i rischi, in quanto il paese di destinazione, non solo è vicino geograficamente, ma riporta le stesse caratteristiche del paese di origine in termini di stili di vita dei clienti, cultura, abitudini etc. E‟ perciò facilmente comprensibile che l‟impresa, che decide di adottare questa modalità di crescita, possieda le competenze e le conoscenze per operare in mercati di questo tipo;

3) Ambizione: in questa ultima fase l‟impresa, che ha già operato all‟estero in mercati con una distanza geografica e psichica ridotta, si pone una nuova sfida. Le imprese che decidono di adottare questa modalità di crescita possiedono, oltre a una ampia disponibilità economica, un bagaglio di competenze e di know-how tale da permettergli di prendere in considerazione l‟espansione in mercati, non solo geograficamente lontani, ma anche con caratteristiche totalmente differenti dal mercato di origine in riferimento agli stili di vita, alla cultura e alle abitudini dei clienti (distanza psichica).

Le imprese possono sia attenersi fedelmente a questo modello proposto, sia mettere in atto le fasi in una sequenza diversa da quella indicata; questo può dipendere dalle

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caratteristiche, dalle competenze, dalle risorse finanziarie e dalla notorietà dell‟impresa presa in considerazione, ma può dipendere anche dalle caratteristiche geografiche e psichiche del luogo in cui l‟impresa intende andare ad operare.

La maggioranza delle imprese italiane si pongono nei confronti dell‟internazionalizzazione in modo molto prudente rispetto ai competitor di altri paesi, tanto da poterle considerare nella fase di riluttanza. Questo perché molte aziende italiane non ritengono l‟espansione all‟estero come una valida opportunità, mentre le stesse considerazioni non possono essere fatte per le imprese di altri paesi come quelle americane, spagnole e svedesi come Wal-mart, Zara e H&M.

1.4.2 I modelli dell’internazionalizzazione

Un‟altro aspetto interessante da prendere in considerazione riguarda le modalità di gestione dell‟impresa al momento in cui opera nel mercato estero. Possiamo distinguere due modelli attraverso i quali l‟impresa può collocarsi nel mercato di destinazione:

1) Modello industriale aggressivo: tale modello prevede una strategia orientata alla massima efficienza e si basa sull‟imposizione nel paese di destinazione della cultura aziendale di origine, delle politiche di gestione aziendale, dei format distributivi, della standardizzazione dei prodotti, delle attività logistiche e di marketing. In questo modello il potere decisionale è centralizzato e prevede la creazione di nuove imprese nel mercato estero piuttosto che l‟acquisizione di catene locali oppure accordi o collaborazioni con partner del luogo Si tratta dunque di una strategia molto aggressiva, per lo più adottata da imprese di grandi dimensioni (e con molta disponibilità economica) che si trovano nella fase di ambizione; tra le imprese adottanti questo modello di internazionalizzazione possiamo inserire Gucci, Valentino, Armani etc..

Tale modello però presenta dei punti di debolezza: in primis non consente, all‟impresa che decide di internazionalizzarsi, di poter usufruire delle conoscenze e delle competenze possedute dalle imprese locali che sicuramente potevano offrire informazioni utili circa le caratteristiche, le abitudini e gli stili di vita del mercato di destinazione, rischiando così di imporre un modello non adatto a quel mercato.

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Spesso questo stile aggressivo viene visto come una sorta di “colonizzazione” che più volte ha sollevato resistenze politiche e sociali da parte del paese di destinazione;

2) Modello federale intelligente: questo modello si basa sulla creazione di una federazione di imprese controllate dalla casa madre, ma ciascuna in grado di operare autonomamente. Di solito vengono incorporate dall‟impresa catene di aziende locali: in questo modo è possibile sfruttare al meglio le competenze del management locale, adattare il modello alle esigenze del target del paese di destinazione, mantenendo però la centralità del potere decisionale nell‟impresa madre. Questo modello risulta perciò meno aggressivo del precedente e per questo motivo viene accettato con più facilità dalle imprese e dalle politiche del paese di arrivo.

1.4.3 Le tipologie di posizionamento24

In base al grado di standardizzazione della formula distributiva adottata nel paese di destinazione, è possibile individuare tre tipi di posizionamento dei retailer:

1) Globale: questo tipo di posizionamento consiste nel replicare la formula commerciale del paese di origine in tutti i paesi di destinazione, che di solito hanno caratteristiche simili tra loro oltre che con il mercato di origine. L‟assortimento proposto per il mercato estero rimane simile a quello originale, solo si presenta più ridotto; questo permette di rendere più semplice l‟organizzazione del processo logistico e facilita nel complesso l‟internazionalizzazione. L‟azienda che adotta questa strategia mantiene la centralità del potere gestionale, standardizza le attività di marketing, ha la possibilità di mettere in atto l‟integrazione verticale e di raggiungere economie di scala. Spesso le imprese che optano per questo tipo di posizionamento operano attraverso lo strumento del franchising; di conseguenza il retailer non sostiene cospicui investimenti finanziari nè è sottoposto a un grosso rischio. Solitamente questo tipo di posizionamento è tipico delle aziende del settore moda, come ad esempio Zara, Benetton e H&M, la cui catena di negozi è perfettamente identica in ogni paese del mondo, sia da un punto di visto interno

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che esterno, sia per quanto riguarda l‟assortimento nei vari punti vendita e le politiche aziendali.

2) Multinazionale: posizionamento basato sull‟esportazione di un unico concetto commerciale di base, ma con adattamenti più o meno profondi in relazione alle specifiche esigenze e caratteristiche del paese di destinazione. L‟obiettivo infatti è quello di adattare il prodotto alle esigenze del consumatore in modo da poterlo conquistare e successivamente fidelizzare. L‟impresa che decide di operare all‟estero con questo tipo di posizionamento creerà dei propri punti vendita o acquisterà catene locali da riconvertire, ma sicuramente non opererà attraverso la formula distributiva del franchising. Questa tipologia di posizionamento è utilizzata per lo più dalle imprese del settore grocery, ad esempio Carrefour oppure Mc Donald‟s, le quali mantengono la stessa formula distributiva in tutti i paesi in cui operano, ma gli assortimenti dei prodotti vengono modificati sulla base delle esigenze e delle abitudini dei consumatori.

3) Multi-insegna: l‟impresa che opera con questo tipo di posizionamento acquisisce catene ed insegne già note nel mercato di destinazione, con l‟obiettivo di sfruttare così la notorietà, la fiducia dei consumatori nell‟impresa e nei suoi prodotti, le conoscenze e il know-how dell‟impresa locale. L‟impresa che mette in atto questa strategia gestisce in modo autonomo le varie insegne che possiede, le quali possono rappresentare anche format distributivi del tutto differenti che hanno l‟obiettivo di coprire i vari segmenti di mercato senza generare sovrapposizioni o confusione. Questa strategia viene adottata principalmente nel settore grocery, ma non sono comunque rari i casi di adozione da parte delle imprese di moda (ad esempio Upim del gruppo Coin).25

1.4.5 I motivi dell’internazionalizzazione26

Per capire del tutto il processo di internazionalizzazione occorre studiare i motivi che spingono le imprese ad andare ad operare all‟estero.

Le imprese che scelgono di internazionalizzarsi si sottopongono ad un rischio molto alto poiché il mercato di riferimento, le abitudini e gusti dei consumatori e le normative in vigore, sono differenti rispetto a quelle del mercato di origine; per questo motivo, prima

25 http://www.gdoweek.it/upim-punta-a-uno-sviluppo-multinsegna/ 26 Gandolfo A. Sbrana R. 2007

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di decidere di espandersi anche su un territorio straniero, le imprese solitamente decidono di sfruttare tutte le opportunità offerte dal mercato originale (non dobbiamo però pensare che solo le imprese di grandi dimensioni abbiano la possibilità di espandersi sul mercato estero, infatti nella realtà non sono rari casi in cui aziende di medie dimensioni si sono internazionalizzate cosi come quelli in cui grandi colossi americani, hanno deciso di rimanere sul mercato nazionale).

L‟impresa quindi intraprende un processo di internazionalizzazione solo quando ritiene che il mercato interno non proponga più opportunità di crescita da sfruttare; questo scenario è possibile date le piccole dimensioni del mercato locale oppure attraverso la saturazione della domanda. In Italia la causa principale è stata proprio la seconda, infatti le nuove tipologie di format distributivi si sono fatti strada subentrando al posto dei negozi tradizionali saturando così il mercato nazionale.

È possibile individuare due tipologie di fattori che portano le imprese ad internazionalizzarsi:

1) Fattori push: sono fattori interni al mercato nazionale da cui proviene l‟impresa, i quali potrebbero spingerla ad operare al di fuori del contesto locale. Questi fattori possono essere così riepilogati:

a) la saturazione del mercato: questo fattore può essere incluso nei fattori push poiché, come già detto in precedenza, può giocare un ruolo importante nella spinta dell‟impresa ad operare su mercati differenti da quello di origine;

b) vincoli normativi/amministrativi: quando nel paese di origine sono imposti questi tipi di vincoli l‟impresa ottiene una forte spinta ad andare ad operare all‟estero poiché nel paese di destinazione non sono presenti tali vincoli, o nel caso lo siano, sono comunque meno restrittivi rispetto a quelli del paese originario;

c) spinta autonoma del management: per poter decidere di operare all‟estero occorre una valutazione positiva da parte del management a questo tipo di operazione. Il management deve infatti dimostrare di riconoscere l‟internazionalizzazione come una possibile via di crescita per l‟impresa, ovviamente occorre però che l‟impresa possieda le competenze e le risorse necessarie per poter mettere in atto tale decisione;

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2) Fattori pull: sono i fattori esterni all‟impresa, legati alle condizioni del mercato in cui l‟impresa potrà in futuro operare, e che l‟attirano verso il mercato al quale si riferiscono. Questi fattori sono:

a) vuoti d‟offerta: quando nel paese di destinazione si creano vuoti d‟offerta, simili in termini di modelli di consumo, abitudini di acquisto, l‟impresa potrebbe essere attirata da quel paese e decidere di sfruttare il vuoto d‟offerta simile al paese originario;

b) opportunità del mercato: è possibile che il mercato di destinazione presenti una domanda molto consistente ma soddisfatta parzialmente dai retailer locali, anche in questo caso l‟impresa potrebbe essere attratta da quel mercato e decidere di servirlo;

c) possibilità di sfruttare asimmetrie nel cicli di vita internazionale dei prodotti commerciali: è possibile infatti che l‟impresa abbia dei format commerciali che ormai sono giunti alla loro fase maturità o di declino nel mercato nazionale ma che possono essere considerati invece nella fase iniziale sui mercati stranieri, in questo caso l‟impresa potrebbe decidere di portare questi format sul territorio estero se ritiene che questi siano una modalità di offerta commerciale valida nel paese di destinazione;

d) prezzi convenienti: quando nel paese di destinazione i prezzi sono molto ridotti, in termini di manodopera e di materie prime, le imprese sono attirate da queste tipologie di offerte poiché spesso trasferiscono la produzione nel paese estero dato il grosso vantaggio in termini di abbassamento dei costi;

e) disponibilità dei retailer a cedere i propri punti vendita: è un fattore che non è frequentemente utilizzato data l‟onerosità dell‟acquisto di una catena in possesso di un avviamento positivo, ma che comunque attira l‟impresa nel paese di destinazione.

I fattori push e pull che spingono le imprese ad internazionalizzarsi non sono mutuamente esclusivi, infatti i casi in cui l‟impresa viene spinta ad espandersi grazie a uno solo di questi fattori sono molto rari rispetto alla norma, la quale riporta invece una compresenza di fattori push e pull.

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E‟ opportuno tenere presente che per poter operare su mercati esteri occorre che l‟impresa possieda una posizione di leader sul mercato interno assieme alla disponibilità di risorse finanziarie elevate, caratteristiche possedute soprattutto dalle imprese di grandi dimensioni. Inoltre, in un primo momento è possibile che l‟impresa adotti per la crescita sul mercato estero la stessa strategia utilizzata nel mercato di origine.

1.4.6 La selezione del paese di destinazione e le modalità di entrata27

L‟espansione delle imprese sul mercato internazionale avviene attraverso tre tappe28 : 1) l‟entrata nei paesi geograficamente più vicini: l‟impresa entrando in questi paesi

avrà svariate opportunità, innanzitutto la possibilità di estendere la supply chain senza doverne creare una nuova e la possibilità di servirsi degli stessi fornitori per molti dei prodotti in assortimento;

2) l‟entrata in paesi geograficamente lontani ma con una distanza psichica ridotta: in questo caso l‟impresa sceglie di entrare in paesi che hanno analogie con il mercato nazionale in riferimento alla cultura, alle abitudini e alle caratteristiche dei consumatori, nonostante siano geograficamente lontani dal paese di origine. In questo modo risulterà più semplice per l‟impresa ottenere un successo nel paese di destinazione sfruttando quelle che sono le conoscenze e le competenze utilizzate nel paese di origine;

3) l‟entrata in paesi con una distanza geografica e psichica lontana: questa strategia è tipica di imprese con una grande esperienza, non solo sul mercato nazionale ma anche nei mercati internazionali affini, che viene utilizzata per operare nei paesi emergenti dove è presente un notevole potenziale di mercato poiché non vi è una concorrenza locale. L‟obiettivo principale è quello di saturare velocemente il mercato di destinazione prima che le imprese concorrenti si accorgano dell‟opportunità offerta dal paese emergente.

Le modalità di entrata nei paesi esteri vengono indicate attraverso una sequenza in cui si parte dalle forme più blande e si arriva progressivamente a quelle con un livello crescente di complessità. Occorre però far presente che l‟impresa che intende

27 Gandolfo A. Sbrana R. 2007

28 Occorre far presente che le 3 fasi potrebbero non essere seguite in questo ordine da tutte le imprese ma

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espandersi all‟estero non è detto adotti la sequenza proposta o che metta in atto tutte le fasi; l‟operato dell‟impresa pertanto dipenderà dalle caratteristiche dell‟impresa stessa, del mercato di destinazione e degli obiettivi che essa si è posta.

Le modalità di entrata sono le seguenti:

1) Alleanze commerciali con i distributori del paese di origine: questa modalità di entrata offre la possibilità all‟impresa di posizionarsi sul mercato di destinazione senza dover sostenere costi consistenti. Inoltre con le alleanze commerciali è possibile spuntare prezzi e condizioni di approvvigionamenti più favorevoli da parte dei fornitori. Spesso infatti questa strategia è adottata dalle imprese di piccole dimensioni che altrimenti non riuscirebbero ad operare sul mercato estero non avendo a disposizione abbastanza risorse finanziarie per permettere l‟acquisto di catene locali o di punti vendita propri.;

2) Franchising: questa modalità di entrata è stata descritta nel paragrafo 1.3.2; 3) Acquisizione di partecipazioni di minoranza: il retailer si insidia sul mercato

estero attraverso l‟acquisizione di partecipazioni di minoranza di imprese locali, in questo modo i rischi per il retailer sono contenuti cosi come gli investimenti finanziari dato che la proprietà dei punti vendita rimane al retailer locale. Questa strategia di solito viene messa in atto da imprese che desiderano accumulare esperienza (conoscere il mercato, il target e le sue caratteristiche) nel mercato di destinazione per poi in futuro operare in maniera autonoma su di esso, attraverso l‟acquisto di punti vendita propri;

4) Join venture: questa modalità di entrata è più impegnativa rispetto alle precedenti e consiste nell‟accordo con un retailer locale per la costituzione di una nuova società che può gestire punti vendita già esistenti oppure ancora da realizzare. L‟impegno finanziario perciò è molto alto e i rischi sono collegati alla scelta del partner che può decretare il successo o l‟insuccesso dell‟affare. Le motivazioni che spingono l‟impresa alla creazione di una join venture possono essere di tipo legislativo: quando l‟ingresso nel paese di destinazione è visto come una sorta di invasione, si opta pertanto per l‟entrata a fianco di un retailer locale in modo da avere così meno ostilità da parte delle politiche e dei retailer del paese di destinazione. Oppure le ragioni possono riguardare la decisione di

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sviluppo dell‟impresa per esempio per trovare partner con cui sviluppare nuovi format;

5) Acquisizione di catene: l‟impresa che opta per questa modalità di entrata rileverà catene di vendita locali al fine di operare sul mercato straniero con punti vendita già conosciuti e accettati dal target di riferimento. In questo modo l‟entrata dell‟impresa non sarà vista come un invasione e i costi e i rischi saranno contenuti;

6) Apertura diretta di propri punti vendita: si tratta di una modalità di ingresso utilizzata da imprese di grandi dimensioni con un marchio noto e con un esperienza consistente nei mercati esteri. Questa modalità presenta rischi molto elevati e tempistiche lunghe data la creazione di nuovi punti vendita, pertanto passeranno molti mesi prima che l‟impresa possa essere operativa sul mercato;

1.5 La funzione logistica29

La funzione logistica è rappresentata da tutte le attività che in modo diretto o indiretto permettono di trasferire i prodotti dall‟azienda produttrice al cliente intermediario e alla cliente finale. Dato la brevità del ciclo di vita di un prodotto di moda, che di solito consiste in una stagione, diventano decisive e strategiche: la velocità con la quale vengono effettuate le consegne e la gestione degli stock. Infatti l‟azienda che non è in grado di assicurare un buona politica di stoccaggio e di consegnare i prodotti con puntualità, costringerà il cliente a fornirsi altrove dove queste priorità sono presenti. Lo stoccaggio ha il compito di regolare e di adattare nel tempo la produzione alla domanda, se gestito bene lo stoccaggio permette di aumentare le vendite grazie alla puntuale risposta data alle richieste della domanda. Inoltre lo stoccaggio da all‟azienda la possibilità di organizzare una produzione costante ed equilibrata, ammortizzando i periodi morti. Infatti per le imprese che hanno la necessità di far arrivare sul mercato i prodotti con continuità è impensabile lavorare senza stock di merce in quanto senza di essi l‟impresa non sarebbe in grado di soddisfare la domanda nel momento in cui questa richiede il prodotto. Esistono tre possibili di tipologie di stoccaggio:

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1) stoccaggio di sicurezza: consiste nel disporre di un quantitativo sufficiente di prodotto finito per soddisfare, nell‟immediato, eventuali maggiori richieste di prodotti;

2) stoccaggio a rotazione per quantità fissa di prodotto: l‟azienda provvede al rifornimento per quel tanto che permetta di evacuare gli ordini e a mantenere lo stock di sicurezza;

3) stoccaggio alimentato periodicamente secondo le esigenze: in questo caso l‟azienda rifornisce in base alle esigenze della clientela e/o in determinati periodi.

Un aspetto molto importante per le aziende, anche se non sempre gli viene dato il giusto peso, è il packaging del prodotto. Il packaging, ovvero l‟imballo del prodotto, è una caratteristica importantissima per l‟impresa in quanto consente di fornire un prodotto di eccellenza al cliente; infatti, se il packaging è progettato correttamente, il prodotto rimarrà integro durante i vari passaggi che servono per metterlo a disposizione del cliente. Questo aspetto non è da sottovalutare poiché sono molte le imprese che forniscono un prodotto di eccellenza ma che purtroppo nelle mani del cliente arriva avendo perso la sua qualità, la sua integrità o affidabilità, solo perché l‟imballaggio è stato studiato male. Per tale motivo occorre studiare bene il packaging del prodotto in modo da assicurare la protezione e la conservazione del prodotto, evitare manomissioni durante il trasporto e permettere la facilità di scarico e carico della merce.

Una volta creato il packaging occorre spedire e consegnare il prodotto al punto vendita per metterlo a disposizione del cliente finale. Questo è un passaggio fondamentale per l‟impresa, in cui nulla deve essere lasciato al caso, questo poiché il prodotto moda ha un ciclo di vita molto breve e quindi le consegne devono essere effettuate entro le scadenze pattuite onde evitare che il cliente perda interesse nei confronti del prodotto perché fuori-moda. L‟esecuzione materiale della consegna e del trasporto del prodotto possono essere svolte direttamente dall‟impresa oppure affidate ad una casa di spedizione che provvederà a ritirare la merce e a consegnarla nel luogo pattuito come da accordo. L‟esecuzione corretta della consegna è di fondamentale importanza per le aziende di questo settore infatti, una consegna in ritardo o un‟inadempienza da parte delle case di spedizione, comportano a volte l‟interruzione della fornitura stessa in quanto un inadempimento di questo tipo comporta ripercussioni/conseguenze nel rapporto tra azienda e cliente, dal quale potrebbe anche verificarsi la perdita stessa del cliente dovuta al ritardo nella consegna della merce. Questo perché per il cliente il prodotto diventa

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veramente di alta qualità solo se consegnato nei modi e nei tempi stabiliti. Per questo motivo il trasporto deve garantire una serie di caratteristiche quali la sicurezza, la rapidità, la regolarità, il buon prezzo e la perfetta consegna, scegliendo la tipologia di trasporto che consenta di rispondere a queste esigenze.

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