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1. Il cantiere medievale. Rappresentazione e realtà storica.

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Academic year: 2021

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1. Il cantiere medievale. Rappresentazione e realtà storica.

Lo scopo di questa tesi è quello di fornire una visione, senza pretese di universalità, dell’iconografia medievale dell’architettura, esaminando le rappresentazioni del cantiere, delle tecniche e degli strumenti utilizzati.

L’analisi diretta delle immagini è accompagnata dalla verifica e dalla comparazione dei dati così acquisiti con quelli rintracciabili nei testi e nei documenti scritti, considerando le fonti di quella che Dieter Kimpel definisce “archeologia costruttiva“1.

La ricerca e la classificazione delle raffigurazioni medievali del cantiere ebbero inizio a partire dal XIX secolo, sull’onda di una rivalutazione e riabilitazione del Medioevo come periodo storico vitale e ricco di innovazioni. I rilievi, i documenti d’archivio, le raffigurazioni degli architetti e le scene riguardanti l’attività lavorativa, di cui si possedevano numerosi esempi grazie, soprattutto, alle vetrate e alla miniature, acquisirono un posto di fondamentale importanza nell’ottica di questi studi perché, come si afferma nei Documents sur les artistes du Moyen Age2, “un disegno parla spesso meglio e più chiaramente di un testo […]”

Dopo la realizzazione di una raccolta di documenti e immagini, intitolata Documents sur les anciens artistes de France, è nel 1953 che abbiamo la prima vera opera riguardante il cantiere medievale e la sua rappresentazione: si tratta del libro di Pierre Du Colombier, Les chantiers des Cathédrales, un testo ricco di notizie sull’organizzazione del lavoro e la vita al tempo della costruzione delle grandi cattedrali gotiche, corredato da moltissime immagini di miniature, vetrate e saggi di scultura, riguardati gli argomenti presi in considerazione.

1

D. Kimpel,L’attività costruttiva nel Medioevo: strutture e trasformazioni, in Cantieri medievali, a cura di R. Cassanelli, 1995, pp. 11-49; saggio I Cantieri in Arti e Storia nel Medioevo. Tempi, Spazi, Istituzioni, a cura di E. Castelnuovo, 2003, pp. 171-197.

2

A. Malpièce et Didron, Documents sur les artistes du Moyen Age, negli Annales Archéologiques, 2, 1845, p.245, citato nel saggio di C. Vandekerchove, in Les Batisseurs des Cathèdrales Gothiques, 1989.

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Degli aspetti generali della costruzione si occupano Frieda Van Tyghem (1966)3, G. Binding e N. Nussbaum (1968)4 e Andrea Louise Matthies (1984)5.

Nel 1989, infine, fu inaugurata il 3 settembre, a Strasburgo, una mostra dedicata ai cantieri del Medioevo, alla quale fece seguito la pubblicazione del catalogo, curato da Roland Recht, Les Batisseurs des Cathèdrales Gothiques, guida per tutte le successive ricerche e base fondamentale di questo mio lavoro.

Grazie a questi testi, chiunque avesse voglia di accostarsi allo studio delle pratiche costruttive e alla storia dei metodi di progettazione, o avesse intenzione di comprendere nel modo più chiaro e preciso possibile cosa significasse far parte e vivere l’esperienza del cantiere, avrebbe abbondante materiale da cui partire, sia dal punto di vista dei documenti che, soprattutto, da quello delle immagini.

Tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII nacque l’iconografia della costruzione, destinata a rimanere invariata fino al Rinascimento6.

Bisogna prima di tutto dire che le raffigurazioni non avevano un valore autonomo ma, solitamente, accompagnavano il testo. Non possono essere considerate portatrici di una verità assoluta, poiché se un oggetto è conosciuto solo grazie alla sua presenza in un’immagine, non si può in nessun modo essere certi della sua effettiva esistenza. Quando ci si avvicina, quindi, ad esaminare una miniatura o una scena immortalata in una vetrata o in un bassorilievo, bisogna sempre attenersi ad un approccio critico, corredato dal consulto di documenti, prima di formulare affermazioni assolute. La presenza ricorrente di un elemento in una serie di immagini, inoltre, può essere considerato la prova

3

F.Van Tyghem, Op en Om de Middeleeuwse Bouwerf, Bruxelles, 1966. 4

Binding, Nussbaum, Der mittelalterliche Baubetrieb n ördlich der Alpen in zeitgen össischen Darstellungen, Darmstadt, 1978.

5

Matthies, Perception of Technological change: Medieval Artists view building Construction, Binghampton, 1984.

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dell’esistenza di una base stabilita per l’ iconografia del cantiere, piuttosto che quella dell’effettivo uso pratico di tale oggetto.

Allo stesso modo, nel caso di elementi conosciuti attraverso altri tipi di documentazione ma non rappresentati, non bisogna pensare che ciò sia imputabile ad una mancanza di perizia da parte dell’artista. È molto più logico dedurre che ciò accadesse semplicemente per una mancanza di interesse nei confronti dell’ oggetto stesso, ai fini della raffigurazione.

Il mio studio prende le mosse da queste considerazioni. Dopo un’analisi dei caratteri principali delle rappresentazioni medievali del cantiere e un approfondimento storico delle tematiche individuate, segue una raccolta di esempi, catalogati in schede. Tenterò, quindi, di trarre delle conclusioni sul ruolo e sul valore di queste immagini nella cultura e nella società del Medioevo.

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2. Storia e struttura generale

Nel corso di quel lungo e complesso periodo storico che copre un arco di tempo di circa settecento anni, dalla cosiddetta età carolingia alla prima metà del XVI secolo, e che viene individuato con il nome di Medioevo, tre erano i settori principali su cui si strutturavano tutte le attività economiche: l’agricoltura, la produzione tessile e quella edile.

Fu nel campo delle realizzazioni architettoniche che gli uomini di quel tempo riuscirono a raggiungere l’apice di una perfezione formale e costruttiva, leggibile, ancora oggi, nelle strutture delle grandi cattedrali gotiche, sublimi manifestazioni di un’arte che diventava scienza. Ed è proprio per questi esempi di purezza costruttiva che nel corso della storia si è formata la leggenda dell’esistenza di un sapere segreto, quasi esoterico, custodito gelosamente dalle società dei muratori, nei cantieri.

Il cantiere è quel laboratorio tecnologico, calderone di saperi ed esperienze, a partire dal quale la scienza delle costruzioni ebbe modo di effettuare il suo salto di qualità.

Con il termine “cantiere” si indica l’insieme delle attività pratiche - organizzative e materiali - di durata, solitamente, pluriennale che concorrono alla realizzazione di un edificio. Prima di tutto, individua il luogo fisico delle operazioni e l’edificio in corso d’opera; per estensione passa, poi, ad indicare il finanziamento e l’amministrazione della fabbrica, l’organizzazione del lavoro, le tecniche costruttive, gli strumenti della lavorazione, l’approvvigionamento e il trasporto dei materiali. Si tratta, quindi, di un’articolata forma di conduzione dell’edificio che non interessa solo gli studiosi di storia dell’arte e di architettura ma investe anche i campi dell’economia, della storia della tecnologia, della società e di politica.

Spinta iniziale del complesso meccanismo del cantiere è la volontà del committente, rappresentato, in alcuni casi, ad una delle estremità della figura,

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accompagnato da un seguito di consiglieri e paggi e riconoscibile, immediatamente, dall’ abbigliamento ricco e, nel caso si tratti di reali, dalla corona in testa. Il committente era, infatti, incarnato dalla figura del vescovo o rappresentato dal capitolo, quando si trattava di costruzioni ecclesiastiche; ad essi si aggiungono i signori feudali, i principi e i re e, con il passare degli anni, a seguito di cambiamenti economici di rilevante entità, la nuova classe borghese. Il finanziamento di un’impresa costruttiva risulta fondamentale perché solo la presenza di una valida e sicura fonte economica poteva permettere l’andamento, regolare e fedele al progetto, di una fabbrica.

L’ affluenza di capitale, il più possibile regolare, poteva soddisfare sia le spese del cantiere che quelle, dove necessario, per il recupero e il trasporto dei materiali. Il maggior fattore di costo era rappresentato dal pagamento degli operai e dei lapicidi, che necessitavano di una copertura assicurativa, dello stipendio, di vitto e alloggio.

In molti casi, quando si decideva di procedere con la fondazione di una cattedrale o di un edificio di rilevanza architettonica, o si possedeva un capitale iniziale tale da soddisfare l’intero ammontare delle spese o il committente, sia esso laico o religioso, poteva contare su risorse ad affluenza regolare, stabilendo, ad esempio, una vera e propria tassa per il finanziamento dell’opera7.

La maggiore entrata, tuttavia, in grado di alimentare il cantiere era rappresentata dalla generosità dei fedeli, sia spontanea, nel caso di culti particolarmente sentiti, sia incoraggiata dai committenti stessi. Abbiamo, ad esempio, lettere con le quali Luigi VII raccomandava ai feudatari e vassalli del suo regno di partecipare, con donazioni, alla ricostruzione della cattedrale di Notre Dame di Senlis8.

La figura che, comunque, aveva maggior potere nel coinvolgere le anime, e le

7

Du Colombier, Les Chantiers du Cathédrales, 1973, p.12 8

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tasche, dei fedeli era il Papa, che disponeva di uno strumento molto persuasivo adatto allo scopo: le indulgenze. La vendita delle indulgenze era in grado di fornire una quantità ingente di denaro: basti pensare che, per la realizzazione della cattedrale di Milano, nel 1398, furono pagati 500 fiorini, oltre alle donazioni per gli intermediari, per ottenere da papa Bonifacio un’ unica indulgenza.

L’altro espediente per stimolare i fedeli è rappresentato dalle reliquie, per le quali si creò un vero e proprio mercato. Entrando in possesso di una reliquia, si poteva far leva sulla “santa” necessità di realizzare un santuario apposito ed incoraggiare i fedeli a parteciparvi con le loro donazioni.

Un’ importante variabile, che incideva sulla quantità di denaro necessaria, era il costo dei trasporti.

Nel Medioevo il problema dei trasporti non è particolarmente rilevante. Questo perché i romani avevano lasciato, come eredità, l’efficiente sistema viario e la navigazione, sia fluviale che marina, aveva raggiunto un soddisfacente grado di sviluppo. Quello che cambia è lo stato delle strade, in generale pessimo, e la sicurezza negli spostamenti. Risultava, quindi, comunque conveniente trovare il materiale sul posto e la riserva più importante era rappresentata, ovviamente, dalle rovine antiche, demolite per ottenere pietra da costruzione ed elementi architettonici decorativi da reimpiegare nelle nuove fondazioni9.Quando ciò non era possibile, non disponendo di monumenti antichi, era importante diminuire la lunghezza dei percorsi per il trasporto che, occorre ricordare, avveniva su carri trainati da animali, principalmente buoi. I testi medievali abbondano di ricerche e scoperte, spesso miracolose, di nuove strade che permettevano di accorciare i tempi.

Nei casi in cui la distanza si manteneva consistente, il trasporto via acqua rimaneva l’unica soluzione possibile. Tralasciando i rari casi in cui si erano

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venute a creare realtà in cui la navigazione marina era alla base dell’economia di una determinata città, come nel caso, ad esempio, di Venezia, i fiumi erano la via d’elezione. La quantità di denaro necessaria, a questo punto, cresceva consistentemente poiché i trasporti per via fluviale erano gravati da pedaggi, in alcuni casi molto pesanti.

Per evitare la lievitazione dei costi, si ricorreva di nuovo alla buona volontà dei fedeli, esortati a partecipare al trasporto del materiale, sia con contributi in denaro sia, soprattutto, come forza lavoro.

La qualità e la quantità di denaro disponibile, determinata da tutte queste variabili, determinava un certo tipo di andamento del lavoro. È possibile, infatti, riscontrare, tre diverse tipologie di cantiere, individuate da una diversa velocità di realizzazione dei lavori10. Abbiamo, quindi:

yCantieri estremamente veloci: nei casi in cui si disponeva immediatamente di denaro e risorse, già prima dell’inizio dei lavori, abbiamo cantieri con un andamento sorprendentemente veloce. Questa tipologia caratterizzò soprattutto la Francia e le costruzioni in stile gotico, per le quali alla razionalizzazione delle imprese costruttive fece seguito una maggiore efficienza pratica. Alcuni esempi che meritano di essere citati sono la chiesa dell’abbazia vittorina di Notre- Dame de la Roche che fu edificata in tre anni, dal 1232 al 1235; Saint- Jean -en-l’Île à Corbeil, appartenente agli Ospedalieri, realizzata in soli due anni tra il 1223 e il 1225; la realizzazione della reale Saint- Chapelle che impressionò tutta l’Europa: la costruzione fu, infatti, ultimata in quattro anni, tra il 1241 e il 1245, e nel 1248 era stata completata con la decorazione scultorea e le vetrate. Al di fuori del territorio francese si possono ricordare due casi in cui la velocità di costruzione fu determinata da una forte committenza e, principalmente, dalla presenza di un culto profondamente radicato: si tratta della Chiesa di San

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Francesco d’Assisi e del cantiere di Canterbury, sostenuto dalla venerazione per la figura di Thomas Beckett.

yCantieri a velocità moderata ma continua: questa tipologia si diffonde nei casi in cui la committenza poteva contare su entrate regolari, tributi, rendite o offerte. Si optava, quindi, per lavori più lunghi ma con un andamento costante. È il caso, ad esempio, dell’abbazia di Saint- Nicaise a Reims, il cui cantiere rimase in attività per più decenni grazie ai rapporti economici fruttuosi dell’abbazia. La fiducia in una prosecuzione dei lavori costante non era, tuttavia, spesso soddisfatta. A causa, infatti, del continuo e repentino cambiamento degli eventi storici e, di conseguenza, degli assetti economici, l’andamento risultava, nella maggior parte dei casi, alquanto irregolare, come testimoniato dai numerosi edifici rimasti, addirittura, incompiuti.

yCantieri a velocità a due tempi: questa commistione delle due precedenti situazioni è la tipologia che caratterizza i grandi cantieri delle cattedrali. All’inizio, infatti, si poteva contare sullo slancio entusiastico dei donatori, grazie al quale si realizzava la base dell’edificio, immediatamente utilizzabile. In seguito si proseguiva più lentamente, cercando di fare affidamento sulle risorse delle entrate. Non è raro che cantieri di questo genere rimanessero attivi per più secoli, tra interruzioni e riprese dei lavori. È importante notare che ciò fu possibile grazie alle innovazioni nel campo dei metodi di progettazione, avvenute a partire dal 1250. Essendo, infatti, chiare le varie fasi del progetto, la loro realizzazione poteva protrarsi nel tempo senza causare, per questo, problemi di comprensione o deviazioni dall’idea originaria.

Come si può dedurre dagli esempi sopra elencati, i cantieri per le costruzioni ecclesiastiche erano al primo posto nella gerarchia delle imprese costruttive. È, tuttavia, molto interessante prendere in esame anche gli sviluppi dell’architettura militare. Nei territori di confine e in quelli di recente acquisizione era, infatti,

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necessario istituire simboli di potere, sotto forma di edifici e di infrastrutture, nel tempo più breve possibile. Conquistatori ed ecclesiastici procedevano di pari passo, occupandosi di realizzare istituzioni religiose e roccheforti militari, punti chiave per definire l’assetto della realtà regionale nascente.

Per la costruzione di dighe, canali e ponti si poteva contare sulla partecipazione attiva della popolazione e sui conseguenti basso costo e velocità di realizzazione, visto il coinvolgimento dei diretti interessati che accorrevano numerosi.

Gli edifici dell’architettura militare, ossia quelli che dovevano rispondere nel modo più pratico possibile all’esigenza di sicurezza e difesa, avevano tempi brevissimi11. Si può analizzare, ad esempio, Château Gaillard, il grandioso complesso militare al confine tra Normandia e Francia, realizzato in un solo anno tra il 1195 e il 1196 e al cui progetto partecipò Riccardo Cuor di Leone. I Normanni avevano voluto consolidare il loro potere attraverso la costruzione di castelli nella loro nuova patria e nei territori conquistati in Inghilterra e in Italia. All’inizio si trattò di edifici con struttura lignea, realizzati su di un’altura naturale e circondati da un fossato. A partire dal XII secolo, si iniziò, invece, a costruire in pietra e Château Gaillard risale a questa seconda ondata di fondazioni: fu costruito mettendo a disposizione tutte le risorse disponibili e con un costo esorbitante ed era considerato inespugnabile (fu, invece, preso da Filippo Augusto, solo otto anni più tardi).

Per capire meglio l’enorme quantità di denaro speso per la costruzione di questo castello, basti pensare che, in quegli stessi anni, con una cifra equivalente si sarebbero potuto costruire circa sessanta chilometri di mura a Parigi. In effetti, la Francia di Filippo Augusto era, in quel momento, la più efficiente dal punto di vista delle misure costruttive, con le diciotto fortezze e le grandi cattedrali

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realizzate in breve tempo e con costi ridotti, grazie all’impiego di maestranze fortemente specializzate e alla partecipazione diretta del re.

Anche in Inghilterra abbiamo un esempio autorevole da considerare: si tratta del programma di costruzione di fortezze nel Galles, voluto da Edoardo I, dopo le campagne militari contro Llywelyn ab Gruffydd. A seguito della prima, risalente al 1276-1277, vennero costruite quattro fortezze, prima in legno e poi in pietra, e furono rinforzate altre quattro già esistenti. Dopo la seconda campagna, negli anni 1282- 1283, quattro nuove fortezze furono realizzate sulla costa e otto all’interno del paese. I sussidi furono di vario tipo e provenivano, specialmente, dalle contee di frontiera; non si trattò solo di denaro ma anche di manodopera: tra tagliaboschi, sterratori, muratori e carpentieri, furono inviati in totale circa 3000 uomini. Un numero impressionante se si pensa che l’intera popolazione inglese ammontava a circa 4 milioni di persone. L’antico diritto feudale prevedeva, infatti, l’obbligo di fornire prestazioni lavorative, nel caso in cui non si volesse partecipare con un pagamento in denaro.

Bisogna, inoltre, spendere qualche riga per parlare degli apparati decorativi. I programmi di decorazione avevano, anch’essi, una propria organizzazione e una loro durata, definita dal limite temporale della realizzazione dell’edificio a cui erano destinati.

Il tempo della scultura dipendeva, principalmente, dall’abilità degli artisti incaricati e dalla qualità degli attrezzi a loro disposizione12. Dai documenti e dall’iconografia, sappiamo che più artisti potevano lavorare ad una sola opera: esistevano, infatti, precise specializzazioni in ambito scultoreo, come il panneggio, la capigliatura o la fisionomia. Inoltre, nel Medioevo, si ebbe la nascita di un vero e proprio mercato d’arte, presso il quale si potevano acquistare decorazioni già pronte. E ciò non dipendeva soltanto dal fatto che, in alcuni casi, non si disponeva di maestranze qualificate ma, e soprattutto, perché,

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comprando materiale già lavorato, si potevano ridurre tempi e costi.

Un’ “architettura del mercato” nacque, invece, quando tensioni politiche e militari si affievolirono ed iniziò il periodo individuato dagli storici proprio con il nome di “tempo dei mercanti”.

La realizzazione pratica di questo nuovo modo di pensare si trova perfettamente espressa nel “gotico commerciale del Brabante” che interessò tutti gli aspetti dell’architettura, sia civile che sacra che militare.

Procediamo per gradi. In Olanda e in Zelanda, c’era grande carenza di materiale naturale da costruzione. Mancavano, soprattutto, le cave di pietra e il legno adatto per le realizzazioni architettoniche. Il materiale largamente diffuso era l’argilla con la quale venivano fabbricati i laterizi. La situazione era tale che, nel caso in cui si fosse demolito un edificio, i mattoni erano accuratamente conservati e preparati per il reimpiego. Per i grandi cantieri della cattedrale di Utrecht e s’Hertogenbosch, la pietra veniva importata, per via fluviale o terrestre, dall’alto Reno, il tufo da Colonia e altro materiale dalla Mosa.

Intorno al 1400, questi fornitori persero man mano importanza e furono soppiantati dall’industria litica del Brabante, specializzata nel marmo e destinata a diventare così importante da far attribuire all’architettura tardo - gotica olandese il nome di “gotico brabantino”.

La regione delle Fiandre aveva ottime riserve di pietra e la possibilità di trasporto per via fluviale era una soluzione eccellente.Il materiale importato poteva essere lavorato in tre luoghi diversi, lungo il percorso che doveva compiere per giungere a destinazione: nella cava, dove gli imprenditori la approntavano prima del trasporto; sul cantiere; o nel luogo di trasbordo, dove gli imprenditori avevano depositi e commerciavano direttamente con gli acquirenti o con fornitori intermediari, pratica che prese il sopravvento nel corso del XV secolo.

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Questo sistema di commercializzazione, trasporto e lavorazione del materiale permetteva un’incredibile flessibilità: si poteva, infatti costruire ciò di cui si aveva bisogno o ciò che si poteva pagare e rimandare il resto; oppure conservare parti già lavorate di un edificio e tirarle fuori all’occorrenza.

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3. Le tecniche costruttive

La caratteristica predominante delle rappresentazioni del cantiere è che si tratta sempre di scene di lavoro, di muratori e carpentieri intenti a svolgere le proprie mansioni. L’edificio in costruzione non è, invece, sempre presente. Nei casi in cui si è scelto di raffigurarlo, si tratta, prevalentemente, di architetture composte da grandi blocchi lapidei, posti in opera in filari regolari. L’operazione in assoluto più rappresentata è quella della preparazione delle pietre e, infatti, i lapicidi, con piccozze in mano, mentre lavorano alla definizione di una forma quanto più regolare possibile, sono la maestranza più diffusa. A volte, sono presenti anche addetti al controllo delle misure e dell’ortogonalità che, armati di squadra a L, assistono i lapicidi nel loro compito. Il trasporto delle pietre grezze avviene, nella maggior parte degli esempi in cui questa operazione è rappresentata, all’interno di casse di legno portate a spalla dagli operai o per mezzo di carriole. Vi sono casi in cui vengono raffigurati carri trainati da animali o animali da soma.

Il momento dello spegnimento della calce, la preparazione della malta e la sua posa in opera sono spesso rappresentati.

Lo spegnimento della calce avviene in cassoni in muratura o in ampie fosse scavate nei pressi degli edifici in costruzione: un operaio, con una pala o una marra, è raffigurato mentre mescola accuratamente la calce per evitare la formazione di grumi. L’impasto di calce, acqua e sabbia viene anch’esso realizzato in cantiere: l’iconografia ci fornisce numerosi esempi in cui, su di uno spazio di terra battuta, la sabbia viene disposta a forma di cratere, al centro del quale viene posta la calce. Esistono, anche in questo caso, esempi in cui l’impasto viene preparato all’interno di vasche, in muratura o in legno13.

L’operazione dell’impasto termina quando il composto diventa omogeneo. Il

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L’uso di vasche è attestato nella Toscana del XIV secolo, nei cantieri delle costruzioni militari del territorio fiorentino, dove la calce viva veniva immersa in vasche di legno piene d’acqua, costruite sul cantiere e chiamate

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manovale impegnato in questo compito è rappresentato mentre impugna, con entrambe le mani, una marra o una pala dal lungo manico, in modo da rendere il movimento circolare e uniforme. Nell’iconografia, la marra e la pala sono sempre impugnate con due mani da un operaio, raffigurato in posizione leggermente inclinata in avanti, in modo da garantire la continuità del movimento. Alcune volte sono rappresentati due manovali con la marra, oppure uno con la marra e uno con la pala che lavorano insieme; in altri casi, una pala è rappresentata vicino al mucchio di calcina, pronta per essere usata per versare il materiale nelle casse o nei vassoi. Con l’ausilio di questi contenitori, la malta viene trasportata fino al luogo di posa in opera e, spesso, sono rappresentate scale e passerelle lignee per meglio raggiungere i muratori, posizionati sulle mura in costruzione. Nelle raffigurazioni realizzate a partire dalla seconda metà del XIV secolo, è presente una macchina, costituita da corda e carrucola, deputata al sollevamento del materiale.

La posa in opera della calcina spetta ai muratori che, dopo averla nuovamente mescolata con la cazzuola, ne stendono uno strato con quest’ultima, sui mattoni o sulla pietre.

Gli scultori, invece, hanno un ruolo più marginale e una presenza sporadica. La tecnica a bassorilievo per la realizzazione di elementi decorativi è la più diffusa; raramente si trovano artisti impegnati in statue a tutto tondo. Nonostante ciò, spesso si possono riconoscere, tra gli strumenti posti ai piedi dei lavoratori, scalpelli di forma diversa e mazzuoli.

Le operazioni di carpenteria sono ricondotte alla loro forma più semplice, ossia la preparazione delle tavole e delle travi con asce e seghe. L’iconografia dell’Arca di Noè, struttura lignea per eccellenza, offre l’occasione di esaminare la tecnica con cui i vari elementi venivano combinati tra loro, per mezzo di incastri o di perni inseriti con l’ausilio di mazzuoli.

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vedono l’evoluzione delle tecniche costruttive antiche giungere ad un momento decisivo e questo è, probabilmente, il motivo per cui la pietra è il materiale di elezione dell’iconografia medievale.

L’architettura in pietra era diffusa nelle aree europee che erano state interessate dalla conquista dei romani; risultava, invece, quasi del tutto sconosciuta, nelle zone non romanizzate. Il processo di assimilazione fu lungo ad articolato. Esistevano delle conoscenze radicate per quanto riguarda il mestiere del lapicida nel bacino mediterraneo, soprattutto in Italia, Provenza, penisola iberica e territori dell’Impero bizantino. Per questo, nel nord dell’Europa, si sente a lungo parlare dei “Lombardi”, un gruppo di maestranze itineranti che, a partire dall’età carolingia, si occupava di quei lavori per cui la manovalanza locale non possedeva le conoscenze. Un primo grande impulso innovatore si ebbe intorno al 1030 quando, nei territori dell’Impero e in Francia, iniziò a prendere piede la “tecnica a grandi blocchi” (Gro

β

quadertechnik), che consiste nell’utilizzo di grandi conci regolari in ingente quantità e i cui inizi sono rintracciabili nelle parti più antiche della cripta del duomo di Spira e nella navata di Carcassonne14. Il lavoro era organizzato in modo che lavorazione della pietra e posa in opera avvenissero allo stesso tempo e solo durante la bella stagione. Si può presupporre che non esistesse ancora una vera e propria suddivisione tra muratori e lapicidi. Non ci sono tracce della presenza di macchine adibite al sollevamento dei blocchi, per cui il loro spostamento avveniva, probabilmente, per mezzo di rampe.

A Spira sono presenti anche indizi per individuare i primi accenni di progettazione: i pilastri a sezione quadrangolare indicano che la pianta veniva tracciata, secondo l’ “opus ad quadratum”, per mezzo di corde tese sul terreno; anche l’alzato veniva determinato grazie a delle corde, con il metodo della triangolazione. Queste pratiche presuppongono la presenza di una figura

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specifica sul campo: si tratta dell’architetto, che proprio in questi anni viene raffigurato con in mano le corde, l’asta mensoria, la squadra e un grande compasso, deputato alla realizzazione di un disegno in scala 1:1, direttamente sul terreno.

Dopo un ventennio avvenne il secondo passo verso un ulteriore perfezionamento che prese le mosse in Normandia. Si tratta dell’utilizzo di pietre di minore dimensione, poste in opera in un’ apparecchiatura muraria ben livellata. Ad un primo sguardo può sembrare alquanto sorprendente che si sia verificata una tale innovazione proprio in Normandia, presso un popolo, di origine vichinga, la cui conoscenza dell’architettura in pietra era decisamente recente. Questa caratteristica fu, tuttavia, uno dei motivi che permise il salto di qualità: i Normanni erano una popolazione “giovane” e, di conseguenza, ambiziosa, aperta ai cambiamenti sia tecnici che estetici. Inoltre, la pietra calcarea presente nei loro territori era particolarmente tenera e, quindi, adatta ad essere tagliata in qualsiasi formato. Nonostante la preparazione dei blocchi e la loro posa in opera procedessero ancora in sincronia, si assiste ad una migliore coordinazione del lavoro. Ciò fu reso possibile dalla presenza di un maggior numero di operai sul cantiere, provenienti anche da altri paesi, grazie alla grande reperibilità di denaro di cui disponeva la Normandia.

Un altro elemento interessante da considerare è che questi cambiamenti sono il primo passo verso una crescente ricerca di tipizzazione della pietra stessa, la cui conseguenza è la possibilità di lavorare alcuni elementi in anticipo15. Si trattava all’inizio di elementi decorativi, come i capitelli delle colonne e i conci degli archi e delle volte; durante l’epoca gotica il fenomeno assunse, invece, una portata maggiore, soprattutto dal punto di vista quantitativo. Questo permise di allargare i tempi del lavoro, ora non più limitato solo ai mesi estivi: durante

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l’inverno, infatti, gli artigiani potevano continuare a lavorare all’interno delle botteghe, come è attestato a St-Denis, in Francia, primo grande esempio di questa nuova tendenza.

L’aumento della grandezza dei blocchi lapidei, rispetto alle dimensioni del materiale utilizzato nell’architettura romanica, avvenne di pari passo ad una sorta di rivoluzione industriale che portò alla costruzione di macchine, sempre più specifiche, per il sollevamento delle pietre. Anche strutture come i mulini ad acqua, fin’ora utilizzati solo per la macinazione dei cereali, vennero tipizzati per segare e martellare.

Dal 1194 si assiste ad un altro cambiamento, attestato per la prima volta nella ricostruzione di Chartres: si tratta della ricerca di una normalizzazione del formato, raggiungibile grazie all’impiego di sagome. Sappiamo che le sagome erano già in uso da tempo ma il loro compito consisteva nel definire il profilo generale di un elemento costruttivo. A partire da quella data, invece, si diffondono sagome singole di un profilo, per ogni blocco di pietra.

La posa in opera rimase, invece, ancora ancorata al metodo tradizionale che consisteva nel realizzare i perimetri dell’edificio, procedendo per strati orizzontali ma poteva avvenire anche in un secondo tempo rispetto alla lavorazione.

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4. Il lavoro: organizzazione e maestranze.

Nell’ iconografia, l’insistenza è, quindi, per il lavoro umano: tutti gli operai raffigurati sono intenti nelle loro attività, fatta eccezione per il caso della Torre di Babele, del cui particolare valore parlerò in seguito, e una rappresentazione del posizionamento della chiave di volta che assume, però, carattere spirituale, legandosi alla parabola sulla pietra angolare del tempio di Salomone, ritenuta non indispensabile per la costruzione e, quindi, gettata via, simbolo della Resurrezione16.

L’accento è posto sulla preparazione dei materiali e si può individuare in un tagliatore di pietre che appronta un blocco, o in un carpentiere impegnato nella lavorazione di una tavola di legno, la figura base di tutte le rappresentazioni. Nel primo caso, tuttavia, il tagliatore di pietre è sempre accompagnato dall’edificio in costruzione e risulta essere la manovalanza in assoluto più rappresentata; nel caso quest’ultimo non fosse raffigurato, il cantiere poteva essere, semplicemente, costituito da un muratore o da un portatore di materiale.

Nel caso di composizioni più complesse, la fabbricazione dei materiali occupa, comunque, il primo piano.

Da questa prima attività prende le mosse un vero e proprio percorso che comprende la preparazione della malta e il trasporto sul luogo di posa o per sollevamento o tramite operai adetti.

Gli uomini impegnati nella preparazione e nel trasporto della malta sono semplici manovali: il loro abbigliamento è, generalmente, poco curato e spesso sono rappresentati scalzi. I muratori, invece, hanno frequentemente il cappello in testa, il tipico grembiule in vita, scarpe di foggia più o meno elaborata; inoltre tengono quasi sempre in mano gli attrezzi caratteristici della muratura: la martellina o la piccozza.

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Per quanto riguarda la carpenteria, l’attività, svolta dagli operai destinati a questo genere di mansione, si riduce, spesso, nell’approntare tavole o nell’assemblare le parti di una struttura.

Prendendo in esame le sue rappresentazioni, si può, quindi, affermare che il cantiere è un insieme di lavoratori che comprende varie figure, dal progettista al manovale, che lavorano insieme alla realizzazione di un edificio, seguendo la logica della propria specifica professionalità17.

Grazie alla progressiva razionalizzazione delle attività costruttive, l’organizzazione delle maestranze divenne più articolata e si crearono delle figure specifiche, operanti sul cantiere.

La storia della forza-lavoro va di pari passo con quella dei materiali. Ci sono, infatti, materie per cui non era necessaria una particolare qualifica da parte dei lavoratori, come per le costruzioni in argilla, per le palizzate di legno e per lo sterro di dighe ed argini. Per opere, invece, realizzate in pietra da taglio era fondamentale la presenza di una manovalanza altamente specializzata, sia dal punto di vista artigianale che da quello progettuale e logistico.

A capo della complessa organizzazione di uomini che lavorava ad un cantiere c’era l’architetto, che sovrintendeva a tutte le operazioni in relazione alla disponibilità di denaro del committente e dell’amministrazione della fabbrica. A lui era affidata la responsabilità progettuale dell’edificio, dalla struttura alla decorazione, ai cicli scultorei e pittorici, e il coordinamento delle attività pratiche.

Accanto a lui lavorano tagliapietre, muratori, manovali e carpentieri, distinti in operarii, ossia addetti alle operazioni più umili, e artifices, cioè coloro che si

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occupano delle imprese di muratura che richiedono una tecnica raffinata, della misura e del taglio delle pietre.

Andiamo più nello specifico. Secondo il canonico Hugues di Saint Victor, a metà del XII secolo, l’architettura si divideva in arte muratoria, cementaria, che riguardava i tagliatori di pietre, latomos, e i muratori, cementarios, e nella carpenteria.

Queste distinzioni fanno emergere, innanzitutto, due figure professionali specifiche: il latomus, ossia il tagliatore di pietre che definiva la forma, e il cementarius, che si occupava, invece, della posa in opera.

Per la funzione di tagliatore di pietra, si trova anche un’altra denominazione, lapicida, che, pian piano, soppianta l’arcaico latomus. Si incontrano anche i termini taillator petrae e caesor lapidium in Inghilterra e Normandia.

Il nome cementarius si trova, invece, largamente diffuso ovunque fino al XV secolo. Si trovano, tuttavia, in Francia e in Gran Bretagna, i termini cubitores e asseyeurs per indicare, nello specifico, chi si occupava della posa delle pietre. In Germania abbiamo, invece, il termine Maurer che indica il muratore e Steinmetz per il tagliapietre.

L’architetto veniva, indifferentemente, chiamato magister lathomus, capitalis cementarium, magister operis, maitre d’oeuvre, Werkmeister18.

La folla degli operarii era costituita da addetti al trasporto, alla preparazione della malta e dai fabbri. A questi si affiancavano le figure dalla professionalità più spiccata, ossia gli artigiani del vetro, gli scultori, i pittori e i decoratori.

A seguito della sempre crescente specializzazione dell’architetto come progettista, di cui tratterò in seguito, compare sul cantiere una figura di mediazione, quella del parlier. La parola tedesca deriva dal francese parler, ossia “parlare a”, poiché il compito principale di questo professionista era quello

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di tenere le comunicazioni tra l’architetto e i lavoranti. Un’altra denominazione molto diffusa è il termine latino appar(il)ator, in francese apparellieur, derivato dall’iniziale compito di preparare i filari di conci.

Cuore del cantiere era la struttura coperta che serviva da officina agli scalpellini e alle maestranze. Si trattava di una costruzione, in legno o in pietra, dove i lavoratori si rifugiavano all’inizio delle piogge invernali e passavano i momenti di pausa durante la bella stagione. Era presente praticamente in tutti i cantieri di rilevante importanza e, nelle raffigurazioni, si trova spesso accostata alla cattedrale e si è calcolato che potesse contenere da dodici a venti tagliatori di pietre. I termini che indicavano questa struttura erano Hütte in Germania, Cassina in alcune zone dell’Italia; il termine che, però, si diffuse maggiormente e che si allargò fino ad indicare l’insieme delle manovalanze è Loggia.

Non abbiamo, prima dell’epoca gotica, notizia di un’associazione che riuniva le maestranze edili, fatta eccezione per i magistri comacini, nominati in due articoli dell’Editto di Rotari, nel VII secolo. Il termine deriva, probabilmente, dal latino cum, “con” e macius, “muratore”19, ed indicava una sorta di corporazione di maestranze posta sotto l’autorità regia. La loggia, invece, è l’insieme dei lavoratori legati, indissolubilmente, al destino di un cantiere e non dipende dal potere reale ma fa riferimento ad autorità municipali.

Non abbiamo documenti riguardo le logge per il XIII secolo; il primo caso noto risale al XIV secolo nella fabbrica della cattedrale di Amiens: i lavori erano

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Esistono altre ipotesi sull’origine del nome di Comacini: alcuni studiosi lo fanno risalire a Como, terra d’origine di questi maestri ( si veda G. Merziario, I maestri Comacini. Storia artistica di milleduecento anni, Milano, 1893) mentre altri, contestando questa etimologia sostenendo che l’aggettivo che deriva da Como è comasco o comense, preferiscono l’origine da cum machinis o cum macinis, riferendosi alle impalcature e agli argani che questi artigiani utilizzavano nella realizzazione delle loro opere ( studi di Ugo Monneret de Villard,

Magistri d’Europa: eventi, relazioni, strutture della migrazione di artisti e costruttori dei laghi lombardi, a cura

di S. Della Torre, T. Mannoni, V. Pracchi, atti del convegno, Como, 23-26 ottobre 1996, Como, 1997, Arti e

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guidati da un canonico delegato dal capitolo e un maestro della fabbrica che aveva alle proprie dipendenze un chierico, un varlet dell’opera della cattedrale, un capomastro, un maestro carpentiere, un addetto alle coperture e altre maestranze. La responsabilità delle attività era affidata ad un cittadino di Amiens assistito da un chierico e lo svolgersi dei lavori non era sotto il controllo del vescovo ma del capitolo della cattedrale20.

La loggia era regolata da uno statuto specifico per il quale abbiamo due fonti molto importanti: lo statuto di Ratisbona, scritto nel 1459, e il Regolamento di Strasburgo, una revisione del precedente, avvenuta a seguito di una riunione tenutasi a Spira nel 1464, sotto il coordinamento di Jodogne Dotzinger21.

Una copia dello statuto veniva consegnata ad ogni maestro che, una volta all’anno, era tenuto a darne pubblica lettura alle maestranze. Gli articoli contenuti potevano essere adattati a seconda delle varie situazioni di cantiere ma solo dopo un dibattito e a seguito del giuramento di tutti i membri della loggia. Alla chiusura del cantiere, lo statuto andava riconsegnato alla loggia suprema, ossia quella di Strasburgo, come stabilito nel 1459, nel 1464 e nel 1498 per conferma dell’imperatore.

Grazie a questo testo possiamo ottenere numerose informazioni circa l’organizzazione e la regolamentazione delle vita di cantiere.

I maestri che accettavano lo statuto non potevano far parte di nessuna corporazione, non potevano essere in due in un unico cantiere, a meno che non fosse previsto un lavoro della durata superiore ad un anno, ed era obbligato ad attenersi fedelmente al progetto. In caso di morte, il suo posto poteva essere occupato da uno degli artigiani o dei maestri competenti, a patto che l’opera iniziata non fosse interrotta e non venissero lasciati inutilizzati i blocchi già lavorati ma non ancora messi in opera.

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Kimpel, 1995, p. 16. 21

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Il parlier, che doveva obbedienza al maestro, poteva avere dei collaboratori propri. Anch’egli aveva la possibilità di candidarsi al ruolo di maestro, dopo aver terminato un periodo di apprendistato ed aver compiuto un viaggio di perfezionamento della durata di un anno.

Gli operai, incaricati di tagliare le pietre e realizzare le opere in muratura, erano alle dipendenze del maestro e del parlier e devono conformarsi alle regole della loggia, alla quale potevano aderire senza obbligo ma secondo la propria volontà. Non dovevano gettare discredito sull’opera di un maestro ma potevano criticarlo apertamente nel caso in cui quest’ultimo avesse infranto i regolamenti. Un operaio, inoltre, non poteva lavorare ad un cantiere senza aver ricevuto un’adeguata formazione ed era obbligato ad aggregarsi ad una corporazione di lapicidi, se la città lo avesse richiesto.

Per proteggere la qualità del lavoro, potevano essere presi come apprendisti solo coloro che avevano già trascorso un periodo di formazione presso un lapicida. I maestri non potevano accettare denaro per l’istruzione degli operai che erano tenuti, invece, ad istruirsi reciprocamente. Il numero di operai per cantiere era illimitato; gli apprendisti dovevano essere, invece, tre. Il maestro aveva la possibilità di richiedere due apprendisti supplementari, nel caso fosse impegnato nella realizzazione di più opere. La durata dell’apprendistato era fissata a cinque anni, durante i quali l’apprendista non poteva lasciare il maestro senza una valida ragione.

Molti articoli erano dedicati alla condotta morale e religiosa di maestri e operai. Confessione ed Eucarestia erano sacramenti obbligatori. Erano proibiti il gioco e il concubinaggio22.

Si prevedeva l’istituzione di una cassa di mutua assistenza: ogni affiliato era tenuto a versare un contributo finanziario a settimana, così come il maestro al

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momento della sua ammissione alla loggia. Quest’ultimo versava, inoltre, una somma annuale per il possesso dello statuto. L’unico ad essere dispensato era l’apprendista, per tutto il periodo in cui la sua condizione fosse rimasta tale. Lo scopo della cassa era finanziare gli uffici liturgici, le necessità della loggia stessa e, in caso di malattia di un maestro o di un operaio, permetteva di provvedere alle sue necessità. Il malato avrebbe, poi, rimborsato l’anticipo ricevuto una volta tornato al proprio lavoro. Nel caso in cui, inoltre, uno dei membri della loggia si fosse trovato in difficoltà finanziarie, gli altri membri erano tenuti a fornire aiuto ed assistenza.

Le spese gravanti su un membro della loggia, qualora fossero previste dallo statuto, erano rimborsate dal Tesoro.

Esisteva, persino, un tribunale speciale, posto sotto la responsabilità del maestro, incaricato di dirimere le questioni interne al cantiere, non potendo comunque, in alcun caso, sostituirsi ai tribunali ordinari.

Testi simili agli statuti di Ratisbona e Strasburgo si trovano anche in Inghilterra. Si tratta di una raccolta, conosciuta con il nome di Costituzioni inglesi del XIV secolo, formata da due testi: il primo, dal titolo Regius Poem, è l’opera di un chierico molto vicino alle dinamiche di un cantiere; l’altro è un testo complesso, contenente un’opera in prosa sulle origini mitiche e la storia del mestiere e un altro componimento, intitolato Ancienne Charges, risalente al 1360, costituito da una serie di traduzioni di testi latini e francesi.

Quest’ultimo veniva letto all’apertura delle riunioni di una loggia. Il testo illustra come a capo delle maestranze edili stava un maestro, scelto per la sua conoscenza ed abilità nell’ambito della Geometria, l’arte più eccelsa perché derivata da Dio stesso.

Le assemblee, che si svolgevano sia a livello delle province che delle contee, avvenivano ogni tre anni e potevano partecipare al dibattito i governatori locali,

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segno che non esisteva alcun sapere segreto da preservare.

La durata dell’apprendistato era fissata a sette anni; l’opera di un maestro non poteva essere portata a compimento da un altro e tutti i maestri dovevano sottostare ad una serie di regole che definivano una vera e propria etica professionale. Anche in questo caso, la comunità formata dalle maestranze di un cantiere era una confraternita, sociale e religiosa, di aiuto e sostegno reciproco, che si estendeva anche oltre il momento del lavoro.

Per l’Italia siamo a conoscenza del regolamento dell‘amministrazione, risalente al 1387, del cantiere del duomo di Milano, a quel tempo il maggior cantiere edile d’Europa. Questa doveva, innanzitutto, provvedere all’approvvigionamento del materiale e controllare l’ efficienza del lavoro. La pietra giungeva dalle cave di Cadoglia, dove era stata istallata una sorta di officina satellite il cui compito era preparare il materiale per il trasporto, lungo il Ticino.

Il numero dei lavoratori subiva variazioni spesso da un giorno all’altro e, soprattutto, stagionalmente: sappiamo dalle fonti che, nel 1391, vi erano cinquanta operai in estate e venti durante i mesi invernali.

Le condizioni del lavoro erano durissime e sono noti episodi di sciopero e manifestazioni di scontento. Fu, quindi, istituita una sorta di assistenza sociale che forniva aiuto ai lavoratori e, soprattutto, conferiva un parziale indennizzo alle vittime di incidenti sul cantiere. I maestri avevano l’obbligo di istruire un apprendista e il consiglio della città aveva stabilito un fondo monetario a cui potevano accedere i giovani milanesi per poter acquistare attrezzi da lapicida. Un aspetto interessante è che, al contrario di quanto avveniva nelle corporazioni, dove la carica di maestro si trasmetteva, per via ereditaria, da padre in figlio, il criterio di scelta era essenzialmente il merito. Ci si preoccupava anche di qualificare la generazione successiva di lavoratori: nell’officina di Cadoglia, ad esempio, ogni operaio poteva assumere un aiutante, per tre soldi al giorno, in

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modo che questi potesse apprendere il mestiere.

L’organizzazione del cantiere, intimamente legata all’ architettura gotica, così come si sviluppò e si affermò nel Medioevo, si avviò verso il declino a causa dell’imporsi del nuovo mercato edile, esemplificato dal commercio delle pietre brabantine, di cui ho precedentemente già parlato in questa sede.

Gli stili regionali, infatti, e l’individualità degli artisti sono destinati a scomparire; le forme, prima decise dal committente, ormai si trovano catalogate e tipizzate nei libri dei modelli, consultati per richiedere pietre già lavorate in una determinata foggia. Le botteghe scompaiono e si affermano organizzazioni capitalistiche; di conseguenza, cambia totalmente l’attività di costruttori sia nel cantiere che nelle cave che nella pratica del taglio delle pietre23.

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5. L’architetto e i metodi di progettazione

Hans Schmuttermayer, orafo tedesco, parlando di un gruppo di architetti conosciuti come Juncker di Praga, nel suo Libretto dei pinnacoli, risalente alla fine del Quattrocento, elogia i loro predecessori, ossia quegli architetti la cui scienza ha come strumenti la riga, la squadra, il triangolo e il compasso24.

In questa descrizione troviamo indicate tutte le caratteristiche che individuano la figura dell’architetto nell’iconografia medievale.

Nel gruppo degli operai impegnati nei lavori emerge, infatti, l’architetto, specialmente nella veste di capo cantiere, che è spesso rappresentato, con attributi tali da rendere il suo ruolo riconoscibile. È, di solito, la figura che mostra più autorità, dando direttive agli operai o parlando direttamente con il committente, ed indossa abiti di una foggia più elegante e ricca. Ha con sé gli strumenti legati alla misurazione: la squadra, il compasso e, soprattutto, l’asta mensoria. Quest’ultima è la più diffusa nelle rappresentazioni, anche perché la sua forma, così simile a quella di uno scettro, è un ulteriore segno di autorevolezza. La riga e il compasso figurano, invece, come attributi sia dell’architetto che del lapicida e del capomastro. È nel XIII secolo che inizia a fare la sua comparsa la figura del Dio Padre Architetto rappresentato al momento della creazione in figura di Architectus mundi, dotato di compasso25. Questo strumento professionale possiede significati simbolici molto profondi: è, innanzitutto, l’emblema delle scienze esatte, della Rettitudine e della Regola; inoltre, essendo le sue funzioni quelle di misurare e tracciare il Cerchio, si lega al Cielo: è l’immagine del pensiero che disegna e percorre i cerchi del Mondo. Tracciando le immagini del movimento ed essendo mobile esso stesso, il

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Il libretto di H. Scmuttermayer fu scritto nel 1488, senza un vero e proprio titolo. L’unica copia in lingua originale è conservata presso il Germanisches Nationalmuseum di Norimberga. L’edizione in lingua inglese è stata pubblicata in Shelby, Lonnie R., Gothic Design Techniques: the Fifteenth - century booklets of Mathes

Roriczer and Hanns Schmuttermayer, Southern Illinois University Press-Feffer and Simons, Carbondale

(London), 1997. 25

Dante, nella Divina Commedia, ha cantato il Dio Architetto: “Colui che volse il sesto/ allo stremo del Mondo,

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Compasso è diventato il simbolo del dinamismo costruttore, l’attributo dell’attività creativa, la rappresentazione emblematica dell’atto della creazione. Per la sua forma è collegato alla lettera A, segno del principio di tutte le cose.26 Il compasso diviene così un segno importante della nuova dignità riconosciuta all’architettura e all’architetto dai rappresentanti della cultura ufficiale. Ora il ruolo dell’architetto è un ruolo civile, diviene il vero rappresentante di un sapere che integra conoscenze teoriche e capacità operative.

Gli attributi dell’architetto delineano la sua figura professionale come quella, sotto la cui responsabilità, era posto il progetto stesso, destinata a passare da un ruolo di complessa manualità ad attività eminentemente intellettuali.

Non esiste, per il Medioevo, una possibile definizione unica di architetto ma questa cambia a seconda dei contesti economici, sociali ed ambientali27.

Gli architetti che operavano nei cantieri romani, individuati come una specifica professionalità e dotati di una formazione propria, non esistevano più dalla fine dell’impero stesso. L’architettura, intesa da Vitruvio come una scienza a cui erano collegati numerosi saperi, dalla geometria alla filosofia, la musica e la medicina, non si trova nell’Occidente latino.

Solo nel mondo bizantino, si può ancora riconoscere la presenza dell’architetto, depositario di conoscenze tecniche, capace di tradurle in pratica. Fin dai tempi di Costantino, infatti, erano stati presi provvedimenti per promuovere la formazione di artifices specializzati e due disposizioni, del 334 e del 337, concedevano privilegi ed esenzioni a coloro che, esercitando il mestiere dell’architetto, avessero voluto stabilirsi a Costantinopoli.28

Con lo stanziamento dei Longobardi, alla fine del VI secolo, si conclude il

26

Lucia Nuti, Il mondo della rappresentazione, in Storia dell’Architettura Italiana. Il Seicento, Milano, 2003 e la voce Compasso in Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Milano, 1997

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Carlo Tosco, Gli Architetti e le maestranze, in Arti e Storia nel Medioevo.Del costruire: tecniche,

artisti,artigiani, committenti, 2003, p. 43.

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periodo della committenza bizantina a Ravenna e in Occidente si assiste, così, al declino anche di quelle maestranze che, fino a quel momento, avevano mantenuto contatti con il mondo orientale. Cade in disuso la copertura voltata, la produzione di laterizi si fa rara ma, contemporaneamente, la nascita di regni romano-germanici porta con sé nuove possibilità. Compaiono, infatti, nuovi committenti, dotati di risorse economiche adeguate, che incentivano l’elevazione professionale di maestranze edili, che si organizzano in gruppi comunitari. Le associazioni non favoriscono l’emergenza del singolo e, di conseguenza, l’arte dei primi secoli del Medioevo, è prodotta nell’anonimato.

La prima definizione di architetto, accompagnata da riflessioni più approfondite sull’arte e sull’architettura, si trova nelle Etimologie di Isidoro di Siviglia, un’opera enciclopedica rivolta ad analizzare tutti i settori della vita umana. Isidoro dedica all’architettura i capitoli I-XII del libro XV e i capitoli VIII-XIV del libro XIX. La sua esperienza non è assolutamente pratica ma costruita su una commistione di narrazione biblica e fonti antiche (prime fra tutti, Plinio il Vecchio e Cassiodoro) che generano un tentativo di sistemazione disciplinare delle varie fasi della costruzione architettonica profondamente permeata di significati teologici.

Alle Etimologie, tuttavia, si deve la creazione di un lessico latino specifico, destinato a rimanere valido fino al Quattrocento e al confronto con Vitruvio. Isidoro offre la prima definizione medievale di architetto:

Architecti caementarii sunt qui disponunt in fundamentis. Unde Apostolus de semetipso “quasi sapiens -inquit- architectus fundamentum posuit”. Maciones dicti sunt a machinis in gibus

institunt propter altitudinem parietum.29

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“Gli architetti sono dei muratori che allestiscono la costruzione delle fondamenta. Donde l’Apostolo dice di se stesso “come un sapiente architetto ho posto il fondamento”. I maciones sono così chiamati a causa delle

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L’Apostolo a cui si fa riferimento è San Paolo che nella Prima Lettera ai Corinzi, 3, 10, indica con fundamentum la predicazione del Vangelo. Quella di Isidoro è, quindi, una definizione del tutto teologica.

È con l’età carolingia che si ebbe una svolta importante per la figura dell’architetto. Il mecenatismo degli imperatori, unito al moltiplicarsi delle biblioteche e ad un approfondito studio dell’antichità, favoriscono la trasformazione dei capicantiere in figure più consapevoli del loro valore culturale e le deroghe alla tradizione dell’anonimato si fanno sempre più frequenti. Spesso si assiste, infatti, a riconoscimenti pubblici di costruttori e, in pratica, ad un miglioramento dell’organizzazione del cantiere e delle maestranze. Il crollo del sistema carolingio provoca l’arresto di questo processo e l’inizio di un’epoca di crisi dell’architettura che si protrae fino alla metà del X secolo quando si ebbe la formazione dello stile chiamato romanico. Nelle campagne si forma una signoria rurale mentre le città vedono l’ascesa del potere vescovile, bisognoso di un rinnovamento nell’architettura, adeguato alle crescenti ambizioni. Cresce la domanda di nuovi edifici e crescono, di conseguenza, le maestranze; migliorano le tecniche murarie e costruttive e si assiste ad un balzo in avanti in campo edile con la tecnica a grandi conci, di cui ho precedentemente parlato.

In questo quadro di fiorente sviluppo, gli architetti si fanno strada e, attraverso le fonti epigrafiche, abbiamo riconoscimenti pubblici di maestri, soprattutto nell’Italia settentrionale dove raggiungono l’apoteosi con la celebrazione di

macchine sulle quali si appoggiano per l’altezza delle pareti”, Isidoro di Siviglia, Etymologiae, a cura di A. V. Canale, UTET, Torino, 2006, libro XIX, cap. VIII, citato da C. Tosco, 2003, p. 50.

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Buscheto a Pisa e di Lanfranco a Modena. Nei secoli precedenti era pratica comune attribuire il merito di una costruzione al committente e la diffusione delle epigrafi non è sintomo di un cambiamento radicale: si ha, però, l’inizio di una dialettica tra architetto e committente che prosegue nel passaggio dal romanico al gotico, senza che l’uno prevalga definitivamente sull’altro30.

A partire dalla metà del XII secolo, i nomi dei maestri attivi sul cantiere si diffondono in tutta Europa e specchio di questa nuova tendenza è la presenza di lastre tombali monumentali riservate ai maestri più noti.

A partire dal Duecento, l’architetto, come progettista e direttore dei lavori, è al vertice dell’organizzazione dei lavoratori di un cantiere, figura dotata di specifiche qualità tecniche, in grado di seguire tutte le fasi della produzione edilizia. Dal XIII secolo alcune notizie ci informano dell’architetto visto “portare guanti, e accontentarsi di dare gli ordini”. L’architetto passa ora il suo tempo non più su ponteggi e impalcature con i muratori ma nel suo studio di lavoro. Là elabora i suoi progetti tracciando facciate e piani su dei pezzi di pergamena. L’architettura gotica vede inoltre la nascita dello statuto moderno dell’architetto anche se in alcuni documenti del XIII secolo l’architetto è ancora considerato come l’operaio muratore principale: principalis artifex. Egli infatti sa usare anche lo scalpello e il regolo del misuratore, come tagliatore di pietre sa all’occasione progettare dei piani. Realizzare una cattedrale medievale implicava notevole abilità dirigenziale, competenza tecnica e talento grafico nella progettazione.

Circa le conoscenze teoriche degli architetti medievali si è sviluppato un lungo dibattito reso incerto dalla scarsità di fonti, ma appare chiaro che la disciplina scientifica più praticata doveva essere la geometria.

Anche la teologia, la filosofia e la musica assumevano un ruolo importante, nel

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quadro generale di sistemazione dei saperi basato sulle arti liberali. Sembra possibile individuare la formazione di una nuova figura di architetto teorico, diversa dal tradizionale committente ideatore e dal maestro formato sul cantiere. I documenti presentano talvolta l’immagine di un Theoricus architectus attivo in diversi campi del sapere, dove l’architettura costituisce solo un aspetto della sua formazione.

Ruolo ed evoluzione del disegno

Il passaggio dall’architettura romanica a quella gotica avviene attraverso il mezzo del disegno, necessario per la realizzazione di un oggetto architettonico complesso e articolato come le cattedrali, resa bidimensionale dell’idea nella mente del progettista.

Per tutto il corso del XII secolo i metodi di progettazione rimasero molto semplici: la pianta veniva tracciata in scala 1:1, direttamente sul terreno o in forma di incisione su muri lisci o pavimenti, ed erano diffusi i metodi della quadratura e della triangolazione, con la quale si stabilivano i livelli principali dell’alzato. I particolari e i dettagli erano decisi in corso d’opera e i progetti cartacei erano ancora molto rari. La figura dell’architetto risultava fondamentale sul campo proprio perché l’idea finale dell’edificio era tutta nella sua mente. A partire dal 1200 e con il progressivo diffondersi della prefabbricazione di elementi architettonici profilati, era necessario possedere, prima dell’inizio dei lavori, di un progetto, per comodità in scala, il cui primo esempio è il progetto A di Strasburgo, risalente al 1250 circa. Sono conosciuti, per quegli stessi anni, anche altri disegni, come i cosiddetti “palinsesti di Reims”31 ma in casi simili è ancora difficile distinguere se si trattasse di un progetto vero e proprio o di disegni da esposizione da presentare al committente o ad un pubblico che

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doveva essere, opportunamente, invitato e stimolato ad elargire donazioni.

La creazione di un disegno in scala che fungesse da progetto per un edificio non ancora realizzato sposta, man mano, la posizione dell’architetto dal cantiere ad un ufficio specifico; la sua presenza non è più fondamentale sul campo di lavoro ed è proprio per questo che prende sempre più piede la figura dell’intermediario, ossia il parlier.

Secondo Robert Branner, Robert de Luzarches, primo architetto della cattedrale di Amiens, sarebbe stato il primo ad utilizzare concretamente il disegno in scala ridotta in un cantiere architettonico nel 1220.32

Dal punto di vista dei documenti, non abbiamo, per il XIII secolo, alcuna notizia dell’uso di questi disegni. Solo una glossa nel Dictionnarius di Jean de Garlande affianca al verbo Architectari (costruire) al verbo Pourtrere (disegnare); allo stesso tempo, però, definisce ancora l’architetto come magister carpantatorius, un maestro carpentiere.33

È nei testi di San Tommaso e di Nicolas de Biard, contemporanei ai disegni di Reims e Strasburgo, che si ha la conferma di un cambiamento di ruolo per l’architetto34. L’architettura è stata elevata al ruolo di ars liberalis, un’arte degna degli uomini liberi, perché l’architetto possiede delle conoscenze che vanno al di là della pratica. E questo sapere è costituito proprio dalle tecniche del disegno, dalla capacità, quindi, di dare forma alle idee. Grazie all’archiviazione delle intenzioni progettuali, ogni architetto aveva la possibilità di seguire più cantieri, anche molto distanti fra loro e le opere potevano essere portate a compimento dopo la morte dell’architetto stesso, rimanendo comunque fedeli alle intenzioni originarie.

Iniziava l’ascesa sociale della figura dell’architetto che aveva diritto a titoli e cariche onorarie, ad uno stipendio superiore rispetto agli altri lavoratori e alla

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Branner, 1958, citato da Chiavelli Renzo, Tecniche costruttive murarie medievali. La Tuscia, 2006, p.88. 33

Recht, 2001, p.45. 34

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possibilità di ottenere una sepoltura privilegiata.

L’architettura di conseguenza si avvia a diventare un’arte autonoma, distaccata dal lavoro pratico del cantiere e dalle sue condizioni.

Siamo nella seconda metà del XIII secolo: la maggior parte delle grandi costruzioni sono state portate a termine o sono molto avanzate; per i nuovi progetti non c’è più quella disponibilità di capitali come vi era stata in precedenza e siamo di fronte a un periodo di forti ridimensionamenti nei cantieri e, in alcuni casi, di vera e propria stagnazione. “Meno si potrà costruire, più si vorrà disegnare”35.

Lontano dal cantiere, l’architetto si specializzerà sempre di più nel campo della progettazione, migliorando i metodi di rappresentazione e comunicando le proprie conoscenze agli apprendisti proprio per mezzo del disegno.

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6. Gli strumenti del mestiere Gli strumenti di lavorazione

La varietà degli strumenti, presenti all’interno di un cantiere, è molto ampia e dipende dalla diversificazione delle professionalità nell’ambito della lavorazione della pietra.

Nelle raffigurazioni medievali, alcuni di questi strumenti sono privilegiati poiché la loro presenza individuava chiaramente le figure professionali presenti sul cantiere: la piccozza per i lapicidi, lo scalpello per gli scultori e l’ascia per i carpentieri.

Nella realtà dei fatti, la gamma degli utensili, a disposizione dei lavoratori, era, decisamente, più vasta. Si possono individuare due categorie principali: gli strumenti a percussione e quelli ad abrasione. Questi ultimi sono i più antichi, mentre gli strumenti a percussione sono, di gran lunga, quelli più numerosi36.

Gli strumenti a percussione sono costituiti, principalmente, dalla combinazione di martello e strumento o di ascia, caratterizzati dalla presenza di un bordo da taglio. L’ascia lavora in modo simile allo scalpello, quando questo viene tenuto in modo perpendicolare rispetto alla superficie della pietra.

I martelli hanno molte forme. Solitamente hanno il manico di legno e la testa metallica; sono molto diffusi, tuttavia, i martelli completamente lignei, chiamati mazzuoli. Questi sono grandi e rotondi, con il manico lungo il necessario per essere impugnato e la testa costituita da un barilotto.

Gli strumenti da taglio vengono utilizzati in tutte le fasi della lavorazione della pietra, dall’iniziale sbozzatura alla rifinitura. Sono costituiti da tre parti:

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yla testa, ossia il capo dello strumento, percosso dal martello; yl’asta, il corpo dello strumento con l’impugnatura;

yil bordo da taglio, la parte che va a lavorare direttamente sulla pietra, collocata al lato opposto rispetto alla testa.

La forma di ogni strumento viene definita dal fabbro, a seconda della richiesta. Le origini risalgono a 2500 anni fa, quando venivano forgiati in acciaio, in Europa e nel vicino Oriente ed è interessante notare come, nel passare del tempo, alcuni bordi di taglio si siano mantenuti invariati, determinando, così, delle tipologie fondamentali. Esaminiamo quelli che, grazie a fonti scritte ed iconografiche, sappiamo essere diffusi in un cantiere medievale.

Il cuneo è uno strumento, in legno o in metallo, dotato di una cima quadrata e lati a forma di V. Il suo compito è quello di spaccare la pietra: con un martello si inserisce il cuneo all’interno di un taglio rettangolare, precedentemente fatto nella pietra e bagnato; a seguito della dilatazione, la pietra di separa.

Con l’utilizzo del cuneo era possibile ottenere grandi blocchi, con un margine di errore accettabile, e ciò ha reso questa tecnica la più usata nel campo dell’estrazione.

I trapani sono anch’essi usati per l’estrazione, congiuntamente ai cunei. La loro funzione è quella di forare la pietra, provocando un buco che mantiene lo stesso diametro per tutta la profondità della pietra. Durante il Medioevo fu inventato e si diffuse il cosiddetto trapano ad asta:

[…] è uno strumento d’acciaio a forma di scalpello con un bordo da taglio arrotondato o a forma di V inserito in un’asta di metallo o di legno. L’asta passa nel centro di un peso piatto e rotondo fissato al centro di una cinghia di cuoio o di una corda. I capi di questa corda vengono attaccati alle due estremità di un bastoncino di legno forato

nel centro della traversa. Questo foro consente che il bastoncino, dentro il cui buco passa l’asta, si muova liberamente su e giù dal peso

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fino al capo dove è attaccata la cinghia.37

Questo tipo di strumento permetteva una velocità massima di trapanazione, alto controllo direzionale e la necessità di una pressione non eccessiva: perfetto per un lavoro delicato e poco profondo.

Cavallo di battaglia nella lavorazione della pietra era, senz’altro, la subbia, uno strumento a mano costituito da un’asta e da un bordo da taglio consistente in una semplice punta di forma piramidale.

La maggior parte del materiale lapideo, nello scolpire una statua, viene tolto con la subbia, utilizzata anche per la lavorazione, dal primo abbozzo fino al raggiungimento di 1-3 cm dalla superficie finale. A seconda della durezza del materiale, viene utilizzata con angolazione variabile; con angolo a 45° il lapicida realizzava capitelli ed elementi decorativi.

Una variazione della subbia è costituita dal piccone da cava: ha le dimensione di una mazza e viene usato con tutte e due le mani; la testa possiede una punta ad ogni estremità ed è usato per sgrossare le pietre più tenere.

Anche la gradina è simile alla subbia: si tratta di uno strumento a mano, la cui testa presenta un bordo da taglio dentellato e affilato. Il suo compito è quello di creare delle superfici chiare, mentre la subbia lascia sulla pietra i segni della picchiettatura. Viene, anch’essa, usata con diverse angolazioni, dai 35° ai 60°. La bocciarda, invece, è una sorta di martello dalla testa quadrata. Il suo bordo da taglio è modellato a reticolo: lascia una superficie segnata ma uniforme e piatta, con tacche tutte alla stessa profondità.

Il più comune tra gli strumenti da taglio è, senza dubbio, lo scalpello, simile a gradina e subbia ma con un diametro d’asta minore e il bordo da taglio costituito da una semplice superficie affilata, perpendicolare all’asta. Un

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accorgimento, molto diffuso tra gli scultori, era quello di arrotondare gli angoli, in modo che questi non intaccassero la pietra durante la realizzazione di un dettaglio.

La sgorbia è uno strumento usato per la lavorazione di pietre tenere e per il legno. Invece di essere curvata nel profilo del bordo da taglio, lo è in sezione. In questo modo, quando lavora sulla pietra, taglia via una superficie leggermente ricurva. Questo comporta una particolare delicatezza del bordo da taglio, molto soggetto, quindi, a rompersi e, di conseguenza, risulta essere uno strumento adatto per essere utilizzato solo con martelli morbidi o mazzuoli di legno.

L’unghietto, infine, è uno strumento a mano, di diametro normale, con un ispessimento dell’asta dietro il bordo da taglio, un espediente che lo rende forte abbastanza da essere colpito molto duramente. Viene usato, soprattutto, per la realizzazione di scanalature e decorazioni intagliate con profondi sottosquadri. È possibile osservare un esemplare di unghietto in mano del Magister Ursus, nell’altare di Ferentillo.

Gli strumenti abrasivi sono quegli utensili in grado di modellare o tagliare la pietra sfregando via il materiale. La tecnica di utilizzo è molto antica e nacque presso le più avanzate civiltà del mediterraneo (cicladica ed egiziana) presso cui si verificò un minore sviluppo delle attività metallurgiche.

A seconda della loro funzione, possiamo individuare strumenti ad abrasione deputati al taglio, ossia le seghe, alla modellazione, cioè lime, raspe e raschietti, alla levigazione e alla lucidatura, le pietre abrasive.

Le seghe da pietra hanno varie dimensioni e tipologie. Sono caratterizzate, comunque, da una sottile lama metallica, dentellata solo nel caso di seghe per pietre molto tenere. Negli altri casi, si utilizzano degli abrasivi, generalmente sabbia mischiata ad acqua. A seconda della grandezza abbiamo, poi, seghe

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manovrabili da una persona sola oppure da due persone, tipo che risulta il più diffuso in assoluto. Il loro scopo principale era quello di tagliare lastre sottili da utilizzare per il rivestimento di interni, piastrelle e pezzi per intarsi e mosaici.

Le lime, piatte, rotonde o semirotonde, vengono utilizzate su superfici piatte o a curve molto ampie e sono considerate strumenti da scalpellino e da squadratore. La loro filettatura, che può essere “da lima”, ossia costituita da una serie di linee parallele in rilievo su tutta la superficie dello strumento, o “da raspa”, cioè costituita da piccoli arpioncini, permette di ottenere angoli affilati e puliti.

La raspa, invece, è costituita da un manico di legno alle cui estremità sono collocate due parti di metallo, forgiate in varie forme, ricoperte da piccoli arpioncini. Grazie alla varietà di tipologie, la raspa è lo strumento adatto per lavorare su modelli di diversi dimensioni e per penetrare spazi anche molto stretti. Si tratta, comunque, di un utensile adatto, soprattutto, alla lavorazione del marmo, sia per la rifinitura, sia per una prima levigatura.

Il raschietto è, molto semplicemente, uno scalpello o una gradina utilizzati come strumenti per raschiare le superfici invece che come strumenti da taglio, percossi da un martello. Viene utilizzato per la fine sagomatura e la prima levigatura.

Gli abrasivi, infine, possono essere di vario tipo. Le forme più antiche sono le pietre naturalmente abrasive, come lo smeriglio, le arenarie e la pomice. Anche la sabbia è da sempre stata utilizzata per segare e levigare.

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