• Non ci sono risultati.

1° Anno accademico Corso dottorato: 2015/2016 Relazione sull’attività svolta nel triennio 2015/2018

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1° Anno accademico Corso dottorato: 2015/2016 Relazione sull’attività svolta nel triennio 2015/2018"

Copied!
71
0
0

Testo completo

(1)

1

Corso di dottorato in Scienze Giuridiche

Giustizia costituzionale e tutela dei diritti fondamentali

Università degli Studi di Pisa

Relazione sull’attività svolta nel triennio 2015/2018

Indicazioni “anagrafiche” del dottorando:

Nome e cognome: Stefano Magnani Matricola: 541022

Tutor: Prof. Francesco Dal Canto

1° Anno accademico Corso dottorato: 2015/2016

1. Indicazione sintetica dell’attività svolto nel corso dell’anno.

Indicazioni generali.

La parte preponderante dei momenti di studio e di ricerca è stata dedicata alla partecipazione ai seminari.

Lo studio è stato impostato anche in vista della preparazione di pubblicazioni; per lo sviluppo ed elaborazione della tesi di dottorato; per interventi a convegni e seminari; per la collaborazione con i docenti e per il supporto alle iniziative organizzate dal dottorato.

Criteri generali e metodologia adottata.

Durante il primo anno del corso (2015/2016) ho assistito a tutti gli incontri organizzati dall’Ateneo (seminari, convegni, giri di tavolo, ecc.) a partire da quelli fissati nei giorni 14 e 15

dicembre 2015, prime date utili per partecipare al corso di dottorato a seguito

dell’ammissione ed immatricolazione come soprannumerario avvenute il 25 novembre 2015. La frequenza degli incontri di dottorato è stata caratterizzata dalla partecipazione attiva sui temi oggetto di discussione nel corso dei quali sono sempre intervenuto ponendo domande volte ad approfondire i temi di volta in volta trattati e a stimolare il dibattito.

I primi incontri si sono rivelati particolarmente importanti poiché mi hanno consentito di comprendere gli aspetti più significativi sulla base dei quali impostare i criteri generali e la metodologia da adottare durante il percorso di studi e per l’attività di ricerca.

Sinteticamente, le coordinate generali di riferimento a cui ci si è ispirati sono le seguenti:

A - Preparazione agli incontri: nel periodo antecedente agli incontri ho raccolto le fonti più

(2)

2

Si è così preso spunto dall’opera dei docenti, dalla bibliografia esistente e dalla consultazione della giurisprudenza costituzionale, ordinaria, nazionale o sovranazionale di riferimento. Per alcune tematiche mi sono avvalso della lettura di testi di filosofia e di linguistica, funzionali ad una migliore comprensione dell’argomento che sarebbe stato trattato. Costante è la lettura di quotidiani e riviste, essenziale per la trattazione e l’approfondimento di tematiche di diritto costituzionale.

B - Partecipazione attiva agli stessi: Sulla base della documentazione così acquisita, ho

assistito agli incontri in modo “attivo”, ossia prestando attenzione non solo all’approfondimento

“tecnico” degli argomenti; ma, altresì, al taglio che il docente ha inteso dare al suo intervento e

alle reazioni che esso ha ingenerato nel gruppo di dottorato. Sono stati così raccolti gli spunti più significativi degli incontri.

Altro aspetto importante è stato quello di verificare se la pregressa attività di ricerca del materiale e di studio fossero state funzionali alla migliore comprensione dell’argomento affrontato.

C - Follow-up: relazione di sintesi nell’imminenza della conclusione degli incontri.

Ho ripreso i temi trattati con una relazione di sintesi in cui ho riportato i passaggi più significativi del dibattito e le impressioni che si sono avute, quegli aspetti che potrebbero suggerire un ulteriore approfondimento e i consigli dei docenti.

2. Attività di studio e ricerca.

L’attività di studio e di ricerca è stata di tipo individuale.

Di seguito si espongono i temi e i profili di studio con gli relativi approdi a cui si è giunti.

Lunedì 14 dicembre 2015, Seminario.

Per la sezione I ritorni, ho partecipato all’incontro con il Prof. G. Conti dell’Università di Pisa, avente ad oggetto La crisi della Corte costituzionale nella elezione dei suoi giudici.

La tematica trattata è stata molto interessante - in quel momento particolarmente sentita - attesa la mancata elezione di alcuni giudici della Corte costituzionale che ormai si protraeva da tempo.

Dopo una breve introduzione ad opera del Prof. G. Famiglietti, il Prof. Conti ha descritto il percorso della Corte costituzionale in questi sessant’anni di attività proponendone una riflessione con particolare riferimento al tema della composizione e dell’elezione dei suoi componenti.

Sono stati messi in evidenza atti e documenti riguardanti tanto l’elezione di alcuni dei componenti più illustri della Corte quanto l’esposizione di dati statistici utili a far comprenderne il fenomeno delle elezioni dei giudici con riferimento a quelle fasi della vita delle istituzioni in cui l’organo di giustizia costituzionale non era compiutamente rappresentato.

(3)

3

Si sono potute così comprendere le principali dinamiche in gioco anche sul piano politico con riferimento ai quelle fasi concitate della vita della Repubblica in cui l’assenza di uno o più giudici della Corte si è rivelata particolarmente lunga.

Ne è seguito l’esame della normativa in punto di elezione e di composizione dell’organo di giustizia costituzionale, ponendo l’accento sulle disfunzioni che potrebbero aversi qualora a fronte dei giudici ancora da nominare, dovessero assommarsi ulteriori defezioni.

Dai raffronti così operati è stato possibile scorgere la presenza di tensioni indirette e latenti fra i titolari del potere di nomina dei giudici costituzionali.

Si è potuto riscontrare come sovente sia il Parlamento a rimanere colposamente inerte, ostaggio di reciproci veti incrociati fra le maggiori forze politiche con evidenti rischi di delegittimazione dell’organo di giustizia costituzionale, al di là del contingente problema del subentro in alcuni dei posti rimasti vacanti.

Correttamente, a mio avviso, è stato volto lo sguardo al recente passato menzionando i tentativi di modifica del testo costituzionale, senza esito: un’attività politica che si è arenata tra riforme

dirette, indirette e mancate. Sono state proposte possibili soluzioni al tema dello stallo nella

nomina parlamentare dei giudici costituzionali. Tali soluzioni, peraltro, sono note da tempo: si potrebbe così ritornare al controverso istituto della prorogatio dei giudici costituzionali, riesumando l’art. 18 del Reg. Gen. adottato dalla Corte nel 1966 superato dalla Legge Cost. n. 2 del 1967, che ha introdotto il comma 4 dell’art. 135 Cost., ai sensi della cui formulazione vigente

“alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall’esercizio delle funzioni”. Oppure, prevedendo un termine perentorio, accompagnandolo dal potere sostitutivo del

Presidente della Repubblica, in modo da costringere il Parlamento ad effettuare le nomine di sua competenza onde non vedersi espropriato del proprio potere.

Di lì a qualche giorno dall’incontro sono giunte le tanto agognate nomine, con ciò scongiurando di fatto il rischio di una paralisi istituzionale.

Potrebbe dirsi che… tanto tuonò che … piovve: ma ritengo che l’interesse sull’argomento sia tutt’altro che superato, soprattutto se si considera che il potere di elezione dei giudici (vincolava e) vincola tuttora il funzionamento della Corte costituzionale. Forse è un aspetto che avrebbe dovuto essere maggiormente preso in considerazione in questa fase di volontà politica riformatrice.

Martedì 15 dicembre 2015, Seminario.

Ho partecipato all’incontro sul tema “Immigrazione e diritto alla salute”.

Lo studio e la ricerca sono stati compiuti in forma individuale e funzionali al miglior apprendimento in seminario.

Dopo l’introduzione della Prof.ssa E. Catelani che ha coordinato gli interventi, sono intervenuti il Prof. G. Scaccia e il dott. G. Vosa, Assegnista di ricerca. E’ stata anche l’occasione per la

(4)

4

presentazione del libro di F. Rimoli, Immigrazione e integrazione, Editoriale scientifica, Napoli, 2014.

E’ stata così affrontata una delle tematiche più attuali e sotto alcuni aspetti drammatiche del nostro tempo.

Il riferimento è al delicato tema della tutela delle libertà fondamentali di cui il diritto alla salute ne rappresenta una delle più importanti proiezioni.

Tali prerogative sono state esaminate e sottoposte ad un test di resistenza poiché riferite al rapporto tra cittadini e popolazione straniera non regolare, in ciò ponendo a confronto tali prerogative con altri interessi altrettanto meritevoli di tutela costituzionale quali, da un lato, l’ordine e della sicurezza pubblica; e, dall’altro, la sostenibilità finanziaria delle misure approntate dallo Stato sociale.

Il Prof. G. Scaccia ha trattato l’argomento con dirette implicazioni alla teorica del diritto, al costituzionalismo; e, in generale, alla scienza del diritto e volgendo lo sguardo al sistema di tutela multilivello approntato a livello europeo.

Insomma, ho potuto scorgere uno spaccato dei nostri tempi utile a far emergere tanto le conquiste ottenute degli Stati costituzionali sul piano dei valori fondamentali; quanto, i loro limiti e contraddizioni.

Ed è riguardo a questi ultimi aspetti che mi sono maggiormente interrogato giungendo alle considerazioni che seguono.

Gli ordinamenti di matrice occidentale paiono non essere in grado di fronteggiare efficacemente le crisi di sistema e gli accadimenti epocali che stanno attraversando il nostro tempo. E l’illusione di un’autentica condivisione di problemi sociali sotto l’egida dell’Unione europea, si sta rivelando fallace.

Insomma, l’impressione è di essere al cospetto di un sistema di Stati che definirei “giganti dai

piedi d’argilla”, poiché tanto avanzati e sofisticati nel riconoscimento dei diritti – tanto di

ricomprenderli nelle tavole costituzionali – quanto intrinsecamente deboli sul piano dell’effettività della tutela, incapaci sovente di autolimitarsi nell’offrire un sistema di protezione sociale originariamente pensato come tendente al “tutto” e che invece occorre “relativizzare”.

E il riferimento non è ai soli diritti finanziariamente condizionati, bensì alla necessità di rivedere le regole del gioco. Non si intende ovviamente mettere in discussione valori e principi faticosamente riconosciuti nelle Carte fondamentali; bensì ripensare il modello statale ancorato a vecchi schemi che parevano superati e ai quali, invece, molte comunità nazionali stanno pensando di valorizzare.

Questione, questa, quanto mai di attualità nel contesto attuale in cui il fenomeno dell’immigrazione pare lontano dalla sua composizione a livello europeo.

(5)

5

Gli interventi del dott. G. Vosa, assegnista di ricerca, erano invece riferiti allo specifico tema della disciplina dell’immigrazione.

Con particolare riferimento alle cure essenziali, l’assegnista ha proseguito lungo il solco tracciato dal Prof. G. Scaccia esponendo in modo esaustivo una profonda riflessione che può dirsi

“sistematica” sul tema del diritto alla salute dello straniero irregolare.

Lo scrivente si è appuntato sugli aspetti generali del rapporto tra la pretesa essenzialità di tali prerogative fondamentali e il tema dell’effettività che il sistema multilivello è in grado di offrire ad essi, ponendo l’interrogativo dell’individuazione del possibile punto di rottura. E, in particolare, ponendo ai docenti domande sul ruolo rivestito dalla forma repubblicana nel riconoscimento e nella tutela dei diritti e nell’individuazione ed imposizione dei doveri oltre che il ruolo da essa giocato nel delicato rapporto tra cittadino e straniero e cercando di proporre una giustificazione dogmatica alle tesi propugnate nel tentativo di offrirne una loro sostenibilità anche a livello empirico.

Giovedì 28 gennaio 2015 – Seminario.

Ho partecipato all’incontro El paisaje constitucional en España a comienzos de 2016 (una

riflessione sulla situazione politico-istituzionale in Spagna a seguito delle recenti elezioni nazionali).

Dopo l’introduzione del Prof. P. Passaglia che ha tracciato le coordinate essenziali del contesto politico-istituzionale e costituzionale spagnolo, il Prof. M. Revenga Sanchez dell’Università di Cadiz ha esposto nel dettaglio le dinamiche che contraddistinguono la storia costituzionale del paese iberico.

Tutto ciò si è rivelato utile per comprendere gli scenari politico-sociali che nell’immediato futuro potrebbero verificarsi. La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un laboratorio istituzionale nel quale i costituzionalisti e i politologi si affaticano per comprendere i riflessi che l’inedita situazione politico-istituzionale potrà produrre in punto di governabilità.

E’ dalla fine degli anni ’70 che la Spagna aveva – salvo eccezioni – mantenuto una certa stabilità politica mentre ora pare essersi catapultata in una dimensione in cui la governabilità è seriamente in discussione, al punto che, per alcuni quotidiani iberici, potrebbe essere accostata all’esperienza italiana.

Sono stati così trattati alcuni aspetti peculiari del sistema costituzionale spagnolo utili a comprendere gli attuali rapporti tra le principali forze politiche, impegnate a sostenere differenti questioni ed aspetti della vita sociale del paese come l’indipendenza basca, il problema della governabilità mediante coalizioni, la questione della crisi economica fra loro intimamente intrecciate.

(6)

6

Lo scrivente si è soffermato sul ruolo rivestito dai partiti tradizionali ed emergenti e di quello svolto dai loro leadersper comprendere l’azione politica e l’efficacia della loro strategia.

L’approdo a cui sono giunto è che Podemos ha forse approfittato dell’opportunità aperta dalla crisi trasformando la scena politica spagnola con effetti forse irreversibili, riuscendo così la sinistra – dopo anni – a intavolare una discussione con la maggioranza sociale. E mentre Iglesias trova ostacoli rispetto alla crescita che aveva avuto il suo movimento nei primi mesi, Rajoy alla fine del 2015 auspicava l’ipotesi di un governo di coalizione di difficile composizione anche per l’atteggiamento “ostile” del PSOE di Sanchez che non risponderà all’appello del leader del PP. E ciò, a dimostrazione di una situazione politico-costituzionale ancora oggi tutta da decifrare.

Giovedì 28 gennaio 2015 – Giro di tavolo.

Tra gli incontri a cui ho assistito, quello dedicato alla riforma costituzionale è stato senz’altro il più importante.

Le implicazioni e i riflessi diretti e indiretti che una tale riforma potrà produrre è stato oggetto dell’incontro intitolato considerazioni sulla riforma costituzionale in corso di approvazione.

Dall’introduzione del Prof. R. Romboli e dalle riflessioni del Prof. A. Ruggeri sono state prese le mosse per un dibattito davvero interessante che ha riguardato molteplici aspetti del progetto di riforma costituzionale che, in quel momento, era ancora in discussione (gennaio 2016) e che è stato licenziato qualche mese più tardi. Sulla Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2016 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale approvato da entrambe le Camere, in seconda deliberazione, a maggioranza assoluta dei componenti.

Davvero tanti sono stati gli spunti di riflessione che hanno coinvolto il gruppo di dottorato: in questa sede si possono soltanto lambire ed accennare ai numerosi argomenti trattati, senza pretesa di esaustività.

La mia attenzione si è appuntata criticamente sui “nuovi” procedimenti legislativi (a superamento del bicameralismo paritario) che prevedono l’adozione di leggi monocamerali di differente tipologia a fronte dell’ipotesi (ormai) residuale di leggi bicamerali definite da autorevole dottrina un “autentico ginepraio”.

Così come è difficile scorgere una ratio unitaria nelle ipotesi in cui è prevista l’adozione di leggi bicamerali specie se si considera il ruolo affatto chiaro svolto dal Senato che si appresta ad essere riformato.

Altri temi posti sul tappeto sono stati la riforma della disciplina della decretazione d’urgenza; il delicato tema dei controlli sulla funzione legislativa con particolare riferimento al giudizio preventivo di costituzionalità della Corte sulla legge elettorale; e, in senso contrario, la circostanza che nulla venga detto con riferimento alla delegazione legislativa.

(7)

7

Al netto delle considerazioni critiche sul “pacchetto di riforma” complessivamente inteso, vi è un aspetto sugli altri che maggiormente mi è parso biasimevole e sul quale ho approfondito lo studio e la ricerca.

Esso riguarda il nuovo assetto dei rapporti tra Stato e Regioni introdotto dalla riforma in commento.

La sensazione che ho avuto è che vi sia il tentativo di offrire una risposta affrettata e non adeguatamente meditata a problemi, disfunzioni e inefficienze talmente strutturali da contrassegnare la vita stessa della Repubblica.

Insomma, si è scelto un percorso errato modificando ancora una volta il quadro delle competenze tra Stato e Regioni con l’effetto di depotenziare queste ultime in favore di una rinnovata spinta centralista.

Con ciò, però, ci si illude di recuperare celerità nell’azione del decisore politico e nella gestione della cosa pubblica, lasciando sul tappeto immutate tutta una serie di questioni tutt’altro che ricomposte. Il tema della sorte delle Province è lì a dimostrarlo, così come quello della realizzazione delle aree vaste ancora tutta da scrivere. In proposito, è apparsa corretta e convincente l’affermazione di chi nel corso dell’incontro ha affermato che “un giorno si è deciso

che le Province fossero inutili e inefficienti e ciò è bastato per decretarne la loro soppressione”.

Ma non si creda che abbiano dato cattiva prova del loro operato o, comunque, peggiore rispetto ad altri enti o istituzioni.

Lo Stato, insomma, vede crescere ed ampliare le proprie competenze legislative a scapito dell’autonomia regionale e la modifica dell’art. 117 Cost. porterebbe a quella che è stata definita una “competenza legislativa regionale ottriata”, ovvero gentilmente concessa, da parte dello Stato alle Regioni.

Lo Stato si gioverebbe di una vera e propria clausola di supremazia dall’eliminazione della competenza concorrente. A ciò si aggiunga l’adozione di formulazioni generiche e vaghe che con tutta probabilità richiederanno ripetuti interventi della Corte costituzionale che sarà costretta a rivedere la giurisprudenza consolidatasi negli ultimi anni.

Ampiamente dibattito è stato altresì il tema della legge elettorale (c.d. “Italicum”) specie se riguardata alla stregua della riforma costituzionale.

La risposta del legislatore nazionale all’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 1/2014, intervenuta a emendare la previgente legge elettorale, non è parso affatto convincente.

La sensazione è tutti vorrebbero modificare la legge elettorale ma partendo da posizioni antitetiche, compresi coloro che l’avevano addirittura approvata nel 2015.

Valutazioni politiche che rasentano la convenienza abbandonando le ragioni della vera opportunità politica. Un opportunismo che viene a confuso con la volontà di perseguire la

(8)

8

superiore ragione di Stato; o, meglio, costituzionale e di cui ogni schieramento politico sente l’esigenza di farsene testimone e promotore.

Al di là delle congetture sui possibili esiti del referendum e sulle differenti posizioni espresse anche nel dibattito tuttora in corso, l’incontro di gennaio 2016 è stato utile per aver un approccio da vero “costituzionalista” ad un tema ontologicamente costituzionale che non può prescindere e che anzi presuppone una piena consapevolezza delle dinamiche politico-istituzionali in corso (La

Costituzione spezzata – Università di Pisa agosto 2016).

Venerdì 4 marzo 2016 - Lectio magistralis.

Ho partecipato all’incontro che verteva sul tema Interpretare e argomentare e trattato dal Prof. R. Guastini, con introduzione del Prof. S. Panizza e con l’intervento del Prof. F. Politi.

E’ stata l’occasione per puntellare e consolidare aspetti essenziali riguardo ad un tema centrale nello studio del diritto costituzionale.

Il Prof. Guastini ha dato al tema in argomento un taglio davvero interessante coinvolgendo il gruppo di dottorato su aspetti di elevata tecnicità con continui rimandi vuoi alla teoria del diritto, vuoi alla filosofia e al costituzionalismo.

Le implicazioni esistenti tra interpretare ed argomentare ha reso necessario fornire un quadro teorico delle principali correnti del dibattito filosofico-giuridico contemporaneo a seguito del fenomeno della costituzionalizzazione dei sistemi normativi.

Con riferimento al tema oggetto di questa ricerca, lo scrivente ha avuto modo di approfondire le tematiche trattate nel corso dell’incontro e che in questa sede ci si appresta ad esporre sia pure per sommi capi.

L’approfondimento scientifico è stato compiuto partendo da alcune considerazioni preliminari che riguardano il concetto d’interpretazione.

Nel linguaggio giuridico il vocabolo “interpretazione” è doppiamente ambiguo poiché talvolta con esso ci si riferisce tanto all’attribuzione di significato ad un testo normativo quanto alla qualificazione giuridica di una fattispecie concreta.

Benché siano fra loro logicamente collegate e, in particolare, la seconda tenda a presupporre la prima, rappresentano comunque due attività intellettuali distinte.

Si è differenziata l’interpretazione in “abstracto”, che consiste nell’identificare il contenuto espresso o implicito in un testo normativo senza alcun riferimento alla fattispecie concreta; da quella “in concreto”,che invece consiste nel sussumere una fattispecie concreta nel campo di applicazione di una norma previamente identificata in astratto.

I due tipi di interpretazione riflettono la duplice indeterminatezza del diritto. Essa concerne, da un lato, il sistema giuridico in quanto tale; e, dall’altro, ciascuno dei suoi componenti, ossia ciascuna norma.

(9)

9

L’indeterminatezza del sistema giuridico si riferisce all’equivocità dei testi normativi e al riguardo occorre distinguere fra gli enunciati normativi (disposizioni) e le norme intese come significati: ossia, rispettivamente, il contenitore ed il suo contenuto, di cui il primo è ciò che è oggetto di interpretazione ed il secondo è il risultato dell’operazione ermeneutica prodromica alla sua applicazione, attuazione ovvero esecuzione.

Fra le disposizioni e le norme non vi è però corrispondenza biunivoca giacché i primi possono esprimere una pluralità di norme anche in modo alternativo presentando un contenuto di senso complesso ed esprimendo ovvero implicando una pluralità di norme congiuntamente.

A ciò si aggiunga che ogni sistema giuridico si compone di “norme inespresse” ossia di norme a cui non corrisponde alcun enunciato normativo poiché non sono formulate da alcuna autorità normativa.

Oltre ad una equivocità dei testi ontologicamente riferibile a difetti oggettivi nella loro formulazione, vi anche un’ambiguità che dipende dalla molteplicità dei metodi interpretativi che possono essere impiegati.

Un enunciato normativo può esprimere un significato diverso a seconda che sia sottoposto all’uno o all’altro metodo interpretativo (argomento a contrario o argomento analogico).

Occorre poi considerare che ogni interprete si accosta ai testi normativi provvisto di una serie di presupposizioni “teoriche” che fatalmente condizionano la sua interpretazione. E tali presupposizioni non sono altro che costruzioni dogmatiche elaborate dai giuristi prima dell’interpretazione di qualunque specifico enunciato normativo.

A sua volta, ogni costruzione dogmatica condiziona l’interpretazione, ora suggerendo una decisione interpretativa determinata a preferenza di altre, ora escludendo certe decisioni interpretative altrimenti possibili.

Si è compreso che se le costruzioni dogmatiche sono foriere di norme inespresse, ossia di norme non formulate dalle autorità normative, bensì elaborate dagli interpreti per mezzo di svariati procedimenti argomentativi (pseudo)-logici.

Si è detto altresì che sul piano generale il diritto è intrinsecamente indeterminato, con riferimento al sistema giuridico nel suo complesso, indipendentemente dalla tecnica interpretativa adottata. Vi è, però, come noto, altresì una vaghezza o equivocità che si riferisce ad ogni norma e la sua indeterminatezza discende dalla vaghezza di ogni linguaggio naturale.

In particolare, non sempre è agevole ricondurre una fattispecie nel campo di applicazione di una norma vigente: il riferimento è ai cc. dd. hardcases.

La vaghezza, a differenza dell’equivocità, è una proprietà oggettiva del linguaggio, e non solo di quello giuridico.

La vaghezza non dipende dalle tecniche interpretative o dalla dogmatica e pertanto non può essere soppressa.

(10)

10

Attraverso l’interpretazione in astratto si riduce l’indeterminatezza del sistema giuridico in quanto tale consentendo l’identificazione delle norme in vigore, mentre con quella in concreto si riduce l’indeterminatezza delle norme stesse attraverso l’identificazione dei casi concreti che sono disciplinati da ciascuna norma.

L’ambiguità dell’interpretazione risiede anche negli scopi che essa persegue poiché con tale locuzione talvolta ci si riferisce ad un atto di conoscenza e talaltra ad un atto di decisione, ovvero ancora ad un atto di creazione normativa.

Autorevole dottrina distingue al riguardo fra interpretazione cognitiva, decisoria e creativa. La prima consiste nell’identificare i diversi possibili significati di un testo normativo senza però sceglierne alcuno.

Con la seconda si procede alla scelta di un determinato significato fra quelli identificati. Con la terza, infine, o si attribuisce ad un testo un significato “nuovo” non compreso tra quelli identificabili in sede di interpretazione cognitiva, oppure ricavando norme cc.dd. implicite dallo stesso enunciato normativo attraverso l’impiego di strumenti pseudo-logici.

Sono inespresse quelle norme ricavate da norme espresse rispetto alle quali le prime non sono state formulate da nessuna autorità normativa.

L’interpretazione cognitiva è un’operazione puramente scientifica priva di effetti pratici mentre quelle decisoria e creativa sono operazioni politiche compiute da un organo dell’applicazione.

Va da sé che l’interpretazione creativa non è propriamente un atto d’interpretazione ma un vero e proprio atto di creazione normativa.

Un approfondimento sulla costruzione di norme inespresse appare doveroso. Anzitutto le norme espresse costituiscono la premessa di quelle inespresse.

Cionondimeno, pare opportuno distinguere le norme inespresse: in primo luogo, vi sono quelle costruite per mezzo di ragionamenti logicamente validi ossia deduttivi attraverso l’impiego di norme esplicite.

In altre occasioni, invece, le norme inespresse sono ricavate mediante ragionamenti deduttivi che includono tra le premesse enunciati che non sono norme esplicite bensì enunciati interpretativi non deduttivi e pertanto invalidi da un punto di vista prettamente logico, come nel caso dell’argomento analogico.

Ovvero ancora, attraverso ragionamenti, deduttivi o non deduttivi che includono enunciati che costituiscono costruzioni dogmatiche più o meno arbitrarie dei giuristi (teoria del contratto, teoria del governo parlamentare, ecc.).

Ciò detto, solo le norme inespresse ricavate mediante ragionamenti deduttivi implicanti l’impiego di norme esplicite possono essere considerate norme implicite in senso stretto e cioè come norme “positive” poste dall’autorità normativa, mentre le seconde sono il frutto di un lavoro di interpretazione.

(11)

11

A tacer d’altro, la discussione ha stimolato lo scrivente nell’approfondire tale tematica anche successivamente all’incontro tenutosi in marzo 2016, nel corso del quale ho appuntato

le mie riflessioni soprattutto sul confine che intercorre tra ciò è ancora argomentazione e ciò che può tradursi in interpretazione “creativa” e sulle cause e gli effetti dello scostamento di tale labile confine.

Venerdì 4 marzo 2016 - discussione di scuola.

Il Prof. A. Pertici ha introdotto l’argomento Terrorismi e diritti fondamentali stimolando il dibattito e fornendo uno sguardo d’insieme con puntuali riferimenti alla difficile situazione internazionale in cui si assiste alla crisi del sistema dei diritti minacciata da attacchi che mirano a destabilizzare ciò che più preoccupa le società moderne occidentali: la perdita del regolare svolgersi della vita civile, della propria quotidianità; insomma, l’angoscia di dover convivere con la paura di essere i prossimi bersagli di una furia cieca e sconosciuta.

L’approdo a cui sono giunto nella trattazione di questa tematica può essere sintetizzato nelle considerazioni che seguono.

Il timore di attacchi terroristici (o di un loro imminente e potenziale realizzarsi) pone gli Stati direttamente o indirettamente coinvolti a dover adottare misure restrittive delle libertà fondamentali, al fine di garantire il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, introducendo restrizioni a diritti e libertà così fortemente voluti e a cui non si vorrebbe rinunciare (si pensi alla privacy, ad esempio).

Tutto ciò apre scenari di difficile soluzione e composizione, aprendo riflessioni sui limiti all’adozione di tali misure, alla ricerca di un bilanciamento tra la democrazia - intesa come garanzia delle libertà fondamentali - e stato di emergenza, quale momento di pericolo eccezionale da affrontare in tempi rapidi.

I vari accadimenti occorsi in Francia, Belgio e Germania – per limitare la trattazione del fenomeno entro i confini europei – pongono seri interrogativi alle maggior parte delle democrazie occidentali che potrebbero vedersi costrette a rivedere al ribasso il sistema di tutela dei diritti fondamentali, proprio per la necessità di dare voce a esigenze di tutela della sicurezza pubblica.

Il timore è che il ricorso inizialmente pensato come un accadimento eccezionale ed estemporaneo possa tradursi, nella lotta ormai quotidiana al terrorismo, ad una normalizzazione della politica dell’emergenza, con la conseguenza di dare cittadinanza ad istituti e strumenti nuovi volti a stabilizzare un affievolimento di fatto delle guarentigie che il neo-costituzionalismo aveva valorizzato attraverso il progressivo riconoscimento dei diritti fondamentali ormai indissolubilmente contenuti nelle tavole costituzionali.

Ritengo vi sia un serio problema di tenuta del sistema costituzionale: in particolare, ci si può chiedere se il sistema dei diritti inaugurato all’interno dell’Unione europea dal 2000 in poi sia

(12)

12

veramente sostenibile ovvero se occorra (ri)-dimensionarne la portata accettando uno stato di fatto che gli Stati stessi paiono, del resto, larvatamente accettare: il riferimento è al fenomeno migratorio rispetto al quale gli Stati membri dell’UE paiono andare in ordine sparso e sembrano rifuggire da quanto statuito nelle Carte e nelle Dichiarazioni in cui si declama in modo solenne e alle quali dovrebbero attenersi gli Stati membri.

Questa è una direzione che non appare però risolutiva del tema in oggetto poiché ritengo che il vero problema sia quello del rispetto incondizionato dei limiti posti dalla nostra Costituzione che non tollera che siano superati, quali che siano le esigenze di ordine e sicurezza pubblica di volte in volte declamate.

E’ attraverso un forte richiamo ai principi supremi dell’ordinamento a dover garantire un limite alla restrizione delle libertà. Occorre, quindi, impedire un ritorno al passato, una regressione nel sistema dei diritti che non può essere né auspicato né incoraggiato e che nemmeno il diritto internazionale o sovra-nazionale potrebbe revocare in dubbio, anche al di là del riferimento alla recente sentenza n. 238/2014.

Venerdì 18 marzo 2016 – Mini corso “I sistemi diffusi di giustizia costituzionale”.

L’argomento intitolato La giustizia costituzionale in Canada è stata l’occasione per inaugurare il corso sui sistemi diffusi di giustizia costituzionale per la cui introduzione il Prof. P. Passaglia ha delineato la cornice di riferimento entro cui ricondurre l’intervento della Prof. ssa E. Ceccherini.

Si tratta di un argomento che mi ha dato un forte stimolo non solo nella raccolta preliminare delle fonti e nella loro consultazione; ma, altresì a compiere numerosi interventi durante l’incontro sollecitando a più riprese la Prof.ssa Ceccherini su molteplici aspetti trattati durante l’incontro e riguardanti il sistema costituzionale canadese.

L’interesse al tema di ricerca mi ha altresì portato ad approfondirlo sulla linea di quanto suggerito dal docente sia sotto l’aspetto politico che su quello storico-costituzionale.

Nella fase di follow-up ho avuto modo di affinare l’attività di ricerca e studio che in questa sede intendo rappresentare, indicando altresì gli approdi a cui sono giunto.

Sul piano generale, può dirsi che vi sono Paesi in varie parti del mondo la cui formula giuridica

costituzionale deriva direttamente dal sistema inglese e sono quelli che vennero colonizzati dall’Impero britannico.

Il loro processo di emancipazione si è svolto lentamente attraverso varie tappe e vari atti e bisognerà attendere l’inizio del XX° secolo per vedere riconosciuta alle colonie inglesi – divenute

dominions - la loro indipendenza, sia pure ancora con alcune limitazioni imposte dalla madrepatria

Gran Bretagna. Un processo di autonomia che venne favorito anche dall’istituzione del British

(13)

13

Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, India, Pakistan e Ceylon, cooperanti liberamente nel perseguimento della pace, della libertà, e del progresso.

Il sistema giuridico rimase quello del common law, il quale continua a rappresentare la base fondamentale della stessa realtà complessiva e unitaria del Commonwealth.Le principali derivazioni dirette del sistema inglese sono quelle dei seguenti tre Paesi: Australia, Canada e Nuova Zelanda.

C’è da dire, però, che ognuno di questi Paesi ha assunto nel corso degli anni, e soprattutto recentemente, una serie di caratterizzazioni costituzionali così originali che ne hanno fatto quasi un modello a sé stante e pertanto ormai rappresentano uno sbiadito ricordo del british model.

Il Canada è oggi una democrazia indipendente e uno Stato federale.

La federazione canadese nacque nel 1867 per mezzo di un atto emesso dal Parlamento di Westminster con il quale si ponevano le basi dell’attuale sistema giuridico del Canada: il British

North America Act.

Tale atto diede vita al Dominion of Canada, unificando tre delle colonie del British North

America.

Nel 1982 il Senato e la House of Commons canadesi, con l’appoggio di nove Governi provinciali (e solo il Québec votò contro), presentarono a Westminster la risoluzione comune necessaria per avviare il processo di totale emancipazione dalla madrepatria.

Il Parlamento britannico accolse la risoluzione ed emise il Canada Act: uno statuteche sancì la fine dell’autorità del Regno Unito sul Canada segnando il definitivo affrancamento dalla madrepatria, c.d. Patriation o Repatriement. La costituzione canadese vigente è formata dai seguenti atti: British North America Act emanati dal 1867 al 1982 e poi ribattezzati Constitution

Acts; Constitution Act 1982 (allegato al Canada Act 1982) ed emendamenti intervenuti

successivamente.

La forma di governo è parlamentare ed è derivata da quella inglese.

Il potere esecutivo è esercitato dal Governo sotto la direzione del Primo ministro che, nominato dal Governator General, è convenzionalmente il leader della coalizione di maggioranza.

In Canada vige un sistema di giustizia costituzionale diffuso, così che i giudici di ogni ordine e grado possono operare il sindacato di costituzionalità delle leggi sia provinciali che federali.

Di grande importanza è il ruolo assunto dalla Corte Suprema federale il cui giudizio su una questione costituzionale è insindacabile.

La Corte Suprema (Supreme Court) venne fondata da un atto del Parlamento nazionale del 1875 ma il suo riconoscimento come ultima istanza di giudizio è avvenuto solo nel 1949.

Fino ad allora la Corte Suprema veniva considerata tale soltanto in Canada mentre restava subordinata al JudicialCommittee of Party Council (JCPC) con sede a Londra, quale organo composto da giudici britannici che fanno parte anche della House of Lords, e che non avendo mai

(14)

14

vissuto in Canada venivano considerati garanzia di indipendenza nel giudizio delle questioni canadesi.

La Corte Suprema, fondata con un atto del Parlamento nel 1875, è composta da 9 giudici tre dei quali devono essere necessariamente Québécoises.

Alla Corte Suprema spetta la decisione finale non solo sulle questioni di rilievo costituzionale ma anche su casi particolarmente rilevanti e controversi sia in materia civile che penale.

La Corte Suprema, inoltre, opera come grado di appello per le decisioni delle Corti d’Appello

Provinciali.

La Carta dei diritti e delle libertà (Charter of Right and Freedoms), introdotta con la

ConstitutionAct, 1982, ha trasformato il Canada in uno “Stato Costituzionale”.

La Carta elenca i diritti sociali, politici e civili ritenuti inviolabili e introduce i diritti delle minoranze etniche e linguistiche.

I diritti fondamentali previsti nella Carta sono soggetti alla cd. notwichtstandingclause, in virtù della quale il potere legislativo federale o un Parlamento provinciale possono emanare una legge che violi uno di questi diritti (fatta eccezione per il diritto di eguaglianza, che vieta la discriminazione sulla base del sesso) semplicemente allegando una dichiarazione nella quale si comunica che si ricorrerà a detta clausola specificando quali disposizioni della Carta saranno derogate.

I diritti della Carta possono essere limitati dalla legge solo per motivi ragionevoli, giustificabili in una società libera e democratica.

Una legge che preveda l’utilizzo della notwichtstandingclause può restare in vigore solo per 5 anni ma può essere riconfermata per un periodo di ulteriori 5 anni.

Su questi e su molti altri aspetti del sistema istituzionale canadese ho formulato quesiti e chiesto chiarimenti al docente.

Giovedì 21 aprile 2016 – Mini corso“I sistemi diffusi di giustizia costituzionale”.

Con l’argomento L'impatto del Justice Scalia sulla Corte suprema statunitense e gli scenari

che si sono aperti con la sua morte è proseguito il mini-corso avente per oggetto i modelli diffusi

di giustizia costituzionali che ha visto l’Introduzione ad opera del P. Passaglia e l’Intervento del Prof. G. Romeo.

Similmente a quanto avvenuto per il sistema canadese, ho proceduto a raccogliere fonti e materiale utile per una partecipazione attiva alla giornata di studio nel corso del quale ho compiuto interventi.

In seguito ho proceduto a stilare anche in questo caso una relazione che ho suddiviso in due parti: nella prima ho affrontato gli aspetti fondamentali dell’assetto istituzionale americano, con particolare riferimento al funzionamento del sistema giudiziario e della Corte Suprema.

(15)

15

Nella seconda parte ho invece approfondito l’argomento centrale dell’incontro, ossia i riflessi della scomparsa del giudice Scalia sul sistema giudiziario e sul piano politico.

Sono convinto che per comprendere i possibili scenari che possono aprirsi con la morte di Scalia occorra richiamare le ragioni che lo avevano condotto ben 30 anni prima alla sua elezione alla Corte Suprema ad opera dell’allora Presidente R. Reagan. Nato a Trenton nel 1936 e cresciuto a New York, A. Scalia aveva iniziato la sua carriera legale nell’amministrazione di Richard Nixon. Dopo aver passato buona parte degli anni di Carter a insegnare alla Chicago University, era stato recuperato alla magistratura proprio dal presidente Reagan, prima come giudice di Corte d’Appello, poi alla Corte Suprema.

I tratti che sommariamente ho potuto scorgere sono i seguenti: il giudice italoamericano è stato senz’altro tra gli interpreti più conservatori della Costituzione statunitense.

Anche per questo la sua improvvisa scomparsa apre un dibattito tra chi vuole che il successore venga nominato dal Presidente Obama (anche se è nel suo ultimo anno di mandato) e chi invece preme perché si aspetti il nuovo Presidente.

Chi vincerà il braccio di ferro avrà la possibilità di influenzare il corso della politica e della società USA dei giovane età.

Sposato con nove figli, Scalia fondava il suo rigido conservatorismo sull’educazione cattolica ricevuta in una famiglia italo-americana molto tradizionale. Nonostante rivendicasse poi il carattere di tutto di “buon senso” di molte delle sue decisioni legali, Scalia aveva una forte preparazione legale – Barack Obama, nel suo ricordo, l’ha chiamato “un pensatore” – e soprattutto la convinzione che la Costituzione non è “un documento egualitario”, il cui spirito va interpretato, bensì un’opera di cui va difesa la lettera, senza inutili e pericolosi aggiornamenti allo spirito dei tempi

Secondo Emendamento, finanziamento della politica, commercio, aborti, matrimoni gay, ruolo del potere esecutivo; non c’è campo della giurisprudenza e della società USA dove A. Scalia non abbia fatto sentire la sua voce.

Scalia era celebre per lo stile caustico di molte sue prese di posizioni e sentenze.

In occasione della legalizzazione dei matrimoni gay, Scalia aveva detto che i giudici “hanno preso posizione nella guerra culturale”, e previsto effetti disastrosi anche su altre aree della morale e della sessualità.

Dotato del gusto della battuta tagliente – le argomentazioni dei giudici liberal erano spesso liquidate come “pura salsa di mele” o “imbrogli legali” -, Scalia era un nemico del politically

correct e dell’affirmative action.

Importante è stato il suo ruolo nel 2013, quando la Corte Suprema ha scardinato alcune delle norme chiave del Voting Rights Act, la legge che tutela di diritto di voto dei neri.

(16)

16

E centrale è stata la sua voce nella battaglia all’Obamacare e nella sentenza che dà il via libera ai finanziamenti alla politica da parte delle grandi multinazionali.

Vi sono abbastanza elementi per sostenere che la morte improvvisa di Scalia complicherà non poco i disegni dei repubblicani.

A questo punto l’equilibrio della Corte è di perfetta parità: quattro giudici conservatori e quattro liberal. Spetterà al Presidente nominare il successore di Scalia: un evento non comune a cui Obama intende tenere fede. “Penso di adempiere alla mia responsabilità costituzionale e nominare un

successore nei tempi dovuti”, ha detto Obama, in una dichiarazione di poco successiva alla notizia

della morte di Scalia.

Le sue parole hanno scatenato reazioni furibonde dei repubblicani, che vogliono che sia il prossimo presidente a riempire il posto lasciato vacante.

Probabile che a questo punto si aprirà un nuovo capitolo nello scontro tra Casa Bianca e Congresso. Se infatti la nomina di un giudice spetta al presidente, il Senato deve ratificare la scelta. Chi vincerà il braccio di ferro, avrà anche la possibilità di influenzare il corso della politica e della società USA dei prossimi anni.

Giovedì 21 aprile 2016 – Giro di tavolo.

L’oggetto dell’incontro è stato il commento alla sentenza n. 236 del 2015, il c.d. caso De

magistris. All’introduzione della Prof.ssa E. Malfatti è seguita una discussione che ha toccato vari

aspetti della vicenda; e, soprattutto, ha rappresentato lo spunto per riflessioni di più ampio respiro. La Corte costituzionale, come noto, ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, c. 1°, lett. a), decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235. 235 (Testo

unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), in relazione all’art. 10, c. 1°, lett. c), del medesimo decreto legislativo.

I parametri invocati erano gli artt. 2, 4, c. 2°, 51, c. 1°, e 97, c. 2°, Cost.

Gli aspetti di rilievo che ho potuto cogliere dalla ricerca effettuata, dall’incontro sul tema e da un successivo approfondimento sono i seguenti:

a) l’eccezione di inammissibilità – ritenuta infondata dalla Corte - avente ad oggetto

il difetto di giurisdizione del TAR rimettente.

Le ragioni dell’infondatezza si appuntano anzitutto sul principio di autonomia del giudizio costituzionale rispetto al difetto di giurisdizione accertato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ma successivamente alla rimessione della questione al giudice delle leggi.Si ritiene che il difetto di giurisdizione possa essere rilevato solo nei casi in cui tale difetto appaia macroscopico; ma ciò è escluso, attesala non implausibilità delle ragioni esposte dal giudice a

(17)

17

quo nell’ordinanza di rimessione. E, altresì, non è apparso decisivo ai fini dell’accoglimento

dell’eccezione di inammissibilità né che si sia avuta la prosecuzione del giudizio principale presso il giudice ordinario successivamente alla pronuncia sul regolamento di giurisdizione; né, la circostanza che lo stesso giudice ordinario abbia reiterato la misura cautelare (in precedenza disposta dal TAR rimettente) dopo essersi su di essa pronunciato, proprio in attesa della decisione della questione di costituzionalità;

b) riguarda le ragioni dell’infondatezza della questione che si appuntano sulla natura

non sanzionatoria della misura della sospensione dalla carica prevista dalla disposizione censurata. Quanto alla sua natura giuridica, la Corte costituzionale ricorda che già in passato, a fronte di analoghe previsioni, la giurisprudenza tanto costituzionale che di legittimità avevano escluso la natura sanzionatoria delle misure che precludevano il mantenimento di determinate cariche pubbliche derivanti da condanne penali, ritenendole “conseguenze del

venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate o per il loro mantenimento”;

c) valutazioni discrezionale del legislatore reputate dalla Corte non irragionevoli sul

piano del bilanciamento;

d) questioni di diritto intertemporale.

Gli approdi a cui sono giunto sugli aspetti così frettolosamente descritti fra i tanti che sono stati affrontati nel corso dell’incontro sono i seguenti: in primo luogo, la pronuncia in commento si segnala non tanto per gli argomenti esposti allo scopo di escludere l’incostituzionalità della disposizione censurata; quanto, per quelli non utilizzati ma che nelle premesse argomentative apparivano evocati.

Con riferimento alla natura giuridica della sospensione, ad esempio, la Corte costituzionale, coerentemente con quanto aveva in precedenza sostenuto, poteva reputare sufficiente riferirsi alla circostanza che la misura della sospensione non presenti carattere sanzionatorio.

Invece - probabilmente perché poco convinta della forza di tale qualificazione - con riferimento alla presunzione di non colpevolezza muta prospettiva e prende in considerazione la compressione del diritto soggettivo di elettorato passivo facendo espresso riferimento al bilanciamento fra questo e le esigenze di evitare l’inquinamento dell’amministrazione. In questo modo, lo scopo della salvezza della disposizione censurata può dirsi raggiunto invocando la tutela della credibilità dell’amministrazione presso i cittadini alla stregua di un bilanciamento che troverebbe la sua giustificazione nel carattere cautelare della misura sospensiva.

Sarebbe interessante anche soffermarsi sulle valutazioni discrezionali operate dal legislatore e

ritenute dalla Corte non irragionevoli alla stregua di una articolata argomentazione che pone a

confronto situazioni aventi differente gravità in cui ognuna postula un delicato bilanciamento fra i valori costituzionali coinvolti. Si ritiene che la misura introdotta sia da reputarsi espressione di

(18)

18

una discrezionalità che non supera i confini di un ragionevole bilanciamento degli interessi

costituzionali in gioco giacché, rispetto alla decadenza, a tale misura sospensiva non può essergli

assegnato un giudizio di indegnità morale.

Essa, invero, risponderebbe a quelle che la Corte definisce “esigenze proprie della funzione

amministrativa e della pubblica amministrazione”.

Non poche perplessità a mio avviso si addensano sulla citata misura cautelare, se valutata alla stregua dei presupposti che ne dovrebbero legittimare l’adozione, con particolare riferimento al

periculum in mora, ossia il rischio del verificarsi di un danno irreparabile prima dell’accertamento

definitivo. E’ una misura che non potrà prestarsi ad applicazioni automatiche ma la rigidità della previsione censurata mal si concilia con il carattere cautelare della sospensione potendo quest’ultima risultare, a seconda delle circostanze, di durata eccessiva o al contrario insufficiente rispetto all’interesse pubblico che si intende tutelare.

Logico corollario a quanto detto, è che la sospensione con finalità ritenute cautelari attesa la sua natura asseritamente non sanzionatoria finisca per mascherare un’anticipazione dell’effetto che dovrebbe scaturire dall’accertamento definitivo della responsabilità penale del soggetto. Insomma, le maggiori perplessità risiedono nell’automatismo sanzionatorio che la Corte costituzionale pare non aver adeguatamente approfondito ma disvela un punto critico della compatibilità costituzionale della disposizione censurata anche in punto di proporzionalità e ragionevolezza della pena alla stregua della giurisprudenza costituzionale soprattutto se e nella misura in cui la comminatoria della misura sospensiva non incontra il vaglio giurisdizionale che attesti la rispondenza della reazione prevista dall’ordinamento rispetto al caso concreto.

Da segnalare, quale ultimo spunto di riflessione, i profili di diritto intertemporale. La Corte respinge anche le censure relative all’applicazione retroattiva della norma ai mandati in corso. Si ritiene che l’applicazione della nuova causa di sospensione ai mandati in corso non produca un sacrificio eccessivo del diritto di elettorato passivo.

E viene così disattesa la tesi della “costituzionalizzazione” del principio di irretroattività in tutti i casi in cui la Costituzione ponga una riserva di legge per la disciplina di diritti inviolabili. Il nucleo irrinunciabile e irriducibile del principio di irretroattività viene rinvenuto dalla Corte costituzionale entro l’ambito di applicazione dell’art. 25, c. 2°, Cost. asserendo che, al di fuori di tale perimetro, “le leggi possono retroagire, rispettando una serie di limiti che questa Corte ha

da tempo individuato …”.

Il riferimento è ai fondamentali valori di civiltà giuridica, compresi il rispetto del principio

generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei

soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto … ma la Corte costituzionale, nel caso di specie, reputa che le ragioni evidenziate non hanno acclarato un sacrificio eccessivo del diritto di elettorato passivo nemmeno sul piano dell’applicazione retroattiva ai mandati in corso.

(19)

19 Venerdì 22 aprile 2016 – Giro di tavolo

L’incontro verteva su un altro argomento davvero interessante e copiosamente dibattuto: La

sentenza n. 49 del 2015.

Il Prof. G. Martinico ha commentato la pronuncia della Corte costituzionale volgendo lo sguardo nel tempo e nello spazio. Un taglio originale nel quale ho potuto riscontrare non solo una valutazione critica a quanti inizialmente si erano appuntati frettolosamente contro la pronuncia in commento; ma altresì, riscoprendo tratti inediti che solo lasciandone “sedimentare” gli effetti - nel medio-lungo periodo - sarebbe stato possibile cogliere.

Aver coinvolto nella disamina in discorso anche l’operato di altre Corte (supreme) nazionali, particolarmente “gelose” della propria sfera di giurisdizione rispetto all’incalzante avanzare delle Corti sovra-nazionali (Corte EDU, in particolare), mi ha portato ad approfondire ulteriormente la materia trattata che si presenta in continua evoluzione.

Una pronuncia, insomma, da leggere “in contesto”, tra continuità e discontinuità con la precedente giurisprudenza della Corte costituzionale sulla CEDU, in cui le tematiche del conflitto e del (a volte “abusata” locuzione) dialogo appaiono come concetti che non si escludono a priori. La discussione si è soffermata sulla natura dei conflitti dovuti alle cc.dd. “disobbedienze

funzionali”; all’interpretazione del dato normativo interno che non avviene solo alla luce del testo

costituzionale nazionale bensì facendo espresso riferimento anche agli strumenti di diritto internazionale; alla distinzione fra interpretazione e argomentazione funzionali anche per una

migliore interpretazione possibile del testo delle Convenzioni; e, infine, trattando altresì dei

fenomeni di c.d. “dialogo” tra Corti: si pensi agli scambi di argomenti fra soggetti dotati di pari dignità ed accettati dai rispettivi interlocutori.

Venerdì 22 aprile 2016 – Seminario.

L’incontro è stata l’occasione per la presentazione del libro La disposizione valida e la norma

vera, F. Angeli Editore, 2015.

All’introduzione del Prof. Romboli è seguito l’intervento dell’autore, Prof. P. Pinna.

Un approccio, quello dell’autore, che promuove la rivisitazione dei paradigmi invalsi nella disciplina pubblicistica offrendo un approfondimento critico delle nozioni teoriche.

E’ possibile in questa sede solo accennare a qualche aspetto trattato durante l’incontro e in seguito approfondito attraverso una ri-lettura del testo.

Si è discusso a più riprese, da un lato, del diritto sapienziale e di quello legislativo: e, dall’altro, della legge invalida, della validità di essa e del concetto di vigenza.

Quanto al primo degli aspetti trattati, si è partiti dal tema della distinzione tra proposizione e norma giuridica in cui la proposizione rappresenta un concetto importante nella dottrina pura di

(20)

20

Kelsen, in cui si descrive il diritto prodotto dall’autorità giuridica; di qui la fondamentale suddivisione tra l’essere e il dover essere normativo. Si sofferma l’autore sulle proposizioni giuridiche che sono formulate dalla scienza giuridica che interpreta i fatti normativamente, ossia nella misura in cui sono il contenuto di norme giuridiche.

Le proposizioni sono insomma affermazioni sull’essere della norma, nel senso che non prescrivono regole di comportamento bensì come è la norma stessa, con ciò rispondendo alla domanda che cosa è il diritto e non come deve essere.

E così giungendo ad affermare che nella distinzione tra proposizione giuridica e norma giuridica trova espressione la differenza tra la funzione della conoscenza del diritto e quella differente dell’autorità.

Si è parlato altresì della proposizione giuridica come descrizione della forma del diritto esistente, della validità del modo di produzione e del diritto prodotto. Per giungere al tema centrale del rapporto tra annullamento, abrogazione e disapplicazione.

In questo caso l’intervento che ho impostato verteva sulla tenuta dogmatica delle argomentazioni esposte con particolare riferimento al fenomeno della reviviscenza delle disposizioni abrogate a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione successiva abrogatrice della prima.

Si è quindi trattato del concetto di validità e di vigenza della norma, delle regole costitutive e di quelle regolative, ecc. Lo stimolo offerto dall’autore è quello di tentare di intraprendere nuovi sentieri di ricerca, impiegando gli strumenti del diritto disponibili, cogliendo la sfida di confutare alcuni postulati come quello citato nell’introduzione: ossia, l’idea che l’incostituzionalità rappresenti l’unico vizio possibile della legge e comunque l’unico previsto dalla Costituzione, senza però che ci si interroghi sul suo fondamento. Tutto ciò rappresenta uno stimolo per quanti vedono nella ricerca e nell’approfondimento nuovi percorsi, inediti e ancora tutti da scoprire. L’autore del libro lo ha fatto proponendo una tesi che ha attraversato tutto il testo: essa si basa su due distinzioni fra loro collegate; ossia che la produzione legislativa – la disposizione – è diversa dall’interpretazione della legge – la norma - e che il giudizio sulla validità è differente da quello sulla verità della seconda. Si propone la separazione della giurisdizione dalla legislazione; insomma tra ciò che è una disposizione (valida) e che è norma (vera).

Giovedì 26 maggio 2016 – Mini corso “I sistemi diffusi di giustizia costituzionale”.

Il tema trattato in questa sessione si intitolava Judicial Committee del Privy Councilintrodotto dal Prof. P. Passaglia, a conclusione del breve corso sui sistemi diffusi di giustizia costituzionale. L’argomento trattato è stata l’occasione per volgere lo sguardo sul sistema giudiziario inglese per poi giungere alla trattazione delJudicial Committee del Privy Council alla luce delle recenti riforme che ne hanno significativamente mutato ruolo, composizione e competenze.

(21)

21

Può sinteticamente dirsi che oggi del Privy council, organo di derivazione medievale fanno parte di diritto diverse categorie di councellors tutti nominati con patente regia e designati in varie forme.

In virtù di convenzioni, vi siedono tutti i cabinet ministers in carica e il leader dell’opposizione di sua maestà; ex officio, alcuni arcivescovi della chiesa d’inghilterra ed esponenti delle alte magistrature.

Per consuetudine ne fanno parte eminenti statisti di paesi aderenti al commonwealth, lo speaker della camera dei comuni, gli ambasciatori britannici all’estero.

Storicamente il Judicial Committee of the Privy Council era istituito quale supremo tribunale d’appello con il Judicial Committee Act 1844 in forza del quale, mediante l'emanazione di propri

Orders in Council, la Corona era legittimata dal Parlamento ad avocare a sé qualsiasi appello

proveniente da Corti di qualsiasi paese che fosse, a titolo di colonia o di possesso, sotto l’autorità del Regno Unito.

Sulla base di questa originaria previsione, il ruolo del Judicial Committee, quale supremo arbitro di controversie sorte all’esterno della Gran Bretagna lo proponeva altresì come garante dell'unità applicativa della common law nei vasti possedimenti del Regno Unito sparsi in tutto il mondo: ciò rivestì una considerevole importanza nella stagione dell’imperialismo, non senza un'ulteriore razionalizzazione con lo Statute of Westminster 1931 che gettava le fondamenta di quello che, di lì a poco, si sarebbe configurato come il Commonwealth britannico.

Nell'ambito di questo sodalizio internazionale il giudizio d'appello del Privy Council sussiste tuttora anche se considerevolmente ridimensionato per via dalla raggiunta autosufficienza dei paesi del Commonwealth le cui Corti erano solite ricorrere in appello al collegio britannico (alcuni appelli trasmessi da corti neozelandesi, canadesi e australiane hanno storicamente formato materia dell’alta giurisdizione del Consiglio Privato, e così dicasi ordinariamente per gli altri possessi del Regno Unito e per le Isole della Manica e di Man, territori insulari – questi ultimi – che in forza di antiche consuetudini sono a vario titolo subordinati alla Corona e non al Parlamento “sovrano” di Westminster). Punto sul quale il docente si è diffusamente soffermato.

Un tempo operante come consulente del sovrano per l’amministrazione degli affari di stato e per l’erogazione di quella porzione di alta giustizia che rientrava nella prerogativa regia, il Privy

council ha perso la massima parte delle funzioni amministrative per il ridimensionamento – se non

dell’eliminazione - del potere personale di governo del re determinata dall’evoluzione della forma monarchica da costituzionale pura a parlamentare e, in seguito, “a primo ministro”, ma conservando alcune funzioni costituzionali residue attraverso le quali si esplica quella Sezione della Royal prerogative che è formalmente svincolata dagli indirizzi dell’esecutivo.

Permane una visibile influenza degli orientamenti politici del Gabinetto con la decretazione degli Orders in Council (atti regi emanati con l'advice del Consiglio) con cui la Corona scioglie e

(22)

22

convoca il Parlamento o ne proroga il mandato; compiendo atti di politica internazionale quali la proclamazione della guerra e la dichiarazione della pace; istituendo nuovi dicasteri governativi o modificandone l’assetto; ovvero ancora regolando lo stato giuridico del Civil service, o pubblico impiego.

Ma la funzione del Privy Council che qui interessa è quella giudiziariaper mezzo di una sua sezione specializzata che opera quale Commissione giudiziaria.

L’odierno Judicial Committee of the Privy Council, collegio istituito con il Judicial Committee

Act 1833, è pertanto una specificazione del Consiglio Privato. La sua composizione è regolata

dall’atto costitutivo del 1833 e da altri adottati nel secondo Novecento, e include il Lord

Chancellor, ovvero il tradizionale esponente di vertice della giustizia del Regno Unito, che

riepiloga in sé i poteri: giudiziario, quale membro di alti collegi giudicanti; esecutivo, in qualità di autorevole membro del Gabinetto con funzioni di ministro della giustizia; nonché, parlamentare, in quanto presidente della Camera dei Pari.

Vi sono poi gli ex detentori di tale carica, ossia i Lords of Appeal in Ordinary - ovvero i giudici che fanno parte della Camera dei Pari e ai quali compete la carica baronale vitalizia, la c.d.

Appellate Commitee); il Lord President of the Council (che non necessariamente è un giudice

togato e che presiede l’intero Privy Council); i Lords Justices of Appeal (sedenti nella Court of

Appeal che è un alto organo giudiziario che, con altre Corti della giurisdizione civile, forma la Supreme Court of Judicature), e diversi giudici superiori provenienti dai paesi del Commonwealth

per i quali il Judicial Commitee opera ancora come corte d’appello. Diretta è pertanto la connessione tra il Privy Council e l'organizzazione giudiziaria di common law.

L’esigenza di una nuova forma di azione giurisdizionale di rango supremo, già invero auspicata all’interno dello stesso sistema giudiziario britannico, trovava però un suo punto di congiunzione con l’ormai insopprimibile questione della tutela dei diritti, alla quale nel 1998 è stato dato corpo con l’Human Right Act che ha accolto nell’ordinamento britannico la CEDU, così aprendo la via verso nuove forme di armonizzazione del tradizionale diritto di Common law rispetto al più ampio scenario dei valori costituzionali europei.

L’esigenza della nascita di una suprema istanza giurisdizionale offriva alla giustizia costituzionale inglese nuove possibilità di espressione.

Si è commentato a lungo sugli effetti della creazione di una Corte Suprema che comunque rappresenta un evento inedito nella storia anglosassone ma comunque riconducibile alla tradizione anglosassone.

Sono davvero tante le considerazioni che si possono trarre: potrebbe essere corretta l’affermazione secondo cui il sistema inglese tra comunque rinvenuto in sé il fondamento di ogni mutamento, compreso quello che può apparire antitetico.

(23)

23

Forse è azzardato dire “tanto rumore per nulla” ma tutto ciò che si sta disvelando appare più un cambio di forma che di sostanza, giacché gli accadimenti del 1998, 2005 e 2009 hanno determinato la creazione di una Corte Suprema che si inserisce all’interno della tradizione britannica in cui il dato più significativo può essere la formale indipendenza del potere giudiziario rispetto al potere legislativo e a quello esecutivo.

Per concludere può dirsi che il Privy Council muta pelle ma nel segno della continuità; e forse, non per forze “centrifughe” operanti dall’esterno bensì ad opera di quelle interne “centripete”, atteso che verosimilmente la riforma ha accolto quelle spinte riformistiche senza spingersi a creare una Corte Suprema che rompa con la tradizione secolare britannica.

Vi è quindi un intervento del legislatore che se è volto a garantire l’indipendenza del potere giudiziario non gli assicura l’autonomia.

Con la stessa metodologia, cura per la ricerca delle fonti ed attività di studio ed approfondimento, lo scrivente ha partecipato assiduamente e con interesse ai restanti incontri dedicati a tematiche di giustizia costituzionale e diritti fondamentali, e precisamente a quelle di seguito riportate:

Venerdì 27 maggio 2016 - Seminario.

La libertà di espressione in azione. Contributo a una teoria costituzionale del discorso pubblico, Intervento di C. Caruso,(Università di Bologna) e introduzione di A. Pertici, (Università

di Pisa)

Venerdì 27 maggio 2016 – Lettura di classici.

La sent. n. 1 del 1956.Sessant’anni dopo. Interviene G. Grasso (Università degli Studi

dell’Insubria).

Introduzione di G. Famiglietti, (Università di Pisa)

Giovedì 30 giugno 2016 - Mini corso.

Accentramento e diffusione del controllo di costituzionalità in Italia con intervento di A.

Vedaschi, (Università Bocconi) e introduzione di P. Passaglia, (Università di Pisa)

Giovedì 30 giugno 2016 – Seminario.

L'ergastolo ostativo a partire dal volume di C. Musumeci, A. Pugiotto. Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell'ergastolo ostativo,Napoli, Editoriale

Scientifica, 2016 con introduzione di A. Pugiotto, (Università di Ferrara) e interventi di A. Gargani, (Università di Pisa) e di P. Passaglia, (Università di Pisa).

(24)

24

Venerdì 1 luglio 2016.

S. Rossi, La salute mentale tra libertà e dignità. Un dialogo costituzionale, Editore F. Angeli, 2015, con intervento dell’autore e con introduzione di L. Azzena, (Università di Pisa).

Si rammenta che l’incontro dedicato alla lettura dei classici Venerdì 1 luglio 2016 e riferita a Ernst Forsthoff, Lo Stato della società industriale, trad. It., (a cura di) A. Mangia, Milano, Giuffrè, 2011 non si è tenuta in quanto rinviata ad altra data.

3. Partecipazione a convegni e seminari:

Lo scrivente ha partecipato a tutti i seminari organizzati dalla scuola di dottorato a partire dal 14 dicembre 2015, prima data utile successiva all’ammissione ed immatricolazione.

Lo scrivente ha pertanto partecipato:

14 - 15 Dicembre 2015: partecipazione a tutti gli incontri, seminari, giri di tavolo organizzati

dalla scuola di dottorato, compresa la discussione delle tesi di dottorato, compresa comprese la discussione delle tesi di dottorato il 14 dicembre 2015;

28 - 29 Gennaio 2016: partecipazione a tutti gli incontri, seminari, giri di tavolo organizzati

dalla scuola di dottorato, compreso quello di inaugurazione e in precedenza non indicato al punto n. 3 (Presente e futuro della tutela dei diritti fondamentali);

3, 4, 17 e 18 marzo 2016: partecipazione a tutti gli incontri, seminari, giri di tavolo organizzati

dalla scuola di dottorato, compresa la tavola rotonda in precedenza non indicata al punto n. 3 (Libertà di espressione e libertà religiosa in tempi di crisi economica e di rischi per la sicurezza) e la discussione della tesi di dottorato il 18 marzo 2016;

21 e 22 aprile 2016: partecipazione a tutti gli incontri, seminari, giri di tavolo organizzati dalla

scuola di dottorato, compresa la tavola rotonda;

26 e 27 maggio 2016: partecipazione a tutti gli incontri, seminari, giri di tavolo organizzati

dalla scuola di dottorato, compresa la tavola rotonda;

29, 30 giugno e 1 luglio 2016: partecipazione a tutti gli incontri, seminari, giri di tavolo

organizzati dalla scuola di dottorato, comprese la discussione delle tesi di dottorato il 29giugno 2016.

Come sopra riportato, l’incontro previsto per il giorno 1 luglio 2016 Lo Stato della società

industriale non si è tenuto in quanto rinviato ad altra data.

Lo scrivente ha altresì partecipato al Convegno nazionale organizzato dall’Associazione

“Gruppo di Pisa” intitolato “Cos’è un diritto fondamentale?” tenutosi presso l’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale nei giorni 10 e 11 giugno 2016.

Riferimenti

Documenti correlati

Per il momento occupiamoci invece delle propriet` a della matrice trasposta, in particolare di alcune interessanti propriet` a rispetto alle operazioni di somma

Si osservi che la matrice A ` e stata trasformata in una matrice triangolare, e, a meno di cambi di segno o costanti, che in questo caso specifico non sussistono in quanto

Le colonne cui appartengono questi elementi forma- no una sotto-matrice triangolare di A di ordine 3 il cui determinante ` e diverso da zero per costruzione (sono stati presi i

L'insegnamento di Microeconomia è un insegnamento fondamentale del secondo anno di tutti i corsi di studio triennali della Scuola di Economia e Management dell'Università di Siena.

EserciziProduzione -- EserciziMonopolio - EserciziFormediMercato EserciziEsternalitaBeniPubbliciNEWWsp.pdf commentoEP8 commentoEP10 commentoEEBP6 (richieste di chiarimento

Dalla statistica storica delle misurazioni, si sa che il 10 % degli autoveicoli supera il limite di velocit` a; inoltre, il meccanismo del misuratore non permette di rilevare pi` u

I rami di un albero (Fig. 1.1), sollecitati dal proprio peso e da quello della neve o del vento, suggeriscono la forma e il comportamento delle mensole, con le loro dimensioni

1) la base imponibile dell’area fabbricabile è determinata considerando il valore venale in comune commercio così come risultante da atto pubblico o perizia giurata e comunque