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1. IL FENOMENO TERREMOTO

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1. IL FENOMENO TERREMOTO

1.1 Imparando dal terremoto

Sin dagli albori della civiltà l’uomo ha preso coscienza del terremoto e ne ha temuto gli effetti; ciò tanto più in quanto quasi tutte le antiche civiltà fiorirono in regioni fortemente sismiche quali la Mesopotamia, la Cina, l’Asia Minore, la Grecia, l’Italia, l’Africa Settentrionale, ecc. Furono innumerevoli attraverso i secoli le credenze e le ipotesi più o meno fantasiose tendenti a interpretare il fenomeno e le sue causa scatenanti. Quasi sempre si riteneva comunque che esso dovesse essere fatalisticamente accettato, in quanto dovuto all’ira di questa o di quell’altra divinità che intendeva punire, attraverso la sua azione distruttrice, l’umanità perversa.

Il sisma è cioè un avvenimento terribile che si associa agli eventi soprannaturali, quasi a sottolinearne l’importanza; nei suoi confronti l’uomo nulla può fare se non subirne le conseguenze.

Ma parallelamente il pensiero filosofico tenta di fornire spiegazioni naturalistiche, alcune che sarebbero poi state smentite dalla moderna scienza sismologica e altre che invece ebbero felice intuizioni, come per esempio Plinio il vecchio (23-79 d.C.), autore della Naturalis Historia, morto durante l’eruzione del Vesuvio, il quale fece molte osservazioni sul terremoto, parlando dei segni premonitori, che si possono individuare nell’irrequietezza di molti animali, nell’alterazione talora osservabile delle acque, nel manifestarsi di lievi tremori del suolo e degli edifici. Era peraltro piuttosto diffusa nel mondo antico la convinzione che, dove la terra ha tremato, tremerà ancora, principio questo che verrà posto alla base della moderna zonizzazione sismica.

Sin dall’antichità più remota si comprese quali fossero gli effetti delle scosse sui manufatti realizzati dall’uomo e quali i danni da esse prodotti; si trassero da queste osservazioni insegnamenti sul modo di costruire città ed edifici onde ridurre i fattori di debolezza per questi ultimi. Alcuni accorgimenti messi in atto in epoche assai remote si richiamavano, pur nella loro rudimentalità, a criteri che sarebbero stati ripresi dalla moderna ingegneria sismica. Tra gli altri quello di isolare l’edificio dal suolo inserendo al di sotto di esso materiali opportuni come la sabbia in strati, atti a fungere da smorzatori o ammortizzatori; oppure si inserivano nella muratura elementi lignei atti a conferirle una certa duttilità.

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Un certo vantaggio ai fini della protezione dai danni veniva inoltre dalla semplicità e regolarità delle forme architettoniche, come l’esempio della Pagoda del tempio di Sung Yueh in Cina, costruita nel 523 d.C., uno dei più antichi edifici in mattoni e sopravvissuto in un’area fortemente sismica.

Fig. 1.1 - Pagoda del tempio di Sung Yueh in Cina e la casa a graticcio di Ercolano.

Pur non essendo note le cause dei movimenti tellurici o essendo queste interpretate erroneamente, furono tuttavia usate nell’antichità degli strumenti che anticiparono i moderni sismografi. Uno dei più antichi modelli di sismoscopio fu la “banderuola dei terremoti”, inventata dal cinese Ciang nel 132 d.C., in cui la caduta delle biglie dalle bocche dei draghi in quelle dei rospi serviva a individuare la direzione di provenienza dell’evento.

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Nei secoli successivi alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente non vi furono progressi né per un’esatta interpretazione della natura e delle cause delle scosse, né in merito ai metodi per limitarne gli effetti sui manufatti.

A partire dalla fine del XV secolo cominciarono ad essere espresse considerazioni interessanti sul piano pratico, quali quelle relative all’opportunità di solidarizzare le travi dei solai coi muri mediante catene. Leonardo da Vinci (1452-1519), in Note d’Arte, così si esprimeva in merito:

“Ogni trave vole passare i sua muri e essere ferma al di là da essi muri con suffiziente catene, perchè spesso si vede per tremoti le travi uscire de’i muri e rovinare poi i muri e solari; dove, se sono incatenati, terranno i muri insieme fermi; e i muri fermano i solari.”

Si deve tuttavia attendere il 1693 con il terremoto che distrusse gran parte dei centri urbani del Val di Noto in Sicilia, tra cui Catania, perché si avessero i primi interventi normativi ai fini di guidare la ricostruzione dei centri distrutti.

Ma un ampio dibattito scientifico e filosofico si ebbe solo a seguito del terremoto che il 1° novembre 1755 distrusse completamente Lisbona, provocando la morte di circa trentamila persone; secondo una diffusa convinzione questa è la data a cui si può far risalire l’origine dell’ingegneria antisismica. Il terremoto fu avvertito in gran parte dell’Europa ed ebbe ampia ripercussione sull’opinione pubblica.

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Sono degli anni immediatamente successivi i primi scritti che trattano degli effetti del sisma sulle costruzioni. Giovanni Vivenzio (nato a Nola nella prima metà del XVIII Secolo) nella sua Istoria e teoria de’ terremoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria, e di Messina del MDCCLXXXIII (Napoli 1783), oltre a una rassegna storica dei sismi più importanti e all’esposizione di alcune presunte cause degli stessi, riporta il primo progetto conosciuto di un edificio antisismico, completo dell’assetto strutturale: trattasi dello schema costruttivo delle cosiddette “case baraccate” che è poi, in definitiva, quello di una struttura intelaiata ante litteram. Si comincia in quegli anni a comprendere come la contiguità fisica degli edifici possa essere negativa ai fini di limitare i danni indotti dalle scosse sismiche, proprio in quanto ciascuna fabbrica, vibrando per le sue caratteristiche costruttive diversamente e autonomamente rispetto alle altre, è portata ad investire quelle contigue. E questo fenomeno è tanto più grave quanto maggiori siano le differenze costruttive tra l’una fabbrica e l’altra. Si osserva inoltre come sia importante la fattezza delle singole costruzioni ai fini di garantirne la resistenza: gli edifici in pietra viva squadrata resistono brillantemente, mentre quelli realizzati mediante ciottoli tenuti insieme con la calce si sfasciano assai più facilmente, pur essendo soggetti a scosse della medesima intensità e orientazione.

Nei giorni 5 e 6 febbraio 1783 si verificò in Italia Meridionale un evento sismico che colpi catastroficamente Messina e molte aree della Calabria, causando circa 30000 vittime. Il sisma fu forse il più violento che abbia colpito l’Italia negli ultimi secoli, producendo gravi effetti geomorfologici.

Di fronte alle dimensioni della tragedia la reazione del Governo borbonico fu immediata e l’evento ebbe quale conseguenza la comparsa di documenti di rilevante interesse ai fini dello sviluppo dell’ingegneria antisismica e che costituiscono pertanto il primo abbozzo di normativa antisismica: Istruzzioni sul metodo da tenersi nella riedificazione dei paesi diruti della Calabria del 1783 e Suggerimenti da servir d’istruzioni nel progetto di riedificazione della Citta di Reggio del 1784. Tali prescrizioni partono da ben precisi presupposti statici e sarebbero state successivamente messe alla base di normative più evolute.

Nel 1841 i Borboni fondarono il primo centro di ricerca sui vulcani e sui terremoti. Si trattò dell’Osservatorio Vesuviano, affidato sin dall’inizio a Luigi Palmieri, illustre studioso che, nel 1855, costruì un originale prototipo di sismografo, ovvero uno strumento moderno per la misurazione delle scosse.

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Il 28 dicembre del 1908, nella zona dello Stretto di Messina, si ebbe l’evento che costituisce forse la più grave sciagura che abbia colpito l’Italia dopo l’unificazione: il terremoto, associato ad un violento maremoto, causò non erroneamente circa 100000 vittime ed ebbe fortissime conseguenze economiche, psicologiche e sociali.

La gravità dell’accaduto e delle sue conseguenze determinò ovviamente la convinzione che si dovessero emanare nuove e più organiche norme in materia di difesa delle costruzioni nei confronti delle scosse, legiferando in maniera più efficace di quanto avvenuto negli ultimi decenni.

Fig. 1.4 - Terremoto di Messina del 1908.

Con R.D. 15.01.1909 furono nominate due Commissioni consultative, di cui una incaricata di studiare nuove norme tecniche e l’altra di indicare le zone più adatte alla ricostruzione degli abitati nelle località colpite dal terremoto. Comparve quindi il R.D. 193 del 18.04.1909 portante norme tecniche e igieniche obbligatorie per le riparazioni, ricostruzioni e nuove costruzioni degli edifici pubblici e privati nei luoghi colpiti dal terremoto del 28 dicembre 1908 e da altri precedenti, elencati nel R.D. 13.04.1909 e ne designa i Comuni.

Questo decreto può essere considerato come la prima vera e propria normativa sismica italiano.

Tutte le norme a partire da questo momento e fino all’entrata in vigore della Legge 02.02.1974 furono principalmente di tipo prescrittivo, in quanto contenenti sopratutto indicazioni progettuali, tra cui la limitazione delle altezze e del numero di piani, in modo da ridurre la vulnerabilità degli edifici. Vi è imposto l’uso di strutture intelaiate, che possono

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essere evitate solo in edifici di modesta entità, e vi si fissano le azioni statiche da prendere in considerazione nei calcoli per simulare convenzionalmente l’azione delle scosse.

Dopo il R.D. 193 del 1909, comparvero in Italia numerosi strumenti legislativi che apportarono ad esso, nel corso degli anni, modifiche e innovazioni, talvolta di rilievo, ma talvolta consistenti semplicemente nell’aggiornamento degli elenchi delle località che via via venivano classificate sismiche.

La legge n. 64 del 02.02.1974, che porta il titolo Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche, è di grande rilievo poiché modifica notevolmente la filosofia antisismica nel nostro Paese. La legge non è riferita solo alle costruzioni ricadenti in zone sismiche ma riguarda le costruzioni in generale, preannunciando disposizioni relative agli edifici in muratura, ai carichi e ai sovraccarichi e loro combinazioni. È anche previsto che l’inserimento delle località negli elenchi delle zone sismiche debba avvenire non più sulla base di degli eventi sismici che di volta in volta si manifestano, ma debba scaturire dall’applicazione di criteri razionali basati sulle più recenti conoscenze scientifiche. Infatti finora la valutazione delle azioni sismiche era stata piuttosto grossolana, in quanto mancava di qualsiasi considerazione in merito al comportamento dinamico delle costruzioni e all’influenza del terreno di fondazione sulle loro capacità di reagire alle scosse. Le Norme Italiane, che pure erano state le prime ad essere promulgate, erano rimaste indietro rispetto alle prescrizioni vigenti in altri Paesi. Già in quelle californiane del 1927 erano state prese in considerazioni accelerazioni sismiche di progetto funzioni dei caratteri del suolo di fondazione. Per la prima volta viene previsto che una qualsiasi costruzione possa essere verificata, oltre che impiegando l’analisi statica, che fino ad allora era anche l’unica possibile, anche usufruendo, in alcuni casi obbligatoriamente, dell’analisi dinamica. Quest’ultima, da condurre in campo elastico lineare, può a sua volta eseguirsi con il metodo dell’analisi modale, tenendo conto dei primi tre modi di vibrare, calcolando le sollecitazioni e gli spostamenti complessivi con espressioni indicate.

Le verifiche sono da condurre con il metodo delle tensioni ammissibili ma diventa obbligatorio calcolare l'entità degli spostamenti per valutarne l’ammissibilità.

Per gli edifici in muratura sono dettate prescrizioni per la riparazione di quelli danneggiati dal sisma, riferite alla fondazioni, agli archi, alle volte, ai solai, alle scale in struttura muraria, ecc. Il D.M. 24.01.1986 apportò significative variazioni nella legislazione a proposito di interventi sugli edifici esistenti: furono definiti gli interventi di adeguamento, intesi come esecuzione di

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opere necessarie per rendere un edificio atto a resistere alle azioni sismiche e gli interventi di miglioramento, consistenti nell’esecuzione di opere riguardanti i singoli elementi strutturali dell’edificio, onde conseguire un maggiore grado di di sicurezza, senza peraltro modificarne sostanzialmente il comportamento globale.

Nel frattempo in Europa prendeva avvio il progetto degli Eurocodici, per la predisposizione di una normativa comunitaria nel campo delle costruzioni, in grado di favorire così la partecipazione di tutti i partner della Comunità alle gare di appalto, e quindi di incentivare lo scambio di merci, progetti e idee. Le novità degli Eurocodici sono molteplici ma in questa sede si descrive brevemente solo quelle riguardanti l’azione sismica. Vengono individuati tre tipi di sottosuolo definiti tramite un parametro meccanico, la velocità di propagazione delle onde di taglio, che diviene elemento fondamentale per la successiva applicazione della norma e deve essere determinata tramite appropriate campagne sperimentali nell’area di costruzione. L’Eurocodice inoltre cambia totalmente la descrizione di rischio sismico, impostando la zonizzazione sismica in base al moto sismico atteso nel sottosuolo (in termini di accelerazioni). La pericolosità sismica di un sito è quindi sintetizzata per mezzo di un unico parametro, il valore ag del picco di accelerazione in un terreno roccioso o comunque

compatto, e cioè la massima accelerazione attesa per un sottosuolo con le caratteristiche sopracitate. Il parametro ag si riferisce ad un periodo di ritorno pari a 475 anni, cui

corrisponde un fattore di importanza unitario. Nel caso in cui l’opera in progetto richieda un livello di protezione diverso, può essere considerato un periodo di ritorno differente con quello di riferimento attraverso la scelta di un fattore di importanza diverso da 1.

Partendo da ag può essere descritto il moto dovuto ad un evento sismico in un dato punto,

tramite la costruzione di uno spettro di risposta elastico dell’accelerazione del terreno. Le caratteristiche locali del terreno intervengono sulla descrizione sismica tramite i diversi tipi di sottosuolo, che inducono modifiche sul segnale sismico, comportando la variazione nell’accelerazione di picco e nel contenuto in frequenza del segnale, attraverso l’adozione di spettri di risposta differenziati.

Negli anni successivi si susseguirono altre norme, fino ad arrivare alla normativa antisismica attualmente vigente. Questa ha adottato infine il metodo semiprobabilistico agli stati limite per la misura della sicurezza, analizzata con riferimento a eventi sismici dotati di differenti

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periodi di ritorno. A questi eventi sono associati lo stato limite di esercizio e lo stato limite ultimo: la verifica per il primo consiste nell’accertarsi che la costruzione subisca, sotto il cosiddetto terremoto di servizio, un danneggiamento delle parti strutturali tale da non comprometterne la funzionalità; alla verifica allo stato limite ultimo corrisponde invece l’accertarsi che la costruzione, sotto un terremoto distruttivo, sia in grado pur subendo forti danni strutturali, di offrire una rigidezza e una resistenza residue tali da salvaguardare almeno le vite umane. Una delle novità più interessanti riguarda la zonizzazione sismica e consiste nel non avere più delle aree perfettamente delimitate come previsto dalle mappe sismiche, ma, tramite il nuovo sistema prodotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’intero territorio è stato suddiviso in riquadri. In corrispondenza di questi riquadri è indicato il valore dell’accelerazione sismica ag prevista dal suolo, definita come parametro dello

scuotimento: esso viene utilizzato come riferimento dell’effetto sismico da applicare all’opera oggetto di studio, ottenendo in tal modo una caratterizzazione sismica molto dettagliata.

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Fig. 1.5 – Pericolosità sismica italiana derivata da analisi di pericolosità effettuate dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

1.2 Sismicità italiana

L’Italia ed in generale tutto il bacino del Mediterraneo, sono caratterizzati da una struttura tettonica estremamente complessa. La figura successiva mostra l’ipotesi interpretativa più accreditata per la situazione tettonica del bacino del Mediterraneo. Come si può osservare si ha un avvicinamento della zolla africana e della zolla euroasiatica: ciò ha creato dei margini di subduzione in corrispondenza dell’Egeo e della penisola anatolica.

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Fig. 1.6 - Tettonica del Mediterraneo, in bianco sono indicate le zolle e le microzolle (da notare la microzolla adriatica che è raffigurata senza denominazione), in azzurro i resti di crosta oceanica, in verde le zone di espansione della crosta oceanica e in arancio le catene montuose nate per orogenesi

(Fonte: Wikipedia).

In corrispondenza della penisola italiana la placca africana s’insinua con una “penisola” che costituisce il fondale del mare Adriatico. Questa propaggine, nella parte settentrionale, si scontra con i margini continentali, causando delle zone di compressione da cui si sono originati i terremoti che colpiscono il Friuli. Sul lato occidentale, sotto la spinta del bacino tirrenico in fase di espansione, si ha una sollecitazione flessionale di un antico margine di subduzione, la cui rottura è la principale causa che interessano l’Appennino meridionale. In questo spazio i terremoti si originano in un’area profonda, con aree di faglia non individuabili in superficie.

In 2.500 anni, l’Italia è stata interessata da oltre 30.000 terremoti di media e forte intensità superiore al IV-V grado della scala Mercalli, e da circa 560 eventi di intensità uguale o superiore all’VIII grado Mercalli. Solo nel XX secolo, 7 terremoti hanno avuto una magnitudo uguale o superiore a 6.5 (X e XI grado Mercalli). Terremoti disastrosi come quello della Val di Noto del 1693 (XI grado della scala Mercalli), o il lungo periodo sismico del 1783 in Calabria (che raggiunse l’XI grado della scala Mercalli), hanno lasciato ferite profonde sul territorio e segni riconoscibili degli interventi di recupero e ricostruzione. Negli ultimi

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quaranta anni, i danni economici causati dagli eventi sismici sono stati valutati in circa 80 miliardi di euro, a cui si aggiungono i danni al patrimonio storico, artistico e monumentale (fonte Protezione Civile).

Fig. 1.7 – La chiesa di San Marco a L’Aquila dopo il terremoto del 6 aprile 2009.

1.3 La situazione nella Regione Toscana

Nel 2006 la classificazione sismica della Regione Toscana (che recepisce l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3519 del 28 aprile 2006 ed è stata approvata con la delibera della Giunta regionale n. 431 del 19 giugno 2006), a differenza di quella proposta a livello nazionale, vede l’introduzione della zona 3s, nella quale sono stati inseriti comuni a bassa sismicità, dove è però obbligatoria l’applicazione delle norme tecniche previste per la zona 2. Come evidenziato dalla figura sotto riportata, su un totale di 287 comuni:

90 sono inseriti in zona 2 (31,3% del territorio regionale), dove possono verificarsi terremoti abbastanza forti;

106 in zona 3s (36,9% della superficie), a bassa sismicità;

67 in zona 3 (23,3% della superficie), con possibilità di modesti scuotimenti;

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Con la delibera della Giunta della Regione Toscana del 26 novembre 2007 n. 841 sono state individuate le zone a maggior rischio sismico, che comprendono 81 comuni. Le aree più esposte al rischio sismico sono quelle appenniniche: la Lunigiana, la Garfagnana, il Mugello, la Valtiberina al confine con l’Umbria, il Casentino e l’Amiata, zone in cui si sono verificati in passato forti terremoti.

Nel 2012, a distanza di sei anni dall’entrata in vigore della precedente classificazione sismica, la Regione Toscana ha provveduto all’aggiornamento della classificazione sismica del proprio territorio. La nuova mappa sismica è stata approvata con la delibera n. 878 dell’8 ottobre 2012.

L’aggiornamento della classificazione sismica, redatto ai sensi dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 3519/2006, si è reso necessario al fine di recepire le novità introdotte dall’entrata in vigore delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC2008) e di rendere la classificazione sismica (riferimento per la disciplina dei controlli sui progetti depositati presso gli Uffici tecnici regionali preposti), maggiormente aderente all’approccio

sito-dipendente introdotto dalle vigenti normative.

Prima del citato aggiornamento, la determinazione della zona sismica di appartenenza del comune in cui era ubicato il progetto, determinava automaticamente il valore dell’azione sismica di base (a cui poi, mediante apposita campagna di indagini geologico-tecniche andava aggiunta l’entità degli eventuali effetti amplificativi locali dei terreni).

Con l'entrata in vigore del D.M. 14 gennaio 2008, invece, non si progetta più stimando l’azione sismica a partire dalla “zona”, ma calcolandola ad hoc per il sito di progetto, inserendo la localizzazione nella mappa nazionale di pericolosità.

Da qui nasce quindi l’esigenza di aggiornare l’elenco relativo alla classificazione sismica, occasione che viene sfruttata anche per superare il ruolo cautelativo svolto dalla classe 3S precedentemente introdotta reinserendo i comuni, appartenenti a questa classe, nelle classi 2 e 3. In sintesi si ottiene il riassetto dei comuni in 3 sole classi: zona 2, zona 3 e zona 4 come viene mostrato nella figura seguente:

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Fig. 1.8 - Mappa di aggiornamento della classificazione sismica della Regione Toscana- 2014.

Il comune di Livorno, dove è situato il fabbricato oggetto di studio, è confermato ricadente in zona 3.

E’ interessante riportare le attività sismiche avvenute negli ultimi 1000 anni nell’area livornese e dintorni; in particolare, nonostante la bassa sismicità della zona, da studi effettuati nel corso degli anni dall’Università di Siena, si è notata un’attività sismica piuttosto debole e dispersa nella pianura del Valdarno e maggiormente accentuata sia ad est che ad ovest dei Monti Livornesi. Nell’area considerata è noto un solo terremoto con Magnitudo maggiore i di 5.5 (Orciano Pisano, 1846) che con circa 60 vittime e ingenti distruzioni rappresenta uno degli eventi più disastrosi per la Toscana interna nell’ultimo millenio. Per quanto riguarda gli altri

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settori della zona sismica in esame, alcuni ricercatori mettono in relazione la sismicità con epicentro in mare di fronte a Livorno, con una presunta faglia denominata faglia

Meloria-Bientina.

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