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LA REALTA' SOCIALE

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Academic year: 2021

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Parte II

LA REALTA' SOCIALE

Cap. VI

Gerarchie sociali

Un giovane accusato che, durante il processo (nel 1572) si trovava in carcere, ricevette in cella la visita di Vincenzo Malpigli e del “figliuolo di Matteo Boccella”. I due erano rappresentanti di quelle famiglie di rango non elevatissimo ma che tuttavia, avendo avuto più volte accesso all'anzianato e al gonfalonierato1,

potevano a buon diritto considerarsi parte dell'élite di governo. L'inquisito “disse che il Boccella li domandava chi havesse nominato, et se vi era” nei suoi costituti “nessuno gentilhuomo et in particolare [...] Giovan Battista Turchi”. Il ragazzo rispose affermativamente, ribadendo di aver denunciato “ditto Gianbattista insieme con Bartolomeo Salvietti, Giovanni Taulera, Augustino Pacini et Santi Gandini”. Non siamo riusciti a trovare notizie significative su questo elenco, ma sappiamo che anche i Turchi, come i Boccella e i Malpigli, erano nel novero di quei casati che, pur non essendo veri arbitri della vita cittadina, erano comunque da lungo tempo ben inseriti in essa2. L'estrazione sociale degli accusati divenne, in

seguito a queste deposizioni, un aspetto centrale nello svolgimento del processo:

dimentre che si andava ricordando con chi haveva hauto a fare con

gentilhuomini disse, da per sé forte mi par di haver hauto a fare con Vincenzo

Malpigli, et un vecchietto che era lì nella medesima prigione li disse avertisce che se tu hai hauto a fare seco non l'accusare, et lui rispuose io voglio mettere su tutti quelli che hanno hauto a fare meco

Le dichiarazioni del ragazzo suscitarono vive preoccupazioni. Già in carcere fu ripreso severamente dai suoi compagni di prigionia, che lo avevano ammonito

1 I Malpigli hanno avuto 57 anziani e 11 gonfalonieri, i Boccella 86 anziani e 4 gonfalonieri; vedi ASL, Anziani al tempo delle libertà, rispettivamente fo: 15 e fo: 10.

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affinché “avvertisse molto bene di non imputare qualche gentilhuomo che non fusse vero”. L'autore di questa ingiunzione era, guarda caso, proprio un uomo vicino al Malpigli, Fatio, che informò poi il nobile delle accuse a suo carico. Quest'ultimo prima si recò in carcere per parlare con il ragazzo, poi (dando prova di una grande capacità di manipolazione della macchina giudiziaria) si recò dallo stesso soprastante delle carceri dicendogli che “se senti mai che di questo si parli fra lo spettabile Offitio fa ch'io lo sappi che voglio si trovi questa [in]iustitia”. Alla fine il giovane ammise, in un interrogatorio successivo, “che si misse a dire così di Vincenzo Malpigli per farsi grande, et che Fatio gli disse “vedendo nominare il detto Vincenzo [...] se tu hai hauto a fare seco non lo metter su che ti farà de' servitij, et esso disse non lo metterò, sapendo certo che non havea fatto nulla seco, che apena lo conosceva”. Quale realtà si celi dietro le deposizioni è difficile da definire. Il giovane inquisito aveva veramente nominato dei galantuomini per vanagloria? O ha ritratto perché pagato? Gli stessi Officiali gli hanno fornito delle buone ragioni per cedere? O forse, tutta la trascrizione dei costituti contiene dei rimaneggiamenti sapientemente orchestrati, con la complicità del notaio, per scagionare un uomo della cui sorte era già deciso a prescindere dallo svolgimento del processo?

Se le fonti lasciano queste domande senza alcuna risposta, è certo che un simile caso non è rimasto isolato. Nel 1579 un altro adolescente, Raffaello Cinacchi, dichiarò di avere subito pressioni, in carcere, per mano di un sarto che si era presentato dal soprastante delle carceri “in compagnia di Ottavio de' Nobili [...]” il quale “li promisse di vestire di nuovo et darli denari se volea stare forte et dire che non fosse vero che quel da Palma havesse havuto a fare con lui”. Anche un anonimo passante, “che crede che sia capitano [...] che se lo vedesse lo conosceria” attraverso la finestra gli rivolse dei segnali molto chiari, facendogli cenno “col dito alla bocca che tacesse, et che li darà de' quattrini et lo volea menar con lui fuori et crede che lo ammiccasse perché non dicesse cosa alcuna di Alessandro Palma perché lo vidde in compagnia di quello sarto che havea i calzoni rossi che li andò a parlare”. Per quanto l'identità dell'accusato che in tanti si prodigavano a difendere ci sia rimasta sconosciuta, la qualità dei suoi “avvocati difensori” è indubbia, essendo i Nobili nella cerchia ristretta di quei casati che

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occupavano i vertici della gerarchia sociale lucchese. Benché in questo caso manchi la conclusione ultima del processo, i molti tentennamenti dell'imputato davanti ai giudici screditarono fortemente la sua credibilità, e ancora una volta non solo le carceri hanno rivelato la loro “permeabilità” alla realtà esterna, ma un giovane vide, infine, etichettata come semplice mitomania la sua volontà di denunciare dei ricchi e dei potenti.

Le stesse fonti legislative lucchesi, in un capitolo che non riguarda la sodomia, ma lo stupro dell'altrui serva, dicevano chiaramente che “si stia, et creda, al giuramento del padrone” per determinare tanto se l'atto sessuale tra l'accusato e la sua serva sia realmente avvenuto, quanto per la stima del valore di mercato della donna (che l'eventuale condannato avrebbe dovuto rifondere maggiorato) e questo perché un tale uomo, “se'l sarà di buona conditione, et fama [...] verisimilmente non procedesse a giurare senza giusta, et vera causa”, aggiungendo tuttavia che, per determinarne la rispettabilità, si dovesse stare “allo arbitrio del giudice”3.

Un'allusione diretta alla maggior attendibilità degli uomini di rango elevato è contenuta anche nelle fonti dell'Onestà. Francesco Magrini, cittadino di una famiglia anch'essa di secondo piano ma comunque parte del ceto gentilizio, avocava proprio il suo status a difesa e testimonio dei suoi proclami di innocenza: “io sono huomo dabbene non l'ho fatto et se mi stroppiate”, diceva riferendosi alla tortura, “havrete stroppiato uno cittadino4”, aggiungendo, a riprova della sua

credibilità, che non avrebbe in fondo avuto ragioni di mentire, dal momento che pagare anche una multa salata per lui non costituiva un problema (“et se io havessi contributo a 2 o 300 scudi non sarà quello”). In fondo, la logica teneva: quale senso avrebbe avuto subire una tortura se dichiarandosi colpevole e pagando avrebbe evitato la sofferenza? Entra in gioco allora la difesa dell'onore e del buon nome, e su questo punto, anche sul piano della prassi processuale, le persone di ceto elevato, che mentissero o meno, avevano una carta in più a loro favore. Tuttavia, è bene ricordare quanto già detto in precedenza: pur potendo disporre di un moderato trattamento di favore, i nobili non hanno mai goduto, al cospetto dell'Onestà, di una totale impunità, e il loro coinvolgimento numerico, in percentuale rispetto al totale degli accusati e dei condannati, era tutt'altro che

3 Gli statuti, cit., libro IV, cap. 103. 4 Il corsivo è mio.

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trascurabile: 333 furono coinvolti in vari modi nelle vicende giudiziarie e, di questi, ben 68 condannati5.

Accanto a loro, è stato possibile risalire al mestiere di altri 806 tra inquisiti e sospetti sodomiti, con una distribuzione per categorie professionali che ancora una volta, per ragioni di sintesi, lasceremo descrivere da un grafico:

mestieri

Sono immediatamente evidenti tanto la trasversalità sociale quanto l'ampio spettro di figure professionali coinvolte nell'attività dell'Offitio. L'unico squilibrio è costituito dalla preponderanza della categoria dei lavoratori impegnati nel settore del tessile, ma si tratta di una disparità che rispecchia la reale organizzazione del lavoro in un'economia, quella lucchese, che aveva al suo centro la produzione serica. I tessitori non erano solo la categoria di lavoratori più numerosa e organizzata, ma anche quella stretta dai legami più organici con il ceto mercantile di governo, dal quale dipendevano direttamente per le materie prime e al quale affidavano, per la commercializzazione, i loro lavorati.

Intorno al loro blocco strutturato si muoveva l'arcipelago più disordinato e meno compatto dei filatori, dei lacciaiuoli, dei cimatori e dei tintori di drappi6,

mentre coi muratori e i legnaiuoli, anch'essi ben rappresentati nelle fonti

5 Cfr. sopra, cap. I, pp. 15-16.

6 Berengo, Nobili e mercanti, cit., pp. 66-70.

199 46 42 38 34 32 31 24 22 21 21 20 16 15 14 13 12 11 195 6 13 14 10 4 7 10 6 6 9 7 4 4 1 1 35 0 50 100 150 200 250 testor e becc aio forna io calzo laio filator e sarto cacia iuolo solda to oste cuoia io barb iere eccle siasti ci mere trice mura tore servi tore garzo ne legna iuolomesso altro condanne

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dell'Onestà, ci troviamo “ai margini del sistema economico lucchese e della stessa consistenza dei suoi organismi corporativi”7. Maestro Giuseppe e maestro Ercole,

nominato il primo nel '728 e processato il secondo nel '779, erano probabilmente

tra quel centinaio di maestri in capite che si riunivano (insieme a copritetti, lapicidi, fabbri ferrai e carradori) nel capitolo della Confraternita di San Bartolomeo in Silice, organismo corporativo attraverso il quale gestivano nepotisticamente l'accesso al loro settore produttivo, facendo largo impiego di figli e fratelli nell'attività edilizia per sfuggire agli oneri dell'immatricolazione e ai successivi pagamenti delle quote annue10. Non a caso, tra i muratori inquisiti

dall'Offitio, abbiamo trovato un Jacopo figlio di maestro Girolamo11, un Giovanni

di maestro Bernardo12, un Bartolomeo di maestro Matteo13 (e tanti altri ancora14),

così come tra i legnaiuoli non sono mancati un Cesare e un Marcantogno figli di maestro Bartolomeo15 e un Paolo di maestro Francesco16.

Diverso il caso dei cuoiai, presenti almeno in 21 casi (con 6 condanne), collocati questi un gradino più in alto rispetto ad altri artigiani nella “imprecisa, ma pur così sentita”, gerarchia sociale lucchese17. Le loro botteghe alimentavano

infatti un notevole commercio di esportazione e non era mai chiaro, quando si trovava in qualche atto notarile la dicitura “coriarius”, se si trattasse di un semplice artigiano o di un imprenditore che si occupava anche della commercializzazione dei suoi prodotti18.

Accanto ai membri delle principali maestranze abbiamo tra gli imputati lavoratori occupati nel settore dei servizi come macellai (beccai), produttori e rivenditori di formaggi (caciaiuoli), sarti, medici e fornai. Ma l'elenco potrebbe moltiplicarsi a dismisura, per includere i garzoni, i facchini, i matrassai19 , i

7 ibid., p. 73.

8 Onestà 2, 1572, fo: 36v. 9 Ibid., 1577, fo: 4r, 5v-6r.

10 Berengo, Nobili e mercanti, cit., pp. 70-71. 11 Onestà 6, 1558.

12 Onestà 6, 1548. 13 Ibidem, 1549.

14 Giuseppe di maestro Antonio (1552), Matteo di Maestro Paolo (1554), Vincenzo di Maestro Paulinotto (1560), Bernardo di maestro Andrea (1566).

15 Onestà 6, 1562.

16 Onestà 1, 1568, fo: 21v-22r.

17 Berengo, Nobili e mercanti, cit., p. 74. 18 Ibid.

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semplici “rivendugliori”, e l'arcipelago composito dei lavoratori occasionali che, ruotando intorno al mondo delle maestranze, potevano offrire le loro prestazioni per qualche anno, pochi mesi o addirittura alcune settimane, talvolta per pagare un debito, altre per sopperire a un bisogno momentaneo, altre ancora per riempire i tempi morti del lavoro nei campi. Accanto ad essi, troviamo gli accattoni e i miserabili, sempre pronti a svolgere piccole mansioni in cambio di qualche spicciolo, di un pezzo di pane, un po' di formagio o un bicchiere di vino. La disgregazione sociale degli esclusi dal sitema corporativo toglieva al loro malcontento qualunque potenziale sovversivo. La loro posizione era simile per certi versi a quella della schiera nutrita dei domestici, dei servitori e delle serve, che venivano dalla Versilia o dalla Garfagnana per servire nei palazzi delle grandi famiglie lucchesi. Non vendendo, non possedendo, e non comprando alcunché essi non hanno lasciano nelle fonti ufficiali che vaghe tracce della loro esistenza e, forse, il vederli comparire più volte nei documenti dell'Offitio, spesso con delle storie drammatiche di abuso da raccontare, riconsegna loro, con la dignità di una storia da narrare, la giustizia di poter tramandare una memoria di sé.

La trasversalità sociale delle persone coinvolte nell'attività giudiziaria è dunque un elemento centrale. Questo dovrebbe dare una scrollata a un luogo comune storiografico, invero superato nella comunità scientifica ma che continua a sopravvivere, in ambiti non specialistici, nella forma di un'associazione inconscia (o di un più o meno consapevole romanticismo ideologico) che vorrebbe inclusa, nel Medievo e nell'Età Moderna, la categoria della sodomia (in queste interpretazioni spesso coincidente tout court con l'omosessualità) nella marginalità sociale. Così come dovrebbe minare la lunga tradizione interpretativa, in fondo mai sopita, che, da altri pulpiti giunge alla conclusione opposta, attribuendo l'effeminatezza, le pratiche omosessuali e la decadenza morale al benessere goduto dalle classi elevate. La sessualità non conforme non era appannaggio esclusivo di alcuna classe sociale. Le molte fonti che hanno attribuito comportamenti scandalosi ad esponenti dei ceti privilegiati, sono infatti interessanti documenti storici, che riconfermano solo come l'accusa di sodomia fosse un efficace strumento diffamatorio, sulla cui attendibilità, tuttavia, è più che

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legittimo, è doveroso dubitare. Fin dall'epoca medievale sono state frequenti nella letteratura le accuse di immoralità lanciate dai polemisti contro la dissolutezza dei potenti. Lo storico normanno Ordericus Vitalis (1075-1142) dopo la morte del sovrano inglese Guglielmo I il conquistatore aveva scritto un'invettiva contro gli effeminati che avevano popolato la sua corte, dettandone la moda, e non sembra che le cose fossero cambiate con il suo successore Guglielmo il Rosso (1087-1100), il cui seguito di «efebi smidollati» fu denigrato da Guglielmo di Malesbury, che li accusava di avere rifiutato ciò per cui «natura li aveva fatti»20.

Anche su Riccardo Cuor di Leone (1189-1199) avevano pesato gli stessi sospetti21,

ma fu con Edoardo II (1284-1327) che le inclinazioni sessuali di un re inglese portarono i suoi avversari alle conseguenze più estreme. Eliminato in un complotto in cui erano implicati anche sua moglie e suo fratello, il terribile supplizio a cui i suoi aguzzini lo sottoposero, lasciandolo morire con una verga di metallo incandescente conficcata nell'ano, era un richiamo simbolico ai suoi espliciti legami amorosi con i suoi favoriti, Hugh Despenser e Piers Gavestone22.

Anche quest'ultimo era stato ucciso in una precedente congiura, ordita dai baroni che lo ritenevano responsabile della dissolutezza e degli sprechi della corte23. In

Epoca Moderna, l'opinione pubblica inglese ha nutrito forti sospetti sulle preferenze sessuali di Giacomo I24 e, in un contesto di scarsa persecuzione

giudiziaria, i due processi più eclatanti consumatisi nel corso del Seicento avevano visto morire sul patibolo come sodomiti un esponente della nobiltà, il Duca di Castelehaven, e un alto prelato del clero anglicano, il vescovo John Atherton25. In Francia, molti dubbi sollevava il contegno di Enrico III, personalità

eccentrica, tanto valente sul campo di battaglia quanto, agli occhi dei suoi detrattori, effeminato e immorale nella vita privata. I racconti dei pamphlet denigratori, che venivano scritti e distribuiti in misura crescente durante il suo regno, lo volevano travestito da donna e circondato dalla sua schiera di mignons, che ne imitavano le abitudini poco convenzionali. Scomunicato dal papa per l'omicidio del Guisa, dopo essere stato ucciso a sua volta da un monaco fanatico,

20 McCall, cit., p. 158-9. 21 Goodich, cit., p. 11. 22 McCall, cit., p. 161. 23 Goodich, cit., p. 11. 24 Crompton, cit., pp. 381-388. 25 Ibid., pp. 391-397.

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si vide negato il diritto alla sepoltura finché, 21 anni dopo la sua morte, proprio due del suo bizzarro seguito riuscirono a farne interrare il corpo in una tomba a Saint Denis26. Anche la corte di Luigi XIV, a dispetto della fobia che, si dice,

fosse nutrita dal Re Sole per i comportamenti sodomitici, fu sconvolta, sul finire del Seicento, da uno scandalo, divulgato poi con la pubblicazione di un opuscolo polemico e denigratorio il cui titolo, La France devenue Italienne, conferma ancor auna volta la fama di cui continuavano a godere i costumi sessuali della nostra penisola agli occhi dell'opinione pubblica del resto d'Europa27.

Le fonti archiviate dalle autorità comunali a cavallo tra Medioevo ed Età Moderna ci hanno restituito un quadro molto diverso, che ha sottratto i comportamenti sessuali illeciti tanto dall'esclusiva del lusso cortigiano, come dai bassifondi della marginalità, per mostrarceli dispiegati ad ampio raggio nelle più diverse frange della compagine sociale. Sono ben testimoniati dai documenti, e studiati dagli storici, i casi di molte città sul ramo germanico delle Alpi, come Augusta, Ratisbona e Basilea, che a partire dal XIV secolo avevano cominciato a perseguire il reato. Se cospicua fu l'attività dei tribunali di Colonia (all'epoca, con circa 35.ooo abitanti, la più grande città della Germania) anche città mercantili delle Fiandre come Gand e Bruges furono teatro di ampie persecuzioni nel basso Medioevo. La grande maggioranza delle persone accusate di sodomia erano appartenenti ai ceti intermedi urbani (artigiani e commercianti) o agli strati inferiori della gerarchia sociale (servitori, ambulanti o lavoratori manuali). Nella parte germanofona della Svizzera, le professioni menzionate da fonti tardo Medievali “comprendevano cuochi, mazzieri, cortigiani, pescatori, barbieri e carpentieri”, mentre nei processi di Augusta si trovarono implicati un panettiere, un insegnante, un droghiere e un proprietario terriero, nonché diversi preti. Lo storico Bernd-Ulrich Hergemoller ha sottolineato la totale assenza in queste fonti di mendicanti e prostitute28, ben presenti invece nelle fonti italiane, soprattutto a

Venezia e a Lucca.

Per quanto riguarda Firenze, i dati raccolti da Rocke dipingono un quadro molto simile a quello fotografato dal nostro materiale archivistico, con ben 350

26 Ibid., 328-331. 27 Ibid., p. 339-40.

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occupazioni documentate, tra le quali spicca la concentrazione elevata, anche qui in sintonia con la composizione del mercato del lavoro e dell'economia fiorentina, degli impiegati nel settore tessile e nella produzione di capi d'abbigliamento. Qui come a Lucca si trovano persone che si guadagnavano da vivere nel piccolo commercio locale, nella produzione di cibo o servizi – barbieri, factotum, uomini di fatica, incisori – così come non sono mancati i membri del clero, gli appartenenti alle professioni notarili, i lavoratori edili (tra cui anche i falegnami), i servitori e, infine, anche se in misura minnore, i contadini29.

Un altro luogo comune che la ricerca storica ha permesso di sfatare è l'associazione emotiva tra la sodomia e la supposta dissoluzione morale indotta dalla crescente urbanizzazione. Nonostante infatti dipendiamo principalmente dalle fonti criminali dei tribunali cittadini per ricostruire la topografia della devianza sessuale nell'Europa Medievale e Moderna, non sono mancate comunque testimonianze della diffusione di pratiche sessuali illecite anche nel mondo rurale. Alan Bray ha visto nella persistenza delle accuse contro i regnanti inglesi nell'epoca pre-rivoluzionaria una manifestazione del conflitto tra il “court” e il “country party”, ossia tra la corte, insediata tra i fasti di una Londra in continua espansione, e quelle parti dell'opinione pubblica inglese che si riconoscevano nella parte “sana”, nel popolo, nel mondo rurale e nei valori tradizionali30, ma lui

stesso ha sconfessato questa contrapposizione manichea individuando numerosi casi di sodomia consumati nelle campagne inglesi31. Nei Paesi Bassi un intero

centro rurale fu sconvolto, nel Settecento, da un'ondata di processi che portò al rogo ben 24 maschi adulti della comunità. A Faan non c'era un bordello, né prostitute, né alcun tipo di commercio omoerotico, solo onesti contadini, e dalle deposizioni rilasciate dai testimoni sembra evidente come tutti, parenti e vicini, fossero attoniti per l'emersione di un “sommerso” così torbido. Gli atti sodomitici erano praticati in un canale, vicino al fienile di uno degli imputati, e spesso gli incontri avvenivano all'uscita dalla taverna locale32.

29 Rocke, Forbidden Friendships, cit., tabella a p. 249 e par. Social Profiles, pp. 134-147. 30 A. Bray, Homosexuality in Renaissance England, New York 1982, pp. 37 e seguenti. 31 Ibid., pp. 42-45.

32 Nonostante lo sbigottimento generale, l'ultima reazione non fu di costernazione e di condanna dei propri cari condannati, ma di indignazione nei confronti dei giudici, ricordati nella memoria popolare come degli assassini di innocenti. L.J. Boone, The Damned Sodomites: Public Images

of Sodomy in the Eighteenth Century Netherlands, in K. Gerard e G. Hekma (a cura di), The Pursuit of Sodomy: Male Homosexuality in Renaissance and Enlightenment Europe, New

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Che la pratica della sodomia non fosse un costume esclusivamente urbano è testimoniato anche dalle fonti lucchesi. Uno dei partecipanti a un'orgia che aveva coinvolto, in una capanna, cinque uomini della località dell'Acqua Calida, si recò a Lucca nel 1560 a denunciare l'accaduto presso l'Offitio che tuttavia, procedendo nelle indagini, rimandò tutti assolti33. Un caso di stupro ai danni di un fanciullo,

conclusosi con una condanna nel 1572, aveva avuto come teatro le campagne di Massaciuccoli e aveva visto coinvolti due giovani di Bozzano e un adulto di Vorno34. Un'altra violenza, ai danni questa volta di un bambino, sembra si fosse

consumata nell'inverno del '78 a Marlia, secondo quanto testimoniato dagli atti di un processo celebrato nell'anno successivo ma della conclusione del quale, purtroppo, si è persa ogni traccia35. Si era invece concluso per tutti gli inquisiti con

delle sentenze di condanna un caso che aveva coinvolto, nel 1582, tre abitanti di Valle Buia accusati di sodomia omosessuale36. Nel 1593 un padre denunciò la

violenza subita da suo figlio, di appena dieci anni, a Collodi, il paese della vicaria di Villa Basilica dove abitava con la sua famiglia e dove risiedeva anche l'accusato, un giovane garzone del vicino paese di Pariana, assolto dopo una lunga carcerazione e una dura tortura37. Sempre intorno a Villa Basilica, a Fibialla, si

sono concentrate le indagini dei magistrati su una giovane (scomparsa mentre si recava a Pietrasanta) che la pubblica voce credeva violentata da un uomo di Camaiore, che aveva alcuni possedimenti nella zona38.

York/London 1989, pp. 243 e seguenti. 33 Onestà 1, 1560, fo: 16r-17r. 34 Onestà 2, 1572, fo: 76r-77v. 35 Ibid., 1579, fo: 23r-27v. 36 Onestà 3, 1582, fo: 21r-23r. 37 Ibid., 1593, fo: 59r-64v. 38 Onestà 4, fo: 31r-44r.

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Cap. VII

Sodomia omosessuale e classi d'età.

Si è potuta ricostruire l'età di 590 persone coinvolte nell'attività dell'Offitio. Per lo studio dei dati aggregati, si è scelto di dividerle per classi di età rispettando le categorie imposte dalla legge lucchese che, come abbiamo visto, stabiliva pene graduali e crescenti per i minori di 14 anni e per chi aveva un'età compresa tra i 14 e i 18, tra i 18 e i 30 o tra i 30 e i 50 anni, riservando la pena di morte immediata a chi aveva superato quest'ultimo limite. Si è già visto che questa scansione era, grosso modo, rispettata anche nella prassi, nonostante le pene inferte dagli officiali fossero decisamente più moderate di quelle imposte dagli Statuti. Non è facile capire con quale criterio i legislatori avessero stabilito i termini temporali di queste classificazioni. Gli Statuti del 1539, nelle loro disposizioni di carattere generale sul trattamento dei reati penali, avevano infatti stabilito che, esclusi i reati di omicidio e lesa maestà e fatta salva l'applicazione delle punizioni corporali, i 16 anni fossero l'età al di sotto della quale era obbligatorio mitigare le pene dei condannati, diminuendole di un quarto. Infanti e “prossimi d'infanzia” non dovevano invece essere “in modo alcuno tenuti di alcun delitto” e non potevano essere né puniti né processati (“né contra di loro procedere si possa per modo alcuno”)39.

Benché non fosse detto esplicitamente quale età, nella mente dei legislatori, corrispondesse di preciso alla fine dell'infanzia, cronache e statuti medievali, nel definire a fini giuridici la scansione delle “età della vita”, collocavano a 7 anni il momento di passaggio dall’infantia, “aetatis infirmitas”, alla pueritia, il “tempus

discretionis”40. Tuttavia, benché questa tappa corrispondesse ad un età

“fisiologicamente importante (cadono i denti da latte e crescono quelli nuovi)” e “ricca di rispondenze con il mondo fisico (i sette giorni della settimana, la base settenaria del ciclo lunare)”, nella “quotidianità profana”, anche altre epoche della vita erano ritenute altrettanto significative: a dieci anni i maschi potevano venir avviati ad un lavoro, intorno ai dodici il padre li poteva emancipare, a quattordici

39 Gli Statuti, cit., libro IV, cap. 58

40 O. Niccoli, Il seme della violenza. Putti, fanciulli e mammoli nell'Italia tra Cinque e Seicento, Roma-Bari 1995, p. XI (introduzione) e pp. 6-10; E. Becchi, Medioevo, in E. Becchi, D. Julia (a cura di), Storia dell’infanzia, vol. I, Dall’antichità al seicento, Roma-Bari 1996, p. 67.

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potevano sposarsi, mentre le femmine già intorno ai dodici potevano essere promesse in matrimonio o prendere il velo41.

Probabilmente sono state queste ultime due, i 10 e i 14 anni, le scansioni più determinanti nel nostro caso. Gli anni della maturità sessuale e dell'età al matrimonio (14) hanno coinciso con la prima fascia d'età per cui gli Statuti lucchesi hanno previsto una pena, mentre coloro la cui sorte era lasciata all'arbitrio del giudice, i minori di 14, hanno cominciato a subire delle pene corporali, nella prassi giudiziaria, a partire dal compimento dei 10 anni. Le incertezze del diritto continuavano poi anche nella determinazione dei confini dell'adulescentia, il cui termine, nonostante le molteplici variabili, era tuttavia fissato, secondo la prevalente scansione a base settenaria, intorno ai 21 anni, passati i quali l'uomo entrava nella sua giovinezza42. Dal punto di vista della prassi

processuale, questa scansione non ha avuto alcuna importanza, e i rei al di spora dei 18 hanno subito sempre lo steso trattamento da parte degli officiali, vedendosi comminare, salvo eccezioni, la pena (a loro scelta) di 12.5 scudi, due mesi di carcere o due anni di esilio. Per una maggiore comprensione dei fatti si è tuttavia deciso di scindere la categoria compresa tra i 18 e i 30 anni in due tronconi equivalenti, poiché nelle fonti lucchesi le imputazioni, superato lo spartiacque del venticinquesimo anno di età, si facevano molto meno frequenti.

Età dei coinvolti

41 P. Aries, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Roma-Bari 1999, p. 145.

42 E. Crouzet-Pavan, Un fiore del male: i giovani nelle società urbane italiane (secoli XIV-XV), in G. Levi, J.C. Schmitt, Storia dei giovani, vol. 1, Dall’antichità all’età moderna, Roma-Bari 1994, pp. 211-277, v. pp. 212-213; Niccoli, Il seme della violenza, cit., pp. 3-10.

20 53 219 166 45 6 0 50 100 150 200 250 età men o di 10 11 14 15 17 18 25 26 30 mag gior e di 40 Serie1

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La visualizzazione dell'istogramma permette di cogliere immediatamente quali fossero le fasce d'età maggiormente coinvolte nel controllo giudiziario della sessualità deviante. Gli imputati avevano infatti perlopiù tra i 15 e i 25 anni (il 65.2% del totale). In percentuale minore, si trovavano più o meno intorno agli stessi ordini di grandezza tanto i ragazzini tra i 10 e i 14 anni (quasi il 10%) quanto gli adulti tra i 25 e i 30 (il 7.6%). La stessa simmetria non si riscontra invece tra i più piccoli (il 3.4%) e i maggiori di 40 anni, presenti questi ultimi in una percentuale scarsamente significativa.

Si tratta ora di comprendere quale fosse il significato attribuito ai comportamenti omosessuali nelle diverse fasce d'età. Secondo Michael Rocke, il sesso era una delle forme attraverso le quali il giovane, trasformato momentaneamente in oggetto di piacere, veniva iniziato da adulti attivi al valore della mascolinità. L'espressione del desiderio omoerotico si basava dunque su una netta distinzione di ruoli, su una forte gerarchizzazione intergenerazionale e su precisi rapporti di forza. I comportamenti omosessuali non erano quindi parte di una cultura minoritaria, ma un elemento centrale della cultura maschile dominante, che dimostrava una relativa indifferenza per l'oggetto sessuale quando fossero rispettate le posizioni di potere tra il penetratore e il penetrato. Il passaggio alla piena maturità era identificato con l'assunzione del ruolo insertivo e con l'eventuale permanenza di un orientamento bisessuale, che vedeva tanto nei giovani quanto nelle donne dei possibili oggetti di piacere43.

Un simile modello, rilevato a Firenze con ampie conferme nella documentazione processuale, ricorda molto da vicino le concezioni classiche dell'amore pederastico. Nell'antichità greco-romana, infatti, il modello culturale di riferimento riguardo ai comportamenti sessuali non era basato su una rigida dicotomia che divideva orientamenti (e identità) omosessuali ed eterosessuali, ma su una polarità diversa, che distingueva prevalentemente tra ruolo attivo e ruolo passivo, indipendentemente dal sesso biologico del paziente e in rispetto di precisi ordinamenti gerarchici. Il maschio adulto era tenuto a riconfermare la propria posizione di potere, mentre soggetti in uno stato di minorità sociale, come donne,

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schiavi e adolescenti, erano tutti potenziali oggetti sessuali a sua disposizione, purché fossero rispettati i ruoli che imponevano loro l'assunzione esclusiva del ruolo ricettivo nel rapporto sessuale. Benché questo fosse un tratto comune tanto al mondo greco quanto a quello romano, la concezione del rapporto pederastico è stata tuttavia molto diversa nelle due culture. Nella Grecia classica, l'amore degli adulti per i fanciulli aveva infatti un ruolo riconosciuto istituzionalmente e costituiva un passaggio fondamentale dell'educazione del giovane alla cittadinanza. L'uomo adulto corteggiava e sceglieva un adolescente per iniziarlo alla vita pubblica, formarlo culturalmente, educarlo all'arte e alla bellezza e per trasmettergli, al contempo, il valore della convivenza civile e politica. Il giovane, che traeva dalle sue relazioni anche un prestigio sociale, raggiunta la maturità si staccava dal suo mentore per divenire uomo a sua volta, cittadino e, presto, amante egli stesso di un ragazzo da iniziare44. Per quanto, in generale, sia stato

compito delle leggi regolamentare tali rapporti, evitando una loro degenerazione ritenuta moralmente e socialmente pericolosa45, non è ancora chiaro quale posto

avesse il sesso in queste relazioni. Se fonti di cultura alta tendono ad idealizzarne la natura, considerando la consumazione di rapporti sessuali un segno di debolezza e di decadimento del costume, fonti basse, sia letterarie che iconografiche, segnalano al contrario con sicurezza che i rapporti fisici ne erano comunemente una parte integrante46.

Il modello autoctono romano, al contrario di quello greco, non attribuiva invece alcun valore pedagogico alla pederastia, ma la includeva nell'orizzonte mentale di quella che Eva Cantarella ha definito una “sessualità di stupro”, in cui il maschio della classe dominante poteva abusare sessualmente di chiunque gli fosse sottoposto (si trattasse della legittima moglie o di una concubina, di una prostituta o di uno schiavo) e che interdiceva al contempo, ai figli dei cittadini, ogni forma di sottomissione47.

Il caso lucchese mostra tanto punti di contatto quanto significative differenze con il modello fiorentino quale Rocke ce l'ha descritto. Purtroppo è stato possibile

44 M. Sartre, L'omosessualità nell'antica Grecia, in G. Duby (a cura di), L'amore e la sessualità, Milano 1986, pp. 53-70.

45 Cantarella, cit., p. 269.

46 Cantarella, cit., p. 8-9; L. Stone, in La sessualità nella storia, Roma-Bari 1995, pp. 35-36. Cfr. K.J. Dover, Homosexualité Greque, Grenoble 1982.

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ricostruire sia l'età che il ruolo avuto nel rapporto sessuale di sole 259 persone. Per quanto il fatto che si tratti di una percentuale molto bassa sul totale (poco più del 14%)48 imponga una certa prudenza nel trarre conclusioni, l'elaborazione dei

dati relativi a questo campione ha dato dei risultati in parte inaspettati49. La

corrispondenza tra la giovane età e la passività nel rapporto sessuale viene infatti significativamente messa in discussione da una riconsiderazione più rigorosa delle informazioni contenute nei documenti. Se infatti tale equazione prevaleva, per ovvie ragioni, quando i coinvolti avevano meno di 10 anni, già tra gli 11 e i 14 si riscontra una maggiore articolazione, con una preponderanza del ruolo passivo (20 su 36) accompagnata però da una cifra significativa di coinvolti che avevano avuto rapporti reciproci o che avevano assunto ruoli diversi in rapporti diversi (12) e da una minoranza di adolescenti accusati solo di atti di sodomia attiva (3) o eterosessuale (1). La fascia d'età che dai 15 arriva ai 17, poi, è quella in cui i giovani coinvolti hanno dato prova della maggiore elasticità, con un equilibrio quasi perfetto tra attivi (24), passivi (29) e versatili (21), ai quali si aggiungono due 2 casi di sodomia eterosessuale. Al di sopra dei 18 anni il modello si fa più simile a quello fiorentino, e vediamo l'85% dei coinvolti rivestire un ruolo attivo, percentuale che si mantiene pressoché invariata fino ai 30 anni, benché tra i 26 e i 30 ci siano alcuni casi documentati di reciprocità. Tra i 30 e i 40 il passaggio alla piena maturità, anche a Lucca, segnava la definitiva identificazione con il ruolo insertivo, ma ricordiamo che gli appartenenti a questa fascia di età rappresentano una netta minoranza dei coinvolti e degli imputati (vedi grafico precedente). Solo un maggiore di 40 anni è stato invece condannato per aver avuto dei partner attivi più giovani di lui50.

Per quanto la differenza di età fosse un dato costitutivo dei rapporti sodomitici a sfondo omosessuale, la forbice era ristretta e riguardava comunque una redistribuzione interna al gruppo dei giovani e degli adolescenti. Purtroppo, i rapporti in cui è stato possibile ricostruire la differenza di età tra i partners sono solo 89, tuttavia, anche questo esiguo campione ci da la possibilità di trarre alcune

48 Ci riferiamo al campione di dati che va dal 1539 al 1592.

49 Mettendo in discussione anche le tesi da me sostenute in un precedente articolo in cui riportavo i primi esiti delle ricerche sul fondo lucchese, v. di chi scrive L'Offitio sopra l'Onestà. La

repressione della sodomia nella Lucca del Cinquecento, in «Studi storici», 2007 (1), pp.

127-159.

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conclusioni. Solo 18 di questi rapporti si sono consumati tra coetanei, per lo più (13) tra i 15 e i 17 anni. Nella maggioranza relativa (23) dei restanti 71 uno dei due partner aveva tra i 15 e i 17, l'altro tra i 18 e i 25. 11 erano i rapporti in cui uno dei due partner aveva tra gli 11 e i 14 anni e l'altro tra i 15 e i 17, 7 quelli che vedevano coinvolta la fascia 11-14 in relazione con quella che andava dai 18 ai 25. Per il resto, due uomini tra i 26 e i 30 hanno avuto rapporti con ragazzini tra gli 11 e i 14, e 5 con adolescenti tra i 15 e i 17, mentre, dei maggiori di trent'anni, uno solo ha avuto rapporti con un minore di 14 anni, così come a più di quarant'anni un solo uomo ha sodomizzato un giovane tra i 15 e i 17. Restringendo ulteriormente il campione dell'indagine, e quindi anche la possibilità di trarre da esso conclusioni certamente rappresentative, siamo stati in grado di ricostruire 71 rapporti in cui era esplicita nelle fonti tanto la differenza di età quanto il ruolo sessuale di almeno uno dei due coinvolti. Di questi, ben 24, cifra importante, sono stati rapporti reciproci, mentre nei restanti 47 si ha avuto una polarizzazione che rispecchiava nella distribuzione dei ruoli le gerarchie dettate dall'età.

Per quanto riguarda invece la sanzionabilità dei comportamenti, Lucca emerge come un caso in controtendenza rispetto all'uso, riscontrato a Firenze, di punire esclusivamente i partner attivi, che rappresentavano la quasi totalità (il 96.6%) dei condannati. Sicuramente, ha influito in questo caso la più netta distinzione di ruoli, per cui nella città medicea i passivi, per lo più al di sotto dei 18 anni, usufruivano delle circostanze attenuanti riservate dal diritto agli imputati più giovani. A Lucca, invece, la percentuale degli attivi tra i condannati era del 57%, mentre quasi la metà degli altri si divideva in proporzioni variabili tra passivi (il 18.8%), persone che avevano avuto rapporti di scambio reciproco con i propri partners (8.3%), altre che hanno avuto in tempi diversi rapporti con persone diverse rivestendo ruoli differenti (10.4%) e, infine, un 5.3% (tra uomini e donne) condannati per sodomia eterosessuale.

Se le punizioni hanno tenuto meno conto del ruolo sessuale, non è esistita neanche, nella Repubblica lucchese, una fascia di età che fosse totalmente esente dalla condanna: la formula degli Statuti che lasciava la punizione dei minori di 14 anni ad arbitrium potestatis si è tradotta nell'applicazione di contenute pene

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corporali anche per i minori di 10 anni. Circa la metà dei condannati tra gli 11 e i 14 hanno subito la pena della fustigazione, spesso inferta con un numero di colpi corrispondente ai loro anni, mentre il 29% ha avuto una pena di circa 6 scudi, 1 mese di carcere o 1 anno di esilio. Ma si sono riscontrate anche numerose eccezioni che confermano il grado di arbitrarietà della magistratura. Il figlio quattordicenne di un caciaiuolo lucchese è stato condannato addirittura a 8 scudi, 1 mese di carcere e un anno di esilio per aver confessato un solo rapporto “reciproco” con un tale, Nicolao Garbini, peraltro consumato in casa di quest'ultimo due anni prima, cioè quando l'imputato aveva solo dodici anni51.

Analoga condanna per il suo coetaneo Andrea di Cecco di Bernardino (ritenuto colpevole di aver avuto rapporti ripetuti, a volte anche simultanei, con sei o sette persone)52, mentre Borromeo di Bernardo Borromei, di circa 13 anni, dopo aver

confessato di aver avuto 11 amanti, fu condannato dapprima a 12.5 scudi, pena insolitamente alta, poi ridotti a una sanzione di 8 scudi proprio in considerazione della sua giovane età53.

I giovani tra i 15 e i 17 anni sono stati colpiti per lo più da una pena di 1 anno di esilio, commutabile a loro scelta in una multa di 6 scudi o in un 1 mese di carcere (38.3%). Non pochi, però, sono stati liquidati con una pena corporale (26%), mentre il 10%, in ragione di circostanze attenuanti non sempre chiare, si è visto comminare sanzioni nel complesso meno gravi. Un altro 10% è stato invece condannato a pene più severe, equivalenti a un anno e mezzo di bando, mentre ad un imputato riconosciuto colpevole nel '48, su cui tuttavia pesavava l'aggravante della recidività, è stato inferto un esilio di due anni.

Tra i 18 e i 25 anni, il 66.6% dei condannati ha invece scontato una pena equivalente ad un anno di bando, mentre una percentuale molto più bassa di essi (il 16.6%) ha avuto sanzioni inferiori, ai quali si aggiungeva (in percentuali trascurabili) da un lato chi aveva ricevuto pene corporali relativamente lievi, dall'altro chi aveva subito punizioni molto più severe (queste ultime sempre motivate, tuttavia, dal reiterarsi delle condanne).

Tra i 26 e i 30 anni, il 65.2% dei condannati ha dovuto invece scegliere tra una

51 Onestà 1, 1553, fo: 28v. 52 Ibid., fo: 23r.

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sanzione pecuniaria di 12.5 scudi, un mese di carcere o un anno di esilio. Tuttavia, non pochi (il 21.7%) hanno scontato una pena equivalente ai 4 anni di bando54.

Quindi, pur con la grande attenzione prestata dai legislatori e dai giudici lucchesi a prendere in considerazione l'età come circostanza di volta in volta aggravante o attenuante, non è esistita nella piccola Repubblica “un'età dell'innocenza” che abbia consentito di sfuggire all'applicazione di una condanna penale. Allo stesso modo, nella maggiore trasversalità dei ruoli emersa dallo studio delle nostre fonti, non si può riscontrare una significativa differenza di trattamento tra i condannati sessualmente attivi o passivi.

Anche la realtà veneziana, come quella lucchese, mostra più sfumature rispetto al caso fiorentino. Benché la giustizia, nella Serenissima come a Firenze, punisse con maggiore severità gli “agenti”, i promotori di una una “parte” del 1500 chiedevano anche per i passivi consenzienti (al di sopra dei 20 anni se uomini e dei 18 se donne) l'introduzione della pena di morte, auspicando al contempo la pena del bando per i minori, nella convinzione che la diffusione del vizio nella città lagunare fosse proprio una conseguenza della relativa impunità di cui godevano le donne e i sodomiti pazienti, puniti per la loro compiacenza in modo meno grave dei loro partners insertivi55. Nonostante il provvedimento fosse

stato cassato, nel 1516 ne venne approvato un altro che garantiva invece l'impunità ai giovani che avessero denunciato degli adulti passivi. Il Sanudo raccontava nei suo diari che un giorno, trovandosi a Rialto, aveva udito un bando pubblico che denunciava “in questa città alcuni di anni 30, 40, 50 e 60 che si fanno sodomitar”, annotando le reazioni ilari dei forestieri (che “ridevano, dicendo li vecchi si fanno lavorar”) ed esprimendo viva preoccupazione per la fama della città (“siché per tutto il mondo anderà questa nova”) e concludendo con un cenno di rassegnata obbedienza alla volontà dei Dieci (“tamen lo excellentissimo consejo di x l'à fatta, et bisogna obedirla e laudarla”) che non avevano saputo dar prova, a suo avviso, di una riservatezza degna del buon nome

54 Per elaborare questi dati si è lavorato sul campione di 246 imputati dei quali, tra il '39 e il '92, è stato possibile risalire tanto all'età quanto alla condanna comminata.

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della Repubblica56.

Nonostante le differenze anche significative, l'orrore per la passività del maschio adulto è un tratto comune a tutte le realtà studiate finora. Nel gennaio del 1572 il settantaduenne Girolamo Nucchelli fu condannato a Lucca per aver “usato il vitio sogdomitico patiendo”57 con numerosi giovani della città e del contado. Tra

questi si trovava anche Luviso, figlio di un uomo politico di spicco dell'importante famiglia dei Guidiccioni, quel Baldassarre che nel suo cursus honorum aveva contato, tra il 1540 e il '71, ben 12 elezioni all'anzianato58. Anche il Nucchelli era

un cittadino, investito di incarichi di grande responsabilità: suoi sono i dispacci scritti al Consiglio quando si trovava a Firenze in qualità di ambasciatore del governo presso il duca Cosimo, sospettato, nel 1538, di aver appoggiato l'aggressione e il furto, da parte di un gruppo di 50 cavalieri in armi, di una comitiva di mercanti lucchesi che trasportava sete di gran pregio59. Quasi

trent'anni dopo, nel 156760, lo abbiamo ritrovato di nuovo al servizio della

Repubblica eletto questa volta, ironia della sorte, proprio tra gli officiali dell'Onestà61. Al momento del processo il Nucchelli lavorava come proventuale

“in offitio alla gabella”62, dove aveva conosciuto il Guidiccioni.

La seduzione era cominciata (racconta Luviso nei suoi costituti) quando Girolamo, durante una passeggiata in un prato, aveva fatto delle allusioni maliziose prima alla prestanza fisica di suo fratello, Conte Guidiccioni63 (a

giudicare dal suo successo con le donne, doveva avere “un bel pezzo d'animale”) poi a lui (“anchor voi dovete avere il simile perché havete un bel naso”). Alla risposta evasiva di Luviso, Girolamo disse di voler verificare guardando, proposta a cui il ragazzo rifiutò di acconsentire, dicendo di essere malato64. Benché sapesse

bene che il vecchio aveva l'abitudine di intrattenere relazioni sessuali con uomini

56 M. Sanudo, I diarii, in R. Fulin (a cura di), Deputazione veneta di sotria patria, vol. I, 1879, citato in Canosa, Storia di una grande paura, cit., pp. 135-136.

57 Onestà 2, 1572, fo: 15r.

58 ASL, Anziani al tempo delle libertà, fo: 111. 59 Berengo, Nobili e mercanti, cit., p. 169.

60 Anno di cui non è rimasta altra traccia documentaria nel fondo dell'Offitio, se non due nomi annotati in una rubrica, senza specificare neanche se si trattasse di imputati o di semplici sospetti. Vedi Onestà 6.

61 ASL, Riformagioni Pubbliche, CG 53, p. 464, 26 novembre 1566. 62 Onestà 2, 1572, fo: 2r.

63 Fu anziano surrogato nel '75, mentre rivestì regolarmente la carica nel '79, nell'82, nell'85 e nell'88. ASL, Anziani al tempo delle libertà, fo: 111.

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più giovani65, questa prima uscita non impedì al Guidiccioni di trovarsi di nuovo

solo con lui, ricevendo richieste sempre più esplicite66. Nonostante avesse sentito

dire che l'anziano imputato, a causa delle sue abitudini sessuali aveva “il culo tutto marcio et guasto et pieno di morice”67, Luviso confessò a un amico di voler “farli

quella faccenda”. Il suo confidente, lo invitò tuttavia a guardarsi dal consentire, poiché “era peccato mortale”68. Vista la sua confessione di colpevolezza, sembra

che Luviso non avesse ascoltato il consiglio. Con una violenza verbale sconosciuta nella loro prassi ordinaria, gli officiali, preso atto della sua ammissione di colpa, chiesero (per la prima volta a un condannato) perché lo avesse fatto, “atteso che” il Nucchelli “era schifo et [...] haveva il culo marcio”69.

Fu però il comparire di un altro imputato a mettere sotto una luce diversa i rapporti del Nucchelli con i suoi amanti, instillando il dubbio di un interesse economico nei giovani che con tanta facilità cedevano alle sue richieste. Dopo averlo pubblicamente denunciato “con animo di conseguitare impunità70”, in una

deposizione in cui aveva descritto il combattimento tra l'orrore71 () e l'incapacità di

resistere all'istigazione 72, il giovane Paolino di Agostino di Minucciano

(resistendo all'interrogatorio contrapposto) ripetè le sue accuse in faccia al vecchio che, crollato in lacrime, lasciò intendere di avere più volte aiutato economicamente sia il suo accusatore che la sua famiglia:

rispuose piangendo Paolino pensa all'anima tua, et sai bene che se io ti ho dato denari per che causa te li ho dati, son questi i piaceri che io ho fatto a te e a tuo padre non meritano queste simil cose73.

Il giovane ammise di avere ricevuto l'aiuto economico dell'uomo. Trovandosi una volta in prigione “per certa sassaiuola”, aveva mandato “a pregare lo

65 Ibid., fo: 3v. 66 Ibid., fo: 2v.

67 Morici: emorroidi. Onestà 2, 1572, fo: 3v. 68 Ibid., fo: 4r.

69 Ibid., fo: 4v. 70 Ibid., fo: 5v.

71 “et vedendo che era errore et peccato gravissimo lo ributtava”

72 “ma incitandolo detto Girolamo et richiedendolo più volte che nelo volesse fare et sogdomitarlo fu forzato caschare in errore seco, et così lo sogdomitò”. Ibid. fo: 5r-6v. 73 Ibid., fo: 9r.

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spettabile Girolamo Nucchelli che lo volesse soccorrere di qualche denaio”74,

ricevendo da lui il dono di “un riccio”. Supportato anche dalla testimonianza del padre75, Paolino disse poi di aver ricevuto da parte di Girolamo un'offerta di 25

scudi d'oro per tacere i loro rapporti76. Nonostante l'anziano imputato avesse

negato il tentativo di corruzione (ammettendo solo di avergli dato “più volte denari et che ne li dava vedendolo in bisogno, et che li faceva de' servitij [...] honesti, che soglino far li homini l'uno all'altro”77) alla fine cedette, confessando,

prima ancora di essere sottoposto alla tortura di essersi fatto sodomizzare più volte da Paolino e da altri quattro giovani. Dopo aver giurato sulle Scritture di aver detto il vero, Girolamo si affidò alla benevolenza degli officiali

Et di tutte queste cose cognoscendo di havere gravemente errato, et ne domanda perdono a idio et alle signorie vostre et quanto può si raccomanda per l'amor di Dio78

Aggiunse come giustificazione, invero poco credibile, di non aver perseguito il piacere ma di avere cercato solo un sollievo per il male delle emorroidi da cui era afflitto.

Questa volta gli officiali non fecero ricorso alla pratica usuale di “comporre la pena” (accordandosi con l'imputato per una sanzione ridotta), ma rimandarono la pratica al Podestà “perché lo punischi et condanni in le pene delli Statuti”79, che

nel suo caso prevedevano la morte. Circa un mese dopo il Nucchelli vergò di suo pugno una supplica all'indirizzo del Gran Consiglio della città di Lucca, con la quale chiedeva venia del male compiuto, pregando al contempo di non pagare per i suoi errori con la vita:

L'afflitto et infelice servitore delle Magnifiche S. V. et di questo Magnifico et hon. Consiglio Girolamo Nucchelli, con le lachrime agli occhi, et con la reverenza che debbe, supplicando espuone, ritrovarsi in pericolo di perder miseramente la vita per l'errore da lui commesso, de quale si come n'ha più volte domandato perdono a Nostro Signore Iddio, così hora ne domanda venia alle Signorie vostre M., et a 74 Ibid., fo: 9r. L'episodio è ripetuto anche dall'intermediario tra i due, fo: 9v.

75 Ibid., fo: 14r. 76 Ibid., fo: 13r. 77 Ibid., fo: 13v. 78 Ibid., fo: 14v 79 Ibid., fo: 16v.

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questo Magnifico et hon. Consiglio, et non vuol dire altro se non che ciaschuno ha da pregar sua divina Maestà che non gli levi le mani di capo, perché senza la sua custodia ogni huomo è sottoposto à commettere qualsivoglia delitto, come è intervenuto a esso supplicante, che derelitto dal divino aiuto, è incorso in questo precipitio, et conoscedomi degno di castigo non sa che dirsi, se non che si rimette nella molta pietà et misericordia delle S.V. M. et di questo magnifico et hon. Consiglio, che le diano quello che più le piaccia che in che modo le venga dato dalla sua pietosa et giusta mano, reputerà che sia per meglio de l'anima sua, et pregherà Idio che conceda forze di sopportarlo con quella pazienza che a ben contrito peccatore si conviene, et con tutto il cuore se le raccomanda pregandoli ogni felicità80.

L'esito della supplica fu la permuta della pena capitale nel carcere a vita, che sarebbe stato tuttavia concesso solo nel caso in cui il Nucchelli avesse trovato entro quattro giorni dei fideiussori che garantissero per lui il pagamento di una pena pecuniaria di 500 scudi aurei, senza la garanzia della cui riscossione il podestà era invitato a procedere nell'applicazione delle leggi statutarie, uccidendolo. Evidentemente il condannato pagò, se una noterella a margine di questa delibera ci informa che, due anni dopo, nel 1574, gli fu concesso di uscire di prigione per trascorrere quello che gli restava da vivere agli arresti domiciliari.

Il caso del Nucchelli non è stato utile solo per comprendere con quale disprezzo si guardava alla trasgressione delle norme non scritte che imponevano agli adulti il solo ruolo penetrativo, ma rivela anche dei particolari interessanti sul modo di concepire i comportamenti sessuali dei giovani. Una delle ragioni che Luviso di Baldasssarre invocò quale circostanza attenuante, oltre alla voglia di sottrarre del denaro al Nucchelli (infine confessata) fu il desiderio di dimostrare al vecchio la propria gagliardìa giovanile, mostrandogli la sua erezione:

Item interrogato disse che dopoi, 6 o 8 mesi in circa essendo risanato passando esso Luviso da casa di esso Girolamo che era in sul canto, o, vero uscio di sua casa, chiamò esso Luviso, et entrò in casa sua, et fece trovare da bere, et poi che hebbeno beuto Girolamo li disse, ritiriamoci un poco in camera, et così andorno in una sua camera terrestre et appoggiatosi al letto esso Girolamo gli disse hora se voi volete 80 ASL, Podesta, SB 286, 1572, fo: 140r.

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che io vedi un pogo il vostro coso, mi farete piacere, et esso Girolamo li cominciò a sfibbiare la brachetta, et esso vedendo questa sua voglia si sfibbiò […] et li monstrò il membro, et maneggiandolo esso Luviso da se, non lo poteva far arrissare, allora Girolamo soggiunse lassatelo un po’ maneggiare a me et ci puose su le mani et maneggiatolo alquanto non fu modo di farlo arrissare, et li toccò un poco con le mani il viso et vedendo che non si li voleva arrissare, disse detto Girolamo riserviamoci a un’altra (volta) così si partì81.

A fronte della sua incapacità Luviso decise quindi di ricorrere ai rimedi dello speziale:

vedendo che non si arrissava et desideroso pur come giovane che si li

arrissasse82 andò a trovare Gianbattista [Savona] in bottega di Vanni speziale et gli disse che li desse qualche lattovare da farnelo arrissare, il quale Gianbattista disse che ritornasse da lui fra dui giorni o 3 che li darebbe un lattovare buono per ciò et così ne lo diede, et esso Luviso lo prese in 2 o 3 volte ma non li operò cosa alcuna, et ritornò a dire a Gianbattista che non li aveva operato cosa alcuna, et li adoperò anchora uno aglio […] che non gli fece benefitio alcuno83.

Girolamo, constatato il fallimento, non mancò di pungere nell’orgoglio l’oggetto del suo desiderio, deridendolo per la debolezza dei suoi attributi:

et dimentre che adoperava detto aglio se bene si ricorda di maggio il 11, ritornò un giorno in camera di detto Girolamo, al quale disse sappiate che ho avuto un lattovare et uno aglio per farmi addrissare la faccenda, et nulla mi ha giovato, allora Girolamo appoggiato al letto detto Luviso mise mano mano alla brachetta sua a richiesta di Girolamo et la sciolse mostrandole il cotale, et esso Luiso maneggiatoselo da se stesso senza si li arrissasse in presenza di Girolamo, et esso Girolamo li disse voi sete debile di stiena84

L’ultima motivazione fornita dal giovane per giustificare le sue azioni fu ancora la necessità di non confermare i sospetti del Nucchelli sulla sua ‘mollezza’, sentendosi in dovere “come giovane” di compiacerlo nei suoi desideri:

81 Onestà 2, 1572, fo. 2v. 82 Il corsivo è mio. 83 Ibid., fo. 2v-3r. 84 Ibid., fo. 3r.

(24)

Interrogato con che animo venne a questi atti con Girolamo rispose che avendo visto che Girolamo instantemente li aveva domandato di vedere inarcato il suo cotale, fu, che se l’havesse richiesto che ne l’havesse fatto, che come giovane l’havrebbe compiaciuto85.

Non si trattava di un modo ingenuo o arbitrario di costruire la propria difesa. Sul piano giuridico, infatti, la giovinezza giustificava una mitigazione, o quantomeno una modulazione della pena. Nella giurisprudenza l’abbandono alle passioni, primo fra tutte il sentimento amoroso, era infatti considerato in generale come un affievolimento della volontà (e quindi della responsabilità personale86), a

cui i più giovani erano ritenuti particolarmente soggetti.

Anche Paolino di Agostino aveva dimostrato di non poter e non saper resisitere alle instigazioni del Nucchelli, dicendo, se non altro per scagionarsi, di non poter controllare la propria volontà nonostante l'orrore in lui suscitato dall'anziano:

item interrogato disse che da quel tempo in qua ne l'ha fatto più et più volte, ad instigazione sua di Girolamo che tanto lo stimulava et li dava denari, però come

giovane a tante preghiere et insitgatione di detto girolamo più volte l'ha

sogdomitato87

I particolari con cui è descritto il primo incontro tra i due rivelano un aspetto importante delle tensioni erotiche di cui era permeata la socialità giovanile lucchese:

sono più anni che esso constituto andando a fiume di state a notare, in compagnia di altri giovani ci veniva quasi ugni giorno, girolamo nucchelli in su uno mulo bianco che oggi è di Ludovico sanminiati, et vedendo notare esso constiuto lo preghava che volesse fare notare detto mulo, et egli così nudo più volte ci montò su et lo faceva notare, et girolamo li dava quando un barbone et quando un grosso, successe poi, che di li a certi giorni incontrò per lucca esso girolamo il quale li disse, di quali sei, et detto paulino li rispuose io son figliolo di agostino fornaio a san 85 Ibid., fo. 3v.

86 A. Pertile, Storia del diritto italiano, Roma-Napoli-Milano 1892, vol. V, Storia del diritto

penale, pp. 146-164.

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frediano, et girolamo soggiunse sei figliolo di un mio amico di casa, et gli disse che la sera a un'hora di notte dovesse andare fino a casa sua che haveva sospetto di certi ladri, che si voleva servire di lui, et così li promisse et andò, et siando a casa di girolamo cenorno insieme, doppocena disse, girolamo andiamo a basso et entrorno in camera terrena di esso girolamo dove disse al detto constituto spogliati et entra qui nel mio letto88

E' assai probabile che il Nucchelli non si sia recato a caso d'estate lungo il fiume, dal momento che, stando alle fonti, era (come a Firenze) un luogo di incontro abituale per chi voleva avere rapporti omosessuali. Anni addietro, era stato uno degli scenari principali degli incontri clandestini di una estesa rete di relazioni sodomitiche che alcune ondate di processi hanno riportato alla luce (e cercato di ricondurre all'ordine) tra gli anni '50 e '60 del Cinquecento. Ci troviamo in questo caso davanti a delle fonti molto diverse (meno dettagliate, quasi totalmente prive di particolari e di aspetti narrativi) da quelle che ci hanno consentito di conoscere la vicenda del Nucchelli e dei suoi giovani amanti. Si è trattato per lo più di casi di giustizia “expedita”: il notaio registrava con formule sbrigative l'età dell'imputato, il suo mestiere o quello del padre, la qualità del suo crimine, il numero dei suoi amanti e dei rapporti consumati con ciascuno di essi e, infine, l'eventuale condanna o assoluzione. La confessione era incentivata dalla “composizione della pena”, una sorta di patteggiamento che garantiva, come abbiamo già avuto modo di vedere, punizioni molto meno severe di quelle previste dagli Statuti.

Alcuni imputati ricorrono con più frequenza di altri nei documenti di questi anni: ad esempio, i nomi di Vincenti e Salvestro, figli di un maestro tessitore di nome Stefano, hanno fatto capolino innumerevoli volte nei costituti dei processi celebrati tra il '53 e il '56. Se il secondo fu solo menzionato da uno dei coinvolti, che aveva dichiarato di avere avuto rapporti sessuali con lui89, Vincenti, (dopo

essere stato nominato da un inquisito nel '5290) fu citato nei costituti di ben 4

imputati dell'anno successivo91. Processato e condannato dopo aver confessato di

88 Ibid., fo: 11v.

89 Onestà 1, 1554, fo: 42r, costituto di Vincenti di Maestro Antonio da Fagnano. 90 Ibid., 1552, fo: 16v., costituto di Belgrado di Nicolao Altogradi.

91 Ibid., 1553, fo: 22r, costituto di Belgrado di Nicolao Altogradi; fo: 24r, costituto di Jacopo di Antonio Carnucci, detto “il Riccio”; fo: 26r, costituto di Giovanni di Vincenzo Bandoni; fo: 26v, costituto di Marco di Chimento barbiere.

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aver avuto, a soli 15 anni, almeno cinque amanti92, fu accusato anche l'anno

successivo da altri quattro partners93 e nuovamente sanzionato (benché senza

aggravanti nonostante la recidività)94.

Tra i suoi amanti troviamo anche il figlio di un muratore, Giuseppe di maestro Antonio da Fagnano, processato e riconosciuto colpevole nel 155295, il cui fratello

sedicenne, Vincenzo, compare più volte nei costituti degli inquisiti del '5396. Solo

l'anno successivo quest'ultimo fu formalmente chiamato a rispondere delle accuse, confessando di aver avuto rapporti plurimi proprio con i due figli di Stefano tessitore, e scontando per questo una pena di sei mesi di reclusione97. Così, un

altro coinvolto, Belgrado di Nicolao Altogradi, aveva dichiarato, sia nel '5298 che

nel '5399, di aver avuto rapporti sia con i figli di maestro Stefano tessitore che di

mastro Antonio muratore. La lista dei nomi si allargava nella misura in cui i magistrati convocavano le persone menzionate nei costituti o in cui, probabilmente spinti dall'allarme suscitato, molti prendevano a comparire spontaneamente nella speranza di potersi garantire l'impunità prima di essere denunciati da altri. Alessandro di Orsolino, Paolino di Parigi, Gregorio di Vincenti Berti, Giovan Battista, figlio di un tessitore di nome Vincenzo, Nicolao e Cesare di madonna Sarra, “Tognone”, figlio di un fabbro di nome Andrea, Lorenzo di Francesco Menabbi, suo fratello Tomeo, il tessitore Silvestro, e con loro garzoni, filatori, sensali, e tanti altri ancora, sono menzionati ripetutamente, gli uni nei costituti degli altri, testimoniando, con l'aumentare delle deposizioni, la promiscuità delle relazioni in cui erano coinvolti.

Negli anni '60 l'attività dell'Offitio raggiunse il suo picco, con 79 e 78 imputati (per 48 e 54 condanne) rispettivamente nel 1560 e nel '68. Dal punto di vista della prassi l'attività degli officali in questi anni è pressoché identica a quella dei

92 Ibid., 1553, fo: 23v.

93 Ibid., 1554, fo: 41v; fo: 42r; fo: 43r. Costituti del capitano Romano Chiariti e di Giovan Battista figlio di Alessandro Sensale; fo: 43v, costituto di Giulio di Alberto de Nobili.

94 Ibid., 1554, fo: 42v. 95 Ibid., 1552, fo: 14v.

96 Ibid., 1553, fo: 22v, costituto di Belgrado di Nicolao Altogradi; fo: 23v; fo: 27v, costituto di Marco di Clemente barbiere.

97 Ibid., 1554, fo: 42r.

98 Ibid., 1552, fo: 15v. Fu condannato a pagare una pena di 30 scudi aurei. 99 Ibid., 1553, fo: 22v.

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processi precedenti, così come simili sono anche le modalità di relazione descritte dagli interrogati. Cambiano tuttavia i personaggi chiave, vuoi che i protagonisti del decennio precedente fossero stati distolti dalle persecuzioni, vuoi che il passare degli anni abbia contribuito a modificare spontaneamente il loro stile di vita, portandoli ad abbracciare nuovi orizzonti relazionali, meno turbolenti. Unica cerniera di congiunzione, tra i casi degli anni '50 e quelli degli anni '60, un sarto che abitava in pescaria, Cesare di Matteo Granucci, detto Cesare “di Stella”, che aveva denunciato il figlio di Stefano tessandro nel '54100, che fu condannato nel

'56101 e che tornò a chiedere l'impunità nel '60 per dei rapporti consumati con un

ragazzo, Giovanni Poli102. Quest'ultimo, accusato da 4 persone (forse già al

corrente delle indagini in corso)103, confessò rivelando l'identità di ben 7 amanti104,

poi convocati a comparire. Dalle loro testimonianze partì una nuova ondata di processi e delazioni. La figura centrale nel '60 fu un tale Jacopo di Cirigliano Nocchi, condannato per aver avuto rapporti ripetuti, sia come “agente” che come “paziente”, con 14 persone105, tutte implicate in relazioni reciproche tra loro e a

loro volta processate, e spesso ree confesse, per aver avuto numerosi amanti. L'interscambiabilità dei rapporti, l'indifferenza per il ruolo attivo e passivo, il frequente ricorrere del fiume e delle mura come luoghi di incontro sono elementi comuni che lasciano presagire l'esistenza di una socialità clandestina ma strutturata, che aveva al suo centro scambi sessuali prevalentemente paritetici e caratterizzata da una notevole trasversalità sociale. Per quanto infatti la maggioranza dei processati e dei condannati appartenesse al mondo delle professioni (sarti, barbieri, ciabattini, fornai, tessitori) quindi ai ceti medi e medio-bassi, non mancarono tuttavia esempi di personaggi collocati un gradino più in alto nella gerarchia sociale, come appartenenti al ceto notarile, contraddistinti dall'appellativo di “Ser” che precedeva il nome dei loro padri (abbiamo un Tarquinio di Ser Lazzaro Cioni106 e un Curzio di Ser Sofrzo del Vigna107), come

anche esponenti delle più influenti famiglie lucchesi, come Jacopo Balbani e

100Ibid., 1554, fo: 42r. 101Ibid., 1556, fo: 52r. 102Ibid., 1560, fo: 2r. 103Ibid., fo: 2r. 104Ibid., fo: 2v. 105Ibid., fo. 8v. 106Ibid., fo: 11r. 107Ibid., fo: 9r.

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Vincenti di Paulo Trenta. Se quest'ultimo è citato in un solo costituto, come amante passivo di Jacopo di Cirigliano Nocchi108, e non comparirà più tra le carte

degli officiali, il primo è menzionato da 5 imputati, tra cui un suo familiare (Agostino di Bernardo Balbani), e venne processato e condannato a una pena, a sua scelta, di 5 scudi, 25 frustate, un mese di carcere o un anno di esilio109.

Simile trasversalità sociale, che univa il mondo delle professioni e dei ceti medi (nettamente preponderanti) ad esponenti di famiglie minori come i Sandonnini110, i Pauletti111, i Chelli112, di famiglie più affermate, come gli Spada113,

o di altre ancora appartenenti ai vertici dell'elite lucchese (come i Serdini), è ancora un elemento caratterizzante dei processi del '68. Anche in questo caso, nel vorticoso intrecciarsi delle relazioni reciproche e degli scambi, spicca una figura che, per la quantità dei suoi rapporti, funge da trait d'union tra molti degli inquisiti. Baldassarre, detto “berretta”, figlio di un libraio soprannominato “il sordo”, fu menzionato da ben nove imputati e alla fine confessò di aver avuto rapporti con 15 persone coinvolte nelle indagini114.

Nonostante l'apparente aridità, la documentazione ha consentito di ricostruire una storia corale la cui rilettura apre degli scenari in parte inediti sul vissuto delle relazioni omoerotiche nelle società urbane italiane tra Quattro e Cinquecento. Che delle infrazioni della morale compiute dai giovani fosse infatti la sodomia quella che nel corso di questi secoli suscitò la maggiore preoccupazione da parte di istituzioni politiche, morali e religiose è un dato ormai assodato, ma che essa si esprimesse solo come un rapporto di potere è un topos che a Lucca non ha trovato conferma. Da questo punto di vista, le fonti lucchesi ci restituiscono una realtà parzialmente diversa da quella descritta da Marina Baldassarri (nel suo recente studio sulla persecuzione della sodomia da parte dei tribunali ecclesiastici nella

108Ibid., fo: 8v.

109Ibid., fo: 20v. Personaggi che torneranno nei prossimi capitoli per il loro coinvolgimento nei fermenti ereticali della Lucca del Cinquecento.

11018 membri della famiglia avevano ruotato per 30 volte intorno alla carica dell'anzianato. ASL, ATL, fo: 18.

111Uno di loro è stato per tre volte anziano, ATL, fo: 17.

112Nel Quattrocento Antonio di Filippo era stato otto volte anziano, ATL, fo: 11.

11315 appartenenti della quale, nel corso del Cinquecento, hanno rivestito l'incarico di anziani per ben cento volte, a cui si sono aggiunti due incarichi per il gonfalonierato. ATL, fo: 19.

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Roma del Cinquecento), in cui il sesso, in un contesto in cui predominavano la criminalità, l'accattonaggio, l'esclusione sociale e la povertà, era uno strumento di affermazione gerarchica e un corollario della violenza delle bande giovanili115. Nei

processi lucchesi degli anni '50 e '60 è prevalsa la promiscuità, non la sopraffazione. Certo, resta aperto il problema dell'affidabilità delle fonti, e la povertà di questi documenti processuali può aver portato i notai ad omettere molte sfumature, ma essendo la violenza nella consumazione del rapporto una circostanza aggravante dal punto di vista penale, è assai improbabile che i redattori possano avere sistematicamente omesso di annotare informazioni in merito.

115M. Baldassarri, Bande giovanili e vizio nefando. Violenza e sessualità nella Roma barocca, Roma 2005.

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