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3. I tempi del rituale

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Academic year: 2021

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3. I tempi del rituale

La supplica, come qualsiasi altro rito, si compone di azioni, di gesti e di parole, che hanno senso per il fato di essere inseriti in un tempo e in uno spazio defniti dalle regole del rituale.

Fin qui abbiamo osservato un solo fotogramma, estrapolato dalla sequenza dello svolgimento completo del rituale, per ragionare sulle possibili associazioni e sul complesso di signifcati evocati dal corpo del supplice, elemento fondamentale per l'efcacia del rito.

Nel capitolo che segue ci concentreremo invece sull'intera sequenza di immagini che costituisce la rappresentazione della supplica in tragedia, per tratare della resa tragica dei tempi del rituale.

I tempi della supplica sono scanditi dai movimenti di chi compie il rito, che per prima cosa stabilisce il contato con il suo interlocutore. I primi due momenti prevedono, quindi, che il supplice decida di ricorrere al rito e scelga la strategia di supplica che gli conviene adotare. Il supplice si dirige, poi, verso la sua meta, che può essere un luogo (un altare, una tomba, il focolare di una casa), oppure il supplicato stesso.

Il contato del supplice con il luogo sacro o con il corpo del supplicato segna l'inizio del rituale vero e proprio. Dopo aver segnalato verbalmente il fato di aver stabilito il contato rituale e di avere così avviato un rito di supplica, al supplice non resta che pronunciare il suo discorso, formulare una richiesta ed elencare i motivi per cui questa dovrebbe essere accetata, e infne atendere la risposta del supplicato, che costituisce il momento fnale e decisivo del rito. Nella scansione dei diversi momenti ha un ruolo fondamentale il rapporto del supplice con i luoghi in cui il rito si svolge. Come vedremo nel paragrafo seguente, la relazione tra corpo del supplice e luogo è spesso stretamente

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connessa con l'ateggiamento del supplice, con la sua richiesta e con gli argomenti del suo discorso. A seconda delle circostanze, infati, i supplici hanno un diverso grado di mobilità, e sono più o meno legati al luogo in cui si svolge il rituale.

Nei paragraf che seguono, quindi, ci concentreremo sulle diferenze tra “supplici mobili” e “supplici immobili”, e su alcune occorrenze tragiche delle due fgure. Cercheremo di rifetere, in particolare, su come le diverse carateristiche dei supplici infuenzino la resa dei tempi del rituale nel contesto della performance tragica. Ci sarà estremamente utile, per questo motivo, osservare nel detaglio la ricostruzione dell'azione scenica di alcuni passi tragici, per comprendere in che modo la rappresentazione del rituale corrisponda allo schema dei diversi momenti del rito che qui abbiamo in breve delineato.

Come abbiamo già osservato nel primo capitolo, il repertorio delle rappresentazioni tragiche del rituale è caraterizzato da una grande varietà di soluzioni, che spesso restituiscono immagini del rito anche profondamente diverse tra loro, difcili da catalogare con precisione e ancor più difcilmente riconducibili ad uno schema di regole unitario.

Dopo la rifessione sulle diverse modalità di rendere in tragedia la relazione tra supplice e spazio sacro, sarà utile spostare la nostra atenzione verso fonti diverse dalla tragedia di Euripide per momento storico e per carateristiche formali. Ragionare su una breve rassegna di esempi di supplica trati da Omero e dagli storici ci permeterà di osservare modi diversi di metere in sequenza i diversi momenti del rituale. In tragedia lo svolgimento del rito appare frammentato in alcuni punti, interroto in altri e in altri ancora prolungato al di là dei tempi previsti, e può essere utile, per capire, allargare lo sguardo e inserire l'evidenza della tragedia in una prospetiva più ampia, che tenga conto sia della diacronia che del contesto di fruizione delle diverse forme di espressione, modellate appunto dal contesto per rispondere a esigenze diverse.

Per fnire, una comparazione del repertorio tragico con quello delle immagini vascolari che rappresentano l'episodio mitico della supplica di Oreste a Delf, ci

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permeterà di rifetere sul rapporto tra l'ateggiamento del supplice, la sua relazione con lo spazio sacro e la scansione temporale dei diversi momenti del rituale.

Nel corso di questo capitolo tenteremo, quindi, di rifetere su come, nel teatro di Dioniso ad Atene, i tempi del rito si intrecciassero con i tempi della performance teatrale e con i tempi del racconto mitico, e cercheremo di osservare quali siano i risultati di questo intreccio per quanto riguarda la nostra conoscenza sia della tragedia che del rituale della supplica1.

3.1 Supplici passivi o aggressivi? Variazioni di atteggiamento

Nel capitolo precedente abbiamo lasciato in sospeso la discussione sulle suppliche dei personaggi di Elena e Menelao nell'Elena euripidea con l'ipotesi che ci siano alcune diferenze tra l'ateggiamento che l'una e l'altro tengono per supplicare.

L'indicazione della postura di Menelao, descrita dal participio πεσών2, risulta da

una congetura che si basa soltanto sull'idea di adeguare i gesti di Menelao a quelli della supplica di Elena3. La congetura, oltre a non apparire del tuto

necessaria, sembra anche indebolita dal fato che Menelao esprime chiaramente il suo rifuto di getarsi alle ginocchia di Teonoe come fa Elena4.

Secondo quanto abbiamo visto nel capitolo precedente, a proposito del corpo e della postura del supplice, possiamo ipotizzare che la difcoltà nel compiere il gesto di cadere a terra non sia detata dal rito in sé, ma sia piutosto legata alla connotazione negativa atribuita all'ateggiamento remissivo di chi supplica. Anche il parallelo che abbiamo rintracciato nelle Supplici euripidee, in cui

1 Per una rifessione che mantiene una prospetiva narratologica sull'uso del tempo nelle tragedie di Euripide vd. LLOYD 2007.

2 Eur. Hel. 961 «λέξω τάδ' ἀμφὶ μνῆμα σοῦ πατρὸς πεσών».

3 La supplica di Elena si trova ai vv. 894 e ss., per la discussione a proposito della congetura πεσών, accetata da molti degli editori dell'Elena, vd. supra, p. 80.

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Adrasto manifesta la sua vergogna nel cadere ai piedi di Teseo, sembra spingere in questa direzione.

Adrasto e Menelao pur condividendo il sentimento di vergogna nel compiere i gesti della supplica, non si comportano alla stessa maniera: mentre il primo esprime il proprio disagio e porta comunque a termine il rito, il secondo sembra scegliere una modalità diversa per sotoporre la propria richiesta.

Anche se l'intenzione espressa da Menelao di parlare «ἀμφὶ μνῆμα5» può

corrispondere ad una precisa modalità di relazione con lo spazio sacro6, comune

a chi prega e a chi sacrifca, il testo della tragedia non lascia dubbi sul fato che Menelao sia supplice di Teonoe, come lo è Elena7. Abbiamo motivo, quindi, di

pensare che i due supplici scelgano di compiere il rituale seguendo due strategie distinte, diverse per forma ma pensate come parti di un sistema coerente.

Prendendo quindi come punto di partenza la diferenza di postura che abbiamo rilevato tra le fgure di Menelao, Elena ed Adrasto, possiamo rifetere, procedendo ancora per confronti, sulle conseguenze del diverso ateggiamento dei supplici per l'intero svolgimento del rituale.

Per defnire quale sia il rapporto che la supplica di Menelao intratiene con il complesso del rito può essere utile cercare di capire su quali punti di forza il supplice faccia leva per garantire alla sua richiesta un certo margine di efcacia rituale.

Dato che la supplica a Teonoe ha successo, possiamo procedere a ritroso, individuando quali siano gli argomenti che spingono la sacerdotessa ad accogliere la richiesta, cercando di farli corrispondere con gli argomenti formulati da Elena e Menelao.

Per prima cosa Teonoe evoca due delle forze che la spingono ad accetare: il rispeto degli dei e la volontà di non contaminare il nome del padre8. La

5 Eur. Hel. 961. 6 Vd. supra, p. 84.

7 Nel corso della scena Menelao ed Elena vengono defniti supplici, al duale. Vd. supra.

8 Vd. ai vv. 998-1000 «ἐγὼ πέφυκά τ' εὐσεβεῖν καὶ βούλομαι / φιλῶ τ' ἐμαυτήν, καὶ κλέος τοὐμοῦ πατρὸς / οὐκ ἂν μιάναιμ'»

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sacerdotessa aferma di essere per natura rispetosa delle leggi divine9, e si può

pensare che si faccia qui riferimento alla tutela da parte degli dei della sacralità dei supplici. Tra le divinità elencate come protetrici di Elena e Menelao non c'è, però, Zeus ἱκέσιος: si nominano Era e Cipride, che hanno con i due supplici un rapporto direto10.

Il tema del rispeto da rendere agli dei ricorre in entrambe le suppliche, anche se usato in modo diverso: Elena ricorda il rapporto di reciprocità direta tra Ermes e Proteo, a cui il dio la ha afdata perché venisse resa al marito una volta fnita la guerra11. La morte di Proteo non può interrompere la validità dell'accordo, e lo

scopo per cui Elena ricorda il pato tra Ermes ed il padre della sacerdotessa è quindi quello di getare le basi per stabilire una relazione con Teonoe, evocando un legame stabilito nel passato, ma ancora ativo nel presente12.

Nel suo discorso, Menelao invoca diretamente l'aiuto di Proteo e del dio Ade senza rivolgersi alla sacerdotessa. A Proteo Menelao intima di rispetare l'impegno preso con Zeus di restituire Elena una volta fnita la guerra, e chiede quindi di intervenire per assicurarsi che la fglia non lo disonori, ma che al contrario garantisca il mantenimento degli impegni presi dal padre quando era in vita.

Successivamente Menelao si rivolge al dio Ade nella forma della preghiera13,

ricordandogli la relazione di reciprocità che li unisce: sono molti gli eroi caduti a Troia soto la spada di Menelao, uomini di cui l'eroe ha fato dono al dio degli inferi che ora deve quindi considerarsi in debito14. È in ragione di questo debito 9 Eur. Hel. 998 «πέφυκά τ' εὐσεβεῖν».

10 Il favore di Era nei confronti di Elena è espresso ai vv. 880-885, vd. ALLAN 2008. Per alcune

osservazioni sul ruolo delle divinità nelle scene di supplica in tragedia vd. infra, cap. 4. 11 Eur. Hel. 910-911.

12 Per il ruolo dei rapporti di φιλία nella supplica vd. supra, par. 1.3.

13 Anche se le preghiere in cui si invoca diretamente Ade sono piutosto rare (vd. PULLEYN

1997, p. 114), il discorso di Menelao riprende alcuni moduli tipici della preghiera, in particolare l'invocazione del dio ed il ricordo di un rapporto passato tra l'orante e la divinità, che di solito si oggetiva in una pratica rituale, principalmente l'oferta di sacrifci, vd. PULLEYN 1997, pp. 16-38, DI DONATO 2001a pp. 163-184. Nel discorso di Menelao manca, invece, la promessa di un'oferta successiva alla soddisfazione della richiesta.

14 Per un parallelo dell'idea che Ade si arricchisca con le anime dei morti vd. Soph. OT 30, vd. ALLAN 2008, p. 251.

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che Ade ha il dovere di intervenire come alleato di Menelao, per garantire il ritorno di Elena15. Con tono provocatorio, anzi, Menelao sfda il dio a dare

indietro il dono, nel caso in cui egli non abbia intenzione di restituire il favore. Teonoe aggiunge agli argomenti che determinano la sua risposta positiva anche il rispeto della δίκη16: ἃ δ' ἀμφὶ τύμβωι τῶιδ' ὀνειδίζεις πατρός, ἡμῖν ὅδ' αὑτὸς μῦθος· ἀδικοίημεν ἄν, εἰ μὴ ἀποδώσω· καὶ γὰρ ἂν κεῖνος βλέπων ἀπέδωκεν ἂν σοὶ τήνδ' ἔχειν, ταύτηι δὲ σέ. καὶ γὰρ τίσις τῶνδ' ἐστὶ τοῖς τε νερτέροις καὶ τοῖς ἄνωθεν πᾶσιν ἀνθρώποις· … 17

Secondo la sacerdotessa esiste infati una τίσις, una pena, una sanzione, che potrebbe ricadere su di lei e sul padre18. Anche se il genitivo τῶνδε non esplicita,

purtroppo, quali siano le colpe punite dalla τίσις a cui la sacerdotessa fa riferimento, quello che si deduce dalla risposta è che Teonoe ritiene la richiesta di Menelao legitima secondo il criterio della giustizia.

Nel formulare la sua richiesta, in efeti, Menelao ha parlato come chi vuol far valere un suo dirito, esigendo soddisfazione dal dio, da Proteo e infne da Teonoe. Le parole pronunciate sulla tomba di Proteo sono parole dure: Teonoe le interpreta come un rimprovero, un'ofesa (ἃ ... ὀνειδίζεις).

Menelao stesso, alla fne del suo discorso, sembra rendersi conto della durezza

15 Le uccisioni sono defnite μισθόν, “tributo, pagamento”, termine che confgura lo scambio tra Menelao ed il dio nell'otica di una relazione commerciale. È interessante che l'omicidio, inserito nel contesto della guerra, sia inteso come un tributo al dio dei morti che giustifca una richiesta che sembra, in questo senso, inserirsi nel meccanismo di dono e contro dono della χάρις. Vd. ALLAN 2008, p. 251.

16 Eur. Hel. 1002-1003, «ἔνεστι δ' ἱερὸν τῆς δίκης ἐμοὶ μέγα / ἐν τῆι φύσει· … ». 17 Eur. Hel. 1009-1014.

18 Si deve tenere in considerazione il doppio valore, religioso e giuridico, del termine τίσις, che si spiega nell'otica dell'esistenza di aspeti di predirito nel pensiero greco di età arcaica e classica. La storia del termine traccia un percorso che va dalle occorrenze omeriche e tragiche, in cui il termine signifca “punizione, vendeta” al signifcato di “multa”, vd. CHANTRAINE 1968, s.v. Τίνω. Per la nozione di penalità in rapporto con quella di vendeta vd.

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del tono che ha usato per supplicare, e rimpiange di non aver tentato di suscitare pietà, ἐλεινός, atraverso le lacrime, ma di essere stato concentrato sull'azione, δραστήριος.

Nel discorso si fa infati riferimento soltanto a ciò che il supplice ha intenzione di fare nel caso in cui la risposta sia negativa: Menelao si è legato ad Elena con un giuramento, e si è proposto prima di tuto di sfdare Teoclimeno in bataglia, per decidere chi avrà Elena e chi morirà. C'è però la possibilità che Teoclimeno non acceti di batersi, e scelga di lasciare i supplici bloccati sulla tomba di Proteo perché muoiano di fame. In quel caso Menelao ha giurato di uccidere Elena e poi uccidersi sulla tomba:

κτανεῖν δέδοκται τήνδε μοι κἄπειτ' ἐμὸν πρὸς ἧπαρ ὦσαι δίστομον ξίφος τόδε τύμβου 'πὶ νώτοις τοῦδ', ἵν' αἵματος ῥοαὶ τάφου καταστάζωσι· κεισόμεσθα δὲ νεκρὼ δύ' ἑξῆς τῶιδ' ἐπὶ ξεστῶι τάφωι, ἀθάνατον ἄλγος σοί, ψόγον δὲ σῶι πατρί19.

Menelao è un supplice armato, e con la sua spada minaccia di aggredire sia gli altri che se stesso.

Una tra le implicazioni del rito, che dipende in particolare dalla posizione assisa che si assume per supplicare, è quella di defnire il supplice come morto potenziale20: egli resta infati legato all'altare o al luogo della supplica per un

tempo indefnito, che può arrivare potenzialmente fno alla morte.

L'aggressività di Menelao si concretizza nel fato di insistere su questo aspeto del rito per minacciare Teonoe: il sangue che scorrerà sulla tomba sarà un disonore per il padre morto, e per lei sarà un dolore inestinguibile. Portando avanti il ragionamento si può pensare che la τίσις a cui la sacerdotessa fa riferimento nell'accetare la supplica di Menelao sia proprio la contaminazione

19 Eur. Hel. 982-986. 20 Vd. supra, p. 24.

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che speta all'assassino, che investe anche chi si macchia della morte di un supplice21.

La distanza tra la supplica di Menelao e suppliche come quella di Elena o di Adrasto nelle Supplici non si esaurisce nella sola diferenza di postura.

Chi intraprende la strada del rito, infati, può scegliere una propria strategia, che coinvolge sia la postura che l'ateggiamento e che è in streta relazione con gli argomenti che si avanzano per far accetare la propria richiesta.

Da questo punto di vista si può spiegare il constrasto tra l'ateggiamento minaccioso di Menelao e quello sotomesso di Adrasto.

La supplica di Adrasto, pur non riuscendo ad otenere una risposta positiva, fa leva sulla pietà che Teseo dovrebbe provare verso le madri dei Sete, in luto per i fgli; saranno le madri, in un secondo momento, ad evidenziare il loro rapporto di parentela con Teseo, ancora una volta con l'obietivo di creare un legame22.

Qando Teseo rifuta la supplica, esprimendo il suo giudizio negativo sulla guerra scatenata da Argo contro Tebe, Adrasto risponde che non ha scelto Teseo come giudice delle proprie azioni, ma è venuto ad Eleusi per essere aiutato23.

La supplica di Menelao, invece, non si defnisce come una richiesta di assistenza. In questo caso il supplice spinge il supplicato a esprimere un giudizio: il discorso di Menelao mete Teonoe in condizione di valutare le alternative e di considerare le conseguenze delle sue scelte24.

Anche se le due strategie di supplica, quella di Adrasto ed Elena da una parte e di Menelao dall'altra, appaiono profondamente diverse, esse si inseriscono entrambe a pieno titolo nel complesso del rituale, che rappresentano in due diversi aspeti.

I primi due supplici assumono una posizione di inferiorità rispeto al supplicato e tentano di far leva sul sentimento di pietà, nella speranza che, accetando la supplica, il supplicato stabilisca con loro un legame di reciprocità; Menelao

21 Vd. supra, par. 1.4.

22 Sulla parentela e l'efcacia della supplica in tragedia vd. supra, par. 1.3.

23 Eur. Supp. 354-357 «οὔτοι δικαστήν <σ'> εἱλόμην ἐμῶν κακῶν … ἀλλ' ὡς ὀναίμην.» 24 In particolare vd. Eur. Hel. 954-958 «ἀλλ', εἰ μὲν ἄνδρα σοι δοκεῖ σῶσαι ... εἰ δὲ μὴ δοκεῖ…».

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invece fa leva sul caratere ambiguo della posizione del supplice, che, pur trovandosi in una situazione di difcoltà e di inferiorità rispeto al supplicato, può diventare pericoloso per chi non mostra di rispetare la forza di costrizione del rituale25.

Alle diverse strategie di supplica corrisponde un diverso rapporto tra il supplice e il luogo del rituale: Elena, nel corso della tragedia, si allontana più volte dalla tomba per poi ritornarvi, Menelao invece minaccia di non lasciare la tomba nemmeno da morto, legandosi stretamente al luogo in cui sta supplicando. Se la distanza tra supplici fssi e supplici in movimento fosse evidente soltanto in casi come quello di Adrasto da una parte e Menelao dall'altra, si potrebbe facilmente pensare che essa sia detata dalle due diverse strategie del rituale. La supplica fsica, infati, allude alla minaccia della morte del supplice con il comportamento di totale sotomissione alla forza e alla volontà del supplicato. Nella supplica presso l'altare, invece, ci sarebbe la necessità di chiarire il fato che il supplice si espone al rischio di morte.

Si è già notato, però, che la distinzione tra le due strategie di supplica, che appare operativa da un punto di vista generale, non si può applicare alle immagini di supplica in tragedia se non a prezzo di qualche forzatura.

Le diverse suppliche di Elena nel corso dell'intera tragedia sono un otimo esempio della difcoltà di considerare del tuto separate le due tipologie di supplica.

Elena si trova sulla tomba di Proteo già dall'inizio del dramma, poiché ha intenzione di sfuggire all'obbligo delle nozze con Teoclimeno26. Alla falsa notizia

della morte di Menelao, Elena lascia la tomba per entrare nella casa e interrogare la sacerdotessa sulla sorte del marito27; una volta uscita dalla casa ha di nuovo

intenzione di raggiungere l'altare, e lo fa di corsa, sfuggendo a Menelao che la insegue, e che lei scambia per un uomo di Teoclimeno che la vuole costringere al

25 Sulla minaccia di contaminazione implicita nel rito della supplica vd. GERNET 1968, pp. 229 e ss.; 295-299, GOULD 1973, PARKER 1983, pp. 104-143, GIORDANO 1999a, vd. supra, par. 1.4. 26 Eur. Hel. 1-67 il prologo rispeta lo schema della cancelled entry, comune alle tragedie dei

supplici, vd. supra, p. 53 27 Eur. Hel. 386.

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matrimonio28. Infne Elena si geta ai piedi di Teonoe, per supplicarla insieme al

marito che, come abbiamo visto, rimane invece legato alla tomba29.

La supplica ha un ruolo centrale nello svolgimento di tuta la tragedia, e viene rappresentata in ogni sua forma senza che si avverta una soluzione di continuità tra i diversi modi di compiere il rituale; uno degli elementi che avvicinano la rappresentazione della supplica presso la tomba e di quella fsica è il fato che il movimento di cadere sulla tomba e quello di cadere ai piedi di Teonoe sono entrambi espressi con il verbo πίπτω30.

Non ha senso, quindi, applicare schemi che forzino l'interpretazione e che non considerino l'efetiva appartenenza di tuti i tipi di supplica ad un complesso unico.

Nei paragraf che seguono tenteremo quindi di rifetere sul diverso rapporto tra i supplici e lo spazio sacro, rapporto che, vedremo, coinvolge diretamente la rappresentazione dei tempi del rituale. Tenendo sempre presente la varietà delle immagini di cui disponiamo, e proponendoci di non applicare schematizzazioni artifciose del rito, procederemo per comodità metendo a confronto alcune immagini di supplica presso l'altare, nelle quali le forme di contato con il luogo sacro sono solitamente più semplici da identifcare perché segnalate con maggiore evidenza nel testo.

Raccoglieremo quindi degli esempi che ci permetano di rifetere sui diversi modi di muoversi dei supplici in tragedia, e sulle diverse modalità che legano il supplice al luogo in cui il rito si svolge, con lo scopo di comprendere come la rappresentazione tragica del rito sia in rapporto con la scansione dei tempi del rituale.

28 Eur. Hel. 549-556. 29 Eur. Hel. 894-1004.

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3.2 Il supplice in fuga. La corsa all'altare nello Ione

La prima immagine di supplica presso l'altare che ci è sembrata interessante per illustrare il rapporto tra il supplice ed il luogo sacro è quella di Creusa nello Ione. Tuta l'ambientazione della tragedia è signifcativa per rifetere sul rapporto dei personaggi con il dio e con gli spazi che gli appartengono: l'azione si svolge per intero nel τέμενος di Apollo a Delf, con la σκηνή che rappresenta il tempio e, di fronte alla facciata del tempio, un altare31.

La particolarità dello Ione rispeto alle altre tragedie che contengono una supplica presso l'altare consiste nel fato che all'inizio del dramma il rituale non è ancora stato avviato32. Qesto aspeto ci permete, quindi, di osservare il modo

in cui il supplice si avvicina all'altare e inizia a supplicare.

La ricostruzione della messa in scena del passo che si estende dall'entrata di Creusa, al verso 1250, fno all'inizio della supplica, al verso 1282, ha creato più di una perplessità negli interpreti moderni, che in alcuni casi sono arrivati a spostare o eliminare interi gruppi di versi.

Una letura di questo passo per come si presenta anche dal punto di vista della rappresentazione del rituale può dar ragione se non della realtà della messa in scena, di per sé sfuggente, almeno del motivo per il quale gli studiosi hanno riscontrato tanti problemi nell'interpretazione.

Creusa, che ha tentato di avvelenare Ione ma è stata scoperta, entra in scena in corrispondenza del verso 1250, e dice di essere inseguita da qualcuno che vuole ucciderla33. In un concitato scambio di batute, il coro le suggerisce l'unica

possibile via di salvezza: rifugiarsi sull'altare del dio34.

31 Il tempio di Apollo a Delf viene descrito nel detaglio nella parodo, vd. LEE 1997, pp. 177 e

ss. Per la presenza dell'altare vd. DI BENEDETTO, MEDDA 1997, p. 142.

32 Le cosiddete suppliant plays prevedono di solito un inizio con i supplici già sull'altare, defnito da Oliver Taplin “cancelled entry”. Vd. supra, p. 53.

33 La locuzione «ἐπὶ σφαγάς» al v. 1250 anticipa, atraverso il termine σφαγή, tecnico del sacrifcio, l'interferenza che si verrà a creare nei versi successivi tra il supplice e la vitima sacrifcale. Vd. infra.

34 Il caratere concitato della scena è confermato anche dal metro, tetrametro trocaico, vd. LEE

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{Χο.} ποῖ δ' ἂν ἄλλοσ' ἢ 'πὶ βωμόν; {Κρ.} καὶ τί μοι πλέον τόδε; {Χο.} ἱκέτιν οὐ θέμις φονεύειν. {Κρ.} τῶι νόμωι δέ γ' ὄλλυμαι. {Χο.} χειρία γ' ἁλοῦσα. {Κρ.} καὶ μὴν οἵδ' ἀγωνισταὶ πικροὶ δεῦρ' ἐπείγονται ξιφήρεις. {Χο.} ἵζε νυν πυρᾶς ἔπι. κἂν θάνηις γὰρ ἐνθάδ' οὖσα, τοῖς ἀποκτείνασί σε προστρόπαιον αἷμα θήσεις· οἰστέον δὲ τὴν τύχην.35

Lo scambio di batute, che gioca sull'esitazione di Creusa, sembra far leva sul caratere ambiguo della supplica come procedura pregiuridica: per la legge Creusa è colpevole di aver tentato di assassinare Ione, ma l'altare può comunque garantirle una protezione contro i suoi assalitori36. Creusa sembra esitare anche

quando, in corrispondenza del verso 1256, scorge i suoi inseguitori in arrivo. Il coro la spinge, ancora, a sedersi sull'altare del dio.

A questo punto la nostra visuale, che è orientata soltanto dalle indicazioni presenti nel testo, si sposta su Ione, che sta entrando in scena con un gruppo di uomini armati.

Qando Creusa parla di nuovo, in corrispondenza del verso 1282, lo fa sicuramente dall'altare del dio, dove si trova di conseguenza già dal verso 1280, nel momento in cui Ione fa notare ai suoi che la donna è stata così astuta da rifugiarsi sull'altare.

A dare problemi agli editori sono i versi della prima batuta di Ione, che sembrano contrastare con le regole del rituale della supplica. Al verso 1266, infati, Ione dà ai suoi l'ordine di caturare Creusa ed ucciderla:

λάζυσθ', ἵν' αὐτῆς τοὺς ἀκηράτους πλόκους κόμης καταξήνωσι Παρνασοῦ πλάκες, ὅθεν πετραῖον ἅλμα δισκηθήσεται37. 35 Eur. Ion 1254-1260. Il testo è quello di DIGGLE 1981a. 36 Vd. a proposito di supplica e predirito supra, par. 1.5. 37 Eur. Ion 1266-1268.

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L'ordine di Ione desta perplessità per due motivi: prima di tuto l'assenza nel testo di ogni reazione dei servi al comando, in secondo luogo il fato che esso contrasti con il divieto di fare violenza ai supplici.

Il primo dei due motivi è legato alle dinamiche che in tragedia regolano il fato di dare ed eseguire un comando: dopo che è stato dato l'ordine, infati, non c'è alcun segnale dell'azione dei servi di tentare di caturare Creusa se non in corrispondenza del verso 1282, quando lei intima di non toccarla38.

L'ordine si scontra inoltre con le regole detate dal rito della supplica, secondo le quali sarebbe impossibile allontanare con la forza un supplice dall'altare. Il paradosso è tanto più evidente dato che, secondo gli editori, il personaggio di Ione sarebbe caraterizzato per tuta la tragedia come rispetoso delle leggi divine.

Per eliminare il problema del contrasto delle parole di Ione con il contesto del rituale sono state proposte diverse soluzioni. Alcuni studiosi sostengono che Ione si renda conto del fato che Creusa si trova sull'altare soltanto dopo il verso 1275, e che dia quindi l'ordine senza sapere che questa sta supplicando39.

Una ricostruzione di questo genere sembra tutavia poco credibile se si considerano i primi versi della batuta di Ione:

{Ιων} ὦ ταυρόμορφον ὄμμα Κηφισοῦ πατρός,

38 Qesto problema è stato rilevato da KIRCHHOFF 1867, che sposta i vv. 1266-1268 dopo il 1281.

BAIN 1981, p. 35 esplicita il ragionamento che sta alla base di questa operazione «Orders to

mute are obeyed promptly unless they are incapable of being carried out or someone contradicts them». L'assioma, che può funzionare in linea di massima, non ha nessun fondamento per essere applicato acriticamente ad ogni situazione. Già le note sceniche al testo di MURRAY 1901, (vd. infra) contraddicono il preceto restituendo comunque una messa in scena credibile.

39 Vanno in questa direzione le note al testo di VERRALL 1890 e MURRAY 1901, che fornisce la

sua ricostruzione inserendo queste didascalie: «1266 nondum conspexit Ion ad aram confugisse Creusam … sed v. 1275 videt suos nihil facere, suspicit illam ad aras quasdam fugere velle v. 1279 tandem rem intellegit … ». Sono di questo avviso anche WILAMOWITZ

-MOELLENDORFF 1926 e OWEN 1963. Qesta interpretazione potrebbe giustifcarsi grazie al

conceto di discontinuità o contato parziale, teorizzato da MASTRONARDE 1979, secondo il

quale un personaggio che entra in scena potrebbe iniziare a parlare prima di essere entrato in contato con tuti gli elementi dello spazio scenico, pronunciando una sorta di a parte o riferendosi soltanto ad alcuni di questi elementi. Mastronarde stesso, tutavia, non crede che in questo caso si possa parlare di discontinuità (vd. infra); sul conceto di visione o contato parziale vd. MASTRONARDE 1979, 25 e BATTEZZATO 1995, 79 e ss.

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οἵαν ἔχιδναν τήνδ' ἔφυσας ἢ πυρὸς δράκοντ' ἀναβλέποντα φοινίαν φλόγα, ἧι τόλμα πᾶσ' ἔνεστιν οὐδ' ἥσσων ἔφυ Γοργοῦς σταλαγμῶν, οἷς ἔμελλέ με κτανεῖν40.

Il dimostrativo τήνδε riferito a Creusa al verso 1262 lascia pochi dubbi sul fato che Ione stia parlando di qualcosa che vede.

Mastronarde e Taplin formulano indipendentemente due ipotesi molto simili sulla messa in scena di questo passo, e propongono l'idea che, nel momento in cui Ione dà l'ordine di caturare Creusa, questa non sia ancora salita sull'altare. Secondo le ipotesi di Mastronarde e Taplin, la donna non prenderebbe posizione sull'altare quando il coro le suggerisce di farlo, ma raggiungerebbe il suo luogo di rifugio soltanto in corrispondenza del verso 1279, nel momento in cui l'azione viene segnalata dalle parole di Ione41.

Se si vuole accetare questa ricostruzione è necessario, in ogni caso, riempire il vuoto temporale che si viene a creare tra il verso 1258, in cui il coro intima a Creusa di sedersi, ed il verso 1279, in cui si segnala che l'azione è stata compiuta. Taplin sostiene che Creusa esiti e decida di correre sull'altare soltanto all'ultimo momento, quando Ione e i suoi stanno per raggiungerla. La donna sarebbe rilutante ad afdarsi come supplice al dio: il rapporto tra Creusa ed Apollo è problematico, per la violenza passata e per il tentativo della donna di uccidere Ione all'interno del santuario42. Soltanto il verso 1285 sancirebbe, secondo Taplin, 40 Eur. Ion 261-265.

41 MASTRONARDE 1979, p. 110-112. TAPLIN 1978, pp. 53-54, ipotizza che Creusa salga sull'altare tra i vv. 1265 e 1282. Non si giustifca, ad ogni modo, l'indicazione scenica «runs to the altar» inserita da Taplin dopo il verso 1282, che toglierebbe senso ai vv. 1280-1281 in cui Ione aferma che Creusa è sull'altare. Per inserire la nota scenica Taplin traduce il v. 1282 «do not put me to death for my sake and Apollo’s, where we stand» facendo riferire «ἵν' ἕσταμεν», sembra, non soltanto all'altare ma al'intero τέμενος. Il perfeto risultativo ἕσταμεν, tutavia, sembra piutosto indicare il fato che Creusa è salita, e quindi sta, sull'altare, vd. come parallelo Hel. 556, in cui il verbo ἵστημι indica il fato che Elena abbia raggiunto l'altare (vd.

infra).

42 Qando Creusa entra in scena, al verso 237, Ione si stupisce di vederla chiudere gli occhi e piangere alla vista dell'altare del dio, vd. Ion vv. 241-243. Le lacrime di Creusa, contrapposte all'ateggiamento festivo di Ione, metono in immagine uno dei fulcri essenziali della tragedia: il contrasto tra madre e fglio nei termini del rapporto con il dio, con lo spazio e con i tempi del sacro e con il tempo passato e presente in generale. Sulle variazioni di umore e di

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l'efetivo realizzarsi del contato rituale, con la decisione di Creusa di afdare il proprio corpo ad Apollo.

Mastronarde ritiene invece che si possa immaginare una scena concitata nel contenuto, ma molto lenta dal punto di vista dell'azione, con Creusa e i suoi inseguitori che corrono verso l'altare con movimenti rallentati, così da dare modo a Ione di pronunciare i versi che vanno da 1261 a 128043. Scene di questo

tipo, sostiene Mastronarde, non sono rare in tragedia44.

Qando, per dare ragione della messa in scena di un passo, si è costreti a ricorrere al solo conceto di consuetudine scenica, si rischia di sovrainterpretare il testo. Dal punto di vista della rappresentazione del rituale, però, la fuga all'altare di Creusa non è un'immagine isolata.

Una scena parallela a quella della corsa verso l'altare che abbiamo visto nello

Ione si può trovare nell'Elena, nel momento in cui la protagonista, che ha

abbandonato l'altare per entrare nella casa rappresentata dall'edifcio della σκηνή, riguadagna correndo la sua posizione sulla tomba alla vista di Menelao45:

ἔα, τίς οὗτος; οὔ τί που κρυπτεύομαι

Πρωτέως ἀσέπτου παιδὸς ἐκ βουλευμάτων; οὐχ ὡς δρομαία πῶλος ἢ βάκχη θεοῦ τάφωι ξυνάψω κῶλον; … 46

Il paragone con la baccante non lascia dubbi sul fato che la scena dovesse essere pensata come concitata, e la corsa come scomposta. Anche in questo caso, però, i tempi sono piutosto dilatati, e c'è spazio per uno scambio di batute tra i due

tempo nello Ione vd. LEE 1996.

43 Per risolvere il problema della lentezza della scena DIGGLE 1981b, p. 121, espunge i vv. da

1275 a 1279, che a suo giudizio presenterebbero delle anomalie linguistiche.

44 MASTRONARDE 1979, p. 110 sostiene che, in generale, i movimenti degli atori non fossero mai

esagerati né scomposti. Mastronarde riporta come esempi di movimenti rallentati in modo evidente Eur. HF 514 e ss., Andr. 547 e ss., Aesch. Supp. 836-910, Ag. 1649-1654, Soph. OC 819-847. Anche PICKARD-CAMBRIDGE 1968, pp. 171-176 sostiene che movimenti e gesti

risultassero altamente stilizzati. Vd. a questo proposito anche DI BENEDETTO, MEDDA 1997, pp. 193-201.

45 Per gli spostamenti di Elena che si allontana e avvicina alla tomba nel corso della tragedia vd. supra.

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personaggi, con Elena che fugge e Menelao che le chiede di fermarsi. {Με.} σὲ τὴν ὄρεγμα δεινὸν ἡμιλλημένην

τύμβου 'πὶ κρηπῖδ' ἐμπύρους τ' ὀρθοστάτας, μεῖνον· τί φεύγεις; ὡς δέμας δείξασα σὸν ἔκπληξιν ἡμῖν ἀφασίαν τε προστίθης.47

Le parole di Menelao ci fanno vedere Elena che invade, correndo, tuti gli spazi della tomba di Proteo48. All'atenzione di Menelao, che sembra concentrarsi in

particolare sul suo corpo (δέμας), Elena reagisce come si reagisce ad una violenza:

{Ελ.} ἀδικούμεθ', ὦ γυναῖκες· εἰργόμεσθα γὰρ τάφου πρὸς ἀνδρὸς τοῦδε, καί μ' ἑλὼν θέλει δοῦναι τυράννοις ὧν ἐφεύγομεν γάμους.49

La violenza, lo vedremo, è uno dei motivi principali per cui una donna fugge verso l'altare. È signifcativo da questo punto di vista il fato che Elena, sebbene non sappia ancora chi è l'uomo che la insegue, associ l'inseguimento alle nozze forzate con Teoclimeno.

Soltanto in corrispondenza del verso 1556 Elena dice di aver raggiunto la tomba, e di potersi fnalmente fermare.

47 Eur. Hel. 546-549.

48 La tomba di Proteo è rappresentata come composta da un gradino e uno spazio riservato ai sacrifci col fuoco. La descrizione è simile a quella che si potrebbe dare di un altare, tanto che il passo è tra quelli che fanno sostenere a REHM 1988 che ci fosse una sostanziale identità tra

le struture che in tragedia rappresentavano le tombe e quelle che rappresentavano gli altari, fno a ipotizzare la presenza di una strutura fssa al centro della scena rifunzionalizzata a seconda delle esigenze della trama. Il fato che sulla tomba di Proteo si compissero sacrifci con il fuoco, e non soltanto sacrifci cruenti, non desta nessuna perplessità, al contrario di ciò che viene segnalato in alcuni commenti che danno per scontata la divisione tra culto olimpico e culto ctonio. I sacrifci con il fuoco si inseriscono infati a tuti gli efeti delle pratiche sacrifcali previste nel culto eroico, vd. EKROTH 2002

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{Με.} στῆσον, φόβον μεθεῖσα, λαιψηρὸν πόδα. {Ελ.} ἵστημ', ἐπεί γε τοῦδ' ἐφάπτομαι τάφου.50

In questo caso, in modo ancora più evidente che nello Ione, il tempo scenico che sta tra il momento in cui Elena annuncia la sua intenzione di salire sulla tomba e l'efetiva realizzazione dell'azione risulta estremamente rallentato. L'estrema lentezza dei movimenti risalta con grande evidenza se si considera che Elena entra in scena dalla porta della σκηνή: se Menelao si trova già nell'orchestra la distanza tra i due non deve essere tale da giustifcare l'alternarsi di ben sedici versi prima che i due si raggiungano nei pressi dell'altare51.

Metendo in parallelo le due scene possiamo pensare che il modulo della fuga all'altare fosse connesso al rito dello supplica, e risultasse stilizzato nella sua rappresentazione tragica. Le convenzioni che regolavano la messa in scena della fuga verso l'altare non ci sono del tuto chiare, ma da ciò che emerge dai testi sembra che esse permetessero di sotolineare verbalmente con sufciente respiro tuti particolari di una scena che, se immaginata in termini stretamente mimetici, avrebbe dovuto svolgersi in modo piutosto rapido.

Il fato di raggiungere un luogo è tanto importante per la supplica da costituire uno dei nuclei atorno a cui si costruisce il lessico del rituale52.

La fuga all'altare rappresenta una delle possibilità per i supplici di avvicinarsi allo spazio sacro.

In Euripide il momento in cui si prende contato con il luogo sacro è rappresentato per due volte con questa immagine, nello Ione e nell'Elena. Nelle restanti tragedie dei supplici, pur con qualche variazione sul tema del salire o scendere dall'altare, il momento dell'arrivo del supplice rimane oscurato, al di fuori dei limiti temporali dello svolgimento del dramma53.

50 Eur. Hel. 555-556. L'uso del verbo ἵστημι, questa volta al presente, chiarisce senza possibilità di fraintendimenti anche il verso 1283 dello Ione, in cui il «ἕσταμεν» certamente si riferisce al fato che Creusa ha preso posizione sull'altare, vd. supra.

51 Vd. ALLAN 2008, p. 208; questo passo in particolare è citato da PICKARD-CAMBRIDGE 1968

come esempio di una evidente distanza tra testo e azione scenica. 52 Vd. supra, p. 7.

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L'idea che il supplice stia fuggendo da un luogo per rifugiarsi in un altro è presente, anche se non viene di fato messa in scena, negli Eraclidi54 e nelle

Supplici eschilee, in cui le Danaidi si defniscono supplici in fuga, «ἱκέτιν φυγάδα

περίδρομον»55.

L'immagine della fuga all'altare è molto difusa nel repertorio delle rafgurazioni vascolari, all'interno del quale essa rappresenta una delle scene tipiche di supplica, sopratuto nel caso in cui a compiere il rito sia una donna. Nelle immagini, che ricorrono sopratuto in contesti di guerra o di lota, una donna corre verso un altare nella speranza di sfuggire ad un uomo che vuole ucciderla o violentarla56.

I vasi mostrano un complesso sistema di relazioni tra la supplice, l'inseguitore e l'altare: il luogo sacro, che nella serie della supplice in fuga non è ancora stato raggiunto, conserva il suo doppio valore di luogo di rifugio e luogo di morte, a seconda che si immagini che la supplice venga risparmiata oppure uccisa come una vitima sacrifcale. È a causa di questa doppia funzione che l'altare genera nelle fgure che vi si avvicinano due movimenti opposti: in alcune scene l'uomo cerca di tirare via la donna dall'altare per impedirle di trovarvi rifugio, in altre invece la donna viene spinta all'altare, e lì uccisa57.

Per la nostra indagine è utile sofermarci su uno dei vasi analizzati da Marta Pedrina per la serie della corsa all'altare, lo skyphos di Gotha58. Su una delle due

facce del vaso è rappresentato un efebo con mantello e clamide, che minaccia qualcuno con la spada. Facendo ruotare il vaso appare, sulla faccia opposta, una donna che tende una mano verso l'altare e l'altra verso il suo aggressore, muovendo così il mantello che le lascia scoperto il seno destro59.

54 Eur. Heracl. 15-16 « … φεύγομεν δ' ἀλώμενοι / ἄλλην ἀπ' ἄλλης ἐξοριζόντων πόλιν». 55 Aesch. Supp. 350.

56 Sulle immagini di donne supplici nei vasi vd. PEDRINA 2005, pp. 85-128, che rileva una

particolare importanza del modulo della fuga all'altare.

57 Per i due movimenti opposti rispeto all'altare vd. PEDRINA 2005, pp. 86-93. Vd. come esempi

l'anfora del British Museum E 336 (Immagine 3), in cui Aiace cerca di strappare Cassandra dalla statua della dea, e una coppa conservata a Bologna, P. 423 (Immagine 2), in cui un uomo cerca di tratenere una donna sull'altare per ucciderla.

58 Skyphos atico a fgure rosse. Gotha, Schlossmuseum Ahv 5 A. K. 302. Riprodoto in CVA, Gotha 2, Pl. 35 (Immagine 4).

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La mano della donna sopra l'altare crea un sintagma che a sua volta richiama un'altra serie di immagini, in cui una ragazza ofre sull'altare un fore, una corona o un fruto, oggeti che a loro volta si collegano con gioielli o ornamenti femminili e che metono in immagine il passaggio della donna all'età adulta60.

Nella scena della fuga della donna verso l'altare viene messo in risalto il corpo femminile atraverso il gioco delle vesti o, come in questo caso, atraverso un riferimento a pratiche che si legano alla maturità sessuale della donna; l'immagine della corsa all'altare fa emergere infati una problematica di tipo sessuale, evocata prima di tuto dalla minaccia della violenza che viene suggerita dalla scena dell'inseguimento61.

Qello che qui ci interessa è che nel vaso di Gotha la fgura della supplice sembra rappresentare in immagine una delle fasi fondamentali del rito: il corpo della donna, che non ha ancora raggiunto l'altare, è preso in una tensione che va in due direzioni opposte, verso l'aggressore e quindi verso la minaccia della violenza, e al tempo stesso verso il luogo sacro e verso il rituale. Con i due gesti delle mani, nelle due direzioni, la donna suggerisce inoltre che non appena avrà preso contato con l'altare cercherà, per mezzo del rito, di stabilire un legame tra il suo corpo, il luogo sacro e l'aggressore.

Nel passaggio dell'Elena che abbiamo leto, il contato con la tomba si esprime con il verbo ἐξάπτω, che potrebbe corrispondere al gesto rafgurato sullo

skyphos, nel quale la donna sembra tendere una mano per toccare il luogo sacro.

Nell'Elena la tensione che si avverte tra supplice e supplicato e la minaccia della violenza sessuale sono generate da un equivoco e non da un reale tentativo di violenza: Menelao si avvicina perché incuriosito dalla somiglianza della donna con la moglie, mentre lei fugge perché pensa che lui voglia costringerla al matrimonio. Qesta tensione si risolve con il riconoscimento, sotolineato a livello visivo dal gesto di Elena di tendere le braccia al marito, e dall'abbraccio tra i due62.

60 Vd. PEDRINA 2005, p. 86.

61 Sull'associazione della fuga all'altare con la violenza sessuale vd. PEDRINA 2005, pp. 85 e ss.

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Nello Ione, invece, il rapporto tra supplice e supplicato rimane problematico per tuto lo svolgimento del rito. Al suo ingresso sulla scena, Ione paragona Creusa ad una serpe dagli occhi fammeggianti: la donna non è soltanto una vitima, è pericolosa come un serpente, come la Gorgone con il cui veleno Creusa ha tentato di uccidere il fglio63.

D'altra parte anche Ione è aggressivo nei confronti della madre: chi ha tentato di correggere il testo per giustifcare l'ordine di caturare e uccidere la supplice non ha tenuto conto del fato che l'intera scena si gioca sul desiderio di Ione di uccidere Creusa, frustrato dalla legge degli dei che gli impedisce di aggredirla. Il tema dell'inviolabilità dei supplici si inserisce sul tono di aggressività di Ione, che rimane costante. All'ordine di caturare Creusa segue l'idea che l'altare non le sarà d'aiuto, poiché Creusa non suscita nel fglio nessun senso di pietà.

ἀλλ' οὔτε βωμὸς οὔτ' Ἀπόλλωνος δόμος

σώσει σ'· ὁ δ' οἶκτος ὁ σὸς ἐμοὶ κρείσσων πάρα καὶ μητρὶ τἠμῆι· καὶ γὰρ εἰ τὸ σῶμά μοι

ἄπεστιν αὐτῆς, τοὔνομ' οὐκ ἄπεστί πω64.

Successivamente Ione prende ato del fato che Creusa è arrivata all'altare, e sostiene che questa dovrà dare conto in ogni caso del suo delito:

ἴδεσθε τὴν πανοῦργον, ἐκ τέχνης τέχνην οἵαν ἔπλεξε· βωμὸν ἔπτημεν θεοῦ

ὡς οὐ δίκην δώσουσα τῶν εἰργασμένων65.

Le parole di Ione risultano poco chiare se non si tiene conto dello statuto di procedura pregiuridica del rito della supplica, che viene inserito nella procedura

63 Per l'associazione di Creusa con il serpente nella circostanza della supplica vale la pena di ricordare due loutrophoroi apuli, datati alla seconda metà del quarto secolo (LIMC Kreusa I - 7, 8). Nel primo Creusa è rappresentata di fronte all'altare, ai lati del quale stanno due pantere e due serpenti. Nella seconda rafgurazione Creusa è in piedi sopra l'altare, e stanno sopra l'altare anche una pantera e un serpente.

64 Eur. Ion 1275-1278. 65 Eur. Ion 1279-1281.

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ma rimane allo stesso tempo legato al proprio signifcato religioso66. Se da una

parte la legge divina garantisce la protezione dei supplici non è deto che questi siano immuni da una condanna secondo la legge umana.

Creusa indugia già prima di salire sull'altare perché sa di essere colpevole secondo la legge, «τῷ νόμῳ δέ γ' ὄλλυμαι67» ed è su questo terreno che si

giustifca anche il discorso di Ione, secondo il quale gli dei non dovrebbero permetere a chi ha violato la legge di avvicinarsi agli altari:

{Ιων} φεῦ·

δεινόν γε θνητοῖς τοὺς νόμους ὡς οὐ καλῶς ἔθηκεν ὁ θεὸς οὐδ' ἀπὸ γνώμης σοφῆς· τοὺς μὲν γὰρ ἀδίκους βωμὸν οὐχ ἵζειν ἐχρῆν ἀλλ' ἐξελαύνειν· … 68.

Dal discorso di Ione appare evidente che la sua perplessità risiede nel contrasto tra le leggi degli dei e la giustizia umana, che prevede che i colpevoli siano condannati69. Non c'è dubbio che l'intenzione celata dietro questi versi sia ancora

una volta quella di allontanare Creusa dall'altare, e che Ione si tratenga soltanto per rispeto delle leggi divine.

Tuto il confronto che si svolge sull'altare di Apollo si risolve in un contrasto teso tra la supplice, che rimane ferma all'altare, ed il supplicato, che contesta la legitimità del ricorso al rito e minaccia di allontanare Creusa dal suo luogo di rifugio.

La tensione si sviluppa su due piani argomentativi: quello del legame con Apollo e quello dell'appartenenza alla famiglia, usati per creare una distanza tra il supplice e il supplicato. È evidente che il contasto si muove anche in questo caso sul terreno dell'equivoco e dell'ignoranza da parte dei due personaggi di una realtà che invece è nota allo spetatore: i due sono madre e fglio, ed è proprio

66 Su supplica e predirito vd. supra, par. 1.5. 67 Eur. Ion 1256.

68 Eur. Ion 1312-1315.

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atraverso il dio Apollo che si risale a questo legame.

Abbiamo già visto che Ione aggredisce Creusa e la minaccia dicendole che l'altare non le sarà d'aiuto in nessun modo: Creusa non merita la pietà, uno dei sentimenti fondamentali perché il supplicato acceti la richiesta, sentimento che Ione dice di provare solo per sua madre.

È evidente il meccanismo di ironia tragica messo in moto da questa afermazione di Ione; lo stesso tipo di meccanismo funziona anche nei versi in cui Creusa aferma che scegliendo di salire sull'altare afda il suo corpo al dio Apollo:

{Ιων} τί δ' ἐστὶ Φοίβωι σοί τε κοινὸν ἐν μέσωι; {Κρ.} ἱερὸν τὸ σῶμα τῶι θεῶι δίδωμ' ἔχειν. {Ιων} κἄπειτ' ἔκαινες φαρμάκοις τὸν τοῦ θεοῦ; {Κρ.} ἀλλ' οὐκέτ' ἦσθα Λοξίου, πατρὸς δὲ σοῦ70.

Nella scena dello Ione, in conclusione, il rito della supplica non ha lo scopo di permetere la creazione di una relazione di φιλία, ma piutosto quello di restituire l'immagine dell'interruzione forzata di un legame già esistente71. Gli

sforzi di Creusa da supplice vanno nella direzione di creare una distanza che possa proteggerla dall'aggressività di Ione.

Anche nella nostra tragedia, come abbiamo visto sulle rafgurazioni vascolari che rappresentano la corsa all'altare, il luogo sacro genera due movimenti opposti, uno centrifugo ed uno centripeto:

{Ιων} ἔκλειπε βωμὸν καὶ θεηλάτους ἕδρας. {Κρ.} τὴν σὴν ὅπου σοι μητέρ' ἐστὶ νουθέτει. {Ιων} σὺ δ' οὐχ ὑφέξεις ζημίαν κτείνουσ' ἐμέ; {Κρ.} ἤν γ' ἐντὸς ἀδύτων τῶνδέ με σφάξαι θέληις. {Ιων} τίς ἡδονή σοι θεοῦ θανεῖν ἐν στέμμασιν; 70 Eur. Ion 1284-1286.

71 Per una rapida panoramica sulle violazioni della φιλία tra madre e fglio nello Ione vd. BELFIORE 2000, pp. 129-130.

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{Κρ.} λυπήσομέν τιν' ὧν λελυπήμεσθ' ὕπο72.

Da una parte il supplicato desidera che si interrompa il contato con il luogo sacro che protegge il supplice, per poter interrompere in questo modo anche la forza del rituale73.

Il supplice al contrario rimane stretamente legato all'altare, e sfda il supplicato a ucciderlo all'interno dello spazio sacro al dio. L'uccisione all'altare inevitabilmente assume il registro del sacrifcio, che in questo caso è richiamato dalle bende che avvolgevano le vitime nel rituale sacrifcale74.

Abbiamo ricordato più volte che l'ateggiamento del supplice, più o meno sotomesso, comunque nasconde una minaccia per il supplicato, ed è su questo aspeto del rituale che insistono supplici come Creusa nello Ione e Menelao nell'Elena, sfdando il supplicato ad osare ucciderli all'interno dello spazio sacro. La doppia forza esercitata dal supplice è riassunta in maniera efcace dal duplice signifcato del termine προστρόπαιος, legato al conceto di contaminazione, che viene evocato nello Ione come una forza che garantisce l'efcacia del rito75.

Il senso del sostantivo, che indica una modalità del rivolgersi verso qualcosa76,

sembra indicare un movimento e insieme il movimento contrario: προστρόπαιος è il sangue della vitima che perseguita l'assassino e a volte la vitima stessa che chiede vendeta, ma προστρόπαιος è anche colui che è contaminato, che viene designato in questo modo sia per il fato che si rivolge al dio sia, nel senso opposto, perché può a sua volta essere fonte di contaminazione77. Nel caso dello

Ione l'ultima ofensiva di Creusa, che ha già tentato di uccidere il fglio, consiste

72 Eur. Ion 1306-1311.

73 L'importanza del contato con il luogo sacro è stata sotolineata da GOULD 1973, che sostiene

che l'interruzione del contato dia al supplicato l'occasione di muoversi liberamente e uccidere il supplice. In realtà secondo PARKER 1983 anche chi uccide il supplice fuori dallo

spazio sacro può essere colpito dalla contaminazione. Vd. supra, par. 1.2 e 1.4.

74 Vd. VAN STRATEN 1995, pp. 161-162. Per l'interferenza tra supplica e sacrifcio vd. infra,

par. 4.5.

75 Eur. Ion 1260 (vd. supra).

76 Vd. CHANTRAINE 1968 s.v. τρέπω.

77 Per il senso del termine προστρόπαιος vd. GERNET 1917, pp. 146-147, PARKER 1983, pp. 108-109. Sulla resa del senso di προστρόπαιος nelle immagini vascolari del mito di Oreste vd. PEDRINA 2005, vd. infra.

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proprio nel minacciarlo atraverso la supplica, sfdandolo a versare il suo sangue sull'altare e ad afrontare il pericolo della contaminazione78.

Il caratere precipitoso della supplica nello Ione impedisce che siano presenti i rami coronati da bende, che appaiono soltanto quando i supplici entrano in scena prima dell'inizio della tragedia79. Le bende compariranno, però, ad

avvolgere il cestino che contiene gli γνωρίσματα che permeteranno il riconoscimento di Ione.

Nella tragedia gli oggeti contenuti nel cestino forzano verso la risoluzione del confito tra madre e fglio, svolgendo il ruolo che nel rituale è solitamente riservato alle parole del supplice: facendo emergere la parentela tra Ione e Creusa essi permetono che la supplica si concluda in maniera positiva, con l'immagine del contato fsico, un abbraccio80 tra madre e fglio81.

Nello Ione, l'entrata in scena della sacerdotessa con il cestino interrompe la rappresentazione del rituale della supplica, limitata ad un confronto teso tra supplice e supplicato che rimarrebbe irrisolto senza un intervento esterno.

Creusa restituisce l'immagine di un supplice stretamente ancorato al luogo sacro, che non si rivolge al supplicato se non con tono minaccioso e di sfda. I trati utilizzati in questa rappresentazione del rituale richiamano quelli che caraterizzano la supplica di Menelao dell'Elena, che abbiamo osservato nel paragrafo precedente.

Rifetere su un'altra variante nella rappresentazione dei rapporti tra il supplice e l'altare ci aiuterà a procedere nella nostra rifessione sulla resa tragica dei tempi del rituale.

78 Si possono leggere in questo senso le parole del coro, ai vv. 1259-1260, « … τοῖς ἀποκτείνασί σε /προστρόπαιον αἷμα θήσεις … ».

79 Vd. supra, p. 53.

80 Sul contato fsico in tragedia vd. KAIMIO 1988. Si risolve allo stesso modo la scena dello

scontro tra Elena e Meneleo sulla tomba di Proteo: al riconoscimento segue l'abbraccio, che con il contato fsico permete ad Elena di abbandonare la sua posizione alla tomba. Vd.

supra.

81 La proposta di contato fsico da parte del supplicato, che aiuta il supplice a lasciare l'altare o lo rialza da terra, segna solitamente la conclusione del rito nel caso in cui la richiesta venga accetata, vd. GOULD 1973, GIORDANO 1999a, NAIDEN 2006. Sulla restituzione di questo

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3.3 Il supplice seduto e l'immobilità degli Eraclidi

Gli Eraclidi sono una tragedia che presenta una carateristica singolare dal punto di vista del legame tra supplici e spazio sacro: se seguiamo le indicazioni che si ricavano dal testo, infati, i fgli di Eracle, personaggi muti, non abbandonano mai l'altare nel corso della tragedia82.

Come accade solitamente per le cosiddete suppliant plays, la tragedia si apre con i supplici che hanno già preso posizione all'altare83. Nel prologo, Iolao illustra

l'antefato che ha portato lui e gli Eraclidi a recarsi come supplici all'altare di Zeus a Maratona. Una volta cacciati da Argo, i fgli di Eracle sono fuggiti di cità in cità, inseguiti dagli uomini di Euristeo. Nelle parole di Iolao il percorso si caraterizza come una fuga:

πρῶτον μὲν ἡμᾶς ἤθελ' Εὐρυσθεὺς κτανεῖν· ἀλλ' ἐξέδραμεν, καὶ πόλις μὲν οἴχεται, ψυχὴ δ' ἐσώθη. φεύγομεν δ' ἀλώμενοι ἄλλην ἀπ' ἄλλης ἐξοριζόντων πόλιν84.

Il prologo pronunciato da Iolao ci restituisce l'immagine dell'arrivo precipitoso dei supplici a Maratona. La fuga degli Eraclidi si arresta sull'altare di Zeus, su cui questi si sono seduti per supplicare. Il verbo usato per descrivere l'azione di sedersi sull'altare è καθέζομαι85, composto del verbo ἕζομαι che ricorre con molta

frequenza non soltanto in contesti di supplica, per indicare il fato di sedersi e di restare inativo86.

L'immobilità del quadro iniziale del prologo viene turbata al verso 55, prima dell'ingresso del coro, con l'entrata in scena dell'araldo inviato da Euristeo, che

82 Vd. ALLAN 2001, pp. 46 e ss., DI BENEDETTO, MEDDA 1997, pp. 123-125.

83 Per la defnizione di Taplin di questa convenzione come “cancelled entry” vd. supra, p. 53. 84 Eur. Heracl. 13-16. Il testo è quello di DIGGLE 1984.

85 Eur. Heracl. 32-34, «Μαραθῶνα καὶ σύγκληρον ἐλθόντες χθόνα / ἱκέται καθεζόμεσθα βώμιοι θεῶν / προσωφελῆσαι … ».

86 CHANTRAINE 1968, s.v. Ἕζομαι. Per qualche osservazione generale su diverse atitudini del

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ha intenzione di convincere i supplici a lasciare l'altare. Per prima cosa egli sostiene che non servirà a niente l'aver scelto l'altare di Maratona come rifugio, perché la cità di Atene non sarà disposta a prendere gli Eraclidi come alleati:

ἦ που καθῆσθαι τήνδ' ἕδραν καλὴν δοκεῖς πόλιν τ' ἀφῖχθαι σύμμαχον, κακῶς φρονῶν87·

L'araldo intima a Iolao di lasciare l'altare e tornare ad Argo, ma vedendo che questi non ha nessuna intenzione di muoversi minaccia di ricorrere alla violenza per trascinarlo via88.

Il prologo della tragedia si conclude con uno scontro: l'araldo passa dalle parole ai fati e tenta prima di metere le mani sui fgli di Eracle, poi aferra Iolao, che aveva tentato di difendere i ragazzi, e lo trascina a forza giù dall'altare. Iolao cade, e invoca l'aiuto degli Ateniesi:

{Ιο.} ὦ τὰς Ἀθήνας δαρὸν οἰκοῦντες χρόνον, ἀμύνεθ'· ἱκέται δ' ὄντες ἀγοραίου Διὸς βιαζόμεσθα καὶ στέφη μιαίνεται, πόλει τ' ὄνειδος καὶ θεῶν ἀτιμίαν89.

È raro che in tragedia si trovino scene di violenza e di lota paragonabili a questa, che ha un impato notevole dato che l'araldo osa fare violenza ad un supplice ancora seduto sull'altare90.

Tentare di allontanare un supplice con la forza è, lo abbiamo ripetuto più volte,

87 Eur. Heracl. 55-56. Sull'uso del sostantivo ἕδρα in questo passo vd. infra.

88 Eur. Heracl. 59-63, «χώρει· τί μοχθεῖς ταῦτ'; ἀνίστασθαί σε χρὴ / ἐς Ἄργος, οὗ σε λεύσιμος μένει δίκη. / {Ιο.} οὐ δῆτ', ἐπεί μοι βωμὸς ἀρκέσει θεοῦ, / ἐλευθέρα τε γαῖ' ἐν ἧι βεβήκαμεν. / {Κη.} βούληι πόνον μοι τῆιδε προσθεῖναι χερί;».

89 Eur. Heracl. 69-72.

90 Sulla discussione della scena e dei paralleli vd. ALLAN 2001, p. 137. Qesta scena viene

inserita da MIKALSON 1991, pp. 69-77, nella serie delle “challenges to popular beliefs”, che raccoglie passi tragici in cui vengono rappresentate violazioni delle norme religiose. Per una panoramica sulle violazioni della supplica nelle tragedie dei tre tragici maggiori vd. BELFIORE

1998, pp. 151-155. In generale per la violenza rappresentata in tragedia per mezzo del contato fsico vd. KAIMIO 1988

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una violazione delle leggi divine che comporta contaminazione91.

Nella tragedia, tutavia, il gesto dell'araldo rimane impunito da parte degli dei; anche se l'araldo sostiene che gli Eraclidi siano soto la giurisdizione argiva, e debbano quindi essere condannati92, il suo comportamento violento suscita la

reazione di Demofonte, che non acceta di veder violata una legge che dovrebbe essere comune a tuti i Greci93.

L'aspeto della violazione della norma religiosa viene sotolineato in questo caso da Iolao, che chiamando aiuto grida che le bende dei supplici sono contaminate. Dal punto di vista che qui ci interessa, quello della rappresentazione del rituale, la scena dello scontro tra l'araldo ed i supplici costituisce l'unico esempio euripideo in cui si porta alle estreme conseguenze la minaccia della violenza sul supplice, che si fa fsica oltre che verbale94.

Negli Eraclidi si infrangono le regole del rituale, per deviare in direzione di una conclusione violenta, ma la deviazione viene immediatamente arrestata.

Ci siamo già chiesti se l'interruzione del contato tra supplice e altare permetesse al supplicato di non rispetare la richiesta formulata atraverso il rito o, addiritura, gli garantisse di restare impunito pur uccidendo i supplici95. In

questo caso l'allontanamento del supplice dall'altare non solo non interrompe la minaccia della contaminazione, ma non scalfsce nemmeno la continuità del rito, di cui non si percepisce nessuna interruzione. All'ingresso di Demofonte viene permesso a Iolao di formulare la sua richiesta, che assume certamente a partire

91 Vd. supra, par. 1.4.

92 L'araldo di Euristeo imposta il problema della supplica degli Eraclidi sul piano giuridico, sostenendo che sia legitimo far valere il dirito argivo anche in terra ateniese. Al contrario il coro ritiene necessario che l'araldo si consulti con Demofonte prima di agire con la forza, vd. vv. 111-113. Su questo aspeto del confronto vd. infra. L'araldo sostiene che gli Eraclidi debbano essere giustiziati tramite lapidazione (sulla lapidazione vd. infra, p. 183).

93 In questo senso ai vv. 130-131 Demofonte sostiene che l'araldo, che appare greco dall'aspeto, si comporta come un barbaro. Il riferimento è senz'altro all'azione violenta contro i supplici. 94 Se analizzata semplicemente come modulo drammatico la supplica in tragedia si confgura

nella maggior parte dei casi come uno scontro tra supplice e aggressore o supplice e supplicato, interroto dall'arrivo di un terzo personaggio, vd. KOPPERSCHMIDT 1971. Il terzo personaggio permete solitamente che la scena evolva nella direzione di un confronto che viene in qualche modo spinto verso una risoluzione, ed evita che il rituale si concluda con l'uccisione del supplice. Sulle minacce e l'uccisione dei supplici vd. infra.

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dal verso 226 le carateristiche della supplica, richiamata dal verbo ἄντομαι, dai riferimenti al gesto di circondare le ginocchia e dall'implorazione “per il tuo mento”. ἀλλ' ἄντομαί σε καὶ καταστέφων χεροῖν καὶ πρὸς γενείου, μηδαμῶς ἀτιμάσηις τοὺς Ἡρακλείους παῖδας ἐς χέρας λαβεῖν· γενοῦ δὲ τοῖσδε συγγενής, γενοῦ φίλος πατὴρ ἀδελφὸς δεσπότης· ἅπαντα γὰρ τἄλλ' ἐστὶ κρείσσω πλὴν ὑπ' Ἀργείοις πεσεῖν96.

Il riferimento al contato fsico, e la locuzione πρὸς γενείου in particolare, hanno convinto gli interpreti della presenza in questo passo di una rappresentazione della supplica nella sua variante fsica. Il rito è richiamato anche nei versi precedenti, con il riferimento ai fgli di Eracle, supplici, esiliati e parenti di Demofonte. Il re è invitato, come avviene solitamente nel rituale, a prendere contato visivo con chi supplica97.

La necessità di adeguare l'azione scenica all'esigenza dello stabilirsi di un contato tra supplice e supplicato ha portato gli editori degli Eraclidi a inserire didascalie che precisassero lo svolgersi dell'azione scenica dell'intero primo episodio della tragedia98.

Percorriamo in breve la ricostruzione che mete d'accordo la maggior parte degli editori del testo: Iolao è caduto a terra prima dell'inizio della parodo, ed è lì che si trova alla fne del canto, quando Demofonte fa il suo ingresso. Dato che il dialogo tra due personaggi prevede l'instaurarsi di un contato comunicativo, è possibile che Iolao si trovi in piedi in corrispondenza del verso 18199, nel

momento in cui prende la parola: dovrebbe alzarsi da terra subito prima di

96 Eur. Heracl. 226-231. 97 Vd. vv. 223-225.

98 Eur. Heracl. 118-352. Sono comuni a tute le maggiori edizioni del testo la didascalia “rising to his feet” al v. 181, e “kneels as a suppliant” al v. 226.

99 Sull'impossibilità di stabilire il contato con un personaggio che si trova a terra vd. MASTRONARDE 1979, TELÒ 2002a.

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iniziare a parlare, o in corrispondenza dei versi immediatamente precedenti. Nel momento in cui si accenna al contato fsico, Iolao cadrebbe di nuovo, questa volta ai piedi di Demofonte. Il supplicato compirebbe poi il gesto rituale di rialzare in piedi il supplice, per signifcare l'accoglimento della richiesta100.

Il primo episodio si conclude certamente con Iolao che è tornato sull'altare di Zeus inseme ai fgli di Eracle, dato che in corrispondenza del verso 344, in risposta all'invito di Teseo a lasciare l'altare per entrare nel palazzo, Iolao risponde che preferisce rimanere supplice per pregare per il successo della cità in guerra: {Ιο.} οὐκ ἂν λίποιμι βωμόν, εὐξόμεσθα δὲ ἱκέται μένοντες ἐνθάδ' εὖ πρᾶξαι πόλιν. ὅταν δ' ἀγῶνος τοῦδ' ἀπαλλαχθῆις καλῶς, ἴμεν πρὸς οἴκους. θεοῖσι δ' οὐ κακίοσιν χρώμεσθα συμμάχοισιν Ἀργείων, ἄναξ101·

Iolao, quindi, riguadagna l'altare al più tardi al verso 344, con la frase «οὐκ ἂν λίποιμι βωμόν» che ci dà una garanzia sulla continuità di svolgimento del rituale: Iolao parla e si comporta come se la forza del rito non fosse stata messa assolutamente in discussione dalla violenza che gli ha fato temporaneamente abbandonare il luogo sacro. La continuità è garantita, senza dubbio, dalla presenza degli Eraclidi, che non abbandonano mai l'altare nel corso di tuta la tragedia e che mantengono sulla scena l'immagine della continuità della supplica a Demofonte102.

Se ci si atiene alla ricostruzione scenica proposta dalle edizioni principali non si può che stupirsi dell'originalità della supplica in questa tragedia, che integra supplica fsica e supplica presso l'altare in un quadro composito, nel quale il complesso simbolico del rito permea tute le variazioni imposte dall'azione

100 La ricostruzione scenica presentata in queste righe accomuna l'edizione di KOVACS 1995, ALLAN 2001 e MÉRIDIER 1970, che si diferenzia solo per il fato che non inserisce nessuna didascalia nel momento in cui Iolao si alzerebbe in piedi.

101 Eur. Heraclid. 344-348.

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scenica, connotandole in senso rituale103.

Prima di rifetere su questo aspeto degli Eraclidi, però, va sollevata un'obiezione alla ricostruzione degli editori che può metere in dubbio la loro interpretazione della scena. Nel corso della nostra tratazione abbiamo riportato i passi che scandiscono i tre momenti in cui il contato fondamentale allo svolgimento del rito viene interroto, stabilito in modo diverso ed infne ristabilito secondo la prima modalità. Al di là di questi tre momenti, tutavia, non c'è segnale alcuno nel testo degli spostamenti e dei movimenti di Iolao: non si segnala in nessun modo che Iolao si rialzi da terra, o che Demofonte lo aiuti ad alzarsi una volta terminata la supplica.

L'assenza di queste due indicazioni sceniche non rappresenterebbe un problema in sé, dato che in numerosi casi il ristabilirsi di un contato comunicativo ordinario non viene segnalato nel testo se non atraverso la comunicazione stessa104.

A questa possibile omissione, che da sola non costituisce una prova, si aggiunge un silenzio che, a mio avviso, è più signifcativo: al momento del suo ingresso, Demofonte non fa nessun accenno al fato che Iolao si troverebbe a terra. Demofonte dice di essere accorso perché ha sentito le grida d'aiuto e i lamenti del coro, e chiede spiegazioni. Il corifeo risponde dicendo che a chiedere aiuto sono stati i fgli di Eracle, che si sono rifugiati come supplici all'altare di Zeus a Maratona insieme a Iolao che fa loro da παραστάτης; i versi del corifeo illustrano la situazione, ma non danno ragione delle urla, almeno a giudicare dalla risposta di Demofonte. Il corifeo deve quindi precisare che i lamenti sono stati causati dall'azione dell'araldo, che ha trascinato Iolao giù dall'altare:

{ΔΗΜΟΦΩΝ}

ἐπείπερ ἔφθης πρέσβυς ὢν νεωτέρους

103 Un procedimento simile si trova nelle Supplici euripidee, tragedia in cui i ruoli stessi di supplice e supplicato si confondono, e la supplica fsica invade lo spazio sacro dell'altare. Sulla scena delle Supplici vd. supra, p. 61.

104 Vd. a questo proposito MASTRONARDE 1979 e TELÒ 2002a, che discute di come ripristinare le didascalie che indicano il fato di rialzarsi dopo essere caduti a terra.

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