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CAPITOLO 4 IL MODELLO ORGANIZZATIVO E LA SICUREZZA SUL LAVORO

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CAPITOLO 4

IL MODELLO ORGANIZZATIVO E LA SICUREZZA SUL LAVORO

4.1 LA SICUREZZA SUL LAVORO NELL’ATTUALE SISTEMA SOCIALE

L’evoluzione dei contesti organizzativi produttivi e del mercato del lavoro hanno indotto necessari cambiamenti nell’approccio al tema della salute sicurezza: l’attenzione si sposta da una prospettiva a posteriori, centrata sulla riparazione del danno infortunistico, ad una concezione globale di sicurezza che si focalizza sulla prevenzione diffusa tra tutti gli attori del sistema organizzativo. Al contempo, la prospettiva prevenzionistica si scontra con criticità legate all’emergere di nuovi sistemi organizzativi: viene meno l’impresa monolitica propria del modello fordista sostituita da una crescente frammentazione del processo produttivo e dall’emergere di imprese di dimensioni contenute (prodotto del fenomeno del downsizing1), governate da nuovi schemi di flessibilità organizzativa.

L’implementazione sia di schemi di flessibilità funzionale (volti a garantire la capacità del lavoratore di svolgere una pluralità di compiti in base ai cambiamenti della struttura organizzativa), che di flessibilità numerica (relativi a forme contrattuali c.d. contingenti e/o a prototipi di organizzazione flessibile dell’orario di lavoro) trova, poi, un fattore catalizzatore nella recente congiuntura economico-produttiva mondiale: per far fronte alla recessione più profonda mai sperimentata negli ultimi 50 anni di storia economica2, i datori di lavoro e le parti sociali tendono a confrontarsi su soluzioni organizzative sempre più innovative.

In particolare, si assiste al ricorso sempre più frequente a strumenti di flessibilità quantitativa (banca ore e part-time) come alternativa al downsizing3.

La contrazione dei mercati, le frequenti ristrutturazioni organizzative e il fenomeno del downsizing sono stati analizzati in letteratura giuridica soprattutto alla luce del concetto di “precarietà”, intesa come variabile intermedia nella correlazione con i temi della salute e sicurezza sul lavoro.

I modelli di flessibilità numerica al centro del dibattito sul sistema prevenzionistico sono principalmente quelli contrattuali e gestionali: ricorrono le questioni inerenti alla frammentazione della vita lavorativa, l’inadeguata formazione in materia di salute e sicurezza, i rischi correlati

1

Significato: riduzione dei costi.

2 International Monetary Fund, World Economic Outlook, aprile 2009

3 Si veda Literature Review a cura di A. Barboni, G. Bubola, P. de Vita, S. Foffano, S. Ferrua, M. Giovannone, G.

Ippolito, R. Raffaele, Y. Russo, S. Solidoro, Il Testo Unico della Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro nell’ottica del

cambiamento dei modelli di produzione e organizzazione del lavoro. Commentario al Testo Unico della Salute e Sicurezza sul lavoro dopo il “correttivo” (d. lgs. 106/2009), 2009

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all’inserimento nell’organizzazione ed infine, l’incapacità di redigere modelli organizzativi con una elevata capacità esimente.

I modelli di organizzazione e gestione previsti dagli artt. 6 e 7 D. Lgs. n. 231/2001, incidono sugli aspetti soggettivi dell’imputazione della responsabilità da reato all’ente4.

L’adeguate regole di organizzazione contenute nel modello organizzativo costituiscono il primo ed il più alto argine alla commissione di crimini da parte dell’ente5.

In sostanza in capo all’ente collettivo si deve considerare vigente un regime di garanzia, relativo alla vera e propria organizzazione dello stesso, composto in primo luogo dal dovere di istituire una rete di garanti all’interno del processo produttivo ed organizzativo basato sul sistema delle deleghe e in secondo luogo dalla facoltà di predisporre un modello di organizzazione e gestione volto proprio a fornire un supporto al rispetto di suddetto dovere6.

Il ruolo centrale del modello organizzativo è garantito in modo particolare dalla sua struttura, costituita da una Parte Generale, una Parte Speciale e da un Organismo di Vigilanza che funziona da raccordo di queste due parti7.

La rilevanza del modello organizzativo, varia di intensità a seconda del fatto che il reato in questione sia stato commesso dai vertici dell’ente o da un sottoposto oltre che dal fatto che lo stesso sia stato adottato ante o post delictum, inoltre, spiega a fondo come elementi fondamentali dei modelli 231, siano in sostanza la loro efficacia e la loro dinamicità.

In altre parole, devono considerarsi come elementi caratterizzanti il modello organizzativo

l’efficacia, la specificità e l’attualità dello stesso.

In relazione, alla natura giuridica dei modelli ed alla obbligatorietà della loro adozione si contrappongono diversi orientamenti.

Per alcuni è obbligatoria soltanto l’adozione e l’attuazione dei modelli diretti a prevenire i reati commessi dai sottoposti8, altri sostengono l’obbligatorietà dei modelli sia per gli apici sia per i subalterni9, l’opinione prevalente, tuttavia, ritiene meramente facoltativa l’adozione del modello10.

4 C. Piergallini in La struttura del modello di organizzazione, gestione e controllo del rischio-reato, in G. Lattanzi (a

cura di) Reati e responsabilità degli enti, Giuffrè, Milano, 2010, 153 ss.

5

R. Rordorf in I criteri di attribuzione della responsabilità. I modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i

reati, in Le Società, n. 11/2001.

6

per un’analisi dei due elementi T. Vitarelli, Delega di funzioni e responsabilità penale, Giuffrè, Milano, 2006, nonché C. E. Paliero, C. Piergallini, La colpa di organizzazione, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 3/2006, 171 ss.

7 per un analisi approfondita degli elementi costituenti le singole parti nonché le caratteristiche peculiari dell’Organismo

di Vigilanza si veda per esteso C. Piergallini in La struttura del modello di organizzazione, gestione e controllo del

rischio-reato, in G. Lattanzi (a cura di) Reati e responsabilità degli enti, Giuffrè, Milano, 2010, 158 ss.

8 D. Pulitanò, La responsabilità amministrativa degli enti, in Diritto e Pratica delle Società (le Monografie), 2002, n. 3,

431.

9

A. Santi, La responsabilità delle società e degli enti. Modelli di esonero delle imprese d.lgs. 8 giugno2001, n. 231, Giuffrè, Milano, 2004, 291.

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L’art. 6 del decreto, con riferimento ai possibili profili di responsabilità dell’ente in caso di illeciti posti in essere da soggetti in posizione apicale, prevede l’esonero da responsabilità dell’ente solo quando si verifichino simultaneamente le quattro condizioni che seguono:

a) adozione e attuazione da parte dell’ente (da parte dell’organo dirigente), prima della commissione del reato, di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire quella specifica categoria di reati;

b) affidamento del compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del modello (e di curarne l’aggiornamento) ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

c) dimostrazione che l’autore del reato ha eluso fraudolentemente quel modello di organizzazione e gestione;

d) dimostrazione che l’organismo di controllo di tale modello ha svolto diligentemente la sua vigilanza11.

Per i reati posti in essere dai soggetti non apicali, l’art. 7 del decreto prevede in via generale, al comma 1, che l’ente debba rispondere solo nel caso in cui “la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza”. L’esonero da responsabilità dell’ente (una sorta di presunzione di “osservanza degli obblighi di direzione e vigilanza”) è prevista solo quando si verifichino simultaneamente due condizioni:

a) adozione e attuazione da parte dell’ente prima della commissione del reato, di modelli di organizzazione, di gestione e di controllo idonei a prevenire quella specifica categoria di reati; b) previsione nei modelli predetti di misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività dell’ente nel rispetto della legge e idonee anche a rilevare ed eliminare tempestivamente le situazioni di rischio, tenendo conto ovviamente delle caratteristiche del singolo ente.

In particolare, l’adozione di un modello organizzativo può dirsi effettivamente efficace ed idoneo ad escludere la responsabilità dell’ente, in relazione ai fatti criminosi dei soggetti non apicali, quando venga assicurata:

1) “una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni, ovvero quando intervengono mutamenti o nell’organizzazione o nell’attività”;

2) “un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello”12.

10 N. D’Angelo, Infortuni sul lavoro: responsabilità penali e nuovo testo unico, Maggioli, Santarcangelo di Romagna,

2008, 559.

11 Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili di Roma. UGDCEC di Roma Gruppo di Studio “Diritto

Penale dell’Economia”. Alessandro Papa La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: riflessioni teoriche e pratiche.

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In entrambi i casi, la volontà del legislatore di individuare ipotesi in cui la responsabilità dell’ente possa ritenersi insussistente si giustifica con l’intento di subordinare l’esistenza di tale forma di “colpevolezza” non solo alla ricollegabilità sul piano oggettivo del reato all’ente, ma anche alla possibilità di rimproverare a questo una condotta disdicevole sotto il profilo di una cattiva organizzazione.

Pertanto nel caso di reato commesso da soggetto sottoposto alla direzione e vigilanza di un soggetto apicale, il regime giuridico della responsabilità dell’ente cambia sia sotto l’aspetto dei presupposti normativi della responsabilità, sia per la diversa distribuzione dell’onere della prova fra il pubblico ministero che sostiene la responsabilità dell’ente e l’ente che deve difendersi.

L’“inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza” che hanno reso possibile la commissione del reato da parte del sottoposto, equivale, nel sistema normativo del decreto in esame, ad impedire l’attribuzione di responsabilità all’ente ove questi abbia adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo. Perciò, dalla lettura degli enunciati normativi, emerge, in riferimento alla struttura dell’illecito prevista nel decreto legislativo, che i modelli di organizzazione e controllo devono qualificarsi come elementi impeditivi dell’illecito: pur essendosi verificati tutti i presupposti che normalmente comporterebbero l’attribuzione di responsabilità a carico dell’ente, se risulta dimostrata la sussistenza di un elemento ulteriore della preventiva adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e controllo, la responsabilità dell’ente non consegue.

Alla luce di quanto sopra, possono formularsi talune ulteriori osservazioni in relazione alla esistenza o meno del modello organizzativo all’interno dell’ente:

1) Esistenza del modello. In tal caso il modello può essere considerato idoneo o insufficiente. Nella prima ipotesi trova immediatamente applicazione l’esonero da responsabilità dell’ente, ovviamente in presenza di tutti i presupposti previsti quali la previa adozione e attuazione del modello, l’organizzazione, la sua effettività ed idoneità a impedire la commissione di reati del tipo di quello verificatosi. Nella ipotesi di insufficienza del modello e della sua attuazione, l’esonero da responsabilità in capo all’ente non può essere esclusa a priori, ma occorre verificare caso per caso. Ciò non toglie che vi possa essere comunque spazio per una verifica in concreto se, a prescindere dal modello, nel caso di specie, siano state poste in essere dall’ente misure particolari, nonostante le quali, il sottoposto abbia ugualmente commesso il reato a vantaggio dell’ente13.

12

Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili di Roma. UGDCEC di Roma Gruppo di Studio “Diritto Penale dell’Economia”. Alessandro Papa La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: riflessioni teoriche e pratiche.

13 Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili di Roma. UGDCEC di Roma Gruppo di Studio “Diritto

Penale dell’Economia”. Alessandro Papa La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: riflessioni teoriche e pratiche.

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2) Mancanza del modello. Tale carenza può non comportare necessariamente la responsabilità dell’ente, ma impedisce l’operatività dell’esimente. In questo caso, infatti, non può escludersi la responsabilità dell’ente che deve essere comunque accertata, vale a dire sulla base del rapporto di causalità tra la commissione del reato e l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza, con onere della prova a carico del pubblico ministero14.

Fermo restando che il principio alla base dei modelli di organizzazione sia per i soggetti apicali che per i sottoposti è sostanzialmente unitario – perché obbedisce all’esigenza che tutta l’attività dell’ente in ogni suo comparto e in ogni sua manifestazione, sia improntata a canoni etici comunemente condivisi e che devono essere assunte tutte le misure necessarie ad evitare la commissione di reati – si deve rilevare che la diversa natura e posizione dei soggetti all’interno organizzazione dell’ente medesimo dei soggetti, differenzia la funzione e la struttura del modello. Il modello dedicato ai sottoposti, dovendo indicare le linee di comportamento di un soggetto che agisce per conto dei soggetti apicali a cui deve rispondere, deve funzionare come “programma regolamentare” destinato a prevenire comportamenti che espongano la persona giuridica al rischio della commissione di reati da parte dello stesso sottoposto. Quest’ultimo deve essere messo nella condizione di conoscere ed essere consapevole che l’interesse e il vantaggio per l’ente vanno conseguiti solo attraverso comportamenti leciti e di ritenere “rischioso” per la sua posizione contrattuale, di agire in termini difformi dal modello. L’elaborazione dei protocolli di comportamento potrà corrispondere alla predetta esigenza di prevenzione della commissione di illeciti a vantaggio dell’ente, prevedendo nei settori a rischio speciali procedure che rendano opportuno il rilievo dell’esposizione al pericolo e di provvedimenti destinati a neutralizzarlo15. L’informazione sul modello non è però sufficiente dovendo accompagnarsi alla diffusione e accettazione del modello stesso da parte dei sottoposti nell’ottica di una cultura del controllo dell’eticità di impresa16.

Con riferimento al modello dedicato agli apicali, che riguarda solo costoro in quanto “decisori” della politica dell’impresa, altro elemento che deve essere oggetto di prova da parte dell’ente per esimersi dalla responsabilità amministrativa e dalle conseguenti sanzioni è di aver istituito prima della commissione del reato, un apposito organismo di vigilanza sulla effettiva attuazione del modello. Tale previsione non è ripetuta nel decreto in relazione ai soggetti sottoposti, in quanto si presuppone che un tale compito naturalmente spetti a chi esercita la direzione dell’ente. È ovvio che nella maggior parte dei casi l’ente si premunirà di modelli di organizzazione diretti a prevenire

14 Idem. 15 Idem.

16 Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili di Roma. UGDCEC di Roma Gruppo di Studio “Diritto

Penale dell’Economia”. Alessandro Papa La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: riflessioni teoriche e pratiche.

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rischi di reato sia da parte degli apicali che dei sottoposti, con la conseguenza che deve ritenersi unico l’organismo preposto alla vigilanza dell’unitario modello17.

L’integrazione della sicurezza nei processi aziendali trova il suo cardine nei modelli di organizzazione e gestione ex articolo 30 del D. Lgs. n. 81 del 2008, che riconducono la pluralità delle misure organizzative a una unità di sintesi.

Tale disposizione, sebbene abbia introdotto il principio della efficacia esimente di cui agli artt. 5 e 6 del D. Lgs. n. 231 del 2001 anche nell’ambito dei modelli di organizzazione e gestione e controllo della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, non aveva considerato pienamente, nella sua versione originaria, i profili di criticità correlati all’implementazione dell’istituto da parte delle PMI18.

Il novero degli illeciti idonei a determinare la responsabilità autonoma dell’ente è da considerarsi tassativo (modello c.d. chiuso); tale modello comprende i reati previsti dagli artt. dal 24 al 25

undecies del D. Lgs. 231/2001.

Negli artt. da 5 a 8 di tale testo normativo, inoltre, sono indicati i criteri di imputazione dell’illecito all’ente19.

4.2 TESTO UNICO DI SICUREZZA DEL LAVORO D. LGS. 81/2008

L’omicidio e le lesioni devono essere commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, comprendendosi fra esse, l’art. 2087 c.c.

Tali violazioni possono configurare, secondo il D. Lgs. 81/2008, fattispecie di reato proprio, riferito ad un soggetto specifico (datore di lavoro, dirigente, preposto, ecc.).

La responsabilità penale ricade su tale soggetto, titolare della posizione di garanzia (consistente nell’obbligo di tutela dell’integrità dei lavoratori), anche nel caso in cui la condotta sia materialmente realizzata da altri soggetti, ovvero va sempre esercitato il potere impeditivo, o di impedimento, diretto o indiretto dei reati ch’è attribuito alle figure operative, che intervengono direttamente, oppure a segnalatori qualificati, quali RSPP, consulenti ecc.

Art. 40 c.p. “-Rapporto di causalità- Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

17 Idem. 18

GIOVANNONE M., M. TIRABOSCHI, A. BARBONI, C. BIZZARRO, F. PASQUINI, Mutamento dei modelli di organizzazione del lavoro, gestione della sicurezza, certificazione, in M. Tiraboschi, L. Fantini (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D.lgs. n. 106/2009), Giuffrè, Milano, 2009, 76-94.

19 Y. Russo, Sicurezza e responsabilità “penale-amministrativa” degli enti collettivi: i modelli di organizzazione e

gestione, in M. Tiraboschi, L. Fantini (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D.lgs. n. 106/2009), Giuffrè, Milano, 2009.

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Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

A tale proposito va considerato che la responsabilità può essere esclusa in presenza di una delega di funzioni ad altro soggetto, sempre che, in capo al delegante, non sia configurabile, rispetto alla violazione commessa dal delegato, una culpa in eligendo o una culpa in vigilando20.

Questo comporta che, in materia di sicurezza sul lavoro, la violazione del soggetto sottoposto è sempre (potenzialmente) violazione anche del soggetto apicale, che deve dimostrare di aver adempiuto al proprio dovere di vigilanza (previsto esplicitamente dall’art. 18 c. 3-bis D. Lgs. n. 81 del 2008).

Questo vale anche nei rapporti tra soggetti apicali, in particolare tra datore di lavoro delegante e datore di lavoro delegato: tale dimostrazione può rilevare tanto ai fini dell’esclusione della responsabilità penale individuale, quanto ai fini dell’esclusione della responsabilità amministrativa dell’ente21.

Le misure previste aziendalmente per le figure apicali, devono dunque riguardare sia i loro compiti di gestione, che i loro compiti di vigilanza.

Vero è che in caso di violazione del sottoposto sarà l’accusa che dovrà dimostrare l’omessa vigilanza, ma quando in effetti tale vigilanza sia mancata, sarà agevole dimostrarne la carenza. Con riferimento alla responsabilità degli enti per i reati in materia di sicurezza del lavoro va subito evidenziato come la ricostruzione della disciplina applicabile vada effettuata, in un’ottica di

complementarietà attraverso una lettura sistematica e combinata dei due testi fondamentali: il D.Lgs. n. 231/2001 e gli artt. 2, comma 1, lett. dd), 30 e 300 D. Lgs. n. 81/200822.

L’art. 2 comma 1 lettera dd) del D.Lgs. 81/2008 definisce il modello di organizzazione e di gestione, per quel che riguarda i reati correlati alla violazione degli obblighi di sicurezza e salute dei lavoratori, come: “«modello di organizzazione e di gestione»: modello organizzativo e gestionale per la definizione e l'attuazione di una politica aziendale per la salute e sicurezza, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, terzo comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro”. Secondo tale disciplina, l’ente in quanto tale, non risponde a titolo di responsabilità amministrativa della persona giuridica per un reato commesso da soggetti in posizione apicale se prova che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, tale modello, idoneo a prevenire, tra i tanti, i reati di omicidio colposo (art. 589 c. p.) o di lesioni grave

20 R. DUBINI, G. CAROZZI, I modelli organizzativi 231 e la sicurezza sul lavoro, EPC editore, 2013. 21 R. DUBINI, G. CAROZZI, I modelli organizzativi 231 e la sicurezza sul lavoro, EPC editore, 2013.

22 Y. Russo, Sicurezza e responsabilità «penale-amministrativa» degli enti collettivi: i modelli di organizzazione e

gestione, in M. Tiraboschi, L. Fantini (a cura di), Il Testo unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D.Lgs n. 106/2009), Giuffrè, Milano, 2009, 95 ss.

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(art. 590, terzo comma, c. p.), commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro.

«L’ente, osservando le indicazioni contenute nel decreto legislativo n. 231 del 2001 e quelle dell’articolo 30 del Testo Unico sicurezza, in evidente rapporto di complementarietà in punto di infortuni sul lavoro, dovrà occuparsi di stilare regole cautelari di secondo grado, che

sostanzieranno il modello, aventi di mira un duplice obiettivo: quello immediato sarà controllare l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici [...]; quello mediato sarà l’esonero della responsabilità amministrativa per i fatti di cui all’articolo 25-septies».

Il modello di organizzazione e di gestione deve essere adottato ed efficacemente attuato, prescrive l’art. 30 comma 1 del D. Lgs. 81/2008, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi (e la mappa dei rischi prevista dalla parte speciale del modello 231 deve dar conto di ognuno dei seguenti punti, non invece, erroneamente, rinviare al sistema di gestione della sicurezza nel suo complesso eventualmente adottato):

a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;

b) all’attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;

c) all’attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; d) all’attività di sorveglianza sanitaria;

e) all’attività di informazione e formazione dei lavoratori;

f) all’attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;

g) all’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge; h) alla periodiche verifiche dell’applicazione dell’efficacia delle procedure adottate. Il modello organizzativo e gestionale 23123 deve prevedere:

1) idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle suddette attività;

2) per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, la valutazione, la gestione ed il controllo del rischio;

3) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; 4) un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello stesso e sul mantenimento (riesame ed eventuale modifica) nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate;

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In sede di prima applicazione, prevede sempre l’art. 30 citato, “i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti detti per le parti corrispondenti”.

Sempre in sede di prima applicazione, la commissione consultiva permanente, (art. 6), può indicare ulteriori modelli di organizzazione e gestione.

La lettura sistematica e combinata dei disposti non sempre è agevole: «l’art. 30 D. Lgs. n. 81/2008 si presenta, nel suo complesso, come norma di difficile interpretazione, dimostrando, altresì [...], una doppia anima: gius-lavoristica-aziendalistica, l’una; di più evidente caratura penalistica, l’altra24».

Segnatamente l’articolo 30 T.U.S. può considerarsi una delle disposizioni chiave del nuovo impianto normativo, finalizzato ad incentivare comportamenti virtuosi di gestione del rischio in chiave prevenzionale.

Esso rappresenta la logica conseguenza dell’introduzione nel decreto n. 231 del 2001 dell’articolo 25 septies per opera della legge n. 123 del 2007 (articoli 589 e 590, comma 3, c.p.: omicidio colposo e lesioni personali colpose commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro).

L’art. 30 detta una disciplina dei modelli di organizzazione e di gestione, relativa ai reati di cui all’articolo 25 septies, del decreto legislativo n. 231 del 2001 e si pone in rapporto di specialità con la generale disciplina di cui agli articoli 6 e 7 D. Lgs. 231/2001.

L’art. 30 introduce una nuova tipologia di compliance program in materia di sicurezza sul lavoro che appare diverso rispetto alla matrice dell’art. 6, non solo per quanto attiene alle finalità, ma anche per i contenuti25, lo stesso rileva, poi, che «modello generale e modello speciale sono strutture non solo teleologicamente, ma anche concettualmente diverse.

Dunque i compliance programs, richiesti dal D. Lgs. n.231/2001, si rilevano come finalizzati ad assicurare il funzionamento di quei meccanismi prevenzionistici già tracciati dal legislatore in materia infortunistica.

In questo senso il D. Lgs. n. 231/2001 postula la costruzione di un secondo apparato di governance dei rischi in materia di sicurezza ed igiene del lavoro26 ed evidenzia l’importanza del continuo

24 G. MARRA, I modelli di organizzazione e di gestione e la responsabilità amministrativa degli enti per infortuni sul

lavoro, in L. Zoppoli, P. Pascucci, G. Natullo (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori,

Ipsoa, Milano, 2010, 579 ss.,

25 V. VALENTI, in La sostanziale continuità tra il “vecchio” e il “nuovo” diritto penale della salute e sicurezza, in Il

Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, (a cura di) L. Galatino, Torino, 2009, 380 ss.

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P. Aldrovandi, Responsabilità amministrativa degli enti per i delitti in violazione di norme antinfortunistiche, in ISL -

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scambio di informazioni tra l’organo di vigilanza di cui al D. Lgs. n. 231/2001 ed i protagonisti del “modello di gestione concertata della sicurezza”.

Più in generale, l’art. 30 del D. Lgs. n. 81/2008, nella sua versione originaria, ha cercato di dare una soluzione ai delicati problemi delle fonti e del grado di specificazione della disciplina dei modelli organizzativi in materia di sicurezza sul lavoro.

Tuttavia, sin da subito, attenti interpreti hanno sollevato il delicato problema applicativo, se l’art. 30, fissi un contenuto legale necessario dei modelli organizzativi ai fini della loro efficacia esimente27, oppure, articolando con ricchezza di contenuti i principi generali del D. Lgs. n. 231/2001 nel settore antinfortunistico, fornisca all’interprete una griglia di valutazione della idoneità dei compliance programs28.

Per risolvere il dubbio occorre osservare, anzitutto, che la legge delega n. 123/2007, nell’ampliare il catalogo dei reati per i quali si applicano le disposizioni di cui al D. Lgs. n. 231/2001 e nel dare delega al Governo indicando i principi sulla base dei quali formulare il riassetto e la riforma della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, non aveva stabilito nulla sull’introduzione di possibili criteri per misurare “l’idoneità” del modello organizzativo di diverso, dai requisiti contenutistici previsti dagli artt. 6, comma 2, e 7, comma 4, D. Lgs. n. 231/2001. Quindi, essendo il decreto legislativo una fonte di normazione delegata dal Parlamento al Governo sulla base di una legge formale di delega, limitata temporalmente e rilasciata per oggetti definiti, che stabilisce i principi e detta i criteri direttivi ai quali il Governo deve uniformarsi nella normazione delegata (art. 76, Costituzione), si potrebbe porre un problema di sindacato di costituzionalità dell’art. 30 per eccesso di delega29.

Si ritiene pertanto necessario ricercare una interpretazione costituzionalmente orientata della norma che impone di ritenere che l’art. 30 abbia attribuito all’interprete alcuni strumenti di

valutazione dell’idoneità del contenuto dei modelli organizzativi, individuando parametri di definizione dell’agente collettivo, nel settore antinfortunistico30.

responsabilità in tema d’infortuni sul lavoro, in F. Bacchini (a cura di), Commentario alla sicurezza del lavoro, Ipsoa,

Milano, 2008, 228-252

27 M. Agliostro, Enti privati e soggetti giuridici nel protagonismo della sicurezza del lavoro: modelli di organizzazione

e di gestione, in Atti del convegno nazionale ISPESL del 12-13 marzo 2009, 24, e cfr. A. Rossi e F. Gerino, Art. 25septiesD.Lgs. n. 231/2001, art. 30 D.Lgs. n. 81/2008 e modello di organizzazione, gestione e controllo: ambiti applicativi e rapporti, in Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2/2009, 12.

28 P. Ielo, Lesioni gravi, omicidi colposi aggravati dalla violazione della normativa antinfortunistica e responsabilità

degli enti, in relazione del 26-27 giugno 2008 agli incontri di studio del Consiglio Superiore della Magistratura, in www.csm.it, 14.

29 O. Di Giovine, Sicurezza sul lavoro, malattie professionali e responsabilità degli enti, in Cassazione Penale, 2009,

1325-1351.

30 L. Vitali, Modelli organizzativi e sicurezza sul lavoro: proposte pratiche per la redazione di compliance programs

orientati alla prevenzione dei reati ex art. 25-septies D.Lgs. n. 231/2001, in Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2/2009.

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4.3 RUOLO DEL MODELLO ORGANIZZATIVO SECONDO L’ART. 30

L’art. 30 del D. Lgs. 81/08, con una disposizione dai tratti sibillini, poiché, oltre all’infelice formulazione linguistica di alcune parti della stessa31, parrebbe suggerire un meccanismo di imputazione soggettiva della responsabilità all’ente del tutto inedito.

In effetti, da un’analisi degli obblighi enunciati dagli D. Lgs. 231/01 e D. Lgs. 81/08, si rileva come gli stessi afferiscono alla mappatura dei rischi relativi alla sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro, all’attività di vigilanza del rispetto delle procedure ed istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori, alla sorveglianza sanitaria e all’acquisizione delle certificazioni obbligatorie per legge, nonché alle periodiche verifiche della “validità” del modello.

31 Si allude in particolare all’ incipit del co. 5 in cui si afferma “in sede di prima applicazione”, di cui non si capisce il

senso trattandosi di un testo di legge, dotato quindi delle caratteristiche di generalità e astrattezza che mal si conciliano con la frase adottata dal legislatore, quasi volesse imprimere alla disposizione il valore di norma temporanea in vista di un adattamento alle nuove prescrizioni da parte degli enti. Tuttavia, il senso della norma sembra invece dare indicazioni in relazione alla conformità del modello che non pare debbano ritenersi provvisorie. In tal senso si esprime anche A. ROSSI, F. GERINO, Art. 25 septies d.lgs. 231/2001, art. 30 d.lgs. 81/2008 e modello di organizzazione, gestione e

controllo: ambiti applicativi e rapporti, op. cit., 13 e 14, i quali, dopo aver rilevato che “se l’inciso dovesse essere

inteso, così come sembra indicare la lettera delle legge, nel senso della delimitazione temporale degli effetti, la norma non fissa i limiti cronologici della fase di prima applicazione, “tempistica” che comunque sarebbe opinabile con riferimento al sistema della responsabilità degli enti poiché priva di plausibili ragioni”, in conclusione ritiene che “per fornire una logica esistenziale ai contenuti dei dati normativi in parola, non sembra azzardato sostenere come essi derivino dall’esigenza di politica legislativa di accordare un trattamento premiale alle imprese più attive nell’adeguamento alle regole di “tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro […]”. Per comodità la disposizione viene riportata per intero di seguito. Art. 30 d.lgs. 81/08: (Modelli di organizzazione e di gestione) “1. Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità' amministrativa delle persone giuridiche, delle società' e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi: a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti; c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; d) alle attività di sorveglianza sanitaria; e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori; f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori; g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge; h) alle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate. 2. Il modello organizzativo e gestionale di cui al comma 1 deve prevedere idonei sistemi di registrazione dell'avvenuta effettuazione delle attività di cui al comma 1. 3. Il modello organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell'organizzazione e dal tipo di attività svolta, un'articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 4. Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico. 5. In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo per le parti corrispondenti. Agli stessi fini ulteriori modelli di organizzazione e gestione aziendale possono essere indicati dalla Commissione di cui all'articolo 6. 5 bis. La commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro elabora procedure semplificate per l’adozione e la efficace attuazione dei modelli si organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tali procedure sono recepite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. 6. L'adozione del modello di organizzazione e di gestione di cui al presente articolo nelle imprese fino a 50 lavoratori rientra tra le attività finanziabili ai sensi dell'articolo 11.”

(12)

Si prevede altresì un sistema di registrazione delle attività relative agli obblighi elencati (art. 30 co. 2 D. Lgs. 81/08) ed infine anche un sistema di controllo sull’attuazione del modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate (art. 30 co. 3).

Viene sostanzialmente dato un volto più preciso al modello organizzativo di cui all’art. 6, con particolare riferimento alla sicurezza sul lavoro32.

La finalità di prevenzione degli illeciti di lesioni ed omicidio colposi sembra, tuttavia, rimanere sullo sfondo.

A dare un taglio preciso alla norma , invece, soccorre l’incipit della stessa, che ne afferma l’efficacia esimente della responsabilità dell’ente.

Ciò ha, di conseguenza, determinato un’ulteriore questione interpretativa da sciogliere al fine di chiarire in quale rapporto siano da porsi l’art. 30 D. Lgs. 81/08 e l’art. 6 D. Lgs. 231/01.

La formulazione letterale della norma sembrerebbe deporre nel senso che la prima deve intendersi come deroga della seconda.

In effetti, parte della dottrina imposta il rapporto tra le due norme secondo il principio di specialità, ritenendo l’art. 30 D. Lgs. 81/08 speciale rispetto all’art. 6 D. Lgs. 231/01 e, quindi, da applicarsi alle ipotesi di reato-presupposto colposo.

Secondo questa prospettiva, dunque, il modello organizzativo previsto dall’art. 6 deve, in primo luogo, avere il contenuto di cui all’art. 30 D. Lgs. 81/08 e, una volta che abbia assunto detto contenuto, gli si deve riconoscere l’idoneità ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa.

Ciò introdurrebbe una presunzione in ordine, non solo alla idoneità del modello33, ma anche, e soprattutto, alla forza esimente del solo modello di organizzazione e gestione, a prescindere dalla coesistenza delle altre condizioni di cui all’art. 6.

32 Nel senso che la norma non sia né speciale, né derogatoria, bensì una specificazione degli artt. 6 e 7, A. ROSSI, F.

GERINO, Art. 25 septies d.lgs. 231/01, art. 30 d.lgs. 81/08 e modello di organizzazione, gestione e controllo: ambiti

applicativi e rapporti, op. cit., 12: gli autori dopo aver messo in luce la teoria che sostiene l’avvenuta introduzione in

forza di detto articolo, di un sottosistema derogatorio rispetto a quello generale delineato dall’art. 6, affermano però che l’art. 30 d.lgs. 81/08 non si presenta speciale rispetto ai contenuti generali di cui agli artt. 6 e 7, ma “si presenta come norma di specificazione dei contenuti della “parte di modello” legata all’art. 25 septies”.

33 P. ALDROVANDI, La responsabilità amministrativa degli enti per i reati in materia di salute e sicurezza sui luoghi di

lavoro alla luce del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, op. cit., 517, sostiene, invece, che tale presunzione non possa ritenersi assoluta poiché il Modello di Organizzazione deve essere calato nelle singole situazioni aziendali: risulta pertanto”difficile che indicazioni di carattere generale ed astratto possano rivestire efficacia concludente in relazione alle fattispecie concrete che volta per volta vengano in considerazione. L’autore espone, invece, il timore che la disposizione possa nondimeno “assurgere nella prassi giurisprudenziale a parametro “automatico” di valutazione dell’adeguatezza dei modelli di organizzazione e di gestione, per quanto attiene ai reati in materia di sicurezza sul lavoro”. Ritiene che si tratti di presunzione iuris tantum anche F. D’ARCANGELO, La responsabilità da reato degli enti per infortuni sul lavoro, in In. Pen., fasc. 2/2008, 94. Osservazioni analoghe sono svolte anche da A. ROSSI E F. GERINO, Art. 25 septies d.lgs. 231/01, art. 30 d.lgs. 81/08 e modello di organizzazione, gestione e controllo: ambiti applicativi e rapporti, op. cit., 15.

(13)

La presunzione dovrebbe, altresì, considerarsi iure et de iure dal momento che l’art. 30 D. Lgs. 81/08 parla di “modello … idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità”, senza richiamare i meccanismi della disciplina sanzionatoria dell’ente.

Inoltre la norma prevede espressamente al co. 5 una presunzione di conformità ai requisiti contemplati nei commi precedenti per le parti corrispondenti alle Linee guida UNI INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007.

Anche questa indicazione del legislatore apparirebbe come una presunzione che non ammette

prova contraria, poiché dotata di autorità riconosciuta dallo stesso e, pertanto, insindacabile da

parte dell’organo giudiziario, almeno per le parti corrispondenti.

Tale impostazione, si sostiene, avrebbe il pregio di bilanciare il meccanismo di imputazione soggettiva previsto dalla disciplina sanzionatoria degli enti in base al quale si realizzava una vera e propria inversione dell’onere della prova a carico dell’ente imputato34.

Ma, a parte detto vantaggio, questo orientamento dovrebbe invero essere disatteso per le ragioni che seguono.

Innanzitutto, l’introduzione di una presunzione assoluta non si giustifica in nome di un ripristinato equilibrio che continuerebbe, invece, a mancare negli altri settori della disciplina sanzionatoria. Questo avverrebbe non solo in relazione agli altri reati presupposto, ma rimarrebbero esclusi dall’ambito applicativo della norma anche settori afferenti alla stessa normativa antinfortunistica, in quanto rimasti al di fuori del decreto, e si vedrebbero applicare la disciplina di cui all’art. 635. Una simile interpretazione darebbe luogo ad un trattamento diverso per situazioni sostanzialmente analoghe e diverrebbe pertanto suscettibile di un vaglio di costituzionalità.

Inoltre, non si comprende come sia possibile escludere il sindacato del giudice da questo settore, laddove invece esso è previsto dalla disciplina sanzionatoria degli enti, proprio in riferimento alla valutazione di idoneità del modello.

Se, infatti, può ritenersi automaticamente integrata la precondizione di esonero della responsabilità dell’ente, una volta che sia adottato ed efficacemente attuato il modello, viceversa non vi è automatismo sulla valutazione di idoneità dello stesso a prevenire i reati presupposto36.

34 In tal senso N. PISANI, Commento al testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, op.cit, 835. 35 Si allude in particolare al settore estrattivo.

36 A. ROSSI, F. GERINO, Art. 25 septies d.lgs. 231/01, art. 30 d.lgs. 81/08 e modello di organizzazione, gestione e

controllo: ambiti applicativi e rapporti, op. cit., 15 i quali rilevano che “il magistrato ben potrà comunque , sia in forza di precise disposizioni sostanziali, sia in forza di precise disposizioni processuali di cui al d.lgs. 231, operare in discrezionalità valutativa circa, appunto, l’efficacia in concreto del modello, con una verifica “sul campo”, “caso per caso”. Annullare detta discrezionalità in riferimento alla sezione antinfortunistica del modello preventivo per i reati di cui all’art. 25 septies apparirebbe una pericolosa forzatura, la quale priva di appigli formali o sostanziali nella legge delega, oltretutto renderebbe l’art. 30 incostituzionale”.

(14)

Si ritiene, piuttosto, che la norma in questione vada letta nell’ambito del contesto normativo della disciplina sanzionatoria degli enti e dunque valutata quale elemento normativo che colora il modello organizzativo di cui all’art. 6 co.1 lett. a).

Allo stesso modo, il sistema di sorveglianza richiesto dall’art. 30 co. 4 D. Lgs.81/08 pare sovrapporsi all’Organo di Vigilanza, dotato di autonomi poteri di iniziativa.

Secondo l’impostazione che si ritiene di accogliere, nessun rapporto di specialità sussiste tra le

norme, bensì di integrazione reciproca.

Si è infatti rilevato che il modello di organizzazione e gestione di cui agli artt. 6 e 7 D. Lgs. 231/01, è configurato dal legislatore al pari di un’articolata griglia, in cui ogni spazio deve essere riempito per poter rispettare gli standard imposti dal legislatore del 2001.

Ne discende pertanto che la presunzione introdotta al co. 1 dell’art. 30 D. Lgs. 81/08 è prevista

iuris tantum ed ammette quindi una prova contraria.

Anzi, il meccanismo di riequilibrio, rivisitato in termini non assoluti, può, qui, continuare ad operare, consentendo agli enti di “giocare in casa”, provocando l’ulteriore inversione di un onere della prova, “già invertito”37.

Rimangono in piedi, in questa ipotesi, tutte le condizioni di cui all’art. 6 D. Lgs. 231/2001, compresa la necessità di provare da parte dell’ente la condotta fraudolentemente elusiva, posta in essere dall’autore del reato presupposto.

Affermare, che vi è un valido modello di organizzazione dovrebbe significare che l’ente non può essere considerato “in colpa”.

Se si condivide quest’ordine di idee, allora si conviene che la questione della compatibilità tra la componente della fraudolenza e la condotta colposa che caratterizza i delitti di cui all’art. 25 septies non si pone. Tale responsabilità troverebbe il proprio fondamento sulla sola constatazione dell’interesse e vantaggio.

Considerando però la natura afflittiva per l’impresa e stakeholders delle sanzioni della 231/2001, si deve anche richiedere che l’ente risponda a condizione di meritare un rimprovero.

In altri termini, si deve immaginare che sia l’ente a non aver fatto qualcosa che avrebbe dovuto fare. Questo qualcosa è impedire il reato, ma non è una sorta di obbligazione di risultato ma piuttosto di modo. Nel senso che laddove l’ente abbia fatto tutto ciò che l’ordinamento poteva pretendere che

37

A. ROSSI, F. GERINO, Art. 25 septies d.lgs. 231/01, art. 30 d.lgs. 81/08 e modello di organizzazione, gestione e controllo: ambiti applicativi e rapporti, op. cit., 15: “la dichiarata presunzione iuris tantum di conformità dei “prototipi” elettivi potrebbe espletare, in ultima analisi, una funzione propriamente processuale, introducendo una funzione perequativa del regime dell’onere probatorio, rendendolo per i reati ex art. 25 septies – a prescindere dalla qualificazione di apicale o di sottoposto dell’autore persona fisica e così in deroga al dettato normativo di cui all’art. 6 d.lgs. 231 – sempre a carico dell’accusa ogni qualvolta l’ente si sia attenuto al disposto di cui all’art. 30.”

(15)

fosse fatto ( i.e. adottare i modelli, attuarli ed implementarli ), non sussiste alcun comportamento illecito allo stesso ascrivibile.

4.4 RAPPORTO TRA GLI OBBLIGHI DI VIGILANZA ESCLUSIVI DEL DATORE DI LAVORO E QUELLI COMUNI ANCHE AL DIRIGENTE

A questo punto non ci si può esimere dalla considerazione di quale sia il rapporto tra gli obblighi di controllo e salvaguardia, di cui si è parlato nel paragrafo precedente, ossia quelli fondati sul comma 3 dell’art. 16 D. Lgs. 81/08, che fanno capo al datore di lavoro nel caso egli voglia avvalersi dell’istituto della delega di funzioni, e quelli previsti dall’art. 18 co. 3 bis D. Lgs. 81/08, che riguardano anche i dirigenti e hanno ad oggetto l’adempimento da parte dei singoli soggetti, titolari di posizioni di garanzia iure proprio e, dunque, non necessariamente rientranti nel fuoco della delega di funzioni.

Occorre, inoltre, chiarire se il modello organizzativo possa essere impiegato anche per l’adempimento degli obblighi di salvaguardia di cui all’art. 18 co. 3 bis D. Lgs. 81/08 e quindi se introduca anche per questa categoria di obblighi una presunzione di adempimento mediante l’utilizzo del modello organizzativo38.

Se, dunque, viene riconosciuto alla delega un ruolo in primis sul piano soggettivo, nel senso che consente al datore di lavoro di affiancare a sé un collaboratore, sia questi interno all’organigramma aziendale, sia questi esterno, al quale delegare determinate funzioni, sul cui adempimento il datore è in ogni caso tenuto ad esercitare il proprio controllo, quali sono gli elementi che distinguono questa situazione da quella prevista dall’art. 18 co. 3 bis D. Lgs. 81/08?

In primo luogo va rilevato l’oggetto su cui il dovere di vigilare deve essere esercitato: nell’ambito della delega, il datore di lavoro è tenuto a verificare l’adempimento delle singole funzioni delegate, funzioni quindi che ineriscono iure proprio la sua posizione di garanzia; nell’ambito del comma 3

bis dell’art. 18 D. Lgs. 81/08, invece, oggetto di controllo da parte non solo del datore ma anche del

dirigente sono le funzioni inerenti iure proprio i diversi soggetti del preposto, lavoratore, progettisti, fabbricanti, installatori, medico competente.

38 F. BACCHINI, La delega di funzioni e gli obblighi dei ddl e dei dirigenti, op. cit., 492: “Non si vede infatti per quale

ragione, se l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro “in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”, “si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4”, lo stesso non debba valere anche per l’obbligo di vigilanza di cui all’art. 18 comma 3 bis. Una tale interpretazione, del tutto coerente con la sistematica del d.lgs. n. 81/08, ha il pregio di uniformare le modalità e gli organismi di controllo, rendendo effettiva, perché ragionevolmente certa, sia la condotta vigile del datore di lavoro (e del dirigente) che la misura della sua culpa in vigilando nel caso di omissione della condotta stessa”.

(16)

In secondo luogo, nell’ambito della delega l’obbligo di vigilanza verte sul “corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”; mentre ai sensi del comma 3 bis dell’art. 18 D. Lgs. 81/08 il datore e il dirigente devono vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi inerenti iure

proprio di altri soggetti.

In terzo luogo, va sottolineato che le due norme presentano un ambito comune di applicazione, ove si voglia condividere la proposta interpretativa avanzata, in quanto la delega può essere conferita agli stessi soggetti facenti parte dell’organigramma aziendale, sui quali la normativa in questione già prevede un dovere di vigilanza da parte dei soggetti apicali, anzi, si è affermato, che la delega di funzioni può rappresentare uno strumento nelle mani del datore di lavoro per riscrivere lo stesso organigramma aziendale.

Inoltre, si è messo in evidenza, come in passato, la giurisprudenza tendesse a raggiungere, attraverso l’applicazione dell’art. 2087c.c. e del 40 c.p., gli stessi risultati che l’introduzione del nuovo comma dell’art. 18 D. Lgs. 81/08 sembra prefigurare, cercando evidentemente, mediante la regolamentazione della materia, di arginare eventuali deviazioni verso responsabilità oggettive in capo al datore di lavoro.

Insomma, l’area applicativa delle due disposizioni è assai attigua e in buona parte sovrapponibile, pertanto si ritiene che anche nell’ipotesi del comma 3 bis dell’art. 18 D. Lgs. 81/08 non dovrebbero frapporsi ostacoli all’impiego del modello di organizzazione, al fine di esercitare i doveri di vigilanza facenti capo sia al datore di lavoro che al dirigente.

4.5 I RAPPORTI FRA IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI E IL MODELLO C.D. INTEGRATO

Una questione che, è necessario sottolineare e su cui la giurisprudenza si è soffermata in alcune delle sue decisioni più significative è quella del rapporto tra il Documento di Valutazione dei Rischi ed il modello di organizzazione e gestione previsto dall’art. 30 D. Lgs. 81/2008 (c.d. modello integrato).

La stessa dottrina si è dimostrata disunita su questo punto; un primo orientamento, sostiene che una sostanziale distinzione tra gli adempimenti necessari ed obbligatori per la realizzazione del Documento di Valutazione dei Rischi (artt. 15, 28 e 29 D. Lgs. 81/2008) e quelli per la realizzazione di un modello di organizzazione e gestione della salute e sicurezza (ex art. 30 D. Lgs.

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81/2008) sarebbe un eccessivo carico di oneri per il datore di lavoro, dovendosi, pertanto gli stessi considerarsi coincidenti39.

Un secondo orientamento, per la quale, la mappatura dei rischi realizzata in funzione del Documento di Valutazione dei Rischi consiste soltanto in una parte degli adempimenti preventivi che sono invece necessari per la realizzazione di un modello idoneo a prevenire i reati di cui agli artt. 589 e 590 c. p40.

Tale tesi è stata confermata dalla giurisprudenza di merito nella ormai celebre decisione del Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, del 26 ottobre 2009.

I giudici pugliesi hanno argomentato la tesi sostenendo che il modello ex art. 30 non può assolutamente essere sostituito dal DVR in quanto caratterizzato da diverse funzioni ed elementi ulteriori, quali la previsione di un sistema di controllo sull’adozione del modello, la costituzione di un organismo di vigilanza, l’individuazione di un sistema disciplinare, ecc. Ulteriore differenza evidenziata dal tribunale consiste nei soggetti destinatari dei due documenti, i lavoratori per quanto riguarda il DVR, la compagine aziendale in relazione al modello di organizzazione, gestione e controllo.

Si può dunque affermare come il Documento di Valutazione dei Rischi ed il Modello di Organizzazione e Controllo sono senza dubbio in un rapporto di funzionalità del primo

all’esecuzione del secondo, ma di certo non di coincidenza.

4.6 I REQUISITI DI IDONEITÀ PREVENTIVA DEL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO

È noto che, nel disciplinare "la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato", il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, attribuisce un ruolo cruciale ai “modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi".

In effetti, come hanno puntualmente riconosciuto la dottrina41 e la giurisprudenza, "il modello è criterio di esclusione della responsabilità dell’ente ex art. 6, I comma, ed ex art. 7; è criterio di riduzione della sanzione pecuniaria ex art. 12; consente, in presenza di altre condizioni, la non

39

F. Giunta, D. Micheletti, Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffrè, Milano, 2010, 178.

40 S. Bartolomucci, La metamorfosi normativa del modello penal-preventivo in obbligatorio e pre-validato: dalle

prescrizioni regolamentai per gli emittenti S.T.A.R. al recente art. 30 T.U. sicurezza sul lavoro, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 3/2008, 163 ss.

41

RORDORF, I criteri di attribuzione della responsabilità. I modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i reati, in Soc., 2001, 11, 1300.

(18)

applicazione di sanzioni interdittive ex art. 17; prevede la sospensione della misura cautelare interdittiva emessa nei confronti dell’ente ex art. 49"42.

Ai fini dell’esenzione soggettiva e dell’ente dalla responsabilità da reato, è necessario che l’ente in questione attui ed adotti concretamente un modello di organizzazione e controllo idoneo a prevenire la commissione o il rischio di commissione dei reati presupposto.

La giurisprudenza della Suprema Corte43, nonché la dottrina, sono chiare nel sottolineare la non obbligatorietà di tale adempimento il quale deve essere valutato in ottica del rischio d’impresa44.

Nel tentativo di identificare in concreto i concetti di attuazione ed efficace adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo, ben definiti soltanto per quanto riguarda l’aspetto della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro grazie al disposto dell’art. 30 D. Lgs. 81/2008, è intervenuta in diverse occasioni la giurisprudenza sia di merito che di legittimità, precisando, tra l’altro, che la prova di tali circostanze sussiste in capo proprio all’ente45.

Tale orientamento riflette l’intento del legislatore che ha voluto attribuire all’ente una sorta di dovere di autocontrollo prevedendo in tale contesto un regime di colpa di organizzazione46.

Se, l’adozione e l’efficace attuazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo pare essere in concreto l’unico valido elemento di esenzione da responsabilità in caso di reato compiuto da un soggetto in posizione apicale, altrettanto non può dirsi nel caso in cui il reato sia stato commesso da un subordinato; in tal caso, infatti le possibilità da parte dell’ente di dimostrare la non sussistenza della culpa in vigilando sono decisamente maggiori47.

Le sentenze, Cass., sez. VI, 36083 del 17 settembre 2009, Cass., sent. n. 3615 del 20 dicembre 2005, Gip. Trib. Napoli, 26 giugno 2007, Gip. Trib. Milano, 27 aprile 2007, Gip. Trib. Bari, 18 aprile 2005 affermavano, inoltre, come l’onere della prova dell’adozione ed efficace attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo fosse in capo all’ente.

Tale concetto è stato però smentito dalla Cassazione più recente, nella decisione n. 27735 del 16 luglio 2010, che, in occasione di una censura di costituzionalità sollevata nei confronti dell’art. 5 D. Lgs. 231/2001 – ritenuta, poi, non fondata – sottolinea come il regime vigente in materia non sia quello della responsabilità oggettiva, ma quello della colpa di organizzazione; alla luce di ciò,

42

Trib. Milano, ord. 20 settembre 2004, in Foro It., 2005, II, 528, in particolare 559; conforme Trib. Milano, ord. 28 ottobre 2004, ibidem, 269, in particolare 273.

43 Cass., sez. IV, sent. 36083 del 17 settembre 2009.

44 F. Vignoli, Il giudizio di idoneità del Modello Organizzativo ex d.lgs. 231/2001: criteri di accertamento e garanzie,

in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 1/2009, 7 ss.

45 Cass., sez. VI, 36083 del 17 settembre 2009, si vedano, anche, Cass., sent. n. 3615 del 20 dicembre 2005, Gip. Trib.

Napoli, 26 giugno 2007, Gip. Trib. Milano, 27 aprile 2007, Gip. Trib. Bari, 18 aprile 2005.

46 F. D’Arcangelo, I canoni di accertamento dell’idoneità del modello organizzativo nella giurisprudenza, in La

responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2/2011, 129 ss.

(19)

l’onere della prova risulterà, quindi, gravante sull’accusa, sussistendo, poi, la possibilità in capo all’ente di portare la prova liberatoria dell’adozione ed efficace attuazione, prima dell’accadimento del fatto di reato, da parte dell’organo dirigente di un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.

4.7 LA QUALIFICAZIONE DELLE IMPRESE E LE PROSPETTIVE PER LA CERTIFICAZIONE DEI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE

La disposizione che ci consente di trovare un collegamento tra la disciplina della certificazione ex D. Lgs. 276/2003 (c.d. Legge Biagi) art. 76 e ss. ed il D. Lgs. 81/2008 (c.d. Testo Unico Sicurezza) è sicuramente l’art. 27 di quest’ultimo testo normativo, rubricato “Sistemi di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi”.

Dall’art. 51, co 3 bis, del D. Lgs. 81/2008, poi, per quanto tale disposizione non ne dia una esplicita definizione, si può ricostruire il concetto di asseverazione dell’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione da parte degli Organismi Paritetici.

Tali disposizioni normative si può dire quindi che delineino i profili dei concetti di certificazione e di asseverazione dei modelli di organizzazione e gestione.

Nonostante il disposto dell’art. 51, co. 3-bis, del T.U. sicurezza enfatizzi il ruolo degli organismi paritetici anche in merito all’asseverazione dei modelli di organizzazione e gestione, manca una definizione esaustiva delle funzioni, dei profili e delle conseguenze dell’asseverazione, al punto da potersi definire tale concetto soltanto a contrario per differenza dalla certificazione48.

Per una definizione di certificazione occorre, quindi, rifarsi al testo dell’art. 30 D. Lgs. 81/2008 il quale contempla la figura dei modelli di organizzazione e gestione ai fini esimenti di cui al D. Lgs. 231/2001.

In origine, però, al fianco di tale istituto, il legislatore aveva pensato anche quello della certificazione giuridica dei modelli.

L’intervento delle associazioni datoriali della piccola impresa, però, ha portato una maggior attenzione ad un istituto con efficacia decisamente più blanda.

Un’idea della direzione che sembra essere stata presa sul tema, ci può essere data anche dalla bozza di proposta di modifica del D. Lgs. n. 231/2001 presentata nell’ottobre 2010 (anche conosciuta come schema di disegno di legge dell’AREL).

48

M. Giovannone, in I sistemi di qualificazione delle imprese e le prospettive di certificazione dei modelli organizzativi, all’interno di Quaderni della sicurezza AIFOS n. 1, anno II, gennaio-marzo 2011.

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Tale bozza prevedeva, tra le altre, l’introduzione di un sistema di certificazione dei modelli di organizzazione e gestione, l’istituzione di un apposito albo dei soggetti certificatori e la presunzione di idoneità esimente degli stessi modelli così certificati rispetto alla responsabilità per i reati presupposto.

Contestualmente è previsto anche un sistema di certificazione di singole procedure nella fase in cui l’ente si sta fornendo di un modello di organizzazione, ma non se ne sia ancora completamente dotata.

In tale impianto, poi, si instaurerebbe un sistema di responsabilità penali in capo agli enti certificatori, i quali, nel presentare le caratteristiche di tale schema di disegno di legge – integrato dal recepimento di best practices e di orientamenti giurisprudenziali – evidenziano come, oltre alle modifiche pensate in relazione al sistema di certificazione di cui supra, lo stesso contenga proposte significative anche in merito:

- alla riformulazione in termini positivi dell’art. 6 del D. Lgs 231/2001 ed alla contestuale eliminazione dell’inversione dell’onere della prova, in contrasto con quanto affermato in giurisprudenza, tra gli altri, dal GIP del Tribunale di Napoli nell’ordinanza del 26 giugno 2007; - ai criteri definitori del concetto di “ente di piccole dimensioni”;

- alla composizione dell’Organismo di Vigilanza in tali enti.

Nel contesto innovativo introdotto dal decreto legislativo n. 106 del 2009, volto alla determinazione di prassi virtuose in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, si inscrive parimenti e con più specifico riferimento al modello organizzativo “appalto” l’istituto della qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, di cui all’articolo 27 del Testo Unico.

I sistemi di qualificazione delle imprese sono stati sviluppati principalmente nel settore degli appalti pubblici, con il fine di massimizzare i criteri di efficienza e trasparenza nelle attività delle pubbliche amministrazioni.

A tal fine, la normativa in materia definisce determinati requisiti volti a valutare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice.

La procedura di qualificazione è basata sulla certificazione del possesso di requisiti tecnico-amministrativi, economico-finanziari e morali, nonché sull’attestazione di qualità aziendale.

Il potenziamento di tale strumento, come fattore organizzativo atto a determinare una selezione dei soggetti operanti nel mercato alla luce della rispondenza a particolari standard virtuosi di tutela della salute e sicurezza, rappresenta uno dei tratti salienti del decreto legislativo n. 81 del 2008, soprattutto alla luce delle integrazioni apportate all’articolo 27 dal decreto correttivo49.

49

N. Paci, I sistemi di qualificazione delle imprese, in L. Zoppoli, P. Pascucci, G. Natullo (a cura di), Le nuove regole

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4.8 PROCEDURE SEMPLIFICATE PER L’ADOZIONE DI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE (PMI)

Il D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, prevede nell’art. 30, comma 5 bis la definizione da parte della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro di procedure semplificate per la adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della salute e sicurezza nelle piccole e medie imprese.

Le procedure semplificate tengono conto dell’articolazione della struttura organizzativa in merito alla quale si considera:

- l’eventuale coincidenza tra l’alta direzione (AD)50, il datore di lavoro e l’organo dirigente ai sensi del D. Lgs. 231/01;

- l’esistenza o meno di un unico centro decisionale e di responsabilità; - la presenza o meno di dirigenti51;

- la presenza di soggetti sottoposti alla altrui vigilanza.

Più in generale, si ritiene che la realizzazione di un modello organizzativo, anche secondo le modalità semplificate riportate in questo documento, rappresenti un impegno, in particolare per le imprese con un numero minimo di lavoratori e con una struttura organizzativa semplice.

Pertanto, le aziende di dimensioni e/o complessità ridotte debbono valutare l’opportunità di implementare un modello organizzativo aziendale.

Un modello efficacemente attuato migliora la gestione della salute e sicurezza sul lavoro ma l’adozione, non essendo da considerarsi obbligatoria, deve essere valutata dalla Direzione aziendale in virtù delle proprie necessità ed esigenze gestionali ed organizzative.

L’alta direzione deve definire la politica aziendale, indicando la propria visione, i valori essenziali e le convinzioni dell’azienda in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

La politica è elaborata sulla base di conoscenze ed attente valutazioni sulle condizioni dell’azienda. E’ necessario quindi considerare e analizzare le attività aziendali, il personale addetto, le risorse impegnate.

In particolare, devono essere considerati i seguenti aspetti:

50 I più alti livelli direzionali dell’Organizzazione (BS OHSAS 18002:2008).

51 Da intendersi non come dirigenti dal punto di vista contrattuale ma come figure delineate dall’art. 2, comma 1, lett. d)

del Dlgs 81/08 (…persona che … attua le direttive del DL organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa) anche con riferimento al principio di effettività di cui all’art 299 del d.lgs 81/08.

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