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4. Validazione del Prototipo Realizzato

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Academic year: 2021

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4. Validazione del Prototipo Realizzato

Una volta assemblata la piattaforma, e verificato il suo corretto funzionamento, si sono resi necessari dei test sperimentali per verificare due scelte progettuali critiche effettuate in fase di sviluppo: la scelta del numero e della distribuzione dei LED per l’illuminazione e la scelta dello schermo autostereoscopico come sistema di visualizzazione.

Nel capitolo verrà descritta la prova sperimentale e i risultati ottenuti per la verifica quantitativa della qualità del sistema di illuminazione progettato.

Per verificare le prestazioni dello schermo autostereoscopico, dato che in letteratura non sono presenti studi a riguardo, è stato effettuato un test di validazione che ha confrontato le performance di un gruppo di 16 medici nell’eseguire cinque semplici esercizi, utilizzando tre diversi display: lo schermo autostereoscopico, un visore binoculare e uno schermo convenzionale bidimensionale. La scelta del caschetto stereoscopico è giustificata dal fatto che il suo principio di funzionamento risulta equivalente al sistema di visualizzazione della piattaforma robotica da Vinci, attualmente il vero gold standard nel campo della chirurgia robotica.

4.1 Verifica Sperimentale del Modello di Illuminazione

Il dimensionamento del sistema di illuminazione è basato unicamente sui risultati ottenuti dal modello teorico implementato. Una volta realizzato è stato quindi necessario verificare sperimentalmente le sue prestazioni sia per quantificarne le performance che per validare il modello implementato quale strumento di sviluppo anche di dispositivi futuri.

4.1.1 Disegno sperimentale

Il sistema di illuminazione, uno dei componenti principali del dispositivo realizzato, è stato dimensionato basandosi sui risultati ottenuti dal modello teorico sviluppato. Di conseguenza, dopo

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116 la realizzazione del dispositivo, è stato necessario verificare quantitativamente le prestazioni di tale sistema. Purtroppo il modello prevede alcune ipotesi semplificative che non possono essere facilmente integrate nelle prove sperimentali. In particolare risulta molto complesso testare il sistema in un ambiente saturo di CO2 in forma gassosa, come imposto nel modello per una cavità

toracica insufflata. Inoltre, i risultati sperimentali avrebbero certamente risentito dei fenomeni di rifrazione e di scattering, estromessi invece dalle equazioni del modello. Di conseguenza, un confronto diretto sui valori puntuali di intensità luminosa non avrebbe significato.

Altra importante problematica affrontata riguarda la scelta della modalità di misura del livello di illuminazione. Purtroppo, in commercio non sono disponibili luxmetri capaci di misurare il livello di intensità luminosa con una risoluzione comparabile con quella del modello, ovvero 2mm×2mm. Per la verifica sperimentale dell’illuminazione è stato quindi necessario sfruttare direttamente le videocamere. In particolare il sistema è stato inserito all’interno del simulatore per laparoscopia e il tutto è stato oscurato per evitare il disturbo dovuto alla luce ambientale: l’unica fonte di luce presente era quindi il sistema di illuminazione a LED (figura 4.1). Come target per la visione è stato scelto un foglio bianco, per evitare effetti di aberrazione cromatica e per semplificare la successiva elaborazione delle immagini. Il sistema di visione è stato posto a differenti distanze dal target e sono state memorizzate le immagini catturate dalle due videocamere. I file ottenuti contengono quindi i valori numerici dei pixel dei due sensori e non possono essere posti in relazione direttamente con l’intensità luminosa, misurata il lux o in candele, all’interno del campo di vista in quanto i file erano memorizzati in formato compresso (jpg) e le videocamere applicavano automaticamente le operazioni di filtraggio del rumore e di bilanciamento del bianco.

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117 Poiché il test sperimentale si discostava eccessivamente dall’analisi effettuata nei modelli risultava scorretto analizzare i valori assoluti di intensità ottenuti. D’altra parte, dato che i parametri quantitativi riguardanti l’uniformità dell’illuminazione, ovvero il coefficiente di variazione e la deviazione standard, sono, per loro definizione, normalizzati per il valore medio, il confronto diretto tra i valori ottenuti sperimentalmente e quelli derivati dal modello era comunque possibile.

Si è quindi deciso di applicare una verifica sperimentale quantitativa della sola uniformità dell’illuminazione ottenuta, applicando solamente una analisi qualitativa sul livello minimo di illuminazione e sul range dinamico del sensore sfruttato.

Le coppie di immagini memorizzate sono state prese a distanza di 5cm (figura 4.2a), 8cm (figura 4.2b) e di 10cm (figura 4.2c).

Figura 4.2. Coppie di immagini memorizzate per la verifica del modello di illuminazione. Tali immagini si riferiscono a : a) 5cm, b) 8cm e c) 10cm.

4.1.2 Analisi dei risultati ottenuti

Le coppie di immagini memorizzate sono state elaborate utilizzando il programma Matlab®, i cui codici applicati sono riportati in appendice C.

1) Verifica Immagini catturate a 5cm: la coppia di immagini caricata sul programma è stata ritagliata per isolare le viste delle due videocamere, riportate in figura 4.3. Tali andamenti presentano un forte rumore sovrapposto al segnale, che quindi non viene completamente rimosso dalla catena di elaborazione integrata nelle videocamere. Tuttavia è possibile individuare un andamento gaussiano e simmetrico nelle immagini catturate dalle due videocamere, compatibile con i risultati teorici ottenuti con il modello implementato.

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Figura 4.3. Intensità dei pixel nei campi di vista delle due videocamere a 5cm di profondità.

Le due immagini sono poi state ritagliate in modo tale da prelevare da ognuna solamente la regione appartenente al campo di vista stereoscopico. L’algoritmo applicato è identico a quello applicato nel modello teorico in quanto basato unicamente sulla geometria del sistema. Per ogni punto della matrice ottenuta è stato poi calcolato il corrispondente valore del coefficiente di variazione (CV), applicando la seguente equazione:

m m I

CVi,j = i,j − (4.1)

dove, CVi,j è il coefficiente di variazione della cella di coordinate (i,j); Ii,j è il

corrispondente valore di intensità del pixel e m è il valore medio di intensità calcolato su tutta la matrice. Tale formula giustifica la possibilità di un confronto diretto con i valori ottenuti nel modello implementato, in quanto il valore puntuale del coefficiente di variazione viene normalizzato per il valore medio e quindi risulta adimensionale. In figura 4.4 vengono mostrate graficamente le celle della matrice corrispondente al campo di vista stereoscopico con valore del coefficiente di variazione inferiore al ±5%. La forma a corona circolare centrata sull’origine del campo di vista stereoscopico è un altro risultato coerente con i risultati del modello teorico. La percentuale dei punti ottenuti con CV inferiore al 5% risulta poi essere pari al 37.7%, dunque comparabile con il 42% ottenuto teoricamente. La differenze rilevata tra i due valori può essere spiegata considerando che nella misura sperimentale intervengono anche fenomeni quali lo scattering e la riflessione, che aumentano la pendenza della distribuzione perché incrementano l’attenuazione. Inoltre, anche il rumore presente nelle immagini può aver inciso sul calcolo del coefficiente di variazione.

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Figura 4.4. Grafico della distribuzione dei punti con coefficiente di variazione inferiore a ±5%, nel campo di vista stereoscopico, alla profondità di 5cm.

Dato che le distribuzioni sperimentali presentano una buona approssimazione gaussiana, la successiva analisi condotta sulle immagini ottenute riguarda il calcolo della deviazione standard normalizzata per compararla con i valori teorici ricavati dal modello.

Figura 4.5. Andamento delle distribuzioni normalizzate per le due direzioni principali a 5cm di profondità.

Le distribuzioni estrapolate per le due direzioni principali sono mostrate in figura 4.5. Calcolandovi il valore della deviazione standard e normalizzando per il valore medio si ottengono i seguenti valori: 0.055 per la distribuzione verticale e 0.1 per quella orizzontale. Alla stessa profondità il modello riportava una deviazione standard normalizzata verticale di 0.035 e una orizzontale di 0.07. Le lievi differenze riscontrate sono facilmente riconducibili ai fenomeni di attenuazione trascurati.

2) Verifica Immagini catturate a 8cm: la coppia di immagini caricata sul programma è stata ritagliata per isolare le viste delle due videocamere, riportate in figura 4.6. Anche in questo caso le immagini risultano piuttosto rumorose nonostante i circuiti di filtraggio integrati nelle videocamere. Tuttavia è possibile ancora individuare una andamento gaussiano e

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120 simmetrico nelle immagini catturate dalle due videocamere, compatibile con i risultati teorici ottenuti con il modello implementato.

Figura 4.6. Intensità dei pixel nei campi di vista delle due videocamere a 8cm di profondità.

Le due immagini sono poi state ritagliate in modo tale da prelevare, di ognuna, solamente la regione appartenente al campo di vista stereoscopico. Per ogni punto della matrice ottenuta è stato poi calcolato il corrispondente valore del CV. In figura 4.7 vengono mostrate graficamente le celle della matrice corrispondente al campo di vista stereoscopico con valore del coefficiente di variazione inferiore a ±5%. Anche in questo caso la forma è approssimabile ad una corona circolare centrata nell’origine del campo di vista stereoscopico, altro risultato coerente con i risultati del modello teorico.

Figura 4.7. Grafico della distribuzione dei punti con coefficiente di variazione inferiore a ±5%, nel campo di vista stereoscopico, alla profondità di 8cm.

La percentuale dei punti ottenuti con CV inferiore al 5% risulta essere pari al 34.7%, dunque comparabile con il 40% ottenuto teoricamente. Anche in questo caso, la differenze rilevata tra i due valori può essere spiegata considerando che nella misura sperimentale intervengono anche altri fenomeni oltre all’attenuazione vera.

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121 Dato che le distribuzioni sperimentali sono approssimabili a gaussiane, la successiva analisi condotta sulle immagini ottenute ha previsto il calcolo della deviazione standard normalizzata per compararla con i valori teorici ricavati dal modello. Le distribuzioni estrapolate per le due direzioni principali sono mostrate in figura 4.8.

Figura 4.8. Andamento delle distribuzioni normalizzate per le due direzioni principali a 8cm di profondità.

Calcolando il valore della deviazione standard e normalizzando per il valore medio si ottengono i seguenti valori: 0.06 per la distribuzione verticale e 0.11 per quella orizzontale. Alla stessa profondità il modello riportava una deviazione standard normalizzata verticale di 0.035 e una orizzontale di 0.072. Con l’avanzare della profondità si amplifica quindi la differenza tra i valori teorici e quelli sperimentali. Ciò è giustificabile perché, all’aumentare della profondità, aumenta la probabilità e l’incidenza dei fenomeni diffusivi.

3) Verifica Immagini catturate a 10cm: la coppia di immagini caricata sul programma è stata ritagliata per isolare le viste delle due videocamere, riportate in figura 4.9. Anche in questo caso le immagini risultano piuttosto rumorose nonostante i circuiti di filtraggio integrati nelle videocamere. Tuttavia, anche in questo terzo caso, è possibile individuare una andamento gaussiano e simmetrico nelle immagini catturate dalle due videocamere, compatibile con i risultati teorici ottenuti con il modello implementato.

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Figura 4.9. Intensità dei pixel nei campi di vista delle due videocamere a 10cm di profondità.

Le due immagini sono poi state ritagliate in modo tale da prelevare, da ognuna, solamente la regione appartenente al campo di vista stereoscopico. Per ogni punto della matrice ottenuta è stato poi calcolato il corrispondente valore del CV. In figura 4.10 vengono mostrate graficamente le celle della matrice corrispondente al campo di vista stereoscopico con valore del coefficiente di variazione inferiore al ±5%. Anche in questo caso la forma è approssimabile ad una corona circolare centrata nell’origine del campo di vista stereoscopico, altro risultato coerente con il modello teorico.

Figura 4.10. Grafico della distribuzione dei punti con coefficiente di variazione inferiore a ±5%, nel campo di vista stereoscopico, alla profondità di 10cm.

La percentuale dei punti ottenuti con CV inferiore al 5% risulta poi essere pari al 33%, dunque comparabile con il 39% ottenuto teoricamente. La differenze rilevata tra i due valori può essere spiegata considerando che nella misura sperimentale intervengono anche fenomeni quali lo scattering e la riflessione, che aumentano la pendenza della distribuzione perché incrementano l’attenuazione.

Dato che le distribuzioni sperimentali possono essere approssimate a gaussiane, la successiva analisi condotta sulle immagini ottenute riguardava il calcolo della deviazione

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123 standard normalizzata per compararla con i valori teorici ricavati dal modello. Le distribuzioni estrapolate per le due direzioni principali sono mostrate in figura 4.11.

Figura 4.11. Andamento delle distribuzioni normalizzate per le due direzioni principali a 10cm di profondità.

Calcolando il valore della deviazione standard e normalizzando per il valore medio si ottengono i seguenti valori: 0.062 per la distribuzione verticale e 0.11 per quella orizzontale. Alla stessa profondità il modello riportava una deviazione standard normalizzata verticale di 0.036 e una orizzontale di 0.077. Si osserva quindi come, ad elevate profondità, si stabilizzi l’effetto dei fenomeni fisici trascurati dal modello.

I risultati sperimentali mostrano come le prestazioni nel sistema di illuminazione realizzato siano compatibili con le conclusioni tratte dal modello teorico. Ciò garantisce che le approssimazioni inserite nel modello non ne inficiano la validità. Inoltre, i parametri di uniformità estrapolati dalle misure sperimentali risultano soddisfacenti per gli obiettivi prefissati, si è difatti di fronte ad una illuminazione sempre centrata nell’origine del campo di vista stereoscopico, con elevata uniformità per almeno circa il 40% di quest’ultimo e che non presenta discontinuità o forti oscillazioni.

Le distribuzioni di intensità sono quasi equivalenti a quelle calcolate e così pure i parametri numerici. Ciò consente di affermare che il modello implementato, seppur approssimato, garantisce dei risultati veritieri e quindi potrà essere applicato anche in futuro per altri dispositivi dello stesso genere.

Anche operativamente non si riscontrano regioni o condizioni nelle quali il sistema di illuminazione realizzato non soddisfi le specifiche riguardanti il limite minimo di illuminazione necessario per il corretto funzionamento delle videocamere. Inoltre, i sensori non vengono portati in saturazione anche in condizioni critiche nelle quali il target è posto nelle immediate vicinanze delle videocamere o presenta superfici fortemente riflettenti.

Altro importante risultato riguarda la luminosità delle immagini ottenute, che risulta molto elevata. Questo fatto, eccessivo nel caso di visione bidimensionale, risulta uno dei punti di forza della

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124 piattaforma realizzata per interfacciarsi con lo schermo autostereoscopico. Quest’ultimo, quando viene attivata la funzionalità tridimensionale, attiva un pannello elettro-ottico che abbassa di molto la luminosità delle immagini originali: avere a disposizione una elevata luminosità delle immagini di partenza consente di compensare tale perdita e di ottenere un effetto stereoscopico con elevate brillantezza e nitidezza.

4.2 Test di Validazione del Prototipo

Il prototipo realizzato è stato utilizzato per una serie di test con medici per valutare se la sua applicazione ha una influenza sulle performance motorie nell’esecuzione di azioni comuni in chirurgia minimamente invasiva.

Lo studio introduttivo sulla stereoscopia mostra chiaramente come una immagine bidimensionale e una tridimensionale non contengono la stessa informazione. Sebbene la visione 2D compensi, in qualche modo, la mancanza di profondità utilizzando i segnali monoculari, una immagine 3D contiene un maggiore contenuto informativo, sfruttata specialmente nel guidare accuratamente ed efficientemente una azione motoria. Tuttavia, la comparazione tra le due ha condotto a risultati contraddittori nella letteratura recente [1,2,3]. Tale confusione deriva dall’adozione, in tali studi, dei sistemi di imaging tridimensionale di prima generazione, a bassa risoluzione, che rendevano più difficoltosa, rispetto ai sistemi standard 2D, l’esecuzione di compiti motori complessi.

Studi recenti [4,5] hanno invece valutato l’impatto della visione 2D e di quella 3D sulle performance motorie utilizzando la piattaforma robotica da Vinci, capace di garantire immagini sia bidimensionali che tridimensionali in alta definizione [6]. Tali studi hanno dimostrato come la visione bidimensionale afferisce principalmente sull’elaborazione degli schemi di movimento; il moto appare invece affidarsi ai segnali di profondità binoculari, in particolar modo per azioni di avvicinamento e presa. Tali studi suggeriscono quindi che i compiti chirurgici vengono eseguiti in modo migliore con una visione tridimensionale rispetto alla consueta bidimensionale. Ciò vale in particolar modo per le tecniche chirurgiche minimamente invasive, dove il chirurgo perde il consueto feedback tattile e deve affidarsi completamente alla visione. In particolare, gli studi di Blavier [5], Mazin [7] e Chan [2], tutti eseguiti utilizzando la piattaforma robotica da Vinci, mostrano come la visione tridimensionale appaia più intuitiva e richieda una minore elaborazione cognitiva: di conseguenza suggeriscono come il 3D possa diminuire i tempi delle operazioni chirurgiche e quelli di apprendimento delle tecniche laparoscopiche.

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125 Ad oggi, tuttavia, non sono stati fatti studi di validazione, in campo chirurgico, utilizzando piattaforme di imaging differenti dai display binoculari utilizzati nel sistema da Vinci. L’obiettivo del test effettuato è proprio quello di verificare se anche lo schermo autostereoscopico è in grado di garantire dei vantaggi analoghi ai display binoculari. A questo scopo, utilizzando il sistema di acquisizione realizzato, sono state confrontate le performance di un pool di medici su semplici compiti eseguiti con tre diverse modalità di visualizzazione: bidimensionale, 3D utilizzando lo schermo autostereoscopico Miracube e 3D utilizzando un visore binoculare (figura 4.12). In questo modo è stato possibile fare una comparazione statistica tra i tre sistemi di visualizzazione.

Figura 4.12. Visore binoculare con il quale è stato comparato lo schermo autostereoscopico

4.2.1 Set-up del test

Basandosi sui lavori proposti da Falk [4] e da Blavier [5] sono state individuate le criticità presenti in uno studio di validazione di questo tipo. Il gruppo di medici sottoposti al test aveva esperienza chirurgica varia, occorreva quindi, innanzitutto, limitare l’impatto delle capacità motorie individuali. A questo scopo sono stati fatti eseguire semplici esercizi visivi, così come semplici compiti a bassi livelli di destrezza motoria. Le prove presentano, inoltre, un ordine crescente di complessità oculo-motoria per evitare l’effetto memoria-moto. Infine, poiché i medesimi esercizi venivano ripetuti dai partecipanti sotto differenti condizioni di visione, l’ordine dei display di visualizzazione è stato randomizzato per evitare il bias dell’apprendimento.

Dato che l’obiettivo era quello di comparare le diverse piattaforme di visione, il sistema robotico di acquisizione è stato mantenuto sempre fisso all’interno del simulatore. Di seguito viene descritto il protocollo seguito per valutare ciascuna piattaforma di visione.

1. Training: date le diverse esperienze pregresse dei medici sottoposti a test, è stato previsto un tempo di adattamento di 5 minuti nel quale prendere confidenza con il sistema di visione e con gli strumenti laparoscopici utilizzati.

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126 2. Prima prova: il primo compito era prettamente visivo. Ai medici è stato chiesto di contare le caselle bianche e quelle nere di una griglia di lato 0.7mm, posizionata al centro del campo di vista,. Tale esercizio aveva la finalità di verificare che il medico percepisse correttamente l’effetto stereoscopico senza distorsioni.

3. Seconda prova: su di una piattaforma appositamente progettata (figura 4.13) per rientrare completamente nel campo di vista delle videocamere, sono stati disposti 10 aghi culminanti con una sfera colorata. Ai medici è stato chiesto di inserire, utilizzando una pinza laparoscopica, degli anellini di diametro opportuno nelle sfere. Il parametro registrato per questa prova è stato il tempo impiegato per completarla: da quanto il primo anellino veniva afferrato a quando l’ultimo veniva rilasciato. è stato anche registrato separatamente a fine prova il numero di eventuali errori.

Figura 4.13. Piattaforma realizzata per l’esecuzione delle prime due prove.

4. Terza prova: sulla medesima piattaforma sono stati anche disposti 8 piccoli cerchi; hai medici è stato chiesto di conficcare degli aghi all’interno di tali dischi. Anche in questo caso il parametro registrato è stato il tempo impiegato per concludere la prova e sono stati controllati gli errori compiuti.

5. Quarta prova: l’esercizio riguardava il taglio a freddo di una superficie. Lo scopo era quello di testare le prestazioni dei medici su di un compito che non viene convenzionalmente eseguito nelle operazioni di chirurgia laparoscopica. A tale scopo è stato costruito un supporto per bisturi capace di essere fissato ad una comune pinza laparoscopica (figura 4.14). Inoltre sono stati realizzati delle superfici di silicone sulle quali sono stati disegnati dei binari entro i quali doveva essere eseguito il taglio (figura 4.15). Il parametro registrato è stato il tempo richiesto per eseguire tre tagli in tre direzioni differenti. Successivamente alla

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127 prova sono poi stati verificati visivamente i tagli compiuti per verificare che non fossero stati superati i confini della zona di taglio.

Figura 4.14. Supporto per bisturi progettato per essere montato all’apice di una pinza laparoscopica.

Figura 4.15. Supporti planari in silicone sui quali sono stati disegnati i binari per il taglio.

6. Quinta prova: l’ultimo esercizio era quello a complessità motoria maggiore e consisteva nell’eseguire una sutura su silicone a punto singolo. Questa prova è quindi l’unica che prevede la coordinazione dei movimenti di entrambe le mani con l’informazione visiva e presenta anche il maggiore influsso delle esperienze chirurgiche del singolo medico. È stato registrato il tempo impiegato.

Alla conclusione di queste prove con i tre sistemi di visione è stato chiesto ai medici di completare un questionario registrando le impressioni sulle tre interfacce, l’indice di gradimento e la loro preferenza.

4.2.2 Analisi statistica dei dati: introduzione teorica

La tecnica adottata per verificare la significatività statistica delle differenze tra le medie aritmetiche dei tre gruppi, corrispondenti ai tre sistemi di visualizzazione utilizzati, è l’analisi della varianza, indicata anche con l’acronimo ANOVA, ad un criterio di classificazione: ovvero ogni dato è classificato solo sulla base del trattamento o del gruppo al quale appartiene.

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128 In particolare, la procedura consiste nel suddividere la variabilità totale (SST) delle osservazioni in una variabilità attribuibile alle differenze fra i gruppi (SSA) e in una variabilità dovuta al caso e inerente alla variabilità all’interno dei gruppi (SSW). Assumendo che i c gruppi (nel caso particolare c=3) da cui vengono estratte casualmente le osservazioni siano distribuiti normalmente e abbiano uguali varianze, si è interessati a verificare l’ipotesi nulla secondo cui le medie dei gruppi sarebbero uguali: c H0 :

µ

1 =

µ

2 =

µ

3 =...=

µ

(4.2) contro l’alternativa: = 1

H non tutte le µj sono uguali (con j = 1,2,…,c).

L’analisi della varianza richiede due assunzioni per la sua applicazione: che le c distribuzioni siano normali e abbiano varianze uniformi. Sotto tali condizioni, se è verificata l’ipotesi nulla le curve ottenute dai c gruppi coincideranno esattamente.

Per valutare se le distribuzioni sonogaussiane è stato applicato il test delle skewness [8], basato sul valore medio della quantità

(

X −µ

)

3, dove X rappresenta ogni singolo valore e µ è la media della popolazione. Il suo valore è pari a zero quando la distribuzione dei dati è simmetrica rispetto al suo valor medio; è positivo quando la distribuzione è caratterizzata da una asimmetria destra (cioè i valori oltre la media sono più frequenti), mentre è negativo nel caso di asimmetria sinistra (cioè quando i valori oltre la media sono meno frequenti).

Per la verifica dell’uniformità delle varianze è stato scelto il test di Levene [8], che prevede l’uso del test ANOVA per valutare se esiste una differenze significativa tra le medie, facendo uso non dei valori osservati ma dei loro scarti rispetto alla media del gruppo. Il test prevede di calcolare gli scarti rispetto alla media X e di eliminare i segni negativi prendendone il valore assoluto:

X X

di = i − (4.3)

La proposta di Levene consiste nell’applicare alle c serie di scarti l’ANOVA ad un criterio nell’assunzione che, se i valori medi degli scarti risultano significativamente diversi, allora le c varianze dei dati originali sono diverse.

Verificate tali condizione, per realizzare un test con ANOVA, utilizzando quindi la distribuzione di Fisher [8], F, si parte dalla rappresentazione della variabilità totale come somma dei quadrati totali (SST): poiché le medie dei gruppi si presumono uguali sotto l’ipotesi nulla, essa si ottiene sommando le differenze fra ciascuna osservazione e la media complessiva X elevate al quadrato:

(

)

∑∑

= = − = c j n i ij j X X SST 1 1 2 (4.4) dove:

(15)

129

( )

∑∑

= = = c j n i ij j X X 1 1

è la media complessiva, X è la i-esima osservazione del gruppo j, ij nj è il numero

di osservazioni del gruppo j e n è il numero totale di osservazioni dei c gruppi (nel caso particolare

16 =

n , ovvero il numero di medici sottoposti al test). La variabilità tra gruppi, anche nota come somma dei quadrati fra i gruppi (SSA), si ottiene invece sommando le differenze tra le medie campionarie di ciascun gruppo Xj e la media complessiva, elevate al quadrato e ponderate con l’ampiezza campionaria nj di ciascun gruppo:

(

)

= − = c j j j X X n SSA 1 2 (4.5)

Infine, la variabilità nei gruppi, o somma di quadrati all’interno dei gruppi (SSW), si ottiene sommando le differenze al quadrato fra ciascuna osservazione e la media del gruppo di appartenenza:

(

)

∑∑

= = − = c j n i j ij j X X SSW 1 1 2 (4.6)

Poiché si deve confrontare c gruppi, ci saranno c−1 gradi di libertà (gdl) associati alla somma dei quadrati fra gruppi. Inoltre, poiché ciascun gruppo dei c contribuisce con nj −1 gdl, la variabilità nei gruppi avrà complessivamente nc=

(

nj −1

)

gdl. Infine, la somma dei quadrati totali avrà

1 −

n gradi di libertà, poiché ciascuna osservazione viene confrontata con la media campionaria complessiva.

Dividendo ciascuna di queste somme per i rispettivi gdl si ottengono quindi le tre varianze o medie dei quadrati (MSA, MSW, MST):

1 − = c SSA MSA (4.7) c n SSW MSW − = (4.8) 1 − = n SST MST (4.9)

Se l’ipotesi nulla è vera e non ci sono differenze tra i gruppi, le tre varianze calcolate rappresentano le stime della varianza σ2 della popolazione sottostante. Di conseguenza, per verificare H0, si

utilizza una statistica F ottenuta come rapporto fra le varianze MSA e MSW:

( ) p

MSW MSA

(16)

130 dove la statistica F segue una distribuzione di Fisher con

(

c− ,1nc

)

gradi di libertà. Di conseguenza, assunto un livello di significatività α, l’ipotesi nulla dovrà essere rifiutata se il valore osservato della statistica eccede il valore critico superiore F di una statistica F. In particolare, se u l’ipotesi nulla è vera, ci si aspetta un valore osservato del rapporto (4.10) approssimativamente pari a 1, poiché le quantità che compaiono a numeratore e denominatore rappresentano entrambe delle stime della varianza σ2 della popolazione.

D’altra parte, se H0 è falsa, e ci sono effettive differenze fra le medie delle sotto-popolazioni, ci si

aspetta che il test F assuma valori significativamente superiori all’unità; infatti, in questo caso il numeratore di F (MSA) rappresenta una stima degli effetti del trattamento, vale a dire delle differenze tra le sotto-popolazioni che eccedono la semplice variabilità dei dati, mentre il denominatore (MSW) stima unicamente quest’ultima componente di variabilità.

Infine, se nel confronto tra i dati sperimentali è stata rifiutata l’ipotesi nulla, occorre successivamente verificare tra quali medie esista una differenza significativa.

4.2.2 Analisi statistica dei dati: applicazione ai dati

In totale sono stati sottoposti al test 16 medici di diversa esperienza chirurgica. Di seguito sono riportati i valori dei parametri registrati per le varie prove e analizzati utilizzando l’ANOVA come test statistico. Occorre sottolineare che i tempi di un medico venivano analizzati solo se riusciva a portare a compimento la prova con tutte e tre le interfacce di visione. In appendice D vengono riportati i codici Matlab® implementati.

1) Analisi dei dati della prima prova, anelli: i valori dei tempi ottenuti per il test del posizionamento degli anelli sono riportati in tabella 4.1. Del parametro è poi riportata, sull’ultima colonna, il valore della media aritmetica calcolata: in questo esercizio quindi il tempo impiegato è stato mediamente inferiore con lo schermo autostereoscopico e maggiore con la visione bidimensionale. paziente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 media Schermo autostereos copico 114 342 178 93 83 65 150 90 81 60 172 99 64 123 189 152 128 Visore binoculare 213 260 217 270 90 117 79 58 87 70 161 106 100 76 138 127 136 Visione 2D 250 194 158 110 121 83 92 122 156 95 197 181 130 106 133 182 144 Tabella 4.1. Visualizzazione dei tempi registrati, misurati in secondi, per i 16 medici per la prima prova, ovvero quella

riguardante il posizionamento degli anelli.

Tali dati vengono dapprima visualizzati sotto-forma di istogramma per evidenziarne la forma della distribuzione (figura 4.16). Per una valutazione più accurata dell’ipotesi di normalità è stata

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131 applicato però il test della skewness: i valori ottenuti per le tre distribuzioni sono 0.56, 0.51 e 0.19. Essendo tali valori vicini allo zero, è possibile accettare l’ipotesi di normalità imposta dall’analisi della varianza.

Figura 4.16. Distribuzioni ottenute per: a) schermo autostereoscopico; b) visore binoculare; c) visione bidimensionale.

La seconda condizione per l’applicazione dell’ANOVA è l’uniformità della varianza, che è stata verificata applicando il test di Levene (figura 4.17). Il valore ottenuto per p, con livello di confidenza 0.05%, è pari all’unità, indice che la varianza MSA e quella MSW sono identiche: ciò consente di accettare l’ipotesi nulla senza ombra di dubbio. Di conseguenza è possibile concludere che la condizione sull’uniformità delle varianze è rispettata.

Figura 4.17. Tabella riassuntiva dei risultati del test A=OVA applicato per il test di Levene e relativo box-plot.

Avendone verificato le condizioni al contorno, è stata applicata l’ANOVA ad una matrice avente sulle colonne i tre gruppi e sulle righe le osservazioni ottenute per tali gruppi. Il risultato ottenuto è mostrato in figura 4.18. Il p-value ottenuto è pari a 0.004, ad indicare un intervallo di confidenza pari all’ampiezza della distribuzione stessa: di conseguenza è possibile rifiutare l’ipotesi nulla. A riprova di questo risultato è possibile osservare come sia il valore di SS, che rappresenta la

(18)

132 variabilità tra gruppi, che il valore di F, che indica il valore delle differenze tra le medie delle distribuzioni, assumono valori molto elevati.

Figura 4.18. Tabella riassuntiva dei risultati del test A=OVA applicato ai tempi registrati per la prima prova e relativo box-plot.

Una volta verificato che, con un intervallo di confidenza dello 0.05%, le medie dei gruppi sono significativamente diverse, si è passati ai confronti diretti tra tali valori medi. Per farlo è stata implementata l’analisi post-hoc di Sheffé [8]. Il relativo comando Matlab® mostra, in uscita, i grafici rappresentanti le medie dei gruppi con i relativi intervalli di confidenza. Di conseguenza è possibile concludere che la differenza tra due medie è statisticamente significativa quando i relativi intervalli di confidenza non si intersecano. I risultati ottenuti per i due confronti principali sono mostrati in figura 4.19.

Figura 4.19. Risultato grafico del test post-hoc di Sheffé applicato alla prova degli anelli. In blu è visualizzato il gruppo selezionato e in rosso il/i gruppo/i statisticamente indipendente.

(19)

133 Le ordinate del diagramma rappresentano i tre gruppi: in particolare il gruppo 1 rappresenta lo schermo autostereoscopico, il 2 il visore binoculare e 3 il sistema di visione bidimensionale. Dai risultati presentati si verifica come le differenze tra le medie dei gruppi 1-3 e 2-3 siano statisticamente significative, mentre non lo è il confronto 2-3.

Come riprova dei risultati ottenuti con l’analisi post-hoc è stata impostata una analisi ANOVA ad un criterio per le varie coppie di sistemi di visione. Dato che, in questo caso, il numero di gradi di libertà della varianza tra trattamenti era pari a c−1=2−1=1, l’analisi della varianza effettuata risultava equivalente ad un t-test tra le coppie di gruppi selezionate, in quanto la distribuzione t è equivalente ad una distribuzione F con un unico grado di libertà per la varianza tra gruppi. Il risultato di questa seconda analisi è mostrata in figura 4.20. I risultati ottenuti sono equivalenti a quelli dell’analisi post-hoc: con differenze statisticamente significative (p-value prossimi a zero) solamente nei confronti tra interfacce tridimensionali con quella bidimensionale.

Figura 4.20. Analisi della Varianza applicata a coppie di gruppi.

In conclusione si dimostra statisticamente che, per un test di bassa complessità motoria, l’adozione di un sistema di visualizzazione tridimensionale riduce i tempi di esecuzione. Ciò può essere giustificato dal fatto che, la percezione della profondità del target e la migliore capacità di giudizio della posizione e del moto relativo tra oggetti, garantite dai segnali binoculari, consentono una maggiore precisione e velocità di esecuzione di semplici compiti di presa e posizionamento. Inoltre, si dimostra anche l’equivalenza delle due interfacce 3D utilizzate, in quanto la differenza tra le medie registrate non risulta statisticamente significativa.

2) Analisi dei dati della seconda prova, aghi: i valori dei tempi ottenuti per il test del posizionamento degli aghi sono riportati in tabella 4.2. Del parametro è poi riportata, sull’ultima colonna, il valore della media aritmetica calcolata: in questo esercizio quindi il tempo impiegato è stato mediamente inferiore con il visore binoculare e maggiore con lo schermo autostereoscopico.

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134 paziente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 media Schermo autostereoscopico 216 222 83 99 90 97 95 51 79 97 69 117 220 131 119 Visore binoculare 126 200 83 117 81 109 87 59 129 135 82 68 114 103 107 Visione 2D 138 159 77 120 80 110 70 80 242 159 83 78 98 103 114 Tabella 4.2. Visualizzazione dei tempi registrati, misurati in secondi, per i 14 medici che hanno concluso la seconda

prova, ovvero quella riguardante il posizionamento degli aghi.

Tali dati vengono dapprima visualizzati sotto-forma di istogramma per evidenziarne la forma della distribuzione (figura 4.21). Per una valutazione più accurata dell’ipotesi di normalità è stata applicato però il test della skewness alle distribuzioni di schermo autostereoscopico, visore binoculare e visione bidimensionale: i valori ottenuti per le tre distribuzioni sono, rispettivamente, 0.06, 0.1 e 0.62. Essendo tali valori vicini allo zero, è possibile accettare l’ipotesi di normalità imposta dall’analisi della varianza.

Figura4.20 . Distribuzioni ottenute per: a) schermo autostereoscopico; b) visore binoculare; c) visione bidimensionale.

La seconda condizione per l’applicazione dell’ANOVA è l’uniformità della varianza, che è stata verificata applicando il test di Levene (figura 4.21). Il p-value ottenuto, con livello di confidenza 0.05, è pari all’unità, indice che la varianza MSA e quella MSW sono identiche. Di conseguenza è possibile concludere che la condizione sull’uniformità delle varianze è rispettata.

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135

Figura 4.21. Tabella riassuntiva dei risultati del test A=OVA applicato per il test di Levene e relativo box-plot.

Avendone verificato le condizioni al contorno, è stata applicata l’ANOVA ad una matrice avente sulle colonne i tre gruppi e sulle righe le osservazioni ottenute per tali gruppi. Il risultato ottenuto è mostrato in figura 4.22. Il p-value ottenuto è pari a 0.79. Le differenze tra le medie ottenute per questa seconda prova non possono quindi essere considerate statisticamente significative.

Figura 4.22. Tabella riassuntiva dei risultati del test A=OVA applicato ai tempi registrati per la seconda prova e relativo box-plot.

A riprova di quanto calcolato è stata comunque eseguita l’analisi post-hoc di Sheffé, dalla quale, come mostrato in figura 4.23, si ottengono degli intervalli di confidenza sovrapposti, indice che le differenze riscontrate tra le medie non sono statisticamente significative.

(22)

136

Figura 4.23. Risultato grafico del test post-hoc di Sheffé applicato alla prova degli aghi. In blu è visualizzato il gruppo selezionato e in rosso il/i gruppo/i statisticamente indipendente. In questo caso però tutti gli intervalli di confidenza si

sovrappongono.

Il risultato di questo test può derivare da una risoluzione insufficiente del sistema di visione, piuttosto che da una equivalenza dei sistemi di visione utilizzati. Durante la prova gli stessi medici hanno sottolineato delle difficoltà incontrate nell’eseguire l’esercizio, dovute alla dimensione degli aghi e al fatto che la piattaforma per la prova risultava posta ai limiti del campo di vista delle videocamere. Ciò ha condotto alla necessità di sfruttare al limite le prestazioni del sistema di acquisizione utilizzato. I problemi riscontrati si sono tradotti anche nella percentuale di errori registrati a fine prova: in media, ogni medico sottoposto al test ha compiuto almeno due errori nelle tre realizzazioni del posizionamento degli aghi con i tre sistemi di visualizzazione.

3) Analisi dei dati della terza prova, taglio: i valori dei tempi ottenuti per il test del taglio a freddo sono riportati in tabella 4.3. Del parametro è poi riportata, sull’ultima colonna, il valore della media aritmetica calcolata: in questo esercizio quindi il tempo impiegato è stato mediamente inferiore con lo schermo autostereoscopico e maggiore con il visore binoculare.

paziente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 media

Schermo

autostereoscopico 17 31 21 25 33 18 17 26 19 27 10 8 36 13 21

Visore binoculare 13 43 32 13 25 26 29 23 41 38 9 8 50 28 27

Visione 2D 14 42 21 20 43 21 32 19 26 42 12 17 18 19 25

Tabella 4.3. Visualizzazione dei tempi registrati, misurati in secondi, per i 14 medici che hanno concluso la terza prova, ovvero quella riguardante il taglio a freddo.

Le distribuzioni ottenute presentano un andamento fortemente approssimabile ad una gaussiana (figura 4.24): ciò è verificato numericamente applicando il test della skewness. I valori ottenuti per le tre distribuzioni sono: 0.13 per lo schermo autostereoscopico, 0.11 per il visore binoculare e 0.12 per la visione 2D. Essendo tali valori vicini allo zero, risulta verificata l’ipotesi di normalità imposta dall’analisi della varianza.

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137

Figura 4.24. Distribuzioni ottenute per: a) schermo autostereoscopico; b) visore binoculare; c) visione bidimensionale.

La seconda condizione per l’applicazione dell’ANOVA è l’uniformità della varianza, che è stata verificata applicando il test di Levene (figura 4.25). Il p-value ottenuto, con livello di confidenza 0.05, è pari a 0.178, di conseguenza è possibile concludere che la condizione sull’uniformità delle varianze è, approssimativamente, rispettata.

Figura 4.25. Tabella riassuntiva dei risultati del test A=OVA applicato per il test di Levene e relativo box-plot.

Avendone verificato le condizioni al contorno, è stata applicata l’ANOVA ad una matrice avente sulle colonne i tre gruppi e sulle righe le osservazioni ottenute per tali gruppi. Il risultato ottenuto è mostrato in figura 4.26. Il p-value ottenuto è pari a 0.034, ad indicare un intervallo di confidenza pari all’ampiezza della distribuzione stessa: di conseguenza è possibile rifiutare l’ipotesi nulla. Una volta verificato che, con un intervallo di confidenza dello 0.05%, le medie dei gruppi sono significativamente diverse, si è passati ai confronti diretti tra tali valori medi. Per farlo è stata implementata l’analisi post-hoc di Sheffé. I risultati ottenuti per i due confronti principali sono mostrati in figura 4.27. Le ordinate del diagramma rappresentano i tre gruppi: in particolare il gruppo 1 rappresenta lo schermo autostereoscopico, il 2 il visore binoculare e 3 il sistema di visione

(24)

138 bidimensionale. Dai risultati presentati si verifica come le differenze tra le medie dei gruppi 1-2 e 3-2 siano statisticamente significative, mentre non lo sia il confronto 1-3.

Figura 4.26. Tabella riassuntiva dei risultati del test A=OVA applicato ai tempi registrati per la terza prova e relativo box-plot.

Figura 4.27. Risultato grafico del test post-hoc di Sheffé applicato alla prova del aglio. In blu è visualizzato il gruppo selezionato e in rosso il/i gruppo/i statisticamente indipendente.

Come riprova dei risultati ottenuti con l’analisi post-hoc è stata impostata una analisi ANOVA ad un criterio per le varie coppie di sistemi di visione (figura 4.28). I risultati ottenuti sono equivalenti a quelli dell’analisi post-hoc: con differenze statisticamente significative (p-value prossimi a zero) nei confronti tra schermo autostereoscopico e visore binoculare e tra quest’ultimo e la visione 2D.

(25)

139

Figura 4.28. Analisi della Varianza applicata a coppie di gruppi.

Questa prova ha una importanza fondamentale all’interno del test di validazione in quanto è l’unico esercizio rispetto al quale tutti i medici partivano dalla medesima condizione iniziale, non essendo il taglio a freddo una operazione standard in laparoscopia. In questo caso non si hanno differenze significative tra visione 3D e 2D: molto probabilmente, dato che la superficie da tagliare era planare, i medici si basavano quasi esclusivamente sul feedback tattile e di forza. In questo modo i vantaggi derivanti da una percezione tridimensionale della posizione della punta del bisturi andavano persi. D’altra parte, partendo dalla considerazione che tutti i medici fossero abituati ad operare con una visione bidimensionale, la differenza osservata tra le due interfacce tridimensionali mostra come la curva di apprendimento, rispetto ad un esercizio nuovo, è inferiore con lo schermo autostereoscopico rispetto al visore binoculare. I problemi derivanti dalla risoluzione, che limitava la percezione assunta dalla punta del bisturi durante il taglio, si rispecchiano invece su una percentuale di errori, ovvero tagli al di fuori dei binari disegnati, identiche per le tre interfacce 4) Analisi dei dati della quarta prova, sutura: i valori dei tempi ottenuti per il test di sutura sono riportati in tabella 4.4. Del parametro è poi riportata, sull’ultima colonna, il valore della media aritmetica calcolata: in questo esercizio quindi il tempo impiegato è stato mediamente inferiore con il visore binoculare e maggiore con la visione bidimensionale.

paziente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 media

Schermo

autostereoscopico 102 85 163 50 262 135 97 73 29 101 209 105

Visore binoculare 161 58 53 55 92 152 39 72 90 29 318 102

Visione 2D 97 171 160 33 68 169 190 148 36 167 127 124

Tabella 4.4. Visualizzazione dei tempi registrati, misurati in secondi, per i 11 medici che hanno concluso la quinta prova, ovvero quella riguardante la sutura.

Per le distribuzioni (figura 4.29) si è verificata numericamente la normalità applicando il test della skewness. I valori ottenuti per le tre distribuzioni sono: 0.5 per lo schermo autostereoscopico, 0.5 per il visore binoculare e 0.7 per la visione 2D. Essendo tali valori vicini allo zero, risulta verificata l’ipotesi di normalità imposta dall’analisi della varianza.

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140

Figura 4.29. Distribuzioni ottenute per: a) schermo autostereoscopico; b) visore binoculare; c) visione bidimensionale.

La seconda condizione per l’applicazione dell’ANOVA è l’uniformità della varianza, che è stata verificata applicando il test di Levene (figura 4.30). Il p-value ottenuto, con livello di confidenza 0.05, è pari a 0.65, di conseguenza è possibile concludere che la condizione sull’uniformità delle varianze è rispettata.

Figura 4.30. Tabella riassuntiva dei risultati del test A=OVA applicato per il test di Levene e relativo box-plot.

Avendone verificato le condizioni al contorno, è stata applicata l’ANOVA ad una matrice avente sulle colonne i tre gruppi e sulle righe le osservazioni ottenute per tali gruppi. Il risultato ottenuto è mostrato in figura 4.31. Il p-value ottenuto è pari a 0.026, ad indicare un intervallo di confidenza è quasi pari all’ampiezza della distribuzione stessa: di conseguenza è possibile rifiutare l’ipotesi nulla.

Una volta verificato che, con un intervallo di confidenza dello 0.05%, le medie dei gruppi sono significativamente diverse, si è passati ai confronti diretti tra tali valori medi. Per farlo è stata implementata l’analisi post-hoc di Scheffé. I risultati ottenuti per i due confronti principali sono mostrati in figura 4.32. Le ordinate del diagramma rappresentano i tre gruppi: in particolare il

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141 gruppo 1 rappresenta lo schermo autostereoscopico, il 2 il visore binoculare e 3 il sistema di visione bidimensionale. Dai risultati presentati si verifica come le differenze significative siano quelle tra visione tridimensionale e bidimensionale.

Figura 4.31. Tabella riassuntiva dei risultati del test A=OVA applicato ai tempi registrati per la quarta prova e relativo box-plot.

Figura 4.32. Risultato grafico del test post-hoc di Sheffé applicato alla prova della sutura. In blu è visualizzato il gruppo selezionato e in rosso il/i gruppo/i statisticamente indipendente.

Come riprova dei risultati ottenuti con l’analisi post-hoc è stata impostata una analisi ANOVA ad un criterio per le varie coppie di sistemi di visione. Il risultato di questa seconda analisi è mostrata in figura 4.33: con differenze statisticamente significative (p-value prossimi a zero) solamente nei confronti tra interfacce tridimensionali con quella bidimensionale.

(28)

142

Figura 4.33. Analisi della Varianza applicata a coppie di gruppi.

Questa prova era quella che richiedeva la maggiore coordinazione visivo-motoria, quindi ha consentito di valutare le prestazioni delle tre interfacce visive nella condizione più simile a quella operativa. I dati ottenuti dimostrano come, la percezione della profondità e le migliori capacità discriminative del moto relativo, garantire da una visione tridimensionale, aiutino i medici in operazioni complesse. Vengono quindi confermati i risultati mostrati nei lavori di Falk [4] e Blavier [5]. Inoltre, si dimostra che non vi è alcuna differenza significativa tra le due interfacce 3D.

4.2.3 Conclusioni

I test effettuati dimostrano come la percezione della profondità e la migliore discriminazione dei moto relativo e della collisione tra oggetti, garantite dalla visione tridimensionale, migliorano le performance, in termini di efficienza e precisione, sia di esercizi di basso livello motorio che di operazioni complesse. In particolare, lo schermo autostereoscopico ha dimostrato una efficacia equivalente al visore binoculare che, come detto, è tecnicamente identico all’attuale gold standard per le piattaforme robotiche chirurgiche, ovvero il sistema da Vinci. Inoltre, la prova del taglio a freddo ha dimostrato come lo schermo stereoscopico presenti una curva di apprendimento leggermente inferiore rispetto al visore binoculare.

Queste prove forniscono quindi un’indicazione positiva per quanto concerne l’introduzione dello schermo autostereoscopico come interfaccia di visione in un sistema di chirurgia robotica. All’assoluta equivalenza, in termini di prestazioni stereoscopiche, con gli altri dispositivi di visione, si aggiungono infatti anche i benefici derivanti dall’assenza di componenti aggiuntivi, che causano l’estraniazione dell’osservatore dall’ambiente circostanze, dagli indubbi vantaggi ergonomici e dalla possibilità di una visualizzazione contemporanea da parte di più osservatori. È interessante notare che, durante lo svolgimento dei test, si sono verificati dei casi in cui i medici che indossavano il visore si sono trovati ad operare in posture inadeguate e scomode, proprio perché perdevano ogni riferimento ambientale.

(29)

143 Tuttavia, nei questionari fatti compilare ai medici alla fine delle prove, si evidenzia comunque la difficoltà che alcuni di loro hanno avuto nel cercare di cogliere la visione 3D garantita dallo schermo autostereoscopico e la fatica necessaria per mantenerla, se comparata con l’immediatezza e la semplicità del visore binoculare. Questo giudizio non è però unanime tra i medici sottoposti al test, infatti alcuni sono riusciti istintivamente a cogliere l’effetto stereoscopico e hanno preferito lo schermo autostereoscopico rispetto agli altri sistemi di visione. In particolare, si è osservato che le performance degli individui capaci fin da subito di “entrare” nella terza dimensione dello schermo autostereoscopico hanno ottenuto risultati migliori che con gli altri tools in tutti gli esercizi. Ciò ci consente di concludere che, per lo schermo autostereoscopico, le capacità innate personali giochino un ruolo fondamentale e che ciò si traduca, in alcuni casi, ad un lungo periodo di addestramento. Quest’ultimo rappresenta forse il maggiore svantaggio evidenziato del display autostereoscopico scelto.

Naturalmente, le conclusioni qui riportate non possono ancora essere generalizzate. Per una analisi statistica completa sarà difatti necessario eseguire ulteriori test su un numero molto più elevato e omogeneo di candidati.

Infine, una considerazione importate deve essere fatta sul sistema di acquisizione. Le videocamere Misumi, per quanto idonee per la realizzazione di un primo prototipo, si sono dimostrate però ampiamente insufficienti da un punto di vista operativo a causa della loro ridotta risoluzione. Questo problema, come visto, ha addirittura inficiato i risultati del test degli aghi. Un immediato passo di ottimizzazione del sistema è stato un cambio nella tipologia di videocamere, per migliorare sia la risoluzione che la qualità (soprattutto in termini di filtraggio del rumore) delle immagini visualizzate.

4.3 Bibliografia

[1] Buess G.F., van Bergen P., Kunert W., Schurr M.O.; Comparative study of various 2D and 3D vision systems in minimally invasive surgery; Chirurg. vol. 67; 1996; pp. 1041-1046. [2] Chan A.C., Chung S.C., Yim A.P., Lau Y.J; Comparison of two-dimensional vs.

three-dimensional camera systems in laparoscopic surgery; Surgical Endoscopy vol. 11; 1997; pp. 438-440.

(30)

144 [3] Hanna G.B., Shimi S.M., Cuschieri A.; Randomised study of influence of two-dimensional versus three-dimensional imaging on performance of laparoscopic procedures; Lancet vol. 351; 1998; pp. 248-251.

[4] Falk V., Mintz D., Grunenfelder J., Fann J.I., Burdon T.A.; Influence of three-dimensional vision on surgical telemanipulator performance; Surgical Endoscopy vol. 15; 2001; pp. 1282-1288.

[5] Blavier A., Graudissart Q., Cadiere G.B., Nyssen A.S.; Impact of 2D and 3D vision on performance of novice subjects using da Vinci robotic system; Acta Chirurgica Baelgica vol. 106; 2006; pp. 662-664.

[6] Palep J.H.; Robotic assisted minimally invasive surgery; Journal of Minimal Access Surgery vol. 5(1); 2009; pp. 1-7.

[7] Mazin L., Lenoir M.; The contribution of stereo vision to one-handed catching; Experimental Brain Research vol. 157; 2004; pp. 383-390.

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