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2 MATERIALI E METODI 2.1 La teoria del “critical wedge”

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2 MATERIALI E METODI

2.1 La teoria del “critical wedge”

La teoria del “prisma critico” (critical wedge Davis et al., 1983; Dahlen, 1984), mostra come ogni orogene può evolvere attraverso stadi dinamici dove il bilancio tra materiale accreto e geometria (definita dall’inclinazione della superficie α e dall’inclinazione β alla base del prisma) è funzione delle proprietà meccaniche del prisma stesso (frizione interna e basale, coesione dei materiali) e del valore di stress di taglio sul livello di scollamento basale (Davis et al., 1983; Dahlen, 1984). Per definizione si parla di critical wedge, o prisma critico, quando ogni suo punto è al limite dell’inviluppo di rottura (Dahlen, 1984) e cominciano a formarsi di conseguenza zone di taglio o thrust (Fig.7).

In accordo con Dahlen (1984), un prisma d’accrezione è caratterizzato da tre stadi dinamici:

− Allo stadio stabile (stable state), il prisma tende ad accomodare le piccole variazioni delle condizioni a contorno finché non si avvicina al limite della sua stabilità ovvero allo stadio critico.

− Allo stadio critico (critical state), un prisma si trova nella sua condizione d’equilibrio, ovvero al limite del suo stato stabile. Pertanto è soggetto a fenomeni di collasso che vengono accomodati attraverso la continua formazione di faglie. I diversi parametri che influenzano la condizione d’equilibrio di un prisma sono la trazione basale, gli stress che giocano nella parte posteriore del prisma e il rapporto tra la resistenza alla frizione interna dei materiali e la frizione basale. Un prisma sarà al limite della sua condizione d’equilibrio dopo un certo grado di accrescimento, ma tenderà sempre a ritrovare una nuova forma all’equilibrio che sarà funzione dei nuovi parametri, per questo si parla di equilibrio dinamico.

− Allo stadio non stabile (non-stable state), il prisma tende ad accomodare la sua geometria in risposta all’aggiunta o rimozione di materiale, attraverso la deformazione interna, ovvero mediante

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raccorciamento, se le condizioni sono sub-critiche, oppure mediante estensione, se il prisma si trova in condizioni super-critiche.

I tassi di deformazione sono elevati quando le variazioni della forma all’equilibrio del prisma sono dovute a variazioni delle condizioni a contorno, ad esempio nei prismi d’accrezione fossili si hanno evidenze di riattivazione di faglie, formazione di thrust fuori sequenza, presenza di strutture deformative che si sovrappongono a precedenti strutture accrezionali e collassi estensionali sin-convergenza (Lohrmann et al., 2003).

Figura 7: prisma di Coulomb e i parametri che lo controllano quali α: angolo di inclinazione della superficie, β: angolo di inclinazione della base; μint: coefficiente di

frizione interna; μbas: coefficiente di frizione basale; λb: pressione dei pori alla base; ρ:

densità dei materiali; ρw: densità dell’acqua di mare; σ1: stress massimo; σ3: stress

minimo; ψ0: angolo tra lo stress principale e la superficie; ψb: angolo tra lo stress

minimo e la superficie (da Davis, 1984). B) il diagramma indica gli stati dinamici di un prisma, il punto nero indica dove si trova il prisma di A. C) diagramma di Mohr per un prisma d’accrezione dove sono indicati gli stadi di stress ad una certa profondità z (da Lohrmann, 2003).

La teoria del “Prisma di Coulomb critico” (Coulomb critical wedge, Davis et al., 1983) si basa su tre parametri fondamentali dei materiali granulari, che influenzano direttamente la geometria del prisma, la sua cinematica interna e il regime di stress. Questi parametri sono la frizione interna e basale (μint ; μb) e la coesione (C).

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Il valore di frizione interna dei materiali granulari dipende a sua volta da altri fattori quali la rotondità, sfericità e dimensioni dei grani (Schellart, 2000); inoltre è stato dimostrato (Krantz, 1991) che la modalità di preparazione tecnica dell’esperimento può influenzare il valore della frizione dei materiali, quindi a sua volta anche l’attivazione e riattivazione delle faglie.

I materiali granulari utilizzati nella modellizzazione analogica mostrano un comportamento dipendente dallo strain caratterizzato da strain-hardening prima dello forzo critico e conseguente strain-softeing finché non viene raggiunto un rapporto stress-strain costante (Lohrmann et al., 2003). Occorre notare che le curve stress-strain dei materiali granulari usati negli esperimenti analogici sono ben confrontabili con quelle delle rocce crostali (Fig.10).

Tuttavia, nel caso delle rocce crostali, lo hardening e lo strain-softening dipendono anche dalle condizioni di temperatura, pressione, tasso di deformazione, stress effettivo e rugosità della superficie di scivolamento. A fronte del complesso comportamento reologico dei materiali granulari usati in modellizzazione analogica, la teoria dei materiali coloumbiani può essere usata per simulare il comportamento delle rocce crostali a scala regionale (Davis et al, 1983).

Il criterio di rottura di Coulomb se applicato alla teoria del prisma critico (Dahlen, 1984), definisce il comportamento di un prisma di Coulomb.

In generale, le rocce della crosta superiore si deformano seguendo la legge di Coulomb, che esprime il comportamento reologico di un materiale indipendentemente dal tempo:

Τ = C + σefμ con μ= tangφ

Dove C è la coesione e σef lo sforzo effettivo ovvero σef = σn+pf con

σn pari allo sforzo normale e pf è la pressione dei fluidi nei pori ; μ è il

coefficiente di frizione interna; φ l’ angolo di attrito interno

In questo contesto un materiale couloumbiano è caratterizzato da una coesione praticamente nulla e da una relazione lineare stress-strain, dove lo sforzo di picco coincide con il valore di sforzo stabile (Fig.10). Di conseguenza il valore del coefficiente di frizione interna del materiale dipende dal valore dello sforzo a rottura e dallo stress normale.

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Per una adeguata rappresentazione dei sistemi naturali negli esperimenti analogici occorre (a) identificare i fattori che controllano le proprietà dei materiali i quali devono essere scelti in accordo con il comportamento delle rocce in natura nel campo fragile, quindi (b) in base a questi risultati, definire una strategia per estendere l’analisi ai prismi d’accrezione, ai fold-and-thrust belt e alle catene orogeniche (Lohrmann et al., 2003).

Le strutture deformative nei modelli analogici sono generalmente di piccole dimensioni, si sviluppano in breve tempo e richiedono uno sforzo molto minore di quanto accade in natura. Di conseguenza i modelli analogici devono essere riportati in scala in maniera tale da avere la migliore corrispondenza tra il modello e l’esempio naturale. La teoria della messa in scala dei modelli analogici è stata applicata alle strutture geologiche per la prima volta da Hubbert (1937,1951) e successivamente da Ramberg (1981), i quali hanno ottenuto un set di rapporti di scala tra le proprietà meccaniche dei materiali usati nel modello e le corrispondenti proprietà degli oggetti naturali. La corrispondenza tra le forze di superficie nel modello e in natura, è verificata se le proprietà meccaniche dei materiali analogici e naturali sono state adeguatamente riportate in scala (Schmeling, 1986).

Il fattore di scala per la coesione e il coefficiente interno dei materiali analogici ottenuto da differenti studi (Krantz, 1991b; Schellart, 2000 and Lohrmann et al., 2003), è generalmente paragonabile a quanto misurato sperimentalmente per le rocce della crosta superiore.

2.2 Proprietà fisiche dei materiali utilizzati

Generalmente i materiali usati nella modellizzazione analogica vengono scelti in funzione delle caratteristiche reologiche e si possono suddividere in due grandi gruppi: materiali a comportamento visco-plastico e materiali a comportamento fragile-“duttile”.

Questi ultimi comprendono i materiali granulari a bassa coesione, come le sabbie (Fig.8); materiali granulari ad alta coesione, ovvero polveri silicee o di talco (od altre composizioni) eventualmente miscelate ad altra

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sabbia; infine materiali granulari a coesione nulla, come le microsfere in vetro (Fig.9).

Per tutti gli esperimenti descritti abbiamo utilizzato sabbia eolica silicea con grani molto ben arrotondati, ben classati di dimensioni inferiori ai 300mm e densità di 1690 kg/m3; il coefficiente di frizione interna (μ

int) è di

circa 0.57 e la coesione C = 20 Pa.

Per ricostruire il livello di scollamento intermedio dei modelli III e VI, sono state impiegate le microbiglie in vetro con una granulometria da 50 a 150 μm. Si tratta di materiali a comportamento coulombiano la cui densità e granulometria è simile a quella della sabbia asciutta, tuttavia, grazie della perfetta sfericità dei grani, il fattore di coesione interna è circa del 23% più basso di quello della sabbia, e la coesione è praticamente nulla. Sottostante il livello di scollamento è stata posta della sabbia colorata con un valore di coesione più alto del 5% rispetto a quello della sabbia utilizzata per il resto del riempimento. Le caratteristiche dei materiali utilizzati negli esperimenti sono descritte nel dettaglio nelle tabelle riportate di seguito:

SABBIA (BIANCA E COLORATA) 100-310 μm

Composizione chimica SiO2 = 99.0 ٪ CaO + MgO = 0.15 ٪

Al2O3 = 0.4 ٪ Altro Na2O + K2O = 0.15 ٪ Fe2O3 = 0.1 ٪

Proprietà fisiche Stato fisico a 20°C

Colore Solido Chiaro

Granulometria/ripartizione della taglia

0,1 a 0,31 mm / omogenea

Forma dei grani/ Aspetto angolosi non sferici/ angoli a spigoli vivi, superfici non lisce

Coefficiente di frizione interna 0.57

Coesione non pressata: debole (20 Pa) ;

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Figura 8: sabbia silicea fotografata alla microsonda ( da Bonnet et al., 2007)

MICROSFERE IN VETRO 50-150 μm

Composizione chimica SiO2 ≥ 65.0 ٪ CaO ≥ 8.0 ٪

Al2O3 de 0.5 à 2.0 ٪ Na2O ≥ 14.0 ٪ Fe2O3 ≤ 0.15 ٪ Altro ≥ 2.0 ٪ MgO ≥ 2.5 ٪

Proprietà fisiche Stato fisico a 20°C

Colore Solido Chiaro

Granulometria/ripartizione della taglia

50-150 μm/ molto omogenea

Forma dei grani/ Aspetto Sferica/ alcune impurità costellano la

superficie delle microbiglie, presenza occasionale di piccoli buchi e protuberanze

Coefficiente di frizione interna 0,44

Coesione trascurabile

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2.3 Comportamento meccanico dei materiali granulari

Le proprietà che influenzano i criteri di rottura dei materiali granulari sono il coefficiente di frizione interna, che riflette come le particelle scivolano l’una su l’altra, e la coesione che rappresenta una misura di come lo stress di taglio agisce su un materiale in assenza di pressioni normali confinanti (Mandl, 1988).

Figura 10: comportamento meccanico dei materiali a) coulombiani; b) della crosta terrestre; c) analogici (modificato da Lohrmann, 2003)

Esistono tre metodi differenti per determinare le proprietà meccaniche dei materiali granulari usati nella modellizzazione analogica. Il più semplice tra questi misura il coefficiente di frizione interna mediante l’orientazione dei piani di faglia relativi a condizioni di massimo stress (Krantz, 1991 a,b). Un altro metodo utilizza una particolare shear box: la macchina di Hubbert (Hubbert, 1991), con cui il rapporto tra stress di taglio e stress normale può essere determinato durante la rottura del materiale (Krantz, 1991b; Schellart, 2000).

Il terzo metodo consiste nel misurare la curva stress-strain di un materiale granulare usando una macchina a taglio anulare (Lohrmann et al., 2003).

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Materiali granulari con diverse caratteristiche fisico-chimiche mostrano variazioni dello stress di taglio rispetto al tempo ad alla deformazione molto simili tra loro (Panien et al., 2006). In generale si osserva che lo stress di taglio aumenta mentre il materiale (sabbia, microbiglie di vetro od altri) viene progressivamente deformato (Fig.10a).

La transizione dallo stadio inizialmente elastico della deformazione a quello plastico successivo, è graduale e non può essere posizionata esattamente in un grafico stress-strain/tempo (Jaeger and Cook, 1979).

Dal grafico in figura 10c si vede come lo stadio di strain hardening preceda lo stress di picco che coincide con la rottura del materiale.

I materiali granulari tendono a sviluppare zone di taglio piuttosto che deformarsi uniformemente (Panien, 2006). Lo sviluppo di zone di taglio è preceduto da una fase di deformazione diffusa la cui intensità dipende dalla forma dei grani, dalle tecniche manuali di riempimento delle apparecchiature e dalla distribuzione dei grani. Al contrario il processo che porta alla formazione vera e propria delle zone di taglio è legato alla localizzazione della deformazione ed avviene al momento esatto o poco dopo che è stato raggiunto il valore della forza di picco (Desrues and Viggiani, 2004). Queste superfici di taglio sono zone di deformazione discreta soggette a dilatazione dove l’arrangiamento dei grani è perturbato rispetto allo stato iniziale. Infatti, come diversi esperimenti hanno dimostrato (Fig.11 da Taboada et al., 2005), si ha una forte diminuzione della coesione tra i grani in relazione ad un aumento della porosità e del volume.

Il picco di rottura è seguito da uno stadio di strain softening, durante il quale lo stress di taglio decresce bruscamente fino a raggiungere un valore stabile, chiamato da diversi autori come dinamic-stable strength o stable sliding (Lohrmann et al., 2003; Panien et al., 2006), che corrisponde a quel livello di stress necessario affinché il processo di nucleazione delle faglie resti attivo. A questo stadio il materiale continua a deformarsi senza tuttavia grandi variazioni di volume né di stress applicato, inoltre le zone di taglio precedentemente formatesi restano in una condizione di orientazione preferenziale ottimale (Adam et al., 2005).

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Figura 11: modello numerico che mostra la enucleazione di zone di taglio in un materiale granulare ( da Taboada et al., 2005). Le zone di massima dilatazione si

concentrano lungo le zone di taglio a 40°-45°

2.4 Procedure sperimentali e modelli di base

Gli esperimenti vengono eseguiti in condizioni di gravità normale utilizzando la classica sandbox (Fig.12), costituita da una placca orizzontale basale lunga 2,05 metri e da due lastre di vetro laterali periodicamente lubrificate, per ridurre l’effetto dell’attrito tra i bordi della scatola e la sabbia deposta all’interno. Sulla placca basale è posto il Mylar sheet, si tratta di un foglio in tessuto largo circa 10 cm libero di muoversi quando viene spinto contro il backstop in modo da indurre una compressione alla sabbia su questo deposta. Per ogni esperimento il Mylar sheet consente di effettuare al massimo 184 cm di convergenza pari a circa il 60% di raccorciamento ovvero a 400 km nel caso reale.

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La superficie del Mylar sheet che poggia direttamente sulla placca in legno può essere trattata in maniera diversa a seconda del coefficiente di frizione basale scelto: in genere per frizioni basali forti ( circa 24 gradi) si utilizza una miscela di colla e sabbia in modo da rendere la superficie del foglio particolarmente ruvida. La sandbox consente di costruire sezioni in due dimensioni sulle quali è possibile eseguire delle osservazioni dirette circa i fenomeni di piegamento, di propagazione dei thrust, di esumazione, anche grazie ad una macchina fotografica che riprende ogni stadio dell’esperimento per effettuare infine l’analisi quantitativa dei risultati.

La sandbox è riempita da materiali granulari scelti in base alle loro caratteristiche meccaniche in modo da rappresentare al meglio ciò che avviene in un contesto reale.

Il fattore scala nella modellizzazione analogica dipende dalle dimensioni della macchina e dalle caratteristiche dei materiali utilizzati. Nel nostro caso le dimensioni dei modelli hanno un fattore scala di 105

(Konstantinovskaia & Malavieille, 2005; Lallemand et al.,1994; ;Gutscher et al., 1996, 1998b). Per mantenere il bilancio tra massimo raccorciamento orizzontale e un’appropriata visualizzazione delle strutture, il fattore di scala sulla verticale risulta esagerato di 2.5 volte rispetto al modello reale. Il fattore di scala sull’orizzontale è tale che 1 cm in ogni esperimento è equivalente a circa 1 km in natura, mentre sulla verticale 1 cm corrisponde a 2.5 km.

Per ottenere la geometria a doppia vergenza esistono diverse procedure: utilizzare un backstop che presenta un’immersione opposta alla subduzione, oppure creare in un punto una discontinuità di velocità. Per i nostri esperimenti abbiamo seguito il secondo metodo per non influenzare lo sviluppo del prisma con la geometria del backstop. Per tanto è stata ricostruita sperimentalmente una placca indentata che ha interferito con il processo di convergenza. A tal proposito è stato scelto di porre una placca rigida in legno lunga 40 cm con uno spessore molto inferiore rispetto allo strato di sabbia superiore (6 mm), in modo da rendere trascurabile l’effetto indotto dalla geometria della placca stessa.

Tra gli otto esperimenti svolti, di seguito ne verranno descritti quattro in maniera dettagliata, scelti tra i più significativi. Tra questi quattro, sono

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state eseguite due esperienze sulle quali è stata applicata l’erosione. Questo tipo di esperimenti è nato dal crescente interesse di studiare gli effetti dei processi superficiali e tettonici sulla cinematica di un fold-and-thrust belt.

Nella pratica l’erosione viene eseguita attraverso l’aspirazione manuale di una certa quantità di sabbia, mediante un comune aspiratore (Fig.13). L’erosione viene applicata sotto condizioni di flusso stabile, ovvero il volume del materiale eroso resta uguale al volume di materiale che viene continuamente accreto al prisma (Beaumont et al., 1992)

Figura 13: aspirazione manuale di una quantità di sabbia circa uguale a quella accreta al prisma

Il tasso di erosione è soggetto a variazioni nel corso degli esperimenti poiché dipende dall’evoluzione tettonica del modello. L’erosione ha inizio quando il prisma di accrezione raggiunge il suo profilo all’equilibrio, al fine di simulare i primi stadi di ispessimento del prisma prima della subduzione. Successivamente si inizia a rimuovere materiale ad ogni centimetro di raccorciamento fino alla fine dell’esperimento, in modo da mantenere un’inclinazione costante del prisma. In questa fase è stato di aiuto utilizzare come riferimento una riproduzione in cartone della geometria del prisma all’equilibrio. In prima approssimazione si può considerare che l’erosione agisce uniformemente senza tener conto della diversa litologia dei sedimenti, poiché è stata utilizzata una sola tipologia di sabbia a bassa coesione.

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2.5 Parametri dei modelli

Ogni modello rappresenta un prisma di accrezione a doppia vergenza suddiviso in due regioni rispetto alla zona di subduzione o punto

S, che coincide con la discontinuità di velocità. Posto davanti alla zona di

subduzione, si ha il prowedge, in cui il materiale scorre verso S e la direzione di trasporto dominante è opposta al movimento del Mylar sheet; poi c’è il retrowedge, fisso rispetto ad S, in cui non si ha un movimento relativo tra la base rigida e il materiale indeformato. La zona di transizione tra prowedge e retrowedge è chiamata zona assiale del prisma e presenta una geometria piatta in cresta.

Figura 14: modelli di base per gli esperimenti a) I e II; b) III e IV.

I primi due modelli, del tipo A, mostrano allo stadio iniziale una geometria molto semplice rappresentativa di una tipica sequenza sedimentaria, con strati orizzontali sovrapposti con uno spessore di 3 cm. Mentre gli ultimi due modelli (Fig.14b), presentano un livello di scollamento a coesione nulla posto a circa 1,5 cm di spessore dalla base, sormontato da un ugual spessore di sabbia stratificata (Cfr = 0.57 ; Co = 20 Pa). Sul

multistrato poggia un protoprisma a doppia vergenza che segue il modello di base dell’esperimento n°1, pertanto la sua geometria deriva dal solo processo di accrezione frontale, dove θf =8° e θr= 20° sono rispettivamente

l’inclinazione dell’angolo alla fronte e nel retro del prisma all’equilibrio. Il protoprisma viene costruito per ottenere un risultato finale che si avrebbe solo con un raccorciamento molto maggiore di quello che permette la sandbox. Infatti alla fine dell’esperimento il raccorciamento totale è pari a

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oltre a quello effettuato durante l’esperimento che ammonta a 96 cm. L’altezza misurata dalla base del protoprisma alla sua sommità è pari ad H, ovvero all’altezza misurata all’equilibrio nei primi due modelli (Fig 14a) e vale 10 cm.

Al fine di descrivere la crescita del thrust wedge, sono stati misurati ad ogni centimetro di raccorciamento: l’altezza H del cuneo in corrispondenza della zona assiale, il rigetto lungo le thrust ramps D e la distanza dei fronti di deformazione dalla fessura di subduzione L.

2.6 Limiti sperimentali

Nella valutazione dei risultati sperimentali, è necessario tenere presente i limiti che questa tecnica presenta, soprattutto in relazione all’impossibilità di simulare la presenza di fasi fluide durante la deformazione, all’approssimazione con la quale si riproduce la reologia delle rocce naturali, alle differenze esistenti tra i meccanismi deformativi naturali e quelli agenti sulla sabbia anidra.

La tecnica sperimentale non tiene conto delle variazioni meccaniche delle rocce sottoposte all'incremento della temperatura con la profondità, ad ogni modo i modelli sono destinati allo studio della deformazione nella parte superiore della crosta, in ambienti geodinamici convergenti, dove le rocce si comportano secondo il criterio di rottura Mohr-Coulomb e il gradiente geotermico è basso.

La flessurazione dell’avampaese e la compensazione isostatica non sono simulabili con l’apparecchiatura utilizzata in questi esperimenti, poiché il multistrato viene impostato su una base rigida e indeformabile. Tuttavia, ai fini di questo lavoro, ciò non rappresenta necessariamente un limite, in quanto i modelli presentati si propongono di analizzare come variano le caratteristiche geometriche della catena durante la deformazione in presenza o no di erosione.

Anche se negli esperimenti effettuati viene tenuto conto del ruolo dell’erosione come processo superficiale, non vale altrettanto per la sedimentazione sin-tettonica.

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Infatti ciò che è stato eroso, viene sempre allontanato dal sistema in modo da mantenere un bilancio quasi costante tra output ed input, ovvero tra materiale eroso e materiale accreto al prisma mediante i processi tettonici.

Durante la deformazione nessun materiale è trasportato al di sotto della fessura di subduzione mentre nei sistemi di subduzione naturali, significative quantità di sedimenti vengono subdotte e si genera accrezione alla base del prowedge (Gutscher et alii, 1998). L'apparato sperimentale simula soltanto una deformazione thin-skinned e non include il coinvolgimento del basamento nelle catene orogeniche cosa che accade comunemente in molte fold-and-thrust belts naturali.

Sebbene questi limiti sperimentali mostrino che i modelli non sono perfettamente analoghi alle strutture reali, i risultati sono applicabili in prima approssimazione all’evoluzione geodinamica degli orogeni naturali e permettono di averne una visione evolutiva (Malavieille, 1984; Wang & Davis, 1996; Storti et al., 2000).

Inoltre, le numerose similitudini riscontrate tra i risultati sperimentali e le geometrie di molte catene non metamorfiche del pianeta fa presumere la validità, in termini generali, dei principi dedotti sperimentalmente (Storti, 1997).

Figura

Figura 7: prisma di Coulomb e i parametri che lo controllano quali α: angolo di  inclinazione della superficie, β: angolo di inclinazione della base; μ int : coefficiente di
Figura 8: sabbia silicea fotografata alla microsonda ( da Bonnet et al., 2007)
Figura 10: comportamento meccanico dei  materiali a) coulombiani; b) della crosta  terrestre; c) analogici (modificato da  Lohrmann, 2003)
Figura 11: modello numerico che mostra la enucleazione di zone di taglio in un  materiale granulare ( da Taboada et al., 2005)
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