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Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati

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Academic year: 2021

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Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati

Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati

4.1 Bitume testato

Le caratterizzazione reologica è stata effettuata su un bitume 70/100 modificato in laboratorio con una percentuale in peso del 5.5% di SBS radiale (SBS-r).

La TP&A (temperatura di rammollimento determinata con il metodo palla e anello) del

materiale è 79°C. La verifica della stabilità allo stoccaggio (Tuben Test, 180°C, 3 giorni) non ha mostrato variazioni di composizione fra le sezioni superiore ed inferiore del campione. Le TP&A delle due sezioni sono rispettivamente 80°C e 79°C,

indice di ottima stabilità. Un’analisi della morfologia del prodotto, condotta tramite microscopia a fluorescenza, non ha mostrato alcuna struttura prevalente. E’ visibile una luce omogenea prevalentemente gialla, indice di un materiale omogeneo dove le due fasi polimero-matrice bituminosa sono fortemente interconnesse.

Figura 4-1: ingrandimento250x (a) Figura 4-2: ingrandimento 250x (b)

4.2 Reometro

L’analisi dinamica e le prove di viscometria sono state effettuate con un reometro rotazionale “Stresstech®” Rheologica Instruments.

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Sul reometro possono essere applicati, con i pertinenti adattatori, equipaggi con geometrie diverse. Per le prove dinamiche sono state utilizzate la barra di torsione e la geometria piatto-piatto; nelle prove di viscometria è stata utilizzata principalmente la geometria piatto-cono, in alcuni casi quella piatto-piatto.

Le prove sono state effettuate in condizioni isoterme in camera termostatata; la misurazione della temperatura avviene tramite una termocoppia a contatto con il supporto inferiore del provino. Il riscaldamento della camera è effettuato per mezzo di resistenze poste sulle pareti, mentre il raffreddamento è attuato con aria compressa per temperature medio alte o con una miscela aria/azoto per temperature inferiori ai 40°C. In questo secondo caso è immessa aria compressa (ad una pressione di poco superiore a quella atmosferica) in un serbatoio contenente azoto liquido: l’aria trascina i vapori del refrigerante e la miscela gassosa è poi introdotta nella camera attraverso appositi fori posti intorno al supporto inferiore. Il controllo della condizioni isoterme è effettuato da un regolatore di tipo PID.

Figura 4-3: postazione di lavoro Figura 4-4: termocoppia

4.3 Analisi dinamica

4.3.1 Modalità delle prove

Lo strumento può essere utilizzato sia in modalità “stress control” che in modalità “strain control”: nel primo caso è impostato il valore dello shear stress ed un

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corrisponde un certo valore della deformazione; nel secondo caso è imposta la deformazione e lo strumento registra lo stress applicato per ottenerla.

Lo strumento in realtà applica al rotore una coppia (torque) e lo stress risultante è funzione del tipo di geometria installata. Il reometro e’ pertanto stress control e la modalità strain control e’ solo “simulata” nel senso che lo strumento “cerca” il momento torcente che comporta la deformazione richiesta..

Le prove sono state condotte in strain control, applicando deformazioni di piccola entità (variabili fra 0.01% e 2% a seconda della temperatura) che permettono di rimanere nella regione di viscoelasticità lineare del materiale. Le prove sono ugualmente valide anche se condotte in stress control, ma in questo caso è più difficile trovare i valori necessari a rimanere nella zona di comportamento lineare. Lo strumento può effettuare anche prove di creep, dove la modalità in stress control è invece strettamente necessaria.

All’avvio del test lo strumento registra la posizione zero del piatto o del supporto superiore della barra (posizione A, Figura 4-5); Una volta iniziata la prova il rotore inizia ad oscillare da B a C, passando sempre per lo zero; l’entità dell’oscillazione dipende naturalmente dalla deformazione imposta.

Le prove sono state condotte in condizioni isoterme fra -25°C e 90°C, ad intervalli di temperatura di 10°C con i piatti, e di 5°C con la barra di torsione. In ogni prova è stato investigato un intervallo di frequenze fra 0.05 e 5 Hz, effettuando dieci misurazioni per ogni decade.

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Prima di introdurre il campione per la prova è necessaria una procedura di “zerogap”, effettuata in automatico dal software, per calibrare lo strumento:

La camera viene chiusa ed è impostato il valore di temperatura alla quale effettuare il test.

Nel caso della geometria piatto-piatto, una volta raggiunta la temperatura, il piatto superiore si abbassa fino a portarsi in contatto con quello inferiore in modo che lo strumento possa registrare l’effettiva distanza fra i piatti dopo aver introdotto il campione di bitume.

Per la barra di torsione la procedura è analoga: fra i supporti è appoggiato un cilindretto in acciaio della stessa lunghezza della barra, ed in questo caso la testa superiore si abbassa sino a toccare il cilindro, registrando l’altezza.

4.3.2 Preparazione dei campioni

Barra di torsione

L’utilizzo della barra di torsione per la verifica delle proprietà dinamiche nei bitumi è un metodo messo a punto e testato con successo dai ricercatori dell’Università di Calgary (Canada).

Per poter effettuare le prove è stato necessario progettare uno stampo in ottone adeguato allo scopo, dove poter colare il bitume caldo già all’interno dei supporti (holder) in alluminio. Gli stampi utilizzati permettono di preparare barre con tre differenti spessori: 2 10 40× × mm 5 . 2 10 40× × mm 3 10 40× × mm

In realtà la lunghezza della barra sottoposta alla prova è 24 mm, in quanto le parti terminali sono inserite nel supporto.

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Figura 4-6: sezione della barra

Lo stampo deve essere spennellato con una miscela costituita da talco e glicerina in modo che, una volta colato il bitume, i campioni raffreddati possano essere staccati facilmente dalle guide. I supporti in alluminio (tre coppie per ogni spessore) sono inseriti nelle guide e separati da un distanziale.

Lo stampo così preparato è posto in stufa a 200°C per circa 15 minuti. Questo passaggio è fondamentale perché il bitume (anch’esso riscaldato in apposito contenitore per circa mezz’ora) possa colare bene all’interno dei supporti (Figura 4-7/A); il contatto con una superficie fredda lo raffredderebbe immediatamente causando una cattiva distribuzione. (Figura 4-7/B).

Figura 4-7: forma del campione

Lo stampo è lasciato raffreddare all’aria per 40 minuti, quindi il bitume in eccesso rimosso con una spatola calda e lo stampo posto nel congelatore. Le barre sono fatte scorrere fuori dalle guide (Figura 4-8) solo al momento dell’utilizzo.

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Figura 4-10: progettazione dello stampo

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Piatto-piatto

In questo caso la preparazione dei provini consiste solamente nel colare il bitume su fogli in gomma (Figura 4-11) cercando di ottenere campioni di forma circolare con dimensioni leggermente superiori a quelle dei piatti (diametro 20 mm). Dopo raffreddamento a temperatura ambiente, i campioni sono posti in congelatore per un tempo minimo di un’ora. Tali campioni sono utilizzati anche nelle prove di viscometria con la geometria piatto-cono. Una volta posti sui piatti, l’eccesso di bitume deve essere rimosso dal bordo con l’utilizzo di una piccola spatola.

Figura 4-11: campioni per geometria piatto-piatto

4.4 Standard di riferimento

Prima di caratterizzare il bitume, sono state condotte prove su materiali standard con valori noti delle proprietà reologiche per verificare l’effettiva sensibilità dello strumento. Il materiale utilizzato è polimetilsilossano.

I valori della frequenza e del modulo di crossover forniti per la verifica sono rispettivamente 0.64 Hz e 2.65e4 Pa, alla temperatura di 30°C.

Le prove, effettuate con geometria piatto-piatto ed un gap (distanza fra i piatti) di 1.4 mm hanno fornito come miglior risultato:

Gc = 2.546e4 Pa

ω

c = 0.6457 Pa

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soddisfacente.

Figura 4-12: crossover sillyputty (scala logaritmica)

Per una corretta interpretazione dei dati è inoltre fondamentale utilizzare sempre una scala logaritmica per tutte le proprietà misurate; una scala lineare è assolutamente inadeguata, come è possibile vedere dal confronto riportato in Figura 4-13.

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4.5 Master curve

Ottenuto un numero adeguato di risultati da allineare utilizzando il principio di sovrapposizione tempo-temperatura è stata costruita la master curve secondo i passi seguenti:

Sono stati riportati sullo stesso grafico i dati di G’,G’’ e tan (δ

) ottenuti alle diverse temperature.

Scelta la temperatura di riferimento (Tr =0°C) i dati ottenuti a T≠Tr sono stati

traslati ottenendo un’unica curva per ognuna delle funzioni riportate sopra. Gli outlier (dati fuori linea) sono stati cancellati per ottenere l’andamento effettivo.

Contemporaneamente sono stati riportati su un altro grafico i fattori di shift in funzione della temperatura.

Come già accennato, sono utilizzate geometrie differenti a seconda della temperatura di prova. Alle basse temperature, in prossimità della transizione vetrosa, sono utilizzate sia la barra di torsione che i piatti (zigrinati e lisci), per un confronto diretto dei risultati ottenuti con le tre geometrie (Tabella 4-1).

Tabella 4-1: geometrie utilizzate

Temperature di prova[°C] Geometria utilizzata -25 BT -20 / -15 / -10 / -5 BT/PZ 0 / 10 / 20 BT/PL/PZ Da 30 fino a 90 PL BT=barra di torsione PZ=piatto zigrinato PL=piatto a superficie liscia

La barra di torsione presenta risultati validi sino ad una temperatura di circa 10°C; sopra questo valore il materiale è troppo morbido e tende a flettersi durante la prova. L’utilizzo dei piatti zigrinati a basse temperature dovrebbe invece prevenire il fenomeno dello “slipping” ossia lo scorrimento del bitume a contatto con la

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superficie del piatto, causa di letture errate dei valori di viscosità e dei parametri viscoelastici. In Figura 4-14 è possibile vedere la forma del provino di bitume dopo la prova con i piatti zigrinati: si presenta con una superficie che ricalca perfettamente quella del piatto, indice di assenza di scorrimento e quindi di condizioni ottimali del campione.

Figura 4-14 : campione di bitume dopo la prova con piatti zigrinati

L’osservazione del provino dopo il test può essere fatta solo a basse temperature, alle quali il materiale si presenta sufficientemente rigido da poter essere staccato facilmente. Alle alte temperature il buono stato del materiale si può intuire dai reogrammi; più prove sullo stesso campione sono state effettuate aspettando un tempo ragionevolmente lungo fra l’una e l’altra (10-20 minuti, a seconda della temperatura) per dare la possibilità al campione di “rilassarsi”. In ogni caso non è stato possibile ottenere valori soddisfacenti oltre la terza prova (Figura 4-15 e Figura 4-16).

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Il confronto delle master curve ottenute dalle diverse geometrie ha comunque portato ad escludere i valori ottenuti con i piatti lisci e zigrinati a temperature inferiori a 10°C. Tale conclusione è stata possibile osservando in particolare l’andamento di G’’(ω

). Alla temperatura di -20°C la curva ottenuta con la barra di torsione presenta un massimo. Questo risultato corrisponde alle aspettative, in quanto il massimo di G’’(ω

) individua la temperatura di transizione vetrosa, che per i bitumi è situata sempre in prossimità di questo valore. Nelle curve ottenute dalla geometria piatto-piatto G’(ω

) sembra presentare addirittura un plateau, mentre G’’(ω

) presenta un massimo ad una frequenza piuttosto bassa, che in questo caso corrisponde alla temperatura di 0°C.

Figura 4-17: confronto fra le geometrie

L’errata misurazione dei dati sembra essere dovuta ad un limite strumentale legato al tipo di geometria, in particolare alla dimensione del piatto.

Il torque applicato dallo strumento per ottenere una certa deformazione dà origine infatti ad uno sforzo di taglio tanto maggiore quanto minore è la superficie del piatto (si ricorda che lo sforzo di taglio ha l’unità di misura di una pressione, cioè il Pascal (Newton/m2)). Per i piatti utilizzati il massimo stress applicabile dall’apparecchiatura è 48000 Pa, che corrisponde ad un torque di 0.15 N m. Questo valore permette di ottenere sul bitume testato una deformazione massima dello 0.5% che probabilmente con questo tipo di geometria non è alla portata della sensibilità dello strumento. Una possibile verifica potrebbe essere effettuata con piatti di dimensioni minori,

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attualmente non disponibili. In tal caso stress più elevati porterebbero a deformazioni maggiormente apprezzabili.

Ovviamente questo non significa che tale geometria sia in assoluto inadeguata a lavorare a basse temperature; come già accennato sono le caratteristiche del materiale che determinano la geometria più adatta. Il bitume presenta già a temperatura ambiente una notevole consistenza, che alle basse temperature aumenta considerevolmente rendendo necessaria l’applicazione di sollecitazioni elevate. Un’altra anomalia di comportamento è stata riscontrata sovrapponendo i dati ottenuti alle alte temperature: la master curve presenta infatti due crossover. Alle basse frequenze G’(ω

) sembra assumere valori più elevati di G’’(ω

), ma questo comportamento non ha significato fisico in quanto non è plausibile che torni a prevalere una risposta elastica del materiale.

In realtà l’andamento ottenuto è dovuto all’inadeguatezza della geometria piatto- piatto alle alte temperature. La scarsa consistenza è infatti causa di errori di misurazione dovuti principalmente alla fuoriuscita del materiale dal piatto.

A questo inconveniente è possibile ovviare solo utilizzando una geometria più adatta, del tipo a cilindri coassiali ( chiamata anche “bob and cup”) della quale è riportata una schematizzazione in Figura 4-18. In questo caso il bitume è posto nell’intercapedine fra i due cilindri e l’analisi dinamica è effettuata con le stesse modalità della geometria piatto-piatto.

Figura 4-18: geometria bob and cup

Da Figura 4-19 a Figura 4-21 sono riportate le curve isoterme di G’(ω

), G’’(ω

) e loss tangent utilizzate per costruire la master curve come definito all’inizio del paragrafo. In Figura 4-22 è riportata la master curve ottenuta dalla sovrapposizione dei dati; in

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Figura 4-23 la curva è stata “pulita”, mentre quella successiva riporta la zona della curva ritenuta valida, in base a quanto descritto sopra.

Figura 4-19: curve isoterme G'(ω )

Figura 4-20: curve isoterme G''(ω )

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Figura 4-22: master curve uncleaned

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Figura 4-24: curva valida

4.6 Shift factor e WLF equation

I fattori di shift orizzontale necessari per costruire la master curve sono stati interpolati con l’equazione William-Landel-Ferry (1.35) per verificare l’effettiva applicabilità del principio di sovrapposizione. Una buona interpolazione ottenuta con la WLF è infatti indice di un materiale termoreologicamente semplice.

La Figura 4-25 riporta i valori sperimentali e la curva ottenuta dall’equazione. Gli scostamenti più significativi si presentano alle temperature di -10°C e 20°C. Tali scostamento sono imputabili principalmente ad errori sperimentali nelle misurazioni. Alla temperatura di 20°C è stata variata anche la geometria di misura (barra di torsione→ piatto-piatto) rendendo necessario anche uno shift verticale dei dati. Nel paragrafo 1.8 è stato accennato che lo shift verticale non può essere modellato da equazioni analitiche perché imputabile a molti fattori, fra i quali in questo caso è possibile annoverare il cambio di geometria.

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Figura 4-25: Shift factor aT

4.7 Spettri di ritardo e di rilassamento

Con l’utilizzo del software IRIS sono calcolati i tempi di rilassamento ed i relativi valori dello spettro. Il calcolo e’ effettuato in maniera da minimizzare il numero di λ.

Figura 4-26: Rappresentazione discreta (g) dello spettro di rilassamento H

Utilizzando le (1.31) e (1.32) si possono calcolare G’e G’’ come descritto nel capitolo uno. In Figura 4-27 e Figura 4-28, sono riportati anche alcuni dei contributi

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Figura 4-27: G' e contributi alla sua costruzione

Figura 4-28: G’' e contributi alla sua costruzione

Si osserva dalle figure riportate l’ottima interpolazione dei dati per entrambe le funzioni. Una volta ottenuti gli spettri è possibile ricavare quindi tutte le altre funzioni viscoelastiche.

4.8 Transizione vetrosa

La buona interpolazione ottenuta dall’equazione WLF permette di riportare l’andamento delle proprietà viscoelastiche in funzione della temperatura, ad una data frequenza di riferimento. L’equazione (1.34) si può esprimere in termini logaritmici:

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Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati ) log( ) log( ) log(

ϖ

= aT +

ω

(4.1)

Fissata una frequenza di riferimento ω rif e sostituendo l’espressione di log(aT)

ricavata dalla WLF si ottiene quindi:

) log( ) ( 1 ) log( ) log( 2 rif r r T T T C T T C a r

ω

ϖ

+ − + − ⋅ + = (4.2)

Dalla quale con pochi passaggi si ricava l’espressione della temperatura in funzione della frequenza ridotta

ϖ

:

) log( ) log( 1 2 1 2 rif r C C C C T T

ω

ϖ

− + ⋅ + − = (4.3)

Questo cambio di variabile è particolarmente utile se applicato a G’’(ω

); il massimo della funzione G’’(T) visualizza direttamente la temperatura di transizione vetrosa. Nel grafico in Figura 4-29 è riportata G’’(T) a più frequenze di riferimento, per mettere in evidenza che la temperatura di transizione vetrosa è comunque un parametro cinetico ( T=T(

ω

rif) ).

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4.9 Transizione a liquido viscoso

La transizione del materiale da fluido viscoelastico a fluido prevalentemente viscoso si individua con minore facilità della transizione vetrosa in quanto, specialmente nel caso dei bitumi modificati, avviene a temperature piuttosto alte.

Un’indicazione di questa trasformazione si può ottenere dai valori della viscosità complessa. La transizione corrisponde al valore della frequenza alla quale la curva inizia a presentare un asintoto orizzontale. I valori testati delle frequenze non sono sufficientemente bassi e l’andamento della viscosità complessa non ha ancora raggiunto il valore di plateau. (Figura 4-30).

Figura 4-30: ηηηη* nel range di frequenze ritenuto valido

Un altro modo per vedere questa transizione è riportare in grafico la loss compliance

J’’(ω ) epurata dal contributo viscoso (Figura 4-31), già definita nel secondo capitolo

come modified loss compliance (equazioni 2.2 e 2.3).

In questo caso è effettivamente individuato un massimo nella funzione; il valore di

0

η

è stato ottenuto dai tempi di rilassamento (esprimibile come

η

0 =

gi

λ

i ) ma, per quanto specificato nel paragrafo 4.5 il massimo cade nel range di frequenza in cui le prove effettuate non sono ritenute valide.

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Figura 4-31: Loss Compliance

4.10 Misure di viscosità

4.10.1 Modalità delle prove

Le misure di viscosità in regime di scorrimento sono state effettuate con la geometria piatto-cono su piatti troncoconici da 20 mm di diametro ed angoli di conicità da 1° e 2° gradi. La geometria troncoconica richiede una particolare regolazione del gap da parte del software di controllo: nella procedura di zerogap il piatto superiore si abbassa fino a toccare quello inferiore, dopodiché si porta ad un’altezza tale da “completare” l’angolo del cono. Una volta introdotto il campione il piatto superiore si abbassa fino a che la punta virtuale del cono non tocca il piatto inferiore. Occorre sempre verificare la corrispondenza della geometria installata sul reometro con quella programmata sul software di calcolo perché lo strumento possa programmare l’abbassamento del piatto alla distanza adeguata, che varia naturalmente con l’angolo di conicità.

Il piatto troncoconico annulla l’attrito delle punte durante la rotazione, permettendo in teoria la misurazione di shear rate molto basse, tuttavia molto dipende dalla sensibilità dello strumento.

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Figura 4-32: piatti troncoconici

Il caricamento del campione non è semplice, a causa della scarsissima quantità di materiale; i bitumi sporcano molto i piatti ed è difficile vederne la forma. Una copertura non completa della superficie del piatto causa una lettura in difetto dello stress e dell’effettiva viscosità del materiale, mentre un’eccessiva quantità di campione porta al problema opposto (specialmente se il materiale tende ad aderire al bordo superiore del cono). Per questo motivo occorre porre molta attenzione nella fase di rimozione del materiale in eccesso; in particolare è assolutamente necessario evitare di far ruotare il piatto superiore durante la pulizia, che causerebbe uno notevole stato di tensione nel materiale prima della prova, compromettendone i risultati.

Figura 4-33: forma dei campioni nella geometria piatto-cono

Altra possibile fonte di errore nelle misure della viscosità in materiali che presentano una notevole componente elastica è l’irregolarità del flusso conosciuta come “edge fracture” [2] vale a dire una distorsione della superficie libera sul bordo dei piatti durante la rotazione. Questo distorsione di flusso può propagarsi verso l’interno piuttosto velocemente, causando una diminuzione del raggio del campione e quindi errate misurazioni. Tali anomalie di flusso si possono creare anche a shear rate inferiori a quelle alle quali le distorsioni diventano visibili.

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4.10.2 Zero shear rate viscosity

In Figura 4-34 sono riportate sullo stesso grafico le misure di viscosità a varie temperature in funzione della shear rate ottenute sul bitume testato. Per valori di shear rate molto bassi (inferiori a 0.01 s-1) non è stato possibile ottenere misure valide a causa di oggettive difficoltà di misurazione; tuttavia dall’andamento delle curve appare abbastanza evidente il valore della zero shear rate viscosity per tutte le isoterme.

Figura 4-34: zero shear rate viscosity SBS-r 5.5%

L’andamento di queste curve e’ piuttosto peculiare ed e’ probabilmente collegato alla struttura del polimero all’interno della miscela. L’SBS ha struttura bifasica costituita da microdomini ricchi di blocchi polistirenici interconnessi mediante segmenti polibutadienici. A temperature ordinarie i domini polistirenici sono sotto la loro temperatura di transizione vetrosa, mentre la fase disperdente butadienica è nello stato gommoso ovvero flessibile ed è quella che consente al materiale di deformarsi in maniera significativa. Ne risulta una struttura con reticolazione di tipo fisico, responsabile delle proprietà elastiche dell’SBS. Quando, nella fase di miscelamento, l’SBS viene a contatto ad alta temperatura con il bitume, quest’ultimo “rigonfia” il polimero e diffonde al suo interno. Inizialmente le interazioni tra bitume ed SBS si

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perché questa ne rappresenta la matrice, sia per il suo maggior volume libero. Tuttavia, non è da escludere che anche i domini polistirenici possano risultare in parte rigonfiati, soprattutto per diffusione al loro interno dei componenti aromatici di minor peso molecolare presenti nel bitume. L’andamento della viscosità in funzione della shear rate e’ qualitativamente lo stesso per tutte le basi bituminose non modificate; in Figura 4-35 sono riportate le prove effettuate su una base 70/100 simile a quella del bitume testato (effettuate presso i laboratori dell’università di Calgary); è presente una viscosità limite, ovvero un plateau per bassi valori dello shear rate, per i quali il fluido ha comportamento Newtoniano.

Figura 4-35: zero-shear rate viscosity base 70/100

All’aumentare della shear rate si arriva ad un punto in cui il bitume si discosta dal comportamento Newtoniano e mostra un forte “shear thinning”: il valore della viscosità diminuisce repentinamente anche di diversi ordini di grandezza. Tanto più elevata è la temperatura e tanto più elevato risulta il valore della shear rate al quale lo shear thinning ha inizio. Come detto, questo andamento è peculiare dei materiali bituminosi, i quali hanno struttura estremamente complessa e sostanzialmente tuttora ignota. Poiché in generale le funzioni reologiche come la viscosità dipendono dalla struttura del materiale, un fenomeno di shear thinning è interpretabile come una “rottura” della struttura preesistente. In altri termini, le tensioni imposte al materiale alterano l’equilibrio del sistema colloidale, eventualmente orientando le micelle asfalteniche e facilitandone lo scorrimento le une rispetto alle altre.

Gli andamenti di Figura 4-34 presentano molte differenze sia qualitative che quantitative rispetto al caso della base bituminosa. Si può comunque osservare che

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per bassi valori della shear rate il materiale ha ancora comportamento Newtoniano, la qual cosa non era affatto evidente se si considera la struttura reticolata del sistema. In realtà il risultato era atteso perché anche per i copolimeri termoplastici a blocchi è possibile (per valori molto bassi della shear rate) osservare questo tipo di comportamento (Sebastian et al.[17][18][19].) Questo significa che, dando al sistema sufficiente tempo per rilassarsi, il suo comportamento può risultare non come quello tipico di un elastico, ma piuttosto come quello di un liquido viscoso. In particolare può essere avanzata un’ipotesi secondo la quale questo meccanismo avviene mediante scorrimento rigido dei domini polistirenici, in analogia a quanto avviene per esempio nei materiali metallici o ceramici. La seconda osservazione da fare è che in tutti i casi il fenomeno dello shear thinning inizia per valori della shear rate molto inferiori a quelli che si osservano per le basi non modificate. Inoltre per alcune temperature (non riportate) la viscosità in funzione della shear rate presenta un andamento a doppio scalino: ad un iniziale shear thinning segue una specie di plateau ( in realtà più simile ad un punto di flesso) seguito da un secondo shear thinning. Questo andamento a doppio scalino non è di facile interpretazione. Sembra plausibile che il secondo scalino sia quello già osservato per la base bituminosa, mentre il primo sia legato alla struttura indotta dalla presenza del copolimero a blocchi. Sebastian et al. hanno verificato che in certi casi i copolimeri a blocchi hanno andamenti della viscosità in funzione della shear rate di forma sigmoidale, ovvero c’è un plateau per le basse velocità, poi una marcata diminuzione delle viscosità ed infine un andamento sostanzialmente costante della viscosità.

Una possibile analogia di comportamento si può trovare nei copolimeri a blocchi (del tipo ABA), dove si possono formare domini (con forma sferica, cilindrica, lamellare o giroidale) i quali a loro volta possono organizzarsi in strutture ordinate generalmente cubiche a corpo centrato (Bates 1999). In questi sistemi è quindi individuabile una temperatura di transizione ordine-disordine (TOD) e si possono costruire dei diagrammi di fase in funzione della composizione dei blocchi. La transizione da sistema ordinato a sistema disordinato può verificarsi anche come effetto della variazione di concentrazione di eventuali solventi (Alexandridis 1999, Zhang 2000), nonché essere indotta da uno sforzo applicato (Kotaka 2000, Morrison

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1988, Huy 2003). La formazione di una fase ordinata è responsabile del gradino che si osserva nelle curve di viscosità in funzione della shear rate per questi sistemi. È pertanto plausibile che una situazione analoga si verifichi nelle miscele polimero-bitume. Certamente le basse percentuali di polimero presenti nelle miscele e la complessità del sistema bitume-polimero costringono alla prudenza nel fare questa affermazione, la quale sarà oggetto di future ricerche con differenti metodi di indagine, come p.es. la microscopia a forza atomica o a trasmissione elettronica.

4.11 Determinazione della distribuzione di pesi molecolari

La determinazione del peso molecolare dei costituenti del bitume prevede come primo passo il fitting dei dati sperimentali di G*(ω

) e tan(δ

) per ricavare i valori dei tempi di rilassamento. E’ stato utilizzato Table Curve come software di calcolo. Il metodo è fortemente dipendente dai parametri scelti, per questo motivo sono state effettuati più fitting e ogni volta verificate le distribuzioni di pesi molecolari ottenute. Si riportano tre prove con le rispettive distribuzioni. Per ogni caso sono riportati i parametri da utilizzare nelle equazioni (3.35b) e (3.36):

1° caso 7 -7.2331e 13 086 . 1 0.129 41390 7320 1003.7 332.94 12 096 . 2 9 -2.8695e 0.4086 a 6 5 4 2 3 1 2 0 1 = = = = = = = = = =

µ

µ

µ

λ

µ

λ

µ

η

µ

e e =

=1

=1 =34.423 m k k n i i

µ

λ

λ

183 . 0 / 2 = = π λ ω 1231 . 0 102.976 = =

α

k 067 . 3 ) log( 1167⇒ = = =kM M

ω

α GN =6.089e10

dove nelle equazioni 1/(n-m) è ridefinito “a”, il cui valore è ottenuto dal best-fit dei dati. Nelle figure successive sono riportati i grafici di best fit per la tangente ed il modulo complesso. Entrambi presentano scostamenti significativi fra i dati registrati e la funzione approssimante.

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Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati

Figura 4-36: G* 1°caso

Figura 4-37: loss tangent 1°caso

Data la scadente qualità dei best fit la distribuzione dei pesi molecolari non è affidabile, soprattutto quella ottenuta con l’utilizzo del metodo della tangente. A sostegno di questa ipotesi è l’apparente assenza, non plausibile, di composti con peso molecolare compreso fra 300 e 500.

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Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati Figura 4-38:MWD 1°caso 2° caso 13 366 . 3 5 1139 . 1 2599 . 1 19 . 15679 0255 . 4818 95 . 953 93 . 520 12 35 . 1 00010154 . 0 3584 . 0 a 5 3 4 2 3 1 2 0 1 e e e = − = = = = = = = = =

µ

λ

µ

λ

µ

λ

µ

η

µ

5 122 . 1 1 1 − = ==

= = e m k k n i i

µ

λ

λ

5 599 . 5 / 2 = e = Ω

π

λ

1231 . 0 102.976 = =

α

k 268 . 2 ) log( 526 . 185 ⇒ = = Ω =kM M α GN =1.203e17

In questo caso il fit di G* è abbastanza buono, mentre la tangente presenta scostamenti significativi. L’errore maggiore si riflette sulla distribuzione di pesi molecolari che nel caso del metodo della tangente presenta addirittura un picco negativo, attribuibile alle approssimazioni effettuate. Infatti, con il metodo di G* la distribuzione, sebbene diversa da quella ottenuta nel secondo caso, non presenta particolari anomalie.

(28)

Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati

Figura 4-39: G* 2° caso

(29)

Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati Figura 4-41: MWD 2°caso 3° caso 0075443 . 0 18 05125 . 3 1133727 . 2 399 . 1929 01323 . 0 1336 . 185 515 . 939 035230 . 0 11 144 . 5 5 59527 . 1 0.2 a 7 6 5 4 2 3 1 2 0 1 = = = = = = = = = − = =

µ

µ

µ

µ

λ

µ

λ

µ

η

µ

e e e 3 049 . 1 1 1 − = ==

= = e m k k n i i

µ

λ

λ

3 987 . 5 / 2 = e = Ω

π

λ

1231 . 0 102.976 = =

α

k 511 . 2 ) log( 358 . 324 ⇒ = = Ω =kM M α GN =4.902e14

Con questa scelta dei parametri, il fit risulta decisamente migliore; lo scostamento rilevato alle alte frequenze per la tangente (ω>105) introduce un errore nella distribuzione di pesi molecolari per WM<200 (ricavabile da (3.29)). Tale errore non influenza la distribuzione (Figura 4-44) vista la scala delle ascisse e la MWD ottenuta presenta un andamento più verosimile rispetto al caso precedente. Si nota che il metodo della tangente è più sensibile alle variazioni di peso molecolare

(30)

Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati

generando una distribuzione che presenta un elevato numero di picchi. Al contrario con il metodo di G* la distribuzione ottenuta presenta variazioni meno accentuate, in accordo con quanto affermato da Stastna.

Figura 4-42: G* 3° caso

(31)

Capitolo 4: Procedura sperimentale e risultati

Figura 4-44: MWD 2°caso

In conclusione, da un confronto dei tre casi, si osserva che:

Sono indicati pesi molecolari nello stesso intervallo; in ogni caso sarebbe necessaria una conferma sperimentale con il metodo dell’osmometria in pressione di vapore che, individuando Mn sulle varie frazioni costituenti il bitume, permette di posizionare correttamente la distribuzione con un eventuale shift sulle ascisse.

Il metodo è fortemente dipendente dalla scelta del numero dei tempi di rilassamento λ,µ come dimostrano le diverse distribuzioni ottenute.

Uno sviluppo del metodo proposto da Stastna potrebbe consistere nell’effettuare più prove al variare del numero dei tempi di rilassamento in modo da scegliere la distribuzione più verosimile, scartando in partenza casi simili al secondo presentato.

Figura

Figura 4-3: postazione di lavoro  Figura 4-4: termocoppia
Figura 4-5: andamento delle oscillazioni
Figura 4-10: progettazione dello stampo
Figura 4-13: crossover (scala lineare)
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