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(1)La nascita dell’attività industriale in Toscana e nella provincia di Pisa

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Academic year: 2021

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La nascita dell’attività industriale in Toscana e nella provincia di Pisa.

Per poter analizzare lo sviluppo industriale della Toscana è bene osservare, prima di tutto, i cambiamenti avvenuti nell’agricoltura, settore trainante dell’economia della regione fino alla fine dell’800.

Negli ultimi anni del ‘700, quando il Granducato si era ormai inserito nel grande mercato europeo, l’aumento della popolazione, soprattutto nell’Europa centrale, determinò un aumento dei prezzi agricoli. I terreni acquisirono maggior valore e, in un periodo in cui la terra e il capitale valevano molto più del lavoro, i proprietari terrieri cercarono di ampliare le loro proprietà. Con il maggior interessamento dei possidenti per la terra, i mezzadri, numerosi soprattutto in Toscana, persero molte delle loro libertà riguardo alla gestione delle coltivazioni.

Nuovi ceti si erano affacciati al panorama agricolo: erano per lo più borghesi che avevano accumulato capitali con il commercio e che cercavano, con l’acquisto di terre, un’elevazione di rango sociale.

I proprietari terrieri della fine del XVIII sec., soprattutto i non nobili, avevano caratteristiche imprenditoriali che li rendevano diversi dai vecchi possidenti1.

L’inizio dell’800, con l’impero Napoleonico e le numerose guerre, vide un periodo di crisi per la proprietà terriera, ma allo stesso tempo, con il seguente aumento della popolazione e dei prezzi, dette una spinta non indifferente alle innovazioni agricole.

1G. Biagioli,Proprietari e contadini tra settecento e ottocento: alcune linee di evoluzione sul territorio pisano, in AA. VV., Rapporti tra proprietà, impresa e mano d’opera nell’agricoltura italiana dal IX secolo all’unità, Accademia di scienze agricoltura e lettere, Verona, 1984.

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Al periodo di crisi l’agricoltura rispose in due modi: con l’ampliamento dei terreni coltivabili e con lo sfruttamento intensivo delle zone già coltivate2.

In Toscana si tentarono entrambe le vie, ma l’agricoltura intensiva non si avvalse di nuove tecniche, potendo contare su una numerosa manodopera disponibile.

La Toscana rimaneva comunque una regione dove la cultura promiscua, erbaceo-arborea, era prevalente e questo determinava una certa rigidità produttiva.

Ci furono comunque grossi investimenti agricoli, quasi esclusivamente destinati alla coltivazione delle viti e degli olivi3. I proventi di queste colture andavano però ad aumentare il reddito padronale, non quello del mezzadro. I beni di lusso come l’olio e il vino non erano strettamente necessari al contadino per vivere, anche perché la scarsa quantità di prodotti, spesso di bassa qualità, di cui poteva disporre non era sufficiente per ricavarne un buon guadagno con la vendita.

Il colono, infatti, era sempre più spesso sottoposto a contratti stipulati per periodi sempre più brevi e che gli lasciavano soltanto il necessario per vivere, ma non per accumulare capitale.

I sistemi per il superamento della crisi di inizio secolo furono efficaci, ma non portarono a esiti positivi: negli anni ‘20 una pesante crisi di sovrapproduzione, dovuta anche alla ripresa della concorrenza

2 G. Biagioli, I problemi dell’economia Toscana e della Mezzadria nella prima metà dell’Ottocento, in AA. VV., Contadini e Proprietari nella Toscana moderna. Atti del convegno di studi in onore di Giorgio Giorgetti, Vol 2, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1981.

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estera, fece calare i prezzi di tutti i prodotti italiani, ma soprattutto della terra4.

L’espansione dell’industria e la costruzione delle prime ferrovie, nella prima metà del secolo, dettero sollievo ai grandi e medi proprietari, che finalmente trovarono nuove possibilità per investire le loro ricchezze.

L’industria estrattiva, le manifatture e il settore dei trasporti sottrassero capitali all’agricoltura, che rimase comunque un settore di primo piano: le nuove strade, ferrovie e ponti erano costruiti prevalentemente per permettere una migliore distribuzione dei prodotti agricoli.

Nel 1861, quando fu proclamata l’Unità d’Italia, la Toscana si presentava come una entità territoriale saldamente e nettamente conformata, grazie a secoli di storia che l’avevano vista stato sovrano.

La regione era ricca di risorse naturali e di imponenti infrastrutture, che la mettevano ai primi posti per la disponibilità di collegamenti via terra e via mare5.

Allo stesso modo, il sistema bancario si presentava robusto e ben articolato.

A questa ricchezza, purtroppo, non corrispondeva un adeguato sfruttamento delle capacità produttive, di comunicazione e di investimento.

Nonostante ci fosse una maggiore apertura all’industria, tale settore rimase per molto tempo ancora piuttosto arretrato rispetto al resto

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5G. Mori,La Toscana, in Storia d’Italia- Le regioni dall’unità ad oggi, Einaudi- Torino, 1986.

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d’Europa, anche a causa della non elevata propensione all’imprenditorialità dei nobili e degli altri proprietari terrieri6.

Un grande passo in avanti fu fatto anche grazie ai numerosi imprenditori stranieri che trovarono in Italia ottime condizioni per lo sviluppo di industrie di vario tipo. Uno dei motivi principali di questa migrazione fu il fatto che la concorrenza italiana, non attrezzata adeguatamente a livello tecnologico, era meno temibile.

In Toscana non c’erano molte industrie che potevano lanciare l’industrializzazione, e le poche attive erano tutte strettamente collegate con la lavorazione dei prodotti agricoli.

La regione concentrava la maggior parte delle sue energie nel settore agricolo, ma i suoi prodotti erano poco esportati. Questo accadeva non soltanto a causa delle barriere protezionistiche elevate dagli altri stati (durante il Granducato in Toscana vigeva il libero mercato), ma soprattutto perché, anche dopo l’Unità d’Italia, le merci erano poco competitive sul mercato. Si aggiungeva a ciò una inadeguata domanda interna, accompagnata da una scarsa differenziazione delle colture nelle varie regioni italiane7.

Tuttavia, in questi anni, nelle campagne furono introdotti nuovi sistemi di rotazione delle colture, i boschi e i pascoli vennero sfruttati maggiormente come terreni agricoli e riserve di legname, venne introdotta la coltura del gelso affiancata all’allevamento del baco da seta, mentre si fece più spazio l’allevamento dei bovini, il cui prezzo saliva vertiginosamente.

6G. Biagioli, Op. Cit., Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1981.

7 G. Biagioli, Agricoltura e sviluppo economico: una riconsiderazione del caso italiano nel periodo preunitario, in AA. VV., “Società e storia”, n°9, F. Angeli Editore, Milano, 1980. Pagg.

679-703.

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Nuove attrezzature contribuirono al miglioramento del lavoro nei campi e il Fattore acquisì un’importanza più rilevante. La Fattoria rafforzò il suo ruolo di centro produttivo e amministrativo8.

Il ricorso ai macchinari fu inizialmente circoscritto soltanto a poche fasi della coltivazione, come la semina e il raccolto9, non solo perché ogni terreno ha determinate caratteristiche che rendono il materiale importato spesso inutilizzabile o poco utile, ma anche perché nelle campagne un alto numero di c’erano abbastanza mezzadri e braccianti potevano fare il lavoro che in altri paesi era affidato alla tecnologia.

I primi investimenti agricoli di una certa importanza, indirizzati all’acquisto di macchinari, furono opera di alcuni possidenti più dinamici slegati dalla tradizione e fiduciosi nell’industrializzazione che si faceva strada in tutta Europa.

Il rinnovamento cominciò, già poco prima dell’Unità d’Italia, in Maremma, dove la mezzadria era quasi assente, con l’acquisto, da parte dei proprietari, di macchine provenienti dall’Inghilterra. Il loro fu un esempio seguito, poi, anche da altri, non solo maremmani10.

Ben presto all’operato dei possidenti, si aggiunse il contributo delle cooperative agricole, fondamentali per il rinnovamento delle campagne toscane.

Le prime attività industriali presenti in Italia, come già accennato, erano quelle collegate con il lavoro dei campi, che si svolgevano nelle fattorie e nelle case coloniche. Questa protoindustrializzazione, che segnala e insieme costruisce la multiprofessionalità del mezzadro, si trasformò, quando non fu cancellata, con l’arrivo

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10G. Mori, Op. Cit.

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dell’industrializzazione vera e propria. I nuovi sistemi di produzione, che introdussero sul mercato prodotti spesso migliori e a prezzi più convenienti, favorirono l’accentramento della manodopera, ma per alcune attività il lavoro a domicilio mantenne un’importanza di primo piano11.

Le attività extra-agricole avevano acquisito maggior importanza nelle famiglie contadine con la crescita demografica del XIX sec., quando l’agricoltura si trovò incapace di assorbire tutta questa nuova manodopera. Le donne furono le prime a esercitare professioni diverse da quelle del capofamiglia, dedicandosi alla tessitura o alla lavorazione della paglia12.

Tuttavia, Il sistema mezzadrile sopravvisse a tutte le innovazioni: da un lato, il contratto era molto elastico e poteva esser modificato a seconda delle situazioni; dall’altro, conteneva in sé una qualche possibilità di evoluzione interna, riuscendo addirittura a ritagliarsi un ruolo nella nascente industria. Il lavoro a domicilio, infatti, rimase per molto tempo una caratteristica peculiare dell’industrializzazione toscana, spesso non configgendo con l’organizzazione mezzadrile.

Con la crescita delle industrie si allargò l’offerta di lavoro per tutti coloro che, a poco a poco, abbandonavano il lavoro nei campi, andando ad allargare una classe operaia di recente formazione, che ricopriva un ruolo sempre più importante e decisivo nella vita pubblica.

11G. Biagioli,Dall’Italia della Mezzadria all’Italia dell’Industria diffusa: percorsi economici e demografici di un mutamento, in AA. VV., “Annali Cervi”, n°XI, Società Editrice Il Mulino, Bologna, 1989.

12IVI.

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A sostenere il boom degli investimenti, che nel corso del XIX sec. si fecero sempre più vasti, contribuirono in maniera notevole le prime banche miste, come la “Banca Commerciale” e il “Credito Italiano”.

Il miglioramento delle tecniche produttive e di tutto il settore agricolo, unito alla crescita dell’industria, favorirono non soltanto l’economia, ma apportarono miglioramenti anche nella vita sociale.

Città lontane si avvicinavano grazie ai tram e ai treni sempre più numerosi. Le biciclette, il mezzo di trasporto più popolare e diffuso, erano affiancate dalle prime auto e motociclette.

Crescevano le comunicazioni: si spedivano più telegrammi, lettere, cartoline e pacchi postali, ma soprattutto si faceva conoscere il telefono, novità rivoluzionaria.

Le città, non solo le principali, disponevano di acquedotti efficienti e reti elettriche che illuminavano le abitazioni e le strade, in sostituzione delle vecchie lampade a gas.

Si diffondeva la partecipazione attiva a lotte sociali e politiche, incrementata dal calo del tasso di analfabetismo e dalla maggiore frequenza alle scuole elementari e superiori, oltre che alle biblioteche pubbliche13.

Con l’inizio del XX sec la Toscana si presentava profondamente diversa dalla regione che aveva votato per l’annessione al regno d’Italia, con un plebiscito popolare, il 15 marzo 1860. La nascente industrializzazione aveva modificato il volto di una regione che finalmente riusciva a sfruttare potenzialità che aveva sempre avuto, ma dalle quali non era stata in grado di ottenere il massimo rendimento.

13G. Mori, Op. Cit.

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Da questa breve analisi possiamo capire come il processo industriale italiano, e in particolar modo toscano, sia partito proprio dalle campagne diffondendosi poco a poco nei paesi e poi nelle città circostanti, affidandosi inizialmente a imprese di ridotte dimensioni.

Al riguardo, si può parlare di “modello toscano di industrializzazione”14, guidato dalla piccola impresa, legato alla tradizione artigianale e a una forte integrazione tra città e campagna.

E’ tipica della Toscana anche la specializzazione industriale di alcune aree di lavorazione: il settore laniero dominava le zone di Lucca, Pisa e Massa Carrara, il cuoio era prodotto soprattutto nella zona di S. Croce, l’alabastro in quella di Volterra, a Signa e Montelupo Fiorentino era plasmata la ceramica, la paglia era lavorata nelle zone circostanti Firenze, mentre il vivaismo trovava ampio spazio a Pescia a Pistoia15. Questa specializzazione era collegata molto spesso a una evoluzione di tipo industriale delle attività artigianali.

La provincia di Pisa.

Nella provincia di Pisa, i due settori che dominavano il panorama manifatturiero alla fine dell’800, accompagnati dalla costante e antica presenza dei mulini e dei frantoi, erano il tessile, rappresentato principalmente dalla lavorazione del cotone, e la produzione di gesso, calce e laterizi16.

14T. Fanfani (a cura di),Unione industriale Pisana: 75 anni di storia (1922-1997)., Pisa, 1997.

15G. Mori, Op. Cit.

16T. Fanfani, Op. Cit.

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Questo tipo di manifatture erano diffuse su tutto il territorio, poiché rispondevano ai bisogni primari della popolazione.

Nelle campagne resisteva la mezzadria, ma sempre più numerosi erano i giovani, giornalieri o figli di mezzadri, che sceglievano di emigrare verso la città, verso l’industria, talora in modo stagionale, spesso in modo definitivo.

Anche nella provincia di Pisa, come nel resto della Toscana, i semi di un sistema manifatturiero di grande dimensione si presentarono nell’evoluzione dell’artigianato. Molte lavorazioni, che prima avvenivano ad un livello strettamente familiare cominciarono ad ampliarsi, concentrando più lavoranti in botteghe, alcune delle quali riuscirono a diventare vere e proprie manifatture17.

L’organizzazione pisana si basava principalmente su due tipologie di imprese: la piccola azienda e la medio-grande.

Il lavoro a domicilio fu fondamentale per lo sviluppo industriale della provincia, soprattutto nel settore tessile, l’unico che raggiunse dimensioni notevoli, se si esclude la successiva industria meccanica.

Questo tipo di attività, già diffusa nelle campagne, nella case dei contadini, fu abilmente sfruttata dagli imprenditori, che organizzarono le loro fabbriche in modo tale da poter usufruire di operai esterni all’opificio, sottoposti a contratti molto elastici, e perciò economicamente vantaggiosi18.

17 G. Menichetti, Per una lettura storico-sociologica della provincia pisana fra ‘800 e ‘900.

Appunti, in G. Menichetti (a cura di), Immagini di una provincia, Collana della provincia di Pisa

“Cultura e società in provincia di Pisa, strumenti, ricerche e documentazione”, Provincia di Pisa, Edizioni del Cerro, Pisa, 1993. Vol. I.

18 L. Gestri, Origini e primo sviluppo dell’industria a Pisa e Provincia (1815-1914), in G.

Menichetti (a cura di), Immagini di una provincia, Collana della provincia di Pisa “Cultura e società in provincia di Pisa, strumenti, ricerche e documentazione”, Provincia di Pisa, Edizioni del Cerro, Pisa, 1993. Vol. I.

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Non ci volle molto per far capire ai mercanti-imprenditori che appoggiarsi a famiglie di braccianti e giornalieri, in alcune stagioni meno impegnate nei lavori agricoli, sarebbe stata una strada comoda e proficua.

L’accentramento della produzione e la costruzione di fabbriche sempre più attrezzate per ogni fase della lavorazione determinarono un leggero declino del lavoro a domicilio.

Non fu così a pochi chilometri di distanza dal capoluogo. A Cascina, e soprattutto a Pontedera, il lavoro a domicilio fu ampiamente utilizzato anche quando la città aveva un discreto livello di industrializzazione.

Il processo di accentramento fu più veloce per quelle produzioni, come la lavorazione del vetro, della ceramica e dell’argilla, che, a causa delle loro caratteristiche peculiari, avevano necessità di grandi spazi o di macchinari di grosse dimensioni.

La trasformazione della provincia di Pisa fu lenta, graduale, ma senza sosta.

All’inizio del XX sec. il territorio non era più caratterizzato dal settore agricolo e artigianale, ma si presentava come una struttura composita in cui l’industria aveva un ruolo di primo piano, e la classe operaia stava acquistando un proprio spazio nella società19.

Un ulteriore cambiamento che modificò sensibilmente la distribuzione e la specializzazione dell’industria Toscana, avvenne nel 1926, quando la Provincia di Livorno si allargò a scapito di quella pisana, sottraendole Piombino, punto di riferimento non soltanto per i traffici marittimi, ma principalmente per tutto il settore siderurgico della regione. La Provincia di Pisa perse una grossa fonte di ricchezza ed

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espansione, ma ne acquisì un’altra, con l’ingresso nel territorio pisano della zona di S.Croce, specializzata nella lavorazione della pelle e del cuoio20.

20T. Fanfani (a cura di), Op. Cit.

Riferimenti

Documenti correlati

Nelle suesposte considerazioni è il deliberato di improcedibilità della Corte dei conti - Sezione regionale di controllo per la Toscana - in relazione alla richiesta

VERBALE CONVOCAZIONE PERSONALE

[r]

POSTO A012 2 FRANCAVILLA SANTINA 30/10/1971 FG 220 47

[r]

FASCIA COGNOME NOME DATA DI NASCITA. PROVINCIA

ORIA DI SCUOLA NASCITA DI NASCITA GRADUATORIA CON RISERVA TOTALE POSTO. ADEE GPS 1 EE GORGOGLIONE SIMONA 12/03/1979 FG 88 108

b) ‘Tutti gli effetti misurabili di una variazione dello stato di tensione, come la compressione, la distorsione e la variazione di resistenza al taglio, sono dovuti esclusivamente