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2.1 LA DIRETTIVA “HABITAT” (92/43/CEE) E LA DIRETTIVA

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1. INTRODUZIONE

Il concetto di conservazione delle risorse rinnovabili è entrato ormai a far parte degli aspetti culturali moderni, tanto che l’“ecologismo” è divenuto una corrente che largamente influenza il pensiero occidentale. Tuttavia, azioni concrete di conservazione si hanno solamente nel momento in cui atteggiamenti ed idee vengono tradotte in norme vincolanti capaci di incanalare sforzi economici ed interventi verso la salvaguardia delle risorse naturali.

La seconda metà del ‘900 ha visto il fiorire di tutta una serie di Convenzioni internazionali, ad iniziare da quella di Parigi del 1950 in cui il problema della conservazione della flora e della fauna è stato prepotentemente posto all’attenzione del potere politico.

L’Italia è sempre stata tra i firmatari di questi atti di diritto internazionale che dovevano essere opportunamente recepiti nella nostra legislazione.

Un momento chiave nel campo della conservazione della natura è, tuttavia, da ritrovare specialmente nelle Direttive che la Comunità Europea ha prodotto, in questo caso con un valore assai più vincolante di quello delle Convenzioni per gli Stati membri. Oggi, infatti, possiamo sottolineare come le norme di Direttiva siano state largamente incorporate e costituiscano il fondamento dei nostri corpi legislativi in questo campo.

Tra i punti di maggiore interesse per la conservazione dobbiamo ricordare la necessità di produrre una valutazione dell’impatto ambientale che una qualsiasi opera possa causare sugli ambienti naturali, ossia sugli habitat che ne fanno parte, nonché sulle specie animali e vegetali.

La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) è divenuta, così, un elemento integrante della progettazione di ogni tipo di opera che vada ad inserirsi sul territorio ed è per questo che l’iter di progettazione deve prevedere uno Studio di Impatto Ambientale (SIA) che renda chiari quali siano le intersezioni delle opere in progetto con i vari elementi dell’ambiente.

La VIA e il sottostante SIA vedono un impegno del naturalista solo marginale in quanto che i SIA sono attualmente documenti e progettualità prevalentemente di interesse tecnologico-ingegneristico;

spetta, infatti, a questi saperi indirizzare la progettualità verso soluzioni e tecnologie che tendano a minimizzare, per quanto possibile, le interferenze ambientali. Ovviamente, anche nel SIA gli aspetti naturalistici devono essere considerati, ma nella pratica progettuale tendono ad avere un’importanza decisamente ancillare alla ricerca di soluzioni tecnologiche adatte.

Le Direttive europee “Habitat” 92/43/CEE e “Uccelli” 79/409/CEE hanno, tuttavia, introdotto un ulteriore elemento che si aggiunge e va oltre il SIA in quanto che, allorché l’opera in progetto interessa marginalmente o direttamente ZPS (Direttiva “Uccelli”) o SIC (Direttiva “Habitat”)

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ricadenti in quella rete ecologica coerente costituita attraverso l’Europa, denominata Natura 2000, le attuali disposizioni legislative richiedono anche una Valutazione di Incidenza (VI).

Per VI si intende quel procedimento preventivo che serve a valutare l’eventuale danno che l’opera in progetto può arrecare agli elementi costitutivi di rete Natura 2000: habitat e specie animali e vegetali di interesse comunitario. Trattandosi di valutare le eventuali interferenze con habitat o specie, la figura del naturalista diviene, in questo momento della procedura, preminenente sugli altri aspetti progettuali. In una VI si richiedono, infatti, precise conoscenze della biologia di specie animali e vegetali, nonché conoscenze ecologiche sui fondamenti di funzionamento ecosistemico.

In questo quadro di applicazione è stata condotta la presente Tesi di laurea, mossa dalla evenienza progettuale di attraversamento di un asse viario attraverso il sito pSIC e ZPS IT 4200021 Medio e Basso Taro, che fa parte del Parco Regionale Fluviale del Taro.

L’area ha un’alta valenza naturalistica largamente sottolineata in diverse opere (Centro Villa Ghigi, 1994.Il Parco fluviale regionale del Taro; Zanichelli, 2001. Riqualificazione di habitat fluviali del Taro vitali per l’avifauna) ed ospita numerose specie comprese negli Allegati delle Direttive

“Habitat” e “Uccelli”.

Di conseguenza il lavoro di Tesi si è svolto secondo tre direzioni, congruamente con quanto previsto dalla VI:

1. Approfondire il contesto normativo di riferimento per quanto riguarda la VI;

2. Condurre ricerche di campo per valutare direttamente dislocazione e consistenza di popolamenti animali interessati dall’opera in progetto, nonché l’interferenza della stessa con habitat di Direttiva presenti nel sito;

3. Valutare le interferenze conseguenti.

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2. IL CONTESTO NORMATIVO

Le problematiche relative alla progressiva perdita di diversità biologica a causa delle attività umane sono diventati oggetto di numerose convenzioni internazionali ed in particolare nel 1992, con la Convenzione di Rio sulla Biodiversità, è stata riconosciuta la conservazione in situ degli ecosistemi e degli habitat naturali come priorità da perseguire, ponendosi come obiettivo quello di "anticipare, prevenire e attaccare alla fonte le cause di significativa riduzione o perdita della diversità biologica in considerazione del suo valore intrinseco e dei suoi valori ecologici, genetici, sociali, economici, scientifici, educativi, culturali, ricreativi ed estetici" (Convenzione di Rio, Ministero dell’Ambiente).

Tale visione , da tempo, era stata fatta propria dalla Comunità Europea che l’aveva inserita come principio informatore nei due fondamentali documenti rappresentati dalle Direttive "Habitat" e

"Uccelli", principali strumenti innovatori della legislazione in materia di conservazione della natura e della biodiversità. In esse è colta l'importanza di una visione di tutela della biodiversità attraverso un approccio ad ampia scala geografica ed esteso a tutti i vari livelli sia organismici che sovraorganismici in cui la biodiversità stessa si articola (Ktatochwil, 1998). L'approccio conservazionistico, rivolto alle singole specie minacciate, è ampiamente superato nei dettati delle direttive che rivolgono le azioni di salvaguardia in particolare agli habitat, intesi in senso sia geomorfologico che sistemico, e non soltanto alle specie che vi sono comprese. Sulla scorta di tali considerazioni l'Unione Europea, nell' art. 3 della Direttiva "Habitat", afferma la costituzione di una rete ecologica europea denominata Natura 2000 quale strumento fondamentale di conservazione della diversità biologica nelle sue varie articolazioni.

2.1 LA DIRETTIVA “HABITAT” (92/43/CEE) E LA DIRETTIVA

“UCCELLI” (79/409/CEE)

LA DIRETTIVA “UCCELLI”

Direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 Aprile 1979 concernente la Conservazione degli uccelli selvatici. In Italia è stata recepita con la legge dell’ 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la

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protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”; essa costituisce la prima norma emanata dalla Comunità Europea in materia di conservazione della natura.

Si prefigge la protezione a lungo termine, la gestione e la disciplina dello sfruttamento di tutte le specie ornitiche viventi allo stato selvatico in Europa, nonché dei loro nidi, uova e habitat. In particolare, per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli a un livello corrispondente alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, gli Stati membri devono preservare, mantenere e ripristinare per tutte le specie una varietà e una superficie sufficienti di biotopi e habitat attraverso:

l’istituzione di zone di protezione;

il mantenimento e la sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat situati all’interno e all’esterno delle zone di protezione;

il ripristino dei biotopi distrutti;

la creazione di biotopi.

La Direttiva impone in questo modo la designazione come Zone di Protezione Speciale (ZPS) dei territori più idonei, in numero e in superficie, alla conservazione delle specie riportate nell’allegato I e delle specie migratrici. Nell’Allegato I sono riportate 194 specie e sottospecie che, nella loro area di distribuzione, sono minacciate di estinzione, possono essere danneggiate da talune modifiche del loro habitat, sono considerate rare in quanto la loro popolazione è scarsa o la loro ripartizione locale è limitata, richiedono una particolare attenzione per la specificità del loro habitat. A differenza di quanto previsto per le specie di interesse comunitario riportate dalla Direttiva Habitat, non vi sono specie prioritarie nell’Allegato I della Direttiva Uccelli.

Viene attribuita particolare importanza alla protezione delle zone umide e, specialmente, delle zone di importanza internazionale (ai sensi della Convenzione di Ramsar del 1971).

La Direttiva Uccelli stabilisce un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli, comprendente in particolare il divieto:

di ucciderle o catturarle deliberatamente; autorizza tuttavia la caccia di talune specie a condizione che i metodi di caccia utilizzati rispettino alcuni principi (saggia ed equa utilizzazione, divieto di caccia durante il periodo della migrazione o della riproduzione, divieto di metodi di cattura o di uccisione in massa o non selettiva);

di distruggere, danneggiare o asportare i loro nidi e le loro uova;

di disturbarle deliberatamente;

di detenerle.

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Salvo eccezioni, in particolare per quanto concerne talune specie che possono essere cacciate, non sono autorizzati la vendita, il trasporto o la detenzione per la vendita, nonché l’offerta in vendita degli uccelli vivi e di quelli morti o di qualsiasi parte o prodotto ottenuto da essi.

Gli Stati membri possono, a certe condizioni, derogare alle disposizioni di protezione previste dalla Direttiva e la Commissione vigila affinché le conseguenze di tali deroghe non siano incompatibili con la Direttiva. Infine, gli Stati membri devono incoraggiare le ricerche e i lavori a favore della protezione delle specie riportate nella Direttiva.

LA DIRETTIVA “HABITAT”

La Direttiva 92/42/CEE, relativa alla Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, è entrata in vigore il 10 giugno 1992 e in Italia è stata recepita nel 1997 con il D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357.

E’ finalizzata principalmente alla salvaguardia della biodiversità nell’Unione Europea, in sintonia con la precedente direttiva, attraverso indirizzi concreti per l’attuazione di vincoli e azioni mirate da parte degli Stati membri.

Gli obiettivi della Direttiva sono:

la salvaguardia di habitat naturali e seminaturali, definiti di interesse comunitario, che devono essere protetti in quanto tali e non a causa delle specie animali e vegetali in essi presenti;

la salvaguardia di specie animali e vegetali, definite di interesse comunitario, che devono essere soggette a differenti misure di protezione e seconda del loro stato di conservazione.

A tal fine è costituita (art. 3 della Direttiva) una rete ecologica coerente, denominata Natura 2000, formata dai siti in cui si ritrovano i tipi di habitat (riportati nell’Allegato I) e/o le specie (riportate nell’Allegato II) della Direttiva “Habitat” di Zone Speciali di Conservazione (ZSC), insieme ai Siti di Importanza Comunitaria (SIC) ai sensi della Direttiva “Uccelli”.

Nell’articolo 1 della Direttiva vengono introdotte importanti definizioni tecniche e concettuali: per habitat di interesse comunitario si intendono gli habitat che nel territorio dell’Unione Europea rischiano di scomparire nella loro area di distribuzione naturale o sono presenti su aree ridotte e limitate a seguito della regressione della loro distribuzione naturale o per il fatto che la loro area di distribuzione è intrinsecamente ristretta o costituiscono esempi tipici di una o più regioni biogeografiche europee.

Tra questi habitat si distinguono quelli prioritari, cioè quelli per la cui conservazione l’Unione Europea ha una responsabilità particolare a causa dell’importanza della parte della loro area di

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distribuzione naturale compresa nel territorio di sua competenza. Gli habitat prioritari sono contrassegnati da un asterisco (*) nell’Allegato I.

Con il termine specie di interesse comunitario si intendono le specie animali e vegetali che, nel territorio dell’Unione Europea, sono in pericolo, vulnerabili, rare o endemiche e richiedono particolare attenzione a causa della specificità del loro habitat e/o delle potenziali incidenze del loro sfruttamento sullo stato di conservazione.

Per le specie ornitiche di interesse comunitario la Direttiva “Habitat” rimanda all’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE, ovvero alla Direttiva “Uccelli”.

Tra le specie animali e vegetali di interesse comunitario sono state distinte quelle prioritarie, cioè quelle per la cui conservazione l’Unione Europea ha una responsabilità particolare a causa dell’importanza della parte della loro area di distribuzione naturale compresa nel territorio di sua competenza. Le specie prioritarie sono contrassegnate da un asterisco (*) nell’Allegato II.

Viene definito stato di conservazione di un habitat l’effetto della somma dei fattori che influiscono sull’habitat naturale in causa, nonché sulle specie tipiche che in esso si trovano, che possono alterare a lunga scadenza la sua ripartizione naturale, la sua struttura e le sue funzioni, nonché la sopravvivenza delle sue specie tipiche nel territorio dell’Unione Europea.

Viene definito stato di conservazione di una specie l’effetto della somma dei fattori che, influendo sulla specie in causa, possono alterare a lungo termine la ripartizione e l’importanza delle sue popolazioni nell’Unione Europea.

La Direttiva, inoltre, riferisce le misure di conservazione “alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all’Allegato I e delle specie di cui all’Allegato II presenti nei siti”.

Per esigenze ecologiche si intendono i fattori abiotici e biotici necessari per garantire lo stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat e delle specie, comprese le loro relazioni con l’ambiente (aria, acqua, suolo, vegetazione, ecc.). Le conoscenze relative alle esigenze ecologiche sono essenziali per l’elaborazione di idonee misure di conservazione adattate caso per caso.

La Direttiva “Habitat” suddivide il territorio europeo in sette regioni biogeografiche: Alpina, Atlantica, Boreale, Continentale, Macaronesica (Azzorre, Isole Canarie, Madeira), Mediterranea, Pannonica. Con l’adesione all’Unione Europea di Romania e Bulgaria, saranno aggiunte alte regioni biogeografiche come quella del Mar Nero e quella Steppica.

Ogni regione biogeografica presenta precise caratteristiche geografiche, storico-evolutive, climatiche, topografiche e podologiche ed è contraddistinta da habitat naturali e seminaturali e specie animali e vegetali particolari. Tuttavia, alcuni habitat e specie possono essere presenti in più regioni; l’Italia, ad esempio, è interessata da tre regioni: Alpina, Continentale, Mediterranea (tale

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definizione non è congrua con i concetti biogeografici di base, ma rappresenta una ulteriore elaborazione di essi all’interno della Direttiva medesima).

Fig. 1 Carta delle regioni biogeografiche in Europa (Commissione Europea).

Le delimitazioni delle aree biogeografiche interessano, quindi, vaste aree indipendenti dai confini politico-amministrativi, superando così il concetto basato sui confini nazionali e regionali e introducendo quello di unità ambientali.

L’articolo 8 menziona specifici meccanismi di finanziamento della rete Natura 2000 e, al momento, il Regolamento LIFE rappresenta l’unico strumento finanziario specificamente dedicato all’attuazione della Direttiva Habitat. Esso è diviso in tre settori tematici: LIFE Natura, LIFE Ambiente e LIFE Paesi terzi. L’obiettivo specifico di LIFE Natura è quello di contribuire all’attuazione della Direttiva Habitat e della Direttiva Uccelli, in particolare nella promozione ed attuazione della rete Natura 2000.

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2.2 LA RETE NATURA 2000

IL PERCHÉ DI UNA RETE ECOLOGICA: CONCETTI E CONTESTO SCIENTIFICO

Da circa un decennio il settore delle reti ecologiche, da filone innovativo, estremamente sperimentale e settoriale, è divenuto sempre più parte integrante delle strategie territoriali soprattutto in contesti geografici fortemente disturbati dall’azione umana. Tale approccio alla pianificazione si basa su un ampio bagaglio di conoscenze di tipo teorico che affonda le radici nell’ecologia, nella biogeografia, nella genetica di popolazioni e nella biologia della conservazione.

In modo particolare le indicazioni fornite dalla teoria della biogeografia insulare (MacArthur &

Wilson, 1967) hanno consentito di delineare un primo quadro di riferimento concettuale applicabile anche ai paesaggi trasformati dall’uomo sulla terraferma.

MacArthur & Wilson osservarono come il numero di specie sulle isole oceaniche fosse correlato direttamente alla loro superficie e inversamente al loro grado di isolamento. Diamond, a metà degli anni ’70, tentò di estrapolare tale teoria sulla terraferma, ovvero a quei frammenti residuali di ambiente naturale presenti in paesaggi sottoposti a trasformazione antropica, interpretandoli come sistemi isolati inseriti in un “mare” antropizzato (Diamond, 1975).

Le componenti strutturali e funzionali della biodiversità (flora, fauna, comunità, ecosistemi) subivano, infatti, i drammatici effetti dell’isolamento a livello demografico, genetico e ambientale che, in alcuni casi, portavano progressivamente le singole specie a scomparsa locale e le biocenosi a marcate alterazioni, anche irreversibili, con ricadute sull’integrità di interi ecosistemi.

Negli anni ’80 lo sviluppo dell’Ecologia del paesaggio e la nascita della Biologia della Conservazione hanno sottolineato il ruolo svolto dalla frammentazione ambientale nel determinare la scomparsa locale di specie e l’alterazione della struttura e delle funzioni delle biocenosi (Wilcove et al., 1986).

La frammentazione è il processo mediante il quale un habitat naturale o seminaturale, che occupa con continuità una vasta area, diminuisce di superficie e viene suddiviso in piccole porzioni (Shafer, 1990; Reed et al., 1996).

Quando un habitat viene distrutto, al suo posto rimangono dei frammenti (patchwork), isolati da aree fortemente alterate rispetto alla situazione originaria: i frammenti dell’habitat originario funzionano da “isole” di habitat naturale in un “mare” inospitale dominato dall’uomo.

Dal punto di vista ecologico, i frammenti hanno un più vasto habitat marginale a contatto con le aree antropizzate e il loro centro è più vicino al margine.

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La frammentazione è una minaccia per le specie e le biocenosi in quanto:

- Può limitare le potenzialità di dispersione e colonizzazione di molte specie;

- Può ridurre la possibilità delle specie animali di procurarsi le risorse per vivere;

- Può causare la suddivisione della popolazione originaria in sottopopolazioni prive di flusso genico, determinando depressioni da inbreeding.

Le aree protette possono anch’esse essere considerate “isole”, perché molto spesso tendono ad essere distanti le une dalle altre e prive di interconnessioni.

Piccole aree protette suddivise in una miriade di “tessere” possono anche avere un elevato numero di specie, ma si tratterà di una ricchezza puramente quantitativa (specie esotiche e sinantropiche) e non qualitativa; le specie che necessitano di habitat indisturbati o di spazi ampi tenderanno a scomparire.

Lo studio del processo di frammentazione ha consentito di modificare la scala di riferimento per le azioni territoriali da intraprendere; dal singolo sito, ecosistema, area naturale e/o protetta, l’attenzione si è spostata verso il paesaggio, inteso come unità di riferimento prioritaria proprio perché è a questo livello gerarchico che si compiono gran parte dei processi determinanti per mantenere vitali le popolazioni delle specie animali e vegetali più sensibili. E’ a questa scala che si deve ragionare quando si vogliono intraprendere eventuali strategie di conservazione mirate al mantenimento di una connettività per le specie più sensibili al processo di frammentazione (Pignatti, 1994; Farina, 2001).

In tale contesto nasce il concetto di rete ecologica inteso come sistema interconnesso di habitat la cui funzione prioritaria è quella di mantenere vitali le popolazioni biologiche più sensibili, mitigando gli effetti della frammentazione su specie, habitat, comunità, ecosistemi e processi (APAT, 2003). Una Rete Ecologica è definibile come una serie di siti che nell’ambito della mobilità o nelle possibilità di dispersione delle specie vegetali e animali risultino interconnettibili così da non permettere fenomeni di isolamento. Questo costituisce il presupposto di formazione e mantenimento di metapopolazioni: popolazioni che, nell’ambito di un areale specifico o sottospecifico, essendo interconnesse, possono mantenere un adeguato flusso genico.

Il mantenimento di un flusso genico è il presupposto fondamentale per il mantenimento di una diversità genomica capace di reagire opportunamente al mutare delle condizioni ambientali. La maggiore diversità genetica si verifica quando c’è uno scambio continuo: il grado di eterozigosi è proporzionale alla fitness; se tra una popolazione sogente e una gorgo viene a mancare il flusso genico, quest’ultima si isola e rischia di estinguersi.

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Le aree che compongono una rete ecologica (core areas, buffer zones, stepping stones, corridors, restoration areas) sono state definite in base alla loro differente funzionalità per determinati obiettivi (Pignatti, 2005):

Nuclei (core areas): svolgono la funzione di “sorgente” di individui verso altre popolazioni limitrofe consentendo, così, il mantenimento della struttura e della dinamica di sistemi di popolazioni (o metapopolazioni);

Connettività a scala di paesaggio (corridors e stepping stones): sono sistemi di continuità ambientale spazialmente continui (corridors) o puntiformi (stepping stones). In alcuni casi si possono lasciare piccole aree di habitat indisturbato più o meno equidistanti dalle aree protette definibili come “pietre di passo”, importanti soprattutto per gli uccelli migratori che, durante le migrazioni, necessitano di luoghi ove riposare e alimentarsi.

I grandi fiumi e le limitrofe fasce riparali, alcuni sistemi forestali e mosaici agro-forestali lineari e continui possono rivelarsi connettivi. I corridoi permettono a piante ed animali di disperdersi da un’area all’altra, facilitando il flusso genico tra popolazioni vicine e la colonizzazione di nuovi siti idonei. Inoltre, rivestono una grande importanza lungo le rotte migratorie.

Tuttavia, tali sistemi sono spesso inseriti in matrici paesistiche fortemente trasformate e in molti casi possono essere interessati da disturbi provenienti dalle aree limitrofe (effetto margine), di tipo biologico (predatori, competitori, specie alloctone) e chimico-fisico (inquinamento acustico, luminoso e chimico).

Aree cuscinetto (buffer areas): zone di transizione tra sistemi ad alta naturalità e aree trasformate. Molti sistemi agricoli tradizionali, incolti a moderato grado di antropizzazione, fasce arboree e arbustive, sistemi di siepi e filari, soddisfano queste condizioni.

Interventi in aree trasformate (restoration areas): le stesse aree trasformate dall’uomo, prive di valori ambientali prioritari, possono addirittura essere trainanti per la definizione di ipotesi progettuali interne ad esse nel settore del restauro e del ripristino ambientale (ex aree industriali, cave).

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GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA RETE NATURA 2000

Allo scopo di salvaguardare la propria biodiversità, l’Unione Europea ha richiesto agli Stati membri di individuare un sistema coordinato e coerente di aree, al fine di costituire una rete ecologica a livello europeo capace di garantire uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat naturali e seminaturali più minacciati e tipici, non solo nelle aree che compongono la rete, ma in tutto il territorio comunitario (Ministero dell’Ambiente).

Il percorso che ha portato l’Unione Europea alla creazione della rete Natura 2000 è iniziato nel 1979 con la Direttiva “Uccelli” (79/409/CEE) che prevede la definizione di ZPS (Zone di Protezione Speciale) cioè di siti che ospitano popolazioni significative di specie ornitiche di interesse comunitario.

Con la Direttiva “Habitat” (92/43/CEE) del 1992, agli Stati membri è richiesta l’individuazione dei SIC (Siti di Importanza Comunitaria), cioè delle aree che contribuiscono in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale o una specie di interesse comunitario in uno stato di conservazione soddisfacente.

I SIC proposti dagli Stati membri (pSIC), dopo un processo di validazione e selezione a livello comunitario, dovranno essere designati come ZSC (Zone Speciali di Conservazione).

Le aree designate come ZPS (subito valide e non soggette ad ulteriori interventi da parte dell’Unione) e le ZSC, costituiranno nel loro insieme la Rete Natura 2000. Essa è tuttavia valida ed operante anche a livello di pSIC.

La designazione dei siti come ZPS viene effettuata dagli Stati membri e comunicata alla Commissione Europea. In Italia, la designazione delle ZPS compete alle Regioni e alle Province autonome ed entrano automaticamente a far parte della rete Natura 2000.

Il processo di designazione delle ZSC è, invece, più complesso ed avviene in quattro fasi:

1. Individuazione dei pSIC. Secondo i criteri stabiliti nell’Allegato III della Direttiva Habitat, ogni Stato membro redige un elenco di siti (pSIC: Siti di Importanza Comunitaria proposti) che ospitano habitat naturali e specie animali e vegetali elencati negli Allegati I e II della Direttiva Habitat, ritenuti di interesse comunitario, compresi quelli prioritari per la conservazione della natura a livello europeo. La lista viene trasmessa alla Commissione Europea direzione generale (DG) Ambiente compilando, per ogni sito individuato, un formulario standard completo di cartografia.

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2. Valutazione e selezione dei pSIC. La Commissione trasmette per l’analisi tecnica la mole di dati all’European Topic Centre on Nature Protection & Biodiversity (ETC/NPB) di Parigi che lavora per conto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA). Esso verifica che la rete rispetti tre requisiti fondamentali: ospiti un campione sufficientemente ampio e rappresentativo di ogni tipo di habitat e specie di interesse comunitario per essere in grado di mantenere un favorevole stato di conservazione a livello di unione Europea e regione biogeografia, assicurando che le misure di conservazione dentro e fuori i siti siano effettivamente applicate; includa solo siti la cui importanza sia a livello comunitario o di regione biogeografia; rispetti una ripartizione proporzionata tra habitat e specie di interesse comunitario, privilegiando i più rari rispetto a quelli più rappresentati. Per ogni regione biogeografica, l’ETC/NPB organizza una serie di seminari cui partecipano rappresentanti amministrativi e scientifici delle autorità nazionali competenti degli Stati membri interessati alla regione in discussione. Nel caso venga riscontrata una insufficienza nella lista dei siti proposti per un habitat o una specie in uno Stato, questo viene invitato a migliorare la propria partecipazione alla rete, verificando la presenza dell’elemento naturalistico sottorappresentato in siti già proposti o proponendone di nuovi.

In Italia le pSIC sono state individuate principalmente tra il 1995 e il 1997 attraverso il Progetto Bioitaly (cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma LIFE Natura 1994), stipulato tra il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e le Regioni e le Province autonome. Il progetto si è articolato nella raccolta, nell’organizzazione e nella sistematizzazione delle informazioni sugli habitat naturali e seminaturali e sulle specie vegetali e animali di interesse comunitario.

Nella prima fase è stato affidato alle Regioni e alle Province autonome l’incarico di raccogliere i dati sul campo e di redigere un primo elenco ufficiale di pSIC con la collaborazione scientifica di UZI, SBI, SitE, le quali mediante propri referenti regionali hanno coordinato l’attività dei numerosi rilevatori sul campo. L’Italia ha trasmesso i propri dati alla Commissione Europea il 30 giugno 1997, entro i termini previsti.

Nella seconda fase, terminata nel dicembre 1997, oltre a completare il censimento delle aree, sono state completate le schede Bioitaly relative ai Siti di Importanza Nazionale e Regionale (SIN e SIR).

3. Lista ufficiale dei SIC. In base a tali elenchi nazionali e d’accordo con gli Stati membri, la Commissione adotta un elenco di Siti di Importanza Comunitaria (SIC) per ogni regione biogeografica. Tale lista deve essere approvata dal Comitato Habitat che si riunisce a Bruxelles presso la Commissione Europea, e che ha la funzione di gestire l’applicazione della Direttiva.

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4. Designazione delle ZSC. Entro un termine massimo di sei anni a decorrere dalla selezione di un sito come SIC, lo Stato membro interessato deve designare il sito in questione come Zona Speciale di Conservazione (ZSC). In Italia è il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio che designa, con decreto adottato di intesa con ciascuna regione interessata, i SIC elencati nella lista ufficiale come ZSC.

Fig. 2 Processo di realizzazione della rete Natura 2000 (Tinarelli, 2005).

Purtroppo, in Italia, è ampiamente diffusa la convinzione che i siti Natura 2000 siano da considerare alla stregua dei parchi e delle riserve naturali regolamentati dalla Legge 394 del 1991. La rete Natura 2000 non intende sostituirsi alla rete dei parchi, ma con questa integrarsi per garantire la piena funzionalità di un certo numero di habitat e l’esistenza di un determinato numero di specie animali e vegetali. La legislazione europea fissa gli obiettivi, ma lascia alla discrezionalità dello Stato membro gli strumenti per realizzarli. Secondo la Direttiva Habitat la gestione dei siti può essere effettuata sia attraverso la redazione di uno specifico piano di gestione, sia attraverso gli strumenti di pianificazione esistenti. L’eventuale piano di gestione del sito è strettamente collegato alla funzionalità dell’habitat e alla presenza della specie che ha dato origine al sito stesso. Ciò significa che, se l’attuale uso del suolo e la pianificazione ordinaria non compromettono tale funzionalità, il piano di gestione può consistere unicamente nella necessaria azione di monitoraggio.

Non vi sono attività precluse a priori nei siti Natura 2000 e in essi potranno continuare attività preesistenti quali l’agricoltura o la caccia, purchè siano gestite in modo da non pregiudicare lo stato di conservazione delle specie e degli habitat per i quali i siti sono stati destinati. Infatti, nello stesso

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titolo della Direttiva Habitat, viene specificato l’obiettivo di conservare non solo gli habitat naturali, ma anche quelli seminaturali (come le aree ad agricoltura tradizionale, i boschi utilizzati, i pascoli, ecc.) (Tinarelli, 2005).

La realizzazione della rete Natura 2000 in Italia ha permesso anche il primo grande sforzo di raccolta standardizzata di conoscenze naturalistiche finalizzato alla conservazione della biodiversità in Europa, l’attivazione di un rapporto coordinato tra Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e singole Regioni e Province autonome che, dopo il lavoro di individuazione dei pSIC, continua ad esprimersi nelle fasi successive di tutela e gestione della rete; di strutturare una rete di referenti scientifici di supporto alle amministrazioni regionali che, con il coordinamento del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e in collaborazione con le associazioni scientifiche italiane di eccellenza (UZI, SBI, SItE), continua a produrre risultati in termini di verifica e aggiornamento dati (Ministero dell’Ambiente).

Figg. 3 e 4 Cartografia delle pSIC (a sinistra) e delle ZPS (a destra) presenti nelle regioni e nelle province autonome italiane (Ministero dell’Ambiente).

Nell’Unione Europea sono state individuate 3.664 ZPS e 16.184 pSIC/SIC, per un totale di 283.826 Km2 (SIC) e di 457.731 Km2 (ZPS), che coprono circa il 15% del territorio comunitario formato da 15 Stati. In Italia sono state designate 503 ZPS, estese complessivamente per 2.487.325 ettari e

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individuati 2.256 pSIC/SIC, estesi 4.397.780 ettari. Escludendo le aree dove ZPS e pSIC/SIC si sovrappongono, la superficie dei siti della rete Natura 2000 in Italia è di 4.987.367 ettari.

Il 20 marzo 2003 l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia Europea per insufficiente designazione di ZPS (Tinarelli, 2005).

2.3 LA VALUTAZIONE DI INCIDENZA

Uno strumento fondamentale per la conservazione dei siti della rete Natura 2000, previsto dall’articolo 6 della Direttiva Habitat, è la Valutazione di Incidenza (VI), alla quale dovrà essere sottoposto preventivamente ogni progetto o piano che possa avere un’incidenza significativa sulle specie e sugli habitat per la cui conservazione sono stati designati i siti.

L’articolo 6, paragrafi 3 e 4, stabilisce quanto segue:

3. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una valutazione appropriata dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.

4. Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione di incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.

Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere adottate soltanto considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.

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La VI, se correttamente realizzata e interpretata, costituisce lo strumento per garantire il raggiungimento di un rapporto equilibrato tra la conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie e l’uso sostenibile del territorio.

Va sottolineato che la VI si applica agli interventi o ai piani che ricadono sia all’interno dei siti della rete Natura 2000, sia a quelli che, pur sviluppandosi all’esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito stesso. Essa rappresenta uno strumento di prevenzione che analizza gli effetti di interventi che, seppur localizzati, vanno collocati in un contesto ecologico dinamico; pertanto, essa si qualifica come uno strumento di salvaguardia e si cala nel particolare contesto di ciascun sito.

Gli atti di pianificazione territoriale di rilevanza nazionale da sottoporre a VI devono essere presentati al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Nel caso di piani di rilevanza regionale, interregionale, provinciale e comunale, lo studio di VI viene presentato alle Regioni e alle Province autonome competenti (D.P.R. n. 120/03, art. 6 comma 2).

Ai fini della VI di piani e progetti, le Regioni e le Province autonome devono: definire le modalità di presentazione degli studi necessari per la VI; individuare le autorità competenti alla verifica dei suddetti studi, da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all’allegato G del DPR 357/97; definire i tempi per l’effettuazione della medesima verifica; individuare le modalità di partecipazione alle procedure nel caso di piani interregionali. In genere, le varie Regioni hanno approntato una serie di griglie contenenti i vari punti di articolazione della VI, attualizzando gli indirizzi fondamentali contenuti nell’Allegato G e nelle Direttive della Comunità Europea.

Il percorso logico della VI è delineato nella guida metodologica Assesment of plans and projects significantly affecting Natura 2000 sites. Methodological guidance on the previsions of article 6 (3) and (4) of the Habitats Directive 92/43/EEC, redatto dalla Oxford Bookes University per conto della Commissione Europea DG Ambiente. (Il documento è disponibile in una traduzione italiana non ufficiale a cura dell’Ufficio Stampa e della Direzione regionale dell’ambiente Servizio VIA – Regione autonoma Friuli Venezia Giulia: Valutazione di piani e progetti aventi un’incidenza significativa sui siti della rete Natura 2000. Guida metodologica alle disposizioni dell’art. 6, parr.

3 e 4 della Direttiva Habitat 92/43/CEE).

La metodologia procedurale proposta nella guida della Commissione è un percorso di analisi e valutazione progressiva che si compone di 4 fasi principali:

FASE 1 – Verifica (screening): processo che identifica la possibile incidenza significativa su un sito della rete Natura 2000 di un piano o un progetto, singolarmente o congiuntamente ad altri piani

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o progetti e che porta all’effettuazione di una Valutazione di Incidenza completa qualora l’incidenza risulti significativa.

La significatività dell’incidenza di un intervento sugli habitat o sulle specie di interesse comunitario dipende, infatti, dal rapporto tra le tipologie di opere previste e la peculiarità ecologica delle aree interessate: non sempre le opere di limitate dimensioni hanno una modesta incidenza e, viceversa, non tutti gli interventi complessi comportano necessariamente un’incidenza molto elevata.

a) Gestione del sito - In primo luogo si verifica se il piano/progetto è direttamente connesso o necessario alla gestione del sito, ovvero, se riguarda misure che sono state concepite unicamente per la gestione ai fini della conservazione. Nel caso in cui il piano/progetto abbia tale unica finalità la valutazione d'incidenza non è necessaria.

Nel caso in cui, invece, si tratti di piani o progetti di gestione del sito integrati ad altri piani di sviluppo, la componente non direttamente legata alla gestione deve comunque essere oggetto di una valutazione. Può, infine, verificarsi il caso in cui un piano/progetto direttamente connesso o necessario per la gestione di un sito possa avere effetti su un altro sito: in tal caso si deve comunque procedere ad una valutazione d'incidenza relativamente al sito interessato da tali effetti.

b) Descrizione del piano/progetto - la procedura prevede l'identificazione di tutti gli elementi del piano/progetto suscettibili di avere un'incidenza significativa sugli obiettivi di conservazione del sito Natura 2000 oltre all'individuazione degli eventuali effetti congiunti di altri piani/progetti.

La guida metodologica della DG Ambiente contiene una checklist esemplificativa degli elementi da considerare (si veda inoltre l'allegato G al DPR 357/97):

dimensioni, entità, superficie occupata settore del piano

cambiamenti fisici che deriveranno dal progetto/piano (da scavi, fondamenta, ecc.) fabbisogno in termini di risorse (estrazione di acqua, ecc.)

emissioni e rifiuti (smaltimento in terra, acqua aria) esigenze di trasporto

durata della fasi di edificazione, operatività e smantellamento, ecc.

periodo di attuazione del piano

distanza dal sito Natura 2000 o caratteristiche salienti del sito impatti cumulativi con altri piani/progetti

altro

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La previsione e valutazione degli impatti cumulativi (valutazione cumulativa) è piuttosto complessa in quanto richiede:

la difficile valutazione dei confini a fronte di fonti di impatto ubicate in aree distanti o laddove le specie o altri fattori naturali sono disperse nello spazio;

la definizione delle competenze per la valutazione di piani/progetti proposti da organismi diversi;

la determinazione degli impatti potenziali in termini di cause, modalità ed effetti; - la valutazione attenta delle possibilità di mitigazione nel caso in cui due o più fonti agiscono in maniera combinata;

l'attribuzione delle competenze per la realizzazione delle soluzioni di mitigazione più opportune.

c) Caratteristiche del sito - L'identificazione della possibile incidenza sul sito Natura 2000 richiede la descrizione dell'intero sito, con particolare dettaglio per le zone in cui gli effetti hanno più probabilità di manifestarsi. L'adeguata conoscenza del sito evidenzia le caratteristiche che svolgono un ruolo chiave per la sua conservazione. Per la descrizione del sito possono essere prese in considerazione diverse fonti (ad esempio, il modulo standard di dati di Natura 2000 relativo al sito, le mappe o gli archivi storici del sito, ecc.).

d) Valutazione della significatività dei possibili effetti - Per valutare la significatività dell'incidenza, dovuta all'interazione fra i parametri del piano/progetto e le caratteristiche del sito, possono essere usati alcuni indicatori chiave quali, ad esempio:

perdita di aree di habitat (%)

frammentazione (a termine o permanente, livello in relazione all'entità originale) perturbazione (a termine o permanente, distanza dal sito)

cambiamenti negli elementi principali del sito (ad es. qualità dell'acqua)

Il documento di indirizzo della Commissione Europea suggerisce l'utilizzo di una "matrice dello screening" e di una "matrice in assenza di effetti significativi".

La fase 1 può concludere l’intero iter procedurale qualora l’intervento esaminato risulti essere finalizzato alla tutela dell’ambiente o se l’incidenza, per quanto negativa, non sia da considerarsi significativa. Tale decisione deve essere, comunque, formalizzata dal soggetto valutatore, il quale può, altresì, prescrivere opportune ed ulteriori misure di mitigazione dell’intervento.

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Qualora, invece, sussista un ragionevole dubbio sulla significatività dell’incidenza del piano o del progetto, per il principio di precauzione, l’Unione Europea consiglia sempre di approfondire l’analisi e di procedere, quindi, con la successiva fase 2.

FASE 2 – Valutazione “appropriata”: analisi dell’incidenza del piano o del progetto sull’integrità del sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, nel rispetto della struttura e della funzionalità del sito e dei suoi obiettivi di conservazione, e individuazione delle misure di mitigazione eventualmente necessarie. Tale fase presuppone che il soggetto proponente presenti in allegato al piano o progetto uno specifico Studio di incidenza, al fine di consentire al soggetto pubblico competente di predisporre la Valutazione di Incidenza.

a) Informazioni necessarie: si procede verificando la completezza dei dati raccolti nella prima fase (elementi descrittivi del piano/progetto, i possibili effetti cumulativi, gli elementi utili per l'individuazione degli obiettivi di conservazione del sito) ed eventualmente integrare le informazioni mancanti. La guida metodologica riporta una checklist esemplificativa sulle informazioni necessarie per la valutazione "appropriata" e sulle relative fonti principali.

b) Previsione degli impatti: la determinazione del tipo di incidenza derivante dal realizzarsi del piano/progetto è un'operazione complessa. Gli elementi che compongono la struttura e le funzioni ecologiche di un sito, e che ne definiscono gli obiettivi di conservazione sono, per loro natura, dinamici, e quindi difficilmente quantificabili, inoltre le interrelazioni tra di essi sono raramente conosciute in modo soddisfacente.

Al fine di definire l'incidenza dei diversi effetti ambientali è utile la compilazione di una scheda analitica in cui organizzare i possibili impatti negativi sul sito in categorie, permettendo di percorrere il processo di previsione dell'incidenza con ordine e sistematicità.

Gli effetti possono essere elencati secondo le seguenti tipologie:

diretti o indiretti;

a breve o a lungo termine;

effetti dovuti alla fase di realizzazione del progetto, alla fase di operatività, alla fase di smantellamento;

effetti isolati, interattivi e cumulativi.

Gli effetti possono essere previsti tramite diversi metodi: metodi di calcolo diretto dell'area di habitat perduta o danneggiata o metodi indiretti, che impiegano modelli di previsione matematici

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relativi, ad esempio, alla modalità di dispersione degli inquinanti e che, in genere, si basano sull'uso di appositi GIS, di diagrammi di flusso e di sistemi logici.

c) Obiettivi di conservazione: individuati i possibili impatti, è necessario stabilire se essi possano avere un'incidenza negativa sull'integrità del sito, ovvero, sui fattori ecologici chiave che determinano gli obiettivi di conservazione di un sito. Per arrivare a conclusioni ragionevolmente certe, è preferibile procedere restringendo progressivamente il campo di indagine. Prima si considera se il piano o il progetto possa avere effetti sui fattori ecologici complessivi, danneggiando la struttura e la funzionalità degli habitat compresi nel sito. Poi si analizzano le possibilità che si verifichino occasioni di disturbo alle popolazioni, con particolare attenzione alle influenze sulla distribuzione e sulla densità delle specie chiave, che sono anche indicatrici dello stato di equilibrio del sito. Attraverso questa analisi, sempre più mirata, degli effetti ambientali, si arriva a definire la sussistenza e la maggiore o minore significatività dell'incidenza sull'integrità del sito. Per effettuare tale operazione la guida suggerisce l'utilizzo di una checklist. La valutazione viene svolta in base al principio di precauzione per cui se non si può escludere che vi siano effetti negativi si procede presumendo che vi saranno.

d) Misure di mitigazione: una volta individuati gli effetti negativi del piano o progetto e chiarito quale sia l'incidenza sugli obiettivi di conservazione del sito, è possibile individuare in modo mirato le necessarie misure di mitigazione/attenuazione. E' opportuno sottolineare che le misure di mitigazione sono concettualmente diverse dalle misure di compensazione che intervengono nella IV fase anche se, misure di mitigazione ben realizzate limitano la portata delle misure compensative necessarie, in quanto riducono gli effetti negativi che necessitano di compensazione. In effetti, le misure di mitigazione hanno lo scopo di ridurre al minimo o addirittura eliminare gli effetti negativi di un piano/progetto durante o dopo la sua realizzazione; esse possono essere imposte dalle autorità competenti, ma i proponenti sono spesso incoraggiati ad includerle fin dall'inizio nella documentazione da presentare. Le misure di compensazione, invece, sono volte a garantire la continuità del contributo funzionale di un sito alla conservazione in uno stato soddisfacente di uno o piú habitat o specie nella regione biogeografica interessata

La fase 2 può concludere l‘intero iter procedurale qualora, a seguito dell’analisi approfondita dello Studio di incidenza, si giunga alla conclusione che l’incidenza dell’intervento non sia negativa o non lo sia in maniera significativa. Anche in questo caso la decisione deve essere formalizzata dal soggetto valutatore, il quale può prescrivere opportune ed ulteriori misure di mitigazione

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dell’intervento. Nel caso, invece, si sia in presenza di incidenza negativa, si deve procedere con la successiva fase 3.

FASE 3 – Analisi delle soluzioni alternative: individuazione e analisi di eventuali soluzioni alternative per raggiungere gli obiettivi del progetto o del piano evitando incidenze negative sull’integrità del sito. A tale fase si ricorre solo nei casi in cui si sia riscontrata un’incidenza negativa significativa nei confronti di habitat o di specie di interesse comunitario e, pertanto, si procede con l’individuazione di soluzioni alternative meno impattanti e con la loro conseguente valutazione.

a) Identificazione delle alternative: è compito dell'autorità competente esaminare la possibilità che vi siano soluzioni alternative (compresa l'opzione 'zero'), basandosi non solo sulle informazioni fornite dal proponente del piano/progetto, ma anche su altre fonti.

Le soluzioni alternative possono tradursi, ad esempio, nelle seguenti forme:

ubicazione/percorsi alternativi (tracciati diversi, nel caso di interventi a sviluppo lineare);

dimensioni o impostazioni di sviluppo alternative;

metodi di costruzione alternativi;

mezzi diversi per il raggiungimento degli obiettivi;

modalità operative diverse;

modalità di dismissione diverse;

diversa programmazione delle scadenze temporali.

b) Valutazione delle soluzioni alternative: ciascuna delle possibili soluzioni alternative individuate viene sottoposta alla procedura di valutazione dell'incidenza sull'integrità del sito.

In assenza di tali possibili soluzioni si deve procedere con la fase 4.

FASE 4 – Definizione delle misure di compensazione: individuazione di azioni, anche preventive, in grado di bilanciare le incidenze negative previste, in quanto, non esistendo soluzioni alternative, si ritiene necessario che il progetto o il piano venga, comunque, realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Questa fase è la più articolata in quanto il soggetto valutatore del piano o del progetto non si limita più a ponderare i rapporti causa-effetto tra opere previste ed ecosistemi interessati, ma deve entrare nel merito delle motivazioni che stanno a monte delle scelte pianificatorie o progettuali in esame. Quindi si deve verificare se sussistano motivazioni

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di rilevante interesse pubblico,di natura sociale o economica, che giustifichino l’alterazione di habitat o la perturbazione di specie animali o vegetali di interesse comunitario e, in tal caso, prima di autorizzare l’intervento, va inoltrata una specifica informativa al Ministero competente e all’Unione Europea. Qualora si sia in presenza di habitat o specie di interesse comunitario di tipo prioritario, le motivazioni che giustificano un intervento con incidenza negativa significativa sono da ricercarsi nella sicurezza pubblica, nella salute umana o in importanti benefici per l’ambiente.

Qualora le motivazioni non siano riconducibili alle precedenti categorie, ma siano riferibili al rilevante interesse pubblico o alla natura sociale o economica dell’intervento, prima di procedere con la fase autorizzativa si deve richiedere uno specifico parere all’Unione Europea.

Trattandosi dell’ultima fase dell’iter procedurale, il procedimento può ritenersi concluso o con il rilascio dell’autorizzazione all’interno del quale vanno esplicitate le misure di mitigazione e di compensazione previste, oppure con il diniego alla realizzazione dell’intervento esaminato.

Per quanto riguarda le misure di compensazione di un intervento valutato ad incidenza negativa significativa, si possono proporre alcune soluzioni:

ripristino dell'habitat nel rispetto degli obiettivi di conservazione del sito;

creazione di un nuovo habitat, in proporzione a quello che sarà perso, su un sito nuovo o ampliando quello esistente;

miglioramento dell'habitat rimanente in misura proporzionale alla perdita dovuta al piano/progetto;

individuazione e proposta di un nuovo sito (caso limite).

Le misure di compensazione devono essere proporzionate al danno ambientale ipotizzato ed attuate il più vicino possibile al sito stesso e devono anche essere monitorate nel tempo per la verifica del raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Nello svolgere il procedimento di Valutazione di Incidenza è consigliabile l’adozione di matrici descrittive che rappresentino per ciascuna fase una griglia utile all’organizzazione standardizzata di dati e informazioni, oltre che alle motivazione delle decisioni prese nel corso della procedura di valutazione.

Le Regioni e le Province autonome hanno cominciato a recepire la valutazione di incidenza nella propria normativa e negli atti amministrativi a partire dal 1998. Nella pratica, tuttavia, la fase di avvio sembra essere terminata solo da poco, come testimoniano le modalità di applicazione che variano considerevolmente da un contesto all’altro. Si va dalla semplice applicazione della norma nazionale alle situazioni locali, all’inserimento della Valutazione di Incidenza nelle leggi regionali

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relative alle VIA o alla conservazione della natura, all’emissione di deliberazioni specifiche più o meno articolate con indicazione di apposite linee guida (Ministero dell’Ambiente).

La prima regione a citare la valutazione di incidenza nella propria normativa è la Toscana con la L.R. 3.11.1998 n. 79, Norme per la valutazione di impatto ambientale. Nelle Linee guida di cui all’art. 22 "Disposizioni attuative delle procedure" (All. A), è inclusa la definizione della Valutazione di Incidenza con riferimento all’art. 5 del DPR 357/97.

Alcune definizioni (Tinarelli, 2000):

Incidenza significativa: si intende la probabilità che un piano o un progetto ha di produrre effetti sull'integrità di un sito Natura 2000; la determinazione della significatività dipende dalle particolarità e dalle condizioni ambientali del sito.

Incidenza negativa: si intende la possibilità di un piano o progetto di incidere significativamente su un sito Natura 2000, arrecando effetti negativi sull'integrità del sito, nel rispetto degli obiettivi della rete Natura 2000.

Incidenza positiva: si intende la possibilità di un piano o progetto di incidere significativamente su un sito Natura 2000 non arrecando effetti negativi sull'integrità del sito, nel rispetto degli obiettivi della rete Natura 2000.

Valutazione d'incidenza positiva: si intende l'esito di una procedura di valutazione di un piano o progetto che abbia accertato l'assenza di effetti negativi sull'integrità del sito (assenza di incidenza negativa).

Valutazione d'incidenza negativa: si intende l'esito di una procedura di valutazione di un piano o progetto che abbia accertato la presenza di effetti negativi sull'integrità del sito.

Integrità di un sito: definisce una qualità o una condizione di interezza o completezza nel senso di

"coerenza della struttura e della funzione ecologica di un sito in tutta la sua superficie o di habitat, complessi di habitat e/o popolazioni di specie per i quali il sito è stato o sarà classificato".

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Fig. 5 Valutazione di Incidenza: diagramma di flusso (Tinarelli, 2005).

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